venerdì 31 luglio 2015

San Giovanni Bosco nel bicentenario della nascita

Nella desolazione dell'ora presente, avvelenata dall'economia liberale e tormentata dal delirio libertino, il ricordo dell'intrepida carità di San Giovanni Bosco (Castelnuovo d'Asti 1815 - Torino 1889) desta nei cattolici refrattari all'ideologia postmoderna, l'intenzione di resistere al dissennato culto del mercato e all'applaudita sodomia californiana, senza nulla concedere a irragionevoli buonismi e/o a perdonismi scivolosi, che suggeriscono il ricorso a rimedi peggiori del male.
 Il pregevole saggio di Michele Tosca, Don Bosco Un santo della chiesa militante, edito in Torino da Roberto Chiaromonte, propone un profilo del santo, ispirato dalla ferma intenzione di scansare i trabocchetti scavati e mascherati dai pii inganni e dagli estenuanti languori del teologicamente corretto.
 Nella biografia del santo piemontese è, infatti, evidente l'incrollabile fedeltà a quella teologia pre-buonista, che contemplava i quattro novissimi censurati dai teologi modernizzanti: morte, giudizio, inferno e paradiso. Fedeltà ultimamente silenziata dall'esorbitanza velenosa di un lassismo tentato di approvare e benedire gli errori e i peccati, che avviliscono e  tormentano l'umanità moderna.
 La misericordia che ha illuminato la vita di don Bosco è associata indissolubilmente al timor di Dio, una virtù che allontana le tentazioni lassiste, destate e lodate dalla teologia postconciliare.
 Opportunamente Tosca rammenta che Don Bosco "è un santo non allineato con il politically correct, con il pensiero unico dominante, un Santo che considera quella che oggi si chiama interreligiosità come mettere gli agnelli in bocca ai lupi, e l'ecumenismo aprire le porte di casa al nemico".  
 A conferma della refrattarietà di Don Bosco alla suggestione sincretista, Tosca cita una puntuale affermazione di Antonio Socci: "don Bosco parlava e scriveva con la stessa decisione con cui si va a una battaglia. Non sapeva nemmeno cosa fosse il dialogo. Il suo stile era muro contro muro. Bisognava salvare i giovani e la gente per la Chiesa, per Dio, per la vita eterna, e quindi bisognava lottare, battersi". 
 Il saggio di Tosca rammenta altresì che la storia di Don Bosco testimonia il primato dello spirituale sul sociale e pertanto può essere letta come una spirituale lezione intesa a vincere le squillanti tentazioni di un cristianesimo ideologizzante cioè rovesciato nelle chimere della giustizia orizzontale.
 La storia delle opere di Don Bosco, sotto tale profilo, è un efficace antidoto alle sgangherate suggestioni di una teologia vaticanista, prigioniera delle remote e fioche e anacronistiche suggestioni del socialismo reale.
 Non sempre condivisibile è invece la ricostruzione del conflitto tra la morale cattolica e le ragioni militanti a sostegno dell'unità d'Italia, un'analisi compiuta seguendo la linea di pensiero tracciata dalle esagerazioni di Angela Pellicciari.
 Al seguito di una tale scolastica, Tosca avanza fino alla giustificazione dell'infortunio in cui incorse il Santo nel 1873, quando indirizzò una lettera all'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe, per sollecitare un intervento militare finalizzato all'invasione dell'Italia.
 Al proposito scrive Tosca: "Dopo l'invasione piemontese dello Stato Pontificio nel 1870, molti cattolici speravano in un intervento dell'Austria contro l'Italia massonica, tra loro vi era don Bosco, il quale era certo che Dio avrebbe benedetto le armi che avessero ricollocato il Pontefice sul suo legittimo trono".  
 Ora l'unità d'Italia fu una conquista macchiata dal garibaldinismo e dalla efferata repressione   compiuta dal discusso generale Enrico Cialdini nel Sud, ma appunto una conquista, un'impresa che liberò la nostra Patria dalla pesante egemonia esercitata da oscure e avide potenze straniere .
 Nel pensiero del tradizionalismo estremo, la legittima critica della storia risorgimentale sembra purtroppo declinare nella nostalgia (antistorica) di un'Italia divisa, oppressa e umiliata dagli stranieri. La citazione squillante di una non felice lettera di Don Bosco al sovrano di una nazione che aveva oppresso e umiliato gli italiani del Lombardo-Veneto è il segnale del limite raggiunto dalla scolastica intesa ad accreditare un anacronistico pensiero austriacante.
 L'unità d'Italia è una conquista riconosciuta e benedetta da Pio XI e da Pio XII. Si ha ragione di temere che l'avversione all'unità d'Italia sia il prodotto delle esagerazioni suggeriti dal pensiero del miliardario brasiliano Plinio Correa de Oliveira, un autore che non ha mai nascosto la sua ammirazione per un implacabile nemico dell'Italia quale fu il conservatore Winston Churchill.
 Di qui il non infondato sospetto sull'avvertito trasbordo della legittima e seria critica al fascismo in una (tentata) legittimazione bigottadei lati oscuri dell'Occidente anti-italiano.

 Giusta l'analisi formulata nel 1977 da Francisco Elias de Tejada, il male oscuro (paradossalmente reazionario)  della storiografia progressista, ha contagiato l'esagerata fedeltà a una tradizione più austriacante che italiana. Un'intossicazione ben visibile nelle acrobazie ultimamente compite dai pliniani d'Italia.

