lunedì 2 novembre 2015

MA NON È UNA COSA SERIA (di Piero Nicola)

  Mi metto nei panni del cittadino qualunque. Non mi costa troppa fatica giacché, in materia, sono poco documentato, le mie fonti principali sono la tivù e i giornali letti qua e là. Tuttavia riconosco d'essere un tantino presuntuoso: presumo di approfondire le notizie, di farne una critica autonoma e oggettiva, di andare oltre la sensazione che qualcosa non quadri, insomma di scoprire altarini ben mimetizzati.
  La materia è l'immigrazione nelle sue entità e nelle quote di extracomunitari che certi paesi europei, avendone di meno, dovrebbero prendersi levando il di più d'Italia e Grecia, che ne hanno in sovrabbondanza. Lasciamo stare le ragioni per cui ci sono Stati dell'UE i quali non accettano la ripartizione prevista, e il perdurante disaccordo sulle varie condizioni da osservare.
  Per inciso, è curioso come resti oscuro se la Germania, e forse anche la Svezia - penetrate da una fiumana di genti estranee all'Europa e risalenti dai Balcani - chiedano o no di liberarsi del loro eccesso d'emigranti. Visto che costoro devono essere nell'ordine numerico del milione.
  Quanto a noi, si parla di assegnarne ai soci comunitari decine di migliaia, per un totale che non arriva alle duecentomila. Ma negli ultimi anni ne abbiamo ricevuto oltre mezzo milione. La sproporzione dipende forse dal fatto che non abbiamo identificato una quantità di sopraggiunti abitanti del Vicino Oriente e dell'Africa, essendo presumibile che molti non avranno diritto all'asilo e dovranno essere rimpatriati? A occhio e croce, la sproporzione rimane, quand'anche si ammetta che i patti di Dublino restino valevoli circa il ricadere dell'onere di tale identificazione sui paesi di prima accoglienza, e quand'anche si presuma che, diventato efficiente il governo italiano, i rimpatri debbano avvenire per benino. Tuttavia la capacità di rimandare a casa i clandestini rimane affar nostro.
  La sproporzione si giustifica anzitutto perché chi vuole rimanere apolide, rifiutando con qualche scusa d'essere censito, ha agio di farlo (prendergli le impronte digitali e attribuirgli un nome non servirà a nulla), e perché chi ha interesse ad avere un'identità ma non risulta essere un rifugiato, difficilmente può essere rispedito al mittente (p.e. in Siria, in Eritrea, in Somalia). Infatti, per molti giovani e uomini validi di quelle regioni, come dimostrare che siano perseguitati al rientro in patria e che non siano tenuti a militarvi in uno schieramento?
  C'è poi la questione temporale. Il conteggio non dovrebbe partire da molti anni in qua, cioè da quando cominciò l'arrivo di quegli stranieri, che ancora non hanno i requisiti per avere un permesso di soggiorno? 
  Perciò si è posta solo la coda del problema concernente i disperati e/o temerari del viaggio della speranza, così definito in un modo che suona beffardo (quale speranza per gente imbarcata su natanti quanto mai insicuri, gente caduta in potere di trafficanti criminali, gente in maggioranza senza arte né parte, destinata a restare estranea o ostile, essendo di cultura e religione che stridono con quelle della nazione ospite, gente privata delle sue radici?).
  L'Italia è piena di immigrati provenienti via terra e anche dall'Est europeo e oltre (ucraini, romeni, albanesi, cinesi, ecc.), nonché dal Centro e Sud America. Si vuol fare la differenza tra gli sbarcati o soccorsi in mare e gli altri, che possono ugualmente essere clandestini?
  Il problema posto è affatto inadeguato considerando che, nell'insieme, tali stranieri qui sono molti milioni e circa il dieci per cento della popolazione italiana.
  Si dirà che le badanti e gli altri lavoratori provenienti dall'estero, messi in regola e aventi un regolare permesso di soggiorno, non costituiscono un danno economico. Invece - a prescindere dal danno morale e spirituale dovuto all'introduzione di costumi, di etiche e credenze religiose incompatibili con le nostre - il danno lo subiamo: sia all'occupazione e alle attività economiche, sia alla finanza nazionale, sia per un aumento delle percentuali di delinquenza e criminalità. Senza manodopera, commercianti e imprenditori così importati, i nostri connazionali sarebbero quasi costretti, o potrebbero esserlo, a occupare i posti ceduti in tal guisa, e sarebbe un bene per la nostra società. Inoltre una grossa fetta dei risparmi degli immigrati finisce nelle loro terre di origine. Né la loro prolificità genera cittadini italiani e, qualora si dovesse giungere al disgraziato ius soli, supplendo malamente a un nostro difetto, ciò non farebbe che incrementarlo.
  Allora bisogna partire da questi dati numerici e da queste realtà, per ridistribuire gli immigrati nei paesi dell'UE, se l'UE è la comunità o unione che pretende di essere, per esempio con la moneta unica.
  Ma la soluzione vera sarebbe tornare al concreto delle nazioni, alla loro adeguata sovranità, alle loro proprie monete e banche indipendenti.

Piero Nicola

  

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