giovedì 22 febbraio 2018

MARTIRE DELLA VERITÀ (di Piero Nicola)


«Raguardami Pietro vergine e martire, che col sangue suo die' lume nelle tenebre delle molte eresie; che tanto l'ebbe in odio, che se ne dispose a lassarvi la vita. E, mentre che visse, l'exercizio suo non er'altro che orare, predicare, disputare con gli eretici e confessare, annunziando la verità e dilatando la fede senza veruno timore. Ché non tanto ch'egli la confessasse nella vita sua, ma infine a l'ultimo della vita. Unde, nella extremità della morte, venendoli meno la voce e lo 'nchiostro, avendo ricevuto il colpo, egli intinse il dito nel sangue suo: non ha carta questo glorioso martire, e però s'inchina e scrive in terra confessando la fede, cioè il Credo in Deum. El cuore suo ardeva nella fornace della mia carità, e però non allentò e' passi voltando il capo adietro sapendo che doveva morire (però che, prima che egli morisse, gli revelai la morte sua), ma come vero cavaliere, senza timore servile, egli esce fuore in sul campo della bactaglia.»
  Sono queste parole di Dio, nella rivelazione privata che Egli fece a Santa Caterina da Siena (1347-1380), la quale dettò quanto aveva appreso a chi scrisse il Libro della Divina Dottrina o Dialogo della Divina Provvidenza.
  Il Pietro che il Signore ricorda - insieme ad altri santi difensori della fede come Tommaso d'Aquino, Francesco e Domenico - alla grande suora domenicana Caterina, nacque a Verona all'inizio del '200 in una famiglia di eretici. Sin da fanciullo, testimoniò il credo cattolico ai suoi congiunti, che sperarono invano in un suo ripensamento. Andato a Bologna per frequentare l'Università, entrò nell'Ordine Domenicano, il cui Fondatore era ancora vivo. Dal 1232 Pietro divenne inviato pontificio a Milano, dove fondò le Società della Fede e le Confraternite Mariane per la difesa della dottrina contro gli eretici. Sarà priore ad Asti e poi a Piacenza, sempre predicando per confutare e condannare l'errore dei catari. Eserciterà il suo apostolato a Firenze, a Roma, nelle Marche e nella Romagna. Nel 1251 fu nominato priore a Como e inquisitore pontificio a Milano. Il dovere compiuto nell'esigere il rispetto e l'applicazione dei decreti papali, e il successo della sua predicazione accompagnata da miracoli, gli attirarono la feroce avversione dei ghibellini e dei catari. Nella domenica delle Palme del 1252, predisse dal pulpito la propria uccisione per mano degli eretici, rivelando bensì che li avrebbe combattuti più da morto che da vivo.
  Le sette di Milano e di altre città lombarde decisero di inviare due sicari per sopprimere Pietro da Verona. Essi lo raggiunsero il 6 aprile mentre era in viaggio da Como a Milano. Si conoscono i nomi degli incaricati dell'omicidio: Pietro da Balsamo detto Carino e Albertino Porro da Lentate. Quest'ultimo si ravvide per tempo e non prese parte all'assassinio. Il Carino spaccò la testa del martire con una roncola e lo colpì nel petto con un coltellaccio.
  Il corpo di Pietro, trasportato a Milano, ebbe esequie grandiose e fu sepolto presso il convento di S. Eustorgio. Quel giorno avvennero diversi miracoli. Il frate eretico Daniele da Giussano, che aveva contribuito a ordire la trama omicida, e lo stesso Carino si convertirono; in seguito entrarono essi stessi nell'Ordine Domenicano. Il 9 marzo 1253, Innocenzo IV canonizzò Pietro da Verona e ne istituì la festa il 29 aprile.
  Il culto di questo religioso, che si immolò per l'integrità della fede, si diffuse in tutto il mondo. Molte città lo elessero loro protettore. Celebri artisti quali il Beato Angelico e il Tiziano lo raffigurarono per la venerazione dei fedeli. Le sue reliquie, racchiuse nel monumento sepolcrale dovuto a Giovanni Balduccio da Pisa, si trovano nella Cappella Portinari intitolata al Santo, la quale è compresa nella basilica di Sant'Eustorgio.