Piero Vassallo

giovedì 30 luglio 2015

Il perdono di Assisi (di Luciano Garofoli)

Intra Tupino e l'acqua che discende,
dal colle eletto del beato Ubaldo,
fertile costa d'alto monte pende,

Di questa costa, là dov' ella frange
più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
come fa questo talvolta di Gange.

Però chi d'esso loco fa parole,
non dica Ascesi, ché direbbe corto,
ma Orïente, se proprio dir vuole.

Dante Canto XI del Paradiso.


Iniziare un articolo citando l’undicesimo canto del Paradiso di Dante, quello che comunemente viene definito il Canto di San Francesco, è già una manifestazione di un certo tipo di patologia mentale.
Se a ciò aggiungete che vi voglio parlare di Perdono: bhè allora questa mente malata ha bisogno se non proprio di un TSO, quanto meno di un corposo numero di sedute comodamente disteso sul lettino dello psicanalista!
Perdono è una parola che è quasi scomparsa dal vocabolario e dal linguaggio corrente: ormai si parla di vendetta, di rivalsa, di sacrosanta tutela dei diritti del proprio IO, che derivano in linea diretta dai quei Sacrosanti Diritti Umani. Essi hanno alla loro base la nuova legge, il nuovo imperativo morale, che con il passare del tempo e la “naturale (in)evoluzione della società” è finalmente cambiato.
Prima ai tempi arcaici ed oscurantisti se non medioevali e selvaggi, tanto per capirci quelli precedenti al luminoso Concilio Vaticano II, la legge morale aveva come base il brocardo: “Conviene fare ciò che è giusto”. Ora con la presa di coscienza che l’uomo è DIO e Dio di se stesso, la formulazione della medesima frase è cambiata e tutti riconoscono che, per la nostra epoca è politicamente corretto seguire il nuovo dettato che così recita: “E’ giusto fare ciò che conviene”. Ma Santa Madre Chiesa continua a ripeterci: non vi preoccupate, nulla cambia nella sostanza, è un piccolo aggiornamento ed adeguamento al mondo di oggi; nessuna paura, nessun problema!! In fondo le parole sono le stesse no?
Ma scusate noi “kattolici” non eravamo passati ad una legge nuova ad una Nuova Alleanza grazie al sacrificio della Croce? Non avevamo sostituito la legge mosaica del PRESTARE, con quella cristocentrica del DARE?
Già Perdono: come dire Cristo che regna su tutte le anime, che permea trasforma, piega, cambia, stravolge tutto e tutti, fa tutto nuovo ed eternamente meraviglioso: ed allora la legge dei nostri “Fratelli Maggiori” che fa sparisce, si disintegra, ma stiamo scherzando?
Questo la affermano ormai solo quegli intolleranti e fanatici, da bastonare che ancora pensano che Cristo abbia portato la salvezza attraverso il suo sacrificio sulla Croce. Incredibile: ma Papa Badoglio, pardon Bergoglio, lo ripete in continuazione: noi cattolici dobbiamo andare incontro a tutte le religioni, tendere loro la mano, dialogare, dialogare, dialogare, chiedere sempre scusa di tutto ed a tutti ed attenzione assolutamente MAI fare del proselitismo, ci mancherebbe altro!!
Che volete che vi dica? Io sono quello che con disprezzo il mondo definirebbe un “integralista islamico cattolico” la peggior specie di intollerante e dogmatista che pretende che la Cattolica Apostolica Romana sia l’unica VERA FEDE e che le altre, sempre per dirla con Dante, siano tutte “false e bugiarde”.
Fedele a questa ammissione di colpa gravissima, a questa dimostrazione di asocialità, a questa intolleranza nei confronti di coloro che “idola latrant” il 2 di agosto mi sono incamminato verso Santa Maria degli Angeli.
E perché mai l’ho fatto?
Perché dalla mezzanotte del primo agosto a quella del due, nella basilica si può lucrare il famoso “perdono di Assisi”.


La Basilica mi viene incontro inondata di luce, altissima, solenne, solida come la roccia in cui Cristo ha fondato la Sua Chiesa.
Ma anche dolcemente materna, carica di significati, di ricordi, di altri piccoli pellegrinaggi fatti con nonno che voleva prendere "Pasqua" lì, o con papà che divorava la distanza con passo da milite di fanteria, come gli piaceva definirsi!
L'altare maggiore è praticamente "tappato" nascosto dalla Porziuncola che lo nasconde alla vista  di chi entra dalla navata centrale con tutta la sua modesta, ma spiritualmente gigantesca, piccola mole.

Mi leggo, inginocchiato, il libretto che spiega il significato e la storia del Perdono di Assisi. Sa repetita juvant!
Siamo in una notte del 1216: Francesco è immerso nella preghiera dentro la piccola cappella della Porziuncola allora incastonata e sommersa nella campagna della "fertile costa".
Ad un tratto l'altare si inonda di luce ed appare Gesù con Maria sua Santissima Madre ed una schiera di Angeli: Francesco, per prima cosa fece atto di adorazione silenzioso con la faccia a terra (chi oggi in chiesa fa più questo? Io ed un altro mezzo matto che si chiama, guarda caso, anche lui Francesco).
Gesù e Maria gli chiesero cosa desiderasse avere in grazia per la salvezza delle anime: Francesco nel suo candore e seraficità rispose: "Signore, benché io sia un misero peccatore ti prego che a tutti quanti pentiti e confessati, verranno a visitare questa chiesa, tu conceda loro ampio  e generoso perdono con una completa remissione di tutte le colpe."
Gesù rispose: "Quello che tu chiedi, o frate Francesco, è grande ma di maggiori cose sei degno e di maggiori  ne avrai. Accolgo quindi la tua preghiera, ma a patto che tu domandi al mio Vicario in Terra, da parte Mia, questa indulgenza."
Era rispettare quel patto fatto con Pietro: quello che scioglierai in terra sarà sciolto anche nei cieli e quello che non scioglierai non sarà sciolto anche nei cieli, Dio è sempre coerente  e fedele a se stesso!
Il mattino seguente Francesco, insieme al confratello Masseo da Marignano, si recò a Perugia per incontrare Onorio III, appena eletto pontefice da un conclave di soli 19 cardinali riuniti proprio a Perugia, dov'era morto il suo predecessore Innocenzo III.