  Nel Libro della Divina Dottrina procurato dalla Compatrona d'Italia, al punto della virtù dell'obbedienza il Signore tratta degli ordini monastici, detti "navicelle", e mostra la bellezza delle loro regole stabilite dai fondatori «che erano facti tempio di Spirito Sancto.» Tutti, a partire da Benedetto, diedero un particolare indirizzo sorretto dalla carità, e «la navicella del padre tuo Domenico, dilecto figliuolo mio, egli l'ordinò con ordine perfecto, ché volse che attendessero solo a l'onore di me e salute de l'anime col lume della scienzia [...] per più proprio suo obiecto prese il lume della scienzia, per stirpare gli errori che a quello tempo erano levati. Egli prese l'officio del Verbo, unigenito mio Figliuolo. Drictamente nel mondo pareva uno apostolo: con tanta verità e lume seminava la parola mia, levando la tenebre e donando la luce. Egli fu uno lume, che Io porsi al mondo col mezzo di Maria, messo nel Corpo mistico della sancta Chiesa come stirpatore de l'eresie.»
  «... nel principio suo [l'ordine] era uno fiore: anco c'erano uomini di grande perfectione: parevano uno sancto Pavolo, con tanto lume che a l'occhio loro non si parava tenebre d'errore che non si dissolvesse.
  «Raguarda il glorioso Tommaso [...] Questi che fu una luce ardentissima, che rende lume ne l'ordine suo e del Corpo mistico della sancta Chiesa, spegnendo le tenebre de l'eresia.»
  Dopodiché, nessuno può mettere in dubbio la divina condanna dell'errore e il dovere di confutare e contrastare gli eretici, avvelenatori di anime. Ma il Concilio Vaticano II, in particolare nella Dichiarazione Nostra Aetate, dichiara:
  «Gli uomini attendono dalle varie religioni la risposta ai reconditi enigmi della condizione umana, che ieri come oggi turbano profondamente il cuore dell'uomo: la natura dell'uomo, il senso e il fine della vita, il bene e il peccato, l'origine e lo scopo del dolore, la via per raggiungere la vera felicità, la morte, il giudizio e la sanzione dopo la morte, infine l'ultimo e ineffabile mistero che circonda la nostra esistenza, donde noi traiamo la nostra origine e verso cui tendiamo.»
  Nessuna incertezza sulla falsità dell'osservazione, poiché la dottrina cattolica risponde con chiarezza a tali "enigmi", a differenza delle altre religioni, sprovviste dell'unica Verità tratta dal sacro Deposito.
  Lo stesso documento prosegue, andando di male in peggio: «La Chiesa cattolica [...] considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano [perciò con errore] da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini.»
  Così non può essere la «Chiesa cattolica»: essa combatte ogni errore e non commette la falsità obbrobriosa di considerare rispettabile e riflettente la verità una dottrina che è guasta.
  «La Chiesa esecra [...] qualsiasi discriminazione tra gli uomini [...] per motivi di [...] religione.»
  Siffatta condanna, insieme alla professione di laicismo della Dichiarazione Dignitatis Humanae: «Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società,» rigetta l'inimicizia voluta, per principio, dal Signore nei confronti delle eresie e dei rimanenti culti estranei alla Sposa di Cristo.
  Ora, dopo la conciliare negazione (inequivocabile) della necessaria difesa dagli eretici, dopo la conciliare messa al bando della predicazione intesa a distruggere con la Verità gli errori diffusi dalle dottrine erronee, è stupefacente come, nel 1970, Paolo VI, a cinque anni dal suo aver approvato il Concilio (mai da lui smentito in alcuna sua parte), abbia fatto dottore della Chiesa Santa Caterina da Siena. Invero, le contraddizioni di Paolo VI ebbero a fioccare in vari modi. In questo caso però, appare scandaloso l'aver ignorato il santo insegnamento sull'eresia (del resto, ben definito nella Rivelazione), palesemente esposto nel Dialogo della Divina Provvidenza. In altri termini, Paolo VI non poté onorare il sapere teologico di Caterina, senza smentirsi riguardo a certa teologia sostenuta dal Concilio. Tuttavia egli non la emendò, non si ricredette.
  «Caterina ritornava a Siena [...] per proseguire il suo colloquio con l'Eterno, dettando il meraviglioso Dialogo della Divina Provvidenza, frutto del suo continuo insegnamento attraverso le lettere e di tutte le sue esperienze mistiche; il Dialogo è il vero "libro" di Caterina.» Enciclopedia Cattolica, vol. III, col. 1154.

Piero Nicola

mercoledì 21 febbraio 2018

FACILE PROFEZIA (di Piero Nicola)


Tutto dipende da una presunzione: quella di avere mantenuto autorità e popolarità. Perché costoro smarriscono la visione obiettiva? Perché accecandosi non vedono il proprio fallimento, la loro vita pubblica finita nel discredito, le loro convinzioni perite miseramente.
  Sicuro: sto parlando di politica. Il fatto nascosto agli occhi di quegli ottimati è il rifiuto opposto dalla maggioranza degli elettori alla classe partitica, ovvero al sistema instaurato che la mantiene al potere. Lo dimostrano le percentuali dei votanti, di quelli che votano turandosi il naso, di quelli che votano partiti supposti anti-sistema.
  Perciò è sorprendente come i grandi capi rappresentativi del sistema, avendo ricoperto o ricoprendo le massime cariche, si spendano nell'appoggiare candidati e partiti; e tanto più sprovveduti sono questi ultimi, che accettano tale sorta di sostegno.
  Quando Barack Obama si prodigò per raccomandare Hillary Clinton all'elettorato statunitense affinché venisse eletta presidente degli USA, entrambi non dovettero rendersi conto del sentimento disilluso e rivoluzionario che animava la gran parte degli americani. Non capirono che molti volevano voltar pagina, farla finita con i soliti slogan ingannevoli; non capirono che si era sfogliata l'indoratura dei sogni e dei miraggi, della cui apparenza, quasi fosse sostanza, il loro paese aveva saputo gloriarsi per secoli. Forse la Clinton non sarebbe riuscita comunque a fingere un programma atto a ridare agli Stati Uniti la vernice e quel poco di giustizia del passato, ma è certo che Obama le nocque, togliendo ogni speranza a quanti erano nostalgici e desideravano maggior cura del generale benessere, maggiori possibilità di promozione individuale, e difesa dell'integrità, degli interessi, dell'orgoglio nazionali.
  Veniamo agli affari nostri. Il mite presidente Mattarella, l'ex presidente Napolitano, comunista convertito al mondialismo, e Prodi, veterano dei palazzi del potere, che da Bologna la grassa rilascia saggezza professorale, queste tre colonne vetuste fanno un'assidua propaganda a favore del partito renziano. Così, contribuiscono alla sua rovina. Da parte loro, né il fiorentino né il suo concorrente Gentiloni hanno appreso la lezione del referendum, che è stata una generica bocciatura, per rimediare alla quale sarebbe occorsa una sterzata forte e decisa, mentre essi ripetono il frusto vanto della ripresa economica, cui il loro governo avrebbe dato impulso, talché sarebbe un male grande cambiare rotta. La massa non vede benefici da nessuna parte, vorrebbe un cambiamento efficace, non senza un certo ritorno ai tempi migliori, alla perduta stabilità. La massa se ne infischia altamente dei progressi ottenuti con i novelli, presunti diritti civili, ed è a metà diffidente a metà insofferente verso la UE, verso la solidarietà con gli emigranti, verso il fantasioso vantaggio che essi ci porterebbero, verso le promesse di integrazione e di regolazione dei ricevimenti dal mare. Alla massa non sfugge più la smaccata propaganda pro-governativa messa in atto dalle televisioni, è infastidita dalla retorica di regime, dalla libera informazione che in qualche modo mostra piaghe cui non fanno mai riscontro leggi sane, sani provvedimenti. Tutto ciò, proprio come è successo in America.
  Qui però stiamo sotto la UE, e sia Grillo che Berlusconi non hanno niente a che vedere con il Tycoon. Berlusconi guarda ancora ai moderati, che ormai sono una minoranza aderente a partitini settari; egli ha preso per alleati questi ultimi, che di certo gli legheranno le mani o lo tradiranno; è andato a Bruxelles a render conto ai grossi burocrati, che, se non eseguirà i loro ordini, gli faranno un'altra volta lo sgambetto. Nemmeno lui ha capito l'antifona ventilata dal popolo, confuso sì, maggioranza abbastanza silenziosa, va bene, ma intimamente rivoluzionaria e decisamente ricalcitrante.