 Frate Francesco approfittò della presenza del Pontefice a Perugia: incontrandolo gli raccontò, con il solito candore, la sua visione.
Ho ricordato tante altre volte come la figura del Pontefice fosse allo stesso tempo sì ieratica, sì avvolta da quell’alone sacrosanto di sacralità promanante dalla figura di Vicario di “Cristo in Terra” ma allo stesso tempo pastore, vicino alle pecorelle del suo gregge, sempre attento, sollecito, disponibile nel governo del suo Ministero Apostolico: altro che ripudio formale della Curia, ostentata e quasi narcisistica occupazione di una stanza nell’Santo Hotel a 5 stelle Santa Marta! E come erano veloci le notizie ad arrivare ai piedi della Cattedra di San Pietro e come erano analizzate, accolte e studiate per il bene ultimo e finale della salvezza delle anime: era essere davvero “Servus Servorum Cristhi”, altro che chiacchiere, fervorini, ditini alzati, pranzi alla mensa “aziendale” e lacrimose, stuccose, untuose richieste costanti di perdono a tutti, di autodafé senza senso e senza costrutto fatti solo per compiacere …… chi serve l’oscuro signore! Dio mi perdoni!
Il Papa lo ascoltò, con semplicità, con attenzione, con “paterna sollecitudine” e, nonostante qualche difficoltà poi superata, concesse la sua approvazione: la cura d'anime e della sua Chiesa davanti a tutto e che, senza nessuna polemica, non doveva ricucire gesuiticamente gli impicci dello IOR o stare attento a non scontentare le Lobby mondialiste, quelle cultural chic, o peggio cercare di rispettare gli equilibri curiali anteponendoli ai voleri divini!
 Un Papa e basta, a tutto tondo!!
Francesco e Masseo chiedono al Papa, un’indulgenza senza l'obbligo del pagamento di un obolo, o il compimento di un grande pellegrinaggio penitenziale (com'era invece consuetudine allora).

Di rimando, Onorio III chiese a Francesco per quanti anni volesse l'Indulgenza:  la risposta fu lapidaria, ma disarmante e sconvolgente allo stesso tempo:

 "Padre Santo, non domando anni, ma anime".

Allegramente, poi, si avviò verso la porta di uscita.
Il Pontefice gli gridò dietro: "Ma non vuoi nessun documento?"

"Santo Padre a me basta la vostra parola! Se questa indulgenza  è opera di Dio, egli penserà a manifestare  l'opera sua, io non ho bisogno di alcun documento, questa carta deve essere la Santissima Vergine Maria, Cristo il Notaio e gli Angeli i testimoni!"

Questo era il Poverello di Assisi!

Vengono i brividi: la sottomissione totale alla volontà del Padre che in sogno gli aveva chiesto di ottenere l’Indulgenza dal suo Vicario in terra! La sua vita non era più la sua ma era Cristo che viveva in lui inondandolo di gioia, di serenità; “tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena m’è diletto” ripeteva e gridava forte, a tutti guardando il cielo!
Le argomentazioni di Francesco ebbero la meglio sui dubbi e le perplessità del Papa e dei cardinali, che tuttavia ridussero l'applicazione dell'indulgenza a un solo giorno all'anno il  2 agosto appunto, pur concedendo che essa liberasse «dalla colpa e dalla pena in cielo e in terra, dal giorno del battesimo al giorno e all'ora dell'entrata in questa chiesa».
Qualche giorno dopo Frate Francesco, insieme ai Vescovi dell'Umbria, al popolo tutto, dentro la Porziuncola disse piangendo:

" Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso!"
In principio questo grandissimo e straordinario privilegio era riservato esclusivamente alla chiesa della Porziuncola. Con il passar del tempo l'indulgenza fu estesa prima a tutte le chiese francescane e successivamente a tutte le chiese parrocchiali, restandone comunque immutata la data e la denominazione. Ed i pellegrini venivano a piedi dall’Abruzzo, dalla Ciociaria, da tutta l’Italia; spesso scalzi,  le donne con i vestiti ed i fazzoletti neri in testa, ma con lo guardo rapito ed il rosario in mano: me li ricordo anche io da piccolo, quando le osservavo con la mano stretta a quella del nonno, un po’ spaventato dalla visione, ma rassicurato dalla calda stretta della sua mano!
 Ma come si ottiene questo Santo Perdono di Assisi? Cosa bisogna fare materialmente per poterlo ricevere?
Secondo il Manuale delle indulgenze della Chiesa Cattolica, per ottenere l'indulgenza plenaria un fedele, completamente distaccato dal peccato anche veniale, deve:
1.     confessarsi, per ottenere il perdono dei peccati;
2.     fare la comunione eucaristica, per essere spiritualmente unito a Cristo;
3.     pregare secondo le intenzioni del Papa, per rafforzare il legame con la Chiesa, recitando almeno Padre nostro, Ave Maria e Gloria al Padre;
4.     recitare il Credo e il Padre nostro;
5.     visitare una chiesa o oratorio francescano o, in alternativa, una qualsiasi chiesa parrocchiale.
Confessione e comunione possono essere fatte anche alcuni giorni prima o dopo le date previste (nell'arco di una o due settimane).
La visita e la preghiera è opportuno che siano fatte lo stesso giorno.
L'indulgenza può essere richiesta per sé o anche per uno o tutti i propri cari defunti.
L’aspetto più importante del “Perdono d’Assisi” è la grande utilità spirituale per i fedeli, stimolati, per goderne i benefici, alla Confessione e alla Comunione Eucaristica. Confessione, preceduta e accompagnata dalla contrizione per i peccati compiuti e dall’impegno a emendarsi dal proprio male per avvicinarsi sempre più allo stato di vita evangelica, quella vissuta da Francesco e Chiara, stato di vita  che prese forma e corpo proprio nella Porziuncola.
Poi mi avvio verso la Porziuncola: mi appoggio allo stipite prima ed alla porta d’ingresso della medesima, scarico la mia negatività come se mettessi una presa a terra. L'infinito bene che impregna quelle pietre e quel legno, dopo secoli di devozione e di preghiere, è sicuramente potente quanto un esorcismo: e gli effetti si sentono subito.    
Mi avvicino verso il piccolo altare, separato da una cancellata bellissima di ferro battuto, sento la gioia che mi monta dentro, mi scoppia,  è un piccolo, tenue e pallido raggio di quella immensa luce che fu vista nell’estasi da San Francesco, che mi invade.
Io peccatore, conscio delle mie debolezze, della mia incapacità a vincerle, della mia fragilità, sono attaccato alla cancellata ed ora sì, mi metto in ginocchio prego per i miei morti, per i miei cari viventi, per chi è malato ed è nelle ambasce e nella prova e nella malattia, per chi è abbandonato, emarginato, tradito, insultato, offeso; prego con speciale pensiero per  quelli la cui testa viene appesa alle sbarre appuntite di una cancellata, a chi viene crocifisso per irrisione  a lui e a quel Cristo che ha abbracciato e per il quale ha dato la vita!  Per i bambini dilaniati dalle cannonate dei tank, dai missili lanciati dagli aerei e dai droni, spesso a casaccio con il solo intento di creare terrore e disperazione.
 Ho il cuore sanguinante, ma anche rassicurato da quei martiri, dal loro sangue versato per convertire questa umanità traviata! 
Quando esco, delle clarine suonano, mentre le autorità sfilano sulla spianata e cominciano ad entrare nella chiesa. Alcuni ufficiali della GdF chiudono il corteo: speriamo che Dio li illumini, ma scusate mi sembra un pugno nello stomaco vederli con le loro alte uniformi e le sciabole splendenti, mi fanno senso, sono stonati, mi sembrano i Servi dell’Anello, che entrano per profanare, dilacerare, rendere solo materia purulenta, pietre, cemento, in ultima analisi, soldi la casa di Dio!
Ben sappiamo che le cattedrali non si costruiscono con usura!
Sono sincero, mi piacerebbe tanto vedere Cristo materializzarsi all’improvviso, con la corda in mano che li prende a sferzate e li caccia dalla Sua Casa, facendoli rotolare nella polvere!! Come i mercanti nel tempio!
Ovviamente è giusto dirlo, ciò prescindendo dalle persone come singole entità che magari sono solo dei poveracci, che svolgono il loro dovere. Ma invece per quello che rappresentano, che incarnano, che manifestano: insomma da quel simbolo di oppressione, di angoscia, di istigazione al suicidio che trasmettono con la loro sicumera, arroganza quando esercitano la loro funzione.
 Una volta si diceva che lo Stato era il Carabiniere, ma i tempi rapidissimamente  degenerano e cambiano: ora lo Stato è il Finanziere.
Tutto è soltanto ed unicamente vil denaro, debito da pagare, soldi da estorcere, quasi  da rapinare o da grassare a quei furbi che sottraggono “risorse”, rubano alla collettività: il resto non esiste e non conta!
All’uomo ed alla sua dignità abbiamo sostituito i riequilibri contabili, come diceva Federico Caffè.
L’infame deve essere schiacciato, senza pietà!
Quando esco per tornare a casa, l'ultimo sguardo è per lei, Santa Maria degli Angeli, che spendente d'oro dall'alto della Basilica allarga le sue mani per abbracciare tutti i suoi figli e donarli a Suo Figlio per sempre, tutti anche i Finanzieri, i ladri e gli assassini, indistintamente. 