Piero Nicola

mercoledì 14 febbraio 2018

Storia: 89 anni fa , 11 febbraio 1929, la ‘Conciliazione’ tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica (di Paolo Pasqualucci)

Fino agli anni Settanta circa del secolo scorso l’11 febbraio era festa nazionale.  Oggi, l’evento non solo non si celebra ma sembra esser caduto del tutto in oblìo.  Si è trattato di un fatto storico assai importante per il nostro Paese e, indirettamente, anche per il resto della cattolicità.  Finiva la grave tensione, che durava dal 1870, tra la Chiesa e lo Stato unitario italiano, dopo che quest’ultimo aveva tolto con la forza alla Chiesa il potere temporale e, pur nel mantenimento della religione cattolica quale unica religione ufficiale dello Stato, aveva introdotto leggi eversive dei beni ecclesiastici e il matrimonio civile (fallì, invece, anche per l’opposizione del Re, il tentativo di introdurre il divorzio).  La Chiesa cessava di rivendicare la restituzione del dominio temporale di un tempo, mettendo una pietra sopra il passato e riconoscendo lo Stato italiano.

I. Per la composizione della “questione romana” e il raggiungimento della desiderata “conciliazione” con la Chiesa, come tutti sanno furono determinanti la volontà e l’impegno personale di Benito Mussolini, l’ex-socialista rivoluzionario in gioventù romagnolo mangiapreti, da quasi sette anni capo del governo, non ancora “duce” stivalato e osannato da oceaniche e imperiali quanto effimere adunate.
[Vedi sul punto l’opera di colui che giustamente è considerato il massimo storico del fascismo: Renzo De Felice, Mussolini il fascista. II. L’organizzazione dello Stato fascista. 1925-1929, Einaudi, Torino, 1968, Cap. Quinto: La Conciliazione, pp. 382-436.  “Con i patti del Laterano Mussolini conseguì un successo – forse il più vero e importante di tutta la sua carriera politica – che da un giorno all’altro ne aumentò il prestigio in tutto il mondo…”, op. cit., p. 382. Corsivo mio].