Luciano Garofoli



mercoledì 29 luglio 2015

Papa buono e presidente ottimo

Un compianto buontempone sosteneva che, nel Medioevo, il conflitto strutturale tra papato e impero non degenerava ma produceva frutti odorosi e appetitosi, grazie alla presenza equilibratrice/pacificatrice ora di un papa buono ora di un buon imperatore. Il papa buono neutralizzava l'eventuale imperatore cattivo e l'imperatore buono neutralizzava l'eventuale papa cattivo.
  Il dialettico buontempone aggiungeva tuttavia che la contemporanea presenza di un papa cattivo e di un cattivo imperatore produceva cavoli amari per i sudditi dei due poteri. 
 Una tale sciagurata coincidenza dialettica è risparmiata alla repubblica italiana, felicemente nata dalla Resistenza e saggiamente declericalizzata dal Concilio ecumenico Vaticano II.
 Nella saettante luce del Concilio per antonomasia, l'estrema bontà del piamente regnante Bergoglio è testimoniata dal consenso delle folle radunate in piazza San Pietro per ascoltare e applaudire devotamente le luminose battute pronunciate dal buonissimo oratore.
 Dal suo canto il presidente ecumenico, l'inflessibile progressista di scuola dossettiana e morotea, Sergio Mattarella, serioso cavaliere di gran Croce e Membro dell'ordine piano, testimonia la sua rovente passione ecumenica recandosi in visita (lo segnala il quotidiano Il Fatto) a una associazione di trasparente stampo massonico.
 Il maligno Jean Paul Sartre, nella trilogia Le chemin de la liberté, sosteneva sarcasticamente che i massoni si radunano nei vespasiani. Un pensiero birichino, quello di Sartre, che proietta (a posteriori) l'umida ombra di Vespasiano sulle leggi civili approvate dai parlamenti al servizio della trionfante, progressiva  libertà sessuale e transessuale.
 Il Presidente ecumenico, l'ottimo Mattarella, smentisce finalmente il cattivo filosofo esistenzialista dimostrando che le associazioni para-massoniche hanno sedi edificanti e frequentabili da uomini d'onore e rispetto quale è Lui.
 Quasi superando il buontempone di cui sopra, Mattarella ha intanto risolto felicemente la dialettica che opponeva la memoria buona alla memoria cattiva degli italiani in guerra tra il 1943 e il 1945: solo l'Italia alleata con i vincitori era buona e giusta, i nomi dei vinti sono pertanto scritti nella parte cattiva e infame  della lavagna, detta appunto tableau noir.
 Il Mattarella-pensiero liquida le colpevoli nostalgie dei vinti e apre una strada nuova alla storia d'Italia, un percorso in cui si ode l'eco della sentenza di Curzio Malaparte:  la seconda guerra mondiale è stata vinta dagli omosessuali americani.  A beneficio degli omosessuali italiani, perseguitati dalla dittatura nera.

  Infine: la democrazia sei tu, chi può darti di più?

Piero Vassallo

domenica 26 luglio 2015

Recensione a "Pascoli e gli animali da cortile" (di Emilio Biagini)

Maria Cristina Solfanelli è una giovane e promettente studiosa nel campo della saggistica letteraria. In Pascoli e gli animali da cortile (Tabula fati, Chieti 2014) presenta un’interessante analisi del rapporto tra Giovanni Pascoli e gli animali: una chiave indispensabile per comprendere il mondo del poeta.
Nella scelta degli animali che compaiono nell’opera pascoliana, l’autrice individua anzitutto una motivazione conscia: il poeta è attratto dalla semplicità e dalla purezza dell’animale, che sta vicino all’uomo ma non giudica, ed è a suo modo perfetto, mai contro natura. A questa si aggiunge una motivazione ideologica: il rifiuto della vita urbana e industriale, che sembra però estendersi ad un rifiuto della vita associata in genere, probabile conseguenza delle terribili disgrazie che funestarono la vita del poeta. Vi infine una motivazione simbolica: dagli animali, infatti, il Pascoli trae simboli di grande suggestione, quali la morte sentita come un minaccioso scalpitìo lontano, o l’immagine positiva del nido che ricorre assai spesso, o il cieco e il pellegrino quali segni della cattiveria umana.
La presenza degli animali evidenzia i cambiamenti dal “precedente” al “nuovo”. L’utopica tranquillità e l’equilibrio della natura si contrappongono, per Pascoli, alla città, all’industria, alla scienza. Quest’ultima è fallita, incapace di dare risposte ai problemi ultimi. Il mito del progresso non ha alcuna presa sul poeta, che preferisce guardare indietro e affidarsi al sogno per entrare in contatto coi suoi cari defunti, o rifarsi a temi classici, come quello dell’ordalia, ne “La cavallina storna”, o al passerino di Lesbia immortalato da Catullo, se non che gli uccellini del Pascoli sono seriamente impegnati a nutrire la prole, mentre quello di Catullo gioca e scherza finché lo coglie la morte. Sarebbe stato interessante accennare almeno ad un confronto anche con Il passero solitario di Giacomo Leopardi, lirica nella quale il poeta esplicitamente si paragona all’uccelletto, e in genere con la visione leopardiana del dolore cosmico.
L’animo ferito del Pascoli lo porta a rifugiarsi nel “guscio” della famiglia, o di quanto ne resta, con un attaccamento speciale alle due sorelle più giovani, Ida e Maria (Mariù). Come scrive Mario Luzi: “Di fatto si determina nei tre che la disgrazia ha diviso e ricongiunto una sorta di infatuazione e mistificazione infantili, alle quali Ida è connivente solo in parte. Per il Pascoli si tratta in ogni caso di una vera e propria regressione al mondo degli affetti e dei sensi, anteriore alla responsabilità; al mondo da cui era stato sbalzato violentemente e troppo presto. Possiamo notare due movimenti concorrenti: uno, quasi paterno, che gli suggerisce di ricostruire con fatica e pietà il nido edificato dai genitori; di investirsi della parte del padre, di imitarlo. Un altro, di ben diversa natura, gli suggerisce invece di chiudersi là dentro con le piccole sorelle che meglio gli garantiscono il regresso all'infanzia, escludendo di fatto, talvolta con durezza, gli altri fratelli. In pratica il Pascoli difende il nido con sacrificio, ma anche lo oppone con voluttà a tutto il resto: non è solo il suo ricovero ma anche la sua misura del mondo. Tutto ciò che tende a strapparlo di lì in qualche misura lo ferisce; altre dimensioni della realtà non gli riescono, positivamente, accettabili. Per renderlo più sicuro e profondo lo sposta dalla città, lo colloca tra i monti della Media Valle del Serchio dove può, oltre tutto, mimetizzarsi con la natura.”
Ecco spiegato l’“anomalo attaccamento alle sorelle”, come lo definisce l’autrice. In effetti non pare affatto normale che un uomo rinunci a sposarsi perché morbosamente attaccato alle sorelle, una delle quali, Ida, a un certo punto, forse stanca di quel fratello perennemente depresso, e comprensibilmente desiderosa di una vita normale, si sposa e abbandona il “nido”.
Resta così, fanaticamente, la sola Mariù, gelosissima del fratello: una gelosia che si risolve in opposizione a qualunque timido piano di vita normale di Giovanni, al punto di fargli rompere il fidanzamento con la cugina Imelde Mori. Al posto della famiglia restano solo gli animali: un rapporto che si presta ad un’ipotesi psicanalitica. Sarebbe in gioco un meccanismo di protezione: i sentimenti negativi verrebbero proiettati sugli animali, con un processo di identificazione che, come nella Pet Therapy, si serve dell’animale per aiutare la persona a ricostruire la propria identità, con in più, secondo l’autrice, la volontà inconscia di prendersi cura di se stesso. Vi potrebbe essere anche un meccanismo di spostamento, in cui l’animale funge da sostituto in una relazione affettiva che non c’è mai stata, per sentirsi ancora utile a qualcuno; e ancora la teoria dell’attaccamento, che avrebbe spinto il poeta, dopo la perdita della madre a tredici anni, a concentrarsi sul tema della maternità, non trovando nelle sorelle un adeguato sostituto alla figura materna.
Spesso ripiegato su se stesso e a volte monotono, il Pascoli sembra incapace di prendere virilmente in mano la propria vita, sebbene non gli mancasse il successo come poeta e professore universitario. Da questo studio profondo e dettagliato emerge la paurosa depressione che tormentò Pascoli per tutta l’esistenza, facendogli trasferire sugli animali la vita che a lui mancava. Era un’anima ferita, ma da questa ferita, come ben evidenzia l’autrice, venne la sua grandezza poetica.

Emilio Biagini

mercoledì 22 luglio 2015

UN ELENCO DI POVERI DEFICIENTI (di Piero Nicola)

  Per chi non se ne fosse accorto, stiamo vivendo in una seconda era dei Lumi. Lumi ancor più fulgenti di quelli del '700, che in confronto all'aurora avveniristica che ci rischiara erano pallidi e peritosi.
  Mi riferisco al morale riscatto dalle tenebre, nelle quali il mondo è stato avvolto fin qui, riguardo alla parità dei diritti dovuta agli umani aventi qualsivoglia inclinazione e costume sessuale. In nome della sacrosanta uguaglianza è finalmente vietato discriminare definendo abusivi e anormali gli usi del sesso già definiti contro natura. Per logica conseguenza, le norme giuridiche devono regolare le unioni tra due maschi o due femmine come avviene per le unioni di uomo e donna.
  Volendo avere un'idea dell'ignoranza e dell'iniquità che afflissero personaggi famosi e popoli nel corso della Storia, e del sorgere alla luce di questa evoluta civiltà, risaliamo al tempo apostolico e alla redazione della Sacra Scrittura, altrimenti detta fonte della Rivelazione.
  San Paolo, l'Apostolo delle genti, visto nella splendente ottica dei legislatori e giudici onusiani e dell'UE, appare come un povero esaltato, affetto da accanimento inconsulto verso gli omosessuali praticanti. Egli arrivò a dirli abbandonati da Dio ai loro "reprobi sensi", quindi sulla via dell'inferno. E si spinse a sentenziare:
  "Le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura. Similmente anche i maschi, lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi, ricevendo così in se stessi la retribuzione dovuta al loro traviamento. E poiché non ritennero di dover conoscere Dio adeguatamente, Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata ed essi hanno commesso azioni indegne [...] E, pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa" (Rom. 26-32).
  Forse San Paolo subì l'influsso del Genesi 19, ove si narra dei sodomiti che vorrebbero abusare degli inviati del Signore, e la stessa interpretazione assimilò John Huston che, storditamente, rappresentò l'episodio di Lot salvato dagli angeli, da essi condotto fuori d'una città dedita ai vizi sessuali.
  Lungo il seguito dei Padri, dei Dottori, dei Santi e dei legislatori cristiani che, nella loro pedissequa conformità alla dottrina convenuta e nel loro esagerato attaccamento alla ragione, condannarono le pratiche sodomitiche, la Chiesa si adeguò a tale andazzo.
  Non solo negli stati cattolici, sino a qualche decennio or sono, furono in vigore le leggi retrograde che discriminarono gli omosessuali, ma nella liberale Inghilterra personaggi del calibro di Oscar Wilde vennero perseguiti per delitti contro il buon costume sessuale, e negli USA, patria dell'egualitarismo, codici stantii e puritani, così come bollavano l'aborto, commettevano ingiustizia verso gli amori considerati anomali, se non animaleschi e di esseri viziosi e indemoniati.
  Quanta predicazione, quanta filosofia (San Tommaso), quanti Beati aborrenti il peccato che avrebbe gridato vendetta al cospetto di Dio, quante sentenze e pene oscurarono i millenni, con spreco di insegnamenti, di filosofia e olocausto di vittime ignare!
  Finalmente, allo scorcio del XX Secolo i lenti governanti, risvegliati da mentori luminosi, hanno recepito la verità. Anche la pigra tradizione della nuova chiesa, che tuttora si fregia del nome di romana, ha alquanto rinvenuto in sé il verbo della saggezza postmoderna.
  Col tacito consenso del Vaticano, in un'intervista alla Radio vaticana sulla recente "raccomandazione" (leggi ingiunzione) della UE allo stato italiano di introdurre leggi che facciano valere i diritti degli omosessuali, il segretario generale della CEI mons. Galantino ha dichiarato, secondo una condotta ormai affermata:
  "Vorrei dire che questa raccomandazione, di fatto, continua ad andare sulla linea di questa cultura, di questo sentire abbastanza diffuso in Europa, e che tende ad imporre un certo modo di vedere, di pensare rispetto a questi temi  [se il sentire è diffuso, non sarà imposto!]. La raccomandazione [...] da parte nostra [...] non vuol dire assolutamente adeguarsi [...] Bisogna che continuiamo con chiarezza [...] a dire la verità sulle cose, nel rispetto di tutti [e come sarebbe possibile!], nel rispetto dei diritti [quali?] dei singoli, evitando che queste formule di raccomandazione creino soltanto appiattimento e facciano danno a quella che, invece, è la bellezza della differenza".
  Digià l'asserto contraddice la verità - che è obbligatorio dichiarare - omettendosi la netta e dovuta confutazione, meglio, la condanna della "raccomandazione". Questa non costituisce affatto "appiattimento" o generico "danno" alla "bellezza della differenza", ma comporta un delitto di lesa maestà contro la legge naturale e il Creatore.
  S'intende che ho dato voce alla mente del vecchio e superato Magistero.
  "Come credenti cattolici e come cittadini italiani è fuor di dubbio la nostra contrarietà alla proposta di legge Cirinnà, come è chiara la contrarietà ad ogni tentativo di omologazione, di equiparazione di forme di convivenza con la famiglia costituzionale. Questo deve essere chiaro, come il fatto - approfitto di questa circostanza per dirlo – che vada ostacolato in ogni modo il tentativo di scippare in maniera subdola alla famiglia il diritto di educare i figli alla bontà della differenza sessuale".
  L'affermazione continua ad eludere - direbbe l'Apostolo dal suo gran posto in Paradiso - la questione del matrimonio che dispiace immensamente al Signore.
  Invano il prelato ripete che la Chiesa mostra sempre "la sua contrarietà a qualsiasi equiparazione di convivenze con la famiglia costituzionale".