II. Ma in cosa consistono quelli che vengono chiamati i Patti Lateranensi, dal momento che furono firmati, appunto l’11 febbraio del 29, nel Palazzo del Laterano tra Mussolini e il cardinale Gasparri?  Forse è utile rinfrescare la memoria.
Si tratta di due documenti, espressione di due atti diversi, tra loro collegati e interdipendenti, stipulati tra la S. Sede e lo Stato italiano:  il Trattato e il Concordato.
Col primo si è determinata e stabilita di comune accordo la posizione e il regime giuridico speciale della S. Sede stessa quale ente sovrano della Chiesa cattolica in Italia e nei confronti dell’ordinamento statale e si è composta la cruciale Questione romana vertente fra le due autorità.  Con il secondo si è fissata e disciplinata la posizione e il regime giuridico della religione e della Chiesa cattolica in Italia.
Nel Trattato viene ricostituito il potere temporale del Papa nella forma di un microstato (la Città del Vaticano), con aggiunti vari immobili di proprietà della S. Sede dotati di extra-territorialità e/o di esenzione dall’espropriazione forzata e dai contributi.  Si tratta di uno Stato a tutti gli effetti, in modo da garantire al Pontefice la piena libertà di soggetto giuridico indipendente e sovrano dal punto di vista del diritto internazionale.  
Con la  Convenzione finanziaria allegata, lo Stato italiano versava alla S. Sede, allo scambio delle ratifiche del Trattato, la somma di 750 milioni di lire in contanti (al potere d’acquisto del 1929) e di 1 miliardo in consolidato al 5%.  Tale somma la S. Sede, che aveva inizialmente richiesto circa 3 miliardi di lire, ha dichiarato di accettare “a definitiva sistemazione dei suoi rapporti finanziari con l’Italia in dipendenza degli avvenimenti del 1870”.  Essa accettava il risarcimento con la seguente motivazione: a) per la perdita del Patrimonio di S. Pietro costituito dagli antichi Stati pontifici; b) per la perdita dei beni degli enti ecclesiastici incamerati dallo Stato con le leggi eversive.  Il Papa, Pio XI, si accontentava di una somma forfettaria, tenendo conto della difficile situazione economica mondiale e italiana di quel periodo e mosso da benevolenza nei confronti del popolo italiano.
 [I dati esposti nel § 2 li ho ripresi da:  Pietro Agostino D’Avack, Lezioni di diritto ecclesiastico italiano.  Le fonti, Giuffrè editore, Milano, 1962, cap. 6, Le fonti di origine pattizia II. I patti lateranensi, p. 147 ss.]

III.  Giova ricordare, a questo punto, la Premessa ed alcuni articoli del Trattato.

“In nome della Santissima Trinità.
Premesso:
Che la Santa Sede e l’Italia hanno riconosciuto la convenienza di eliminare ogni ragione di dissidio fra loro esistente con l’addivenire ad una sistemazione definitiva dei reciproci rapporti, che sia conforme a giustizia ed alla dignità delle due Alte Parti e che, assicurando alla Santa Sede in modo stabile una condizione di fatto e di diritto la quale Le garantisca l’assoluta indipendenza per l’adempimento della Sua alta missione nel mondo, consenta alla Santa Sede stessa di riconoscere composta in modo definitivo ed irrevocabile la “questione romana”, sorta nel 1870 con l’annessione di Roma al Regno d’Italia sotto la dinastia di Casa Savoia;
Che dovendosi, per assicurare alla Santa Sede l’assoluta e visibile indipendenza, garantirLe una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale, si è ravvisata la necessità di costituire, con particolari modalità, la Città del Vaticano, riconoscendo sulla medesima alla Santa Sede la piena proprietà e l’esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana;
Sua Santità il Sommo Pontefice Pio XI e Sua Maestà Vittorio Emanuele III, Re d’Italia, hanno risoluto di stipulare un Trattato […] Hanno convenuto negli articoli seguenti:

1.  L’Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell’art. 1 dello Statuto del Regno 4 marzo 1848, pel quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato.
2. L’Italia riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale come attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione ed alle esigenze della sua missione nel mondo.
3.  L’Italia riconosce alla Santa Sede la piena proprietà e la esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana sul Vaticano, com’è attualmente costituito, con tutte le sue pertinenze e dotazioni, creandosi per tal modo la Città del Vaticano per gli speciali fini e con le modalità di cui al presente Trattato […].
4.  La sovranità e la giurisdizione esclusiva, che l’Italia riconosce alla Santa Sede sulla Città del Vaticano, importa che nella medesima non possa esplicarsi alcuna ingerenza da parte del Governo italiano e che non vi sia altra autorità che quella della Santa Sede.
[Omissis]
8.  L’Italia, considerando sacra ed inviolabile la persona del Sommo Pontefice, dichiara punibile l’attentato contro di Essa e la provocazione a commetterlo con le stesse pene stabilite per l’attentato e la provocazione a commetterlo contro la persona del Re del Presidente della Repubblica.
Le offese e le ingiurie pubbliche commesse nel territorio italiano contro la persona del Sommo Pontefice con discorsi, con fatti e con scritti, sono punite come le offese e le ingiurie alla persona del Re  del Presidente della Repubblica”. 
[Omissis]
Il Trattato constava di 27 articoli e Quattro Allegati.

IV.  Del Concordato voglio solo ricordare una novità importantissima, che metteva fine al regime di solo matrimonio civile riconosciuto dallo Stato, introdotto con il nuovo Codice Civile, a partire dal 1° gennaio 1886, quando governava la c.d. Sinistra storica. Ora lo Stato riconosceva il matrimonio religioso (secondo il diritto canonico), concedendo al sacerdote celebrante anche la mansione di ufficiale dello stato civile, dal momento che poteva egli stesso provvedere al deposito dell’atto di matrimonio (regime di matrimonio concordatario, ritoccato per alcuni aspetti dall’Accordo del 1984, art. 8).

V.  L’art. 7.2  della Costituzione della Repubblica Italiana ha confermato i Patti Lateranensi nella loro qualità di strumento che regola i rapporti tra lo Stato e la Chiesa.  Essi possono esser modificati con l’accordo delle due parti senza che si debba ricorrere a revisione della Costituzione. Il 18 febbrario 1984 fu sottoscritto un Accordo in 14 articoli, con Protocollo addizionale di 7 articoli, firmato in Roma (se non erro, dall’on. Bettino Craxi e dal cardinale Casaroli, segretario di Stato) apportante modificazioni al Concordato lateranense del ’29.  Con tale accordo la Chiesa ottenne determinati vantaggi, su questioni che l’interessavano.   Però fece alcune importanti e gravi concessioni.
L’art. 1 di detto Accordo recita: 
“La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”.
Tale articolo è preceduto da un breve preambolo intessuto di citazioni del Concilio Vaticano II (art. 6 della Dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa, che parla della tutela inviolabile dei diritti dell’uomo; art. 76 della costituzione Gaudium et Spes, nel quale la Chiesa rivendica il suo diritto ad esercitare la sua missione “a servizio delle persone umane” in una “società pluralistica”; e del nuovo Codice di Diritto Canonico del 1983, c. 3).  Nel Protocollo Addizionale si dà una sorta di intepretazione autentica di alcuni articoli dell’Accordo.  In relazione all’art. 1 appena citato si afferma: 
“si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti Lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano”.
Nello spirito apertamente richiamato del Vaticano II, la Chiesa affermava ora esser la sua missione quella di collaborare con lo Stato “per il bene del paese e per la promozione dell’uomo”:  con uno Stato laico che promuoveva “il bene dell’uomo” in prospettiva apertamente antropocentrica e totalmente indifferente, quando non ostile, alle finalità proprie della Chiesa cattolica. Coerentemente a questa impostazione suicida, il Vaticano accettava, con piena sua soddisfazione, che nel Protocollo Addizionale si cancellasse ogni riferimento alla religione cattolica quale unica religione dello Stato italiano (come stabilito dallo Statuto Albertino, mantenuto dallo Stato fascista, per il quale le altre religioni erano culti tollerati o ammessi, a seconda della dizione preferita).
Coerentemente con questa impostazione, l’art. 4 dell’Accordo annacqua il carattere sacro della città di Roma, sede del Papato, ampiamente riconosciuto e tutelato dallo Stato fascista.
Recita infatti l’art. 4 dell’Accordo :
“La Repubblica italiana riconosce il particolare significato che Roma, sede vescovile del Sommo Pontefice, ha per la cattolicità”.
L’art. 1.2 del Concordato lateranense del ’29, diceva invece, in modo molto più forte ed incisivo:
“In considerazione del carattere sacro della Città Eterna, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico e meta di pellegrinaggi, il Governo italiano avrà cura di impedire in Roma tutto ciò che possa essere in contrasto col detto carattere”.
E questa “cura”, come sappiamo, fu messa scrupolosamente in atto.  Del resto, sino alla prima metà degli anni sessanta del secolo scorso, nel centro di Roma i night-clubs, sorti tutti nel dopoguerra nella zona di via Veneto, erano pochissimi e, credo, alquanto castigati.
[I testi dei Patti Lateranensi e del successivo Accordo con Protocollo Aggiuntivo, li ho citati da:  Giovanni Barberini (a cura di), Raccolta di fonti normative di diritto ecclesiastico, 4a ediz. riveduta e ampliata, G. Giappichelli Editore, Torino, 1997, pp. 31-59].