  Egli ricorda i vari movimenti di laici ce di chierici che diversamente si oppongono alla legge Cirinnà e alla "dittatura che si vuole imporre del pensiero unico, attraverso la gender theory [teoria del genere]".
  Definitiva diserzione dal dovere di accusare le unioni contro natura, e generica invocazione di libertà rispetto all'imposta teoria del genere sessuale, osserva il tradizionalista bacchettone.
  Per il monsignore "è chiaro che di fronte alla difesa della famiglia naturale che, ripeto, è di tutti, non è di una parte del laicato, non è di una parte dei vescovi, non è dei vescovi e non dei laici o dei laici e non dei vescovi, è chiaro che le modalità concrete con le quali far valere la chiara posizione che è di tutta la Chiesa, la modalità concreta può essere espressa legittimamente in forme diverse. Una diversità che deriva da sensibilità, da letture della situazione anche diverse. E proprio a proposito di quello che lei mi chiedeva, voglio dire che c’è stato un incontro, un momento di confronto tra aggregazioni, movimenti, nuove comunità e associazioni. Si sono incontrate e da lì, da questo incontro, è emersa una diversa valutazione [..] c’è stato un incontro, un momento di confronto tra aggregazioni, movimenti, nuove comunità e associazioni. Si sono incontrate e da lì, da questo incontro, è emersa una diversa valutazione, relativa solo alla modalità con la quale manifestare il proprio chiaro e condiviso dissenso".
  Ma che fine ha fatto il Vaticano, la Chiesa docente, il vescovo, il pastore del gregge, in questa repubblica di sacerdoti e laici, in questo miscuglio di laiche società disparate e di clero, che dialogano senza distinzione gerarchica? trova da ridire il barbogio amante del tempo preconciliare.
  L'intervistato prosegue considerando "un processo - che al di là del singolo evento  - veda tutti i impegnati a fronteggiare la cultura individualista che è alla base di leggi e proposte estemporanee che tendono a mettere all’angolo la famiglia costituzionale e a privilegiare i diritti dei singoli sul bene comune. Ora, questo processo, non meno impegnativo, anzi più esigente di altri, richiede comunque un sentire e un impegno comune che non è solo frutto di paure, ma si costruisce invece sul dialogo e sulla consapevolezza che, pur nel rispetto dei differenti modi di farsi sentire, c’è bisogno di tenere insieme motivazioni e ragioni per mantenere salda la realtà della famiglia, i suoi diritti e prima di tutto quelli dell’educazione e della formazione dei figli".
  Non è forse questa, materia di morale e di costumi, che spetterebbe al Magistero trattare e sulla quale dire la parola definitiva, se mai non sia già stata detta? Non basta rinfrescare le sentenze dei Papi sui falsi diritti, sul bene comune, sul relativismo morale, sui diritti dei genitori nell'educazione della prole, ecc.? Come tanta ignoranza e dimenticanza, che fanno presumere l'errore dello storicismo? si permette di contestare il cavilloso attaccato ai dogmi.
  "Non si difende la famiglia e i suoi diritti nutrendosi di divisione o peggio ancora non si sostengono valori calpestandone altri, quali il rispetto per l’altro, il dialogo e l’uso della verità al posto di vere e proprie aggressioni verbali; non si risolvono così i problemi. Le aggressioni verbali lasciamole ad altri, a noi non servono!"
  Dicevo bene: - il cavilloso torna alla carica - Ma che ci sta a fare il clero, se non è capace di insegnare la priorità dei valori, la morale dogmatica, e si esime dall'applicare la casistica ai casi contingenti, e dal fissare la disciplina?Alla stessa stregua, hanno ragione quelli che accusano i preti d'essere pastori mercenari i quali si mettono in regola riaffermando eresie come quella relativa al dialogo e all'ecumenismo.
  "Si assiste e si leggono dei blog che si nutrono di affermazioni e quindi di giudizi offensivi verso persone che hanno l’unico torto di voler difendere con la stessa passione e intensità gli stessi valori. Questa è una ricchezza: la diversità del modo di sentire anche nella Chiesa. Ma questo succede dall’inizio! Noi abbiamo quattro Vangeli… Perché? Perché rispondevano a quattro modalità diverse di accogliere il Kerigma, di annunciarlo, di viverlo, di testimoniarlo. Certo, fa tristezza vedere trasformate in derive negative passioni nate invece dal desiderio del bene e di fare il bene. Quindi ben venga tutto ciò che può servire in questo momento a far  capire qual è la posizione della Chiesa, dei vescovi, evitando di ergerci a giudici degli altri".
  Il discorso di costui è sconclusionato: non si offende, non si giudica male un socio in quanto difende i nostri stessi valori con un procedimento che non approviamo, ma l'offesa nasce quando tale azione riguarda il "modo di sentire", che sarebbe "una ricchezza", nasce da un contrasto nella fede, alla soluzione del quale il prete si sottrae con arzigogoli ed espedienti ereticali, come la "ricchezza" delle differenti maniere di ricevere, annunziare, vivere e testimoniare il Vangelo. La differenza in tale comportamento religioso è frutto di errore. Ed è un insulto alla Rivelazione attribuire ai Vangeli simili diversità.
  Così elucubra il fedele consultatore di manuali religiosi ripescati in scaffali polverosi. Dunque, se ne discorre tanto per mettere in guardia i bravi cattolici dialoganti dal farsi turbare da certa chiacchiera molto peggiore della diatribe che preoccupano mons. Galantino. A meno che egli abbia anche sottaciuto gli offensivi blog dei tradizionalisti.
  "Le modalità possono essere diverse, ma dobbiamo essere tutti uniti per poter contrastare in maniera ragionevole, cercando il dialogo, derive individualiste che ci stanno – ahimè – travolgendo in Italia ma anche in Europa".
  Orrore! - grida il fedele passatista - Un alto esponente del presunto Magistero che ragiona e dialoga con gli agenti del demonio!


Piero Nicola

martedì 21 luglio 2015

Il cammino verso la Bellezza (di Domenico Rosa)

Ordine, armonia, proporzione sono le qualità della bellezza. Poeti e filosofi hanno cercato di dare definizioni appropriate ma più ci si avvicinavano e più si accorgevano che il bello è qualcosa che va oltre la conoscenza sensibile e arriva alla perfezione.  “Ciò che è bello è amato; ciò che bello non è non è amato”, cantavano le figlie di Zeus nelle 'Elegie' di Teognide. Amore e bellezza che si incontrano e si fondano così come ci racconta Platone nel 'Simposio'.

Il filosofo narra la vicenda di Socrate "introdotto" dalla sacerdotessa Diotima nel mondo della bellezza, attraverso cinque tappe o gradini.
Nel discorso su Eros, Socrate parla dell'amore come desiderio di bellezza. La bellezza è il fine, l'oggetto dell'amore. Parte dalla bellezza di un bel corpo, quella che attrae e avvince l'uomo. Poi si accorge che la bellezza è uguale in tutti i corpi e così passa a desiderare e ad amare tutta la bellezza corporea. Ma al di sopra di essa c'è quella dell'anima. Al di sopra ancora c'è l'amore per la bellezza delle varie attività umane, poi la bellezza delle conoscenze. Infine al di sopra di tutto c'è l'amore per la Bellezza in sé, che è eterna, superiore al divenire e alla morte, perfetta, sempre uguale a se stessa, fonte di ogni altra bellezza e oggetto di filosofia.

“E' questo il momento della vita dell'uomo, caro Socrate, che più di ogni altro è degno di essere vissuto da un uomo, quando contempla il Bello in sé” (Simposio 211d-212a), ossia la stessa Bellezza sovraessenziale e sovraeminente, che è Dio. Nel linguaggio cristiano il bello coincide con l'amore che induce l'infinito Bene (Dio) a consegnarsi alla morte per il bene dell'amato (l'uomo). L'idea del Tutto che si svela e si custodisce nel frammento e, allo stesso tempo, del frammento che anela al Tutto e in esso finalmente si placa. “Oh Dio, Tu sei più intimo a me di me stesso”, afferma Agostino d'Ippona nel suo personale cammino lungo la via della Bellezza. Così amando Dio da brutti diventiamo belli.

L'itinerario di Sant'Agostino va quindi dal frammento di bellezza alla Bellezza. Ascoltiamolo in questo struggente verso in cui sintetizza la sua conversione: "Tardi Ti amai, Bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi Ti amai". Nelle 'Confessioni' il Santo africano ammette di avere amato prima le creature - i 'frammenti' - per poi passare a contemplare il Creatore, ma il peccato sta appunto nel fermarsi al primo gradino della bellezza