VI.  Voglio concludere questa breve rievocazione  con alcune citazioni dal menzionato capitolo di Renzo De Felice sulla Conciliazione.
Pio XI si era giustamente opposto alla ventilata revisione della legislazione ecclesiastica esistente da parte del governo italiano, mai accettata dai Papi: si trattava della legislazione detta delle Guarentigie, stabilita dopo l’annessione di Roma al Regno d’Italia, a garanzia della libertà e indipendenza economica del Pontefice; però stabilita unilateralmente dallo Stato italiano e senza riconoscere alcun potere temporale al Papa, come se potesse esser concepito quale sovrano senza Stato.
Mussolini prese posizione contro le polemiche che l’atteggiamento del Papa aveva provocato, con una celebre lettera al Guardasigilli Alfredo Rocco, il 4 maggio 1926.  Egli mostrava di  comprendere e giustificare appieno il punto di vista del Pontefice.

“La Santa Sede, scriveva egli, pur apprezzando il profondo mutamento di indirizzo, che il trionfo del Fascismo ha segnato nella politica religiosa dello Stato italiano, reputa che una sistemazione soddisfacente dei rapporti tra la Chiesa Cattolica e lo Stato in Italia non possa conseguirsi, se non per via di accordo bilaterale, e che un accordo di tal fatta presuppone risoluto, d’intesa tra le due Potestà, il problema della sistemazione giuridica della Santa Sede, come organo centrale, e pertanto, di sua natura supernazionale, della Chiesa, il quale, per decreto della Provvidenza divina ha sede in Italia.
Il regime fascista, superando in questo, come in ogni altro campo, le pregiudiziali del liberalismo, ha ripudiato così il principio dell’agnosticismo religioso dello Stato, come quello di una separazione tra Chiesa e Stato, altrettanto assurda quanto la separazione tra spirito e materia…È logico pertanto che il Governo Fascista giudichi con piena serenità le attuali manifestazioni della Santa Sede, e le reputi degne della più attenta considerazione…Giunte le cose al punto, in cui il tempo e il procedere della storia, e l’evoluzione spirituale e politica del popolo italiano le hanno condotte, reputo non inutile che tu, coi mezzi di informazione di cui disponi, prenda riservatamente notizia del punto di vista odierno della Santa Sede, intorno alle forme che potrebbe assumere una soddisfacente sistemazione giuridica dei suoi rapporti con lo Stato italiano”. [ De Felice, op. cit., pp. 389-390].
Con questa lettera, che mise immediatamente in moto Alfredo Rocco, si iniziò il processo che quasi tre anni dopo si sarebbe concluso con i Patti Lateranensi.  Nella fase finale, le trattative, sempre riservate, furono condotte personalmente da Mussolini. 
Com’è noto, i Patti furono occasione immediata di accese polemiche, anche nell’ambito della schieramento fascista, nel quale era presente da sempre una robusta componente anticlericale.  Ci furono successivamente incomprensioni e conflitti, anche seri, con la Santa Sede a proposito delle organizzazioni giovanili cattoliche.  Tra i cattolici, se la maggioranza gioì, ci fu tuttavia chi pensò che la Chiesa avesse concesso troppo al regime o, addirittura, avesse “capitolato” nei suoi confronti.  Quest’opinione fu espressa da ambienti del cattolicesimo francese, per i quali la Chiesa, appunto “capitolando” nei confronti del regime, si era messa sotto “la protezione italiana”, come scrisse Maurras su ‘L’Action Française’ del 14 febbraio 1929 [De Felice, op. cit., p. 423, nota n. 1]. 
Ma si poteva davvero ritenere, aggiungo io, che il mettersi sotto “la protezione” temporale dell’Italia (se si vuole usare quest’immagine)  comportasse una diminuzione dell’universalità della Chiesa cattolica e di Roma, in quanto capitale del cattolicesimo? Poteva sembrare, superficialmente, che la Chiesa si fosse messa ora sotto la “protezione” dello Stato italiano.  In realtà, da un punto di vista superiore, era vero il contrario:  era lo Stato italiano che ora, riconoscendo e riparando certi suoi errori e venendo perdonato dalla Chiesa per le offese e malefatte risorgimentali e postrisorgimentali, ritornava ad esser spiritualmente “protetto” (se così vogliamo dire) dal caritatevole e materno benvolere della Chiesa.
A proposito delle summenzionate polemiche, si veda quest’ultima citazione, sempre dall’opera di De Felice.
“Non meno soddisfatto e conciliante si era mostrato Mussolini quando – il 10 marzo [1929], in occasione della prima ‘assemblea quinquennale del regime’- aveva per la prima volta pubblicamente parlato dei patti.  Questi, aveva detto , erano “equi e precisi” e avevano creato tra l’Italia e la Santa Sede una situazione “di differenziazione e di lealtà”:
“Io penso, disse, e non sembri assurdo, che solo in regime di concordato si realizza la logica, normale, benefica separazione tra Chiesa e Stato, la distinzione, cioè, tra i compiti, le attribuzioni dell’una e dell’altro.  Ognuno coi suoi diritti, coi suoi doveri, con la sua potestà, coi suoi confini.  Solo con questa premessa si può, in taluni campi, praticare una collaborazione da sovranità a sovranità.
Parlare di vincitori o di vinti è puerile:  si parli di assoluta equità dell’accordo che sana reciprocamente de jure un’ormai definitiva, ma sempre pericolosa e comunque penosa situazione di fatto.  L’accordo è sempre meglio del dissidio; il buon vicinato è sempre da preferirsi alla guerra”.
E, pur mettendo in chiaro che il riconoscimento alla Chiesa cattolica di “un posto preminente nella vita religiosa del popolo italiano”non significava persecuzione, soppressione o anche solo vessazione degli altri culti, aveva annunciato che lo Stato fascista non era tenuto – “come si pretenderebbe dalle vaghe superstiti cellule demomassoniche”- a conservare tutte le misure di una legislazione “che fu il prodotto di un determinato periodo storico”e che spesso erano col tempo diventate delle semplici finzioni”.  [De Felice, op. cit., pp. 427-428]. 
Il giorno dopo, 11 marzo, ‘L’Osservatore Romano’ definì le parole del “duce””obbiettive ed esaurienti”[De Felice, op. cit., p. 427, nota n. 2].

La valutazione mussoliniana del significato autentico dei Patti, condivisa dal Vaticano, mostrava che il loro spirito non era affatto quello di fornire alla Chiesa una semplice “protezione” nel temporale, quasi la Chiesa fosse un soggetto inferiore a quello statale e bisognoso pertanto della sua protezione.  Anche se, dal punto di vista materiale e organizzativo, lo Stato italiano veniva a “proteggere” la Chiesa in quanto piccolissimo Stato enclave al suo interno (la polizia italiana poteva entrare nella Città del Vaticano ma solo su richiesta della stessa autorità vaticana, art. 3.2 del Trattato), lo spirito e la finalità dei Patti era quello di riconoscere  nella Chiesa, in conformità alla sua natura, la più completa autonomia, libertà e sovranità temporale; cioè la realtà insopprimibile di un’istituzione che, nella sua assoluta indipendenza di compiuto ordinamento giuridico, non aveva bisogno di alcuna “protezione” né da parte dello Stato italiano né di altri.  

Paolo Pasqualucci, domenica 11 febbraio 2018


[fonte:  iterpaolopasqualucci.blogspot.ie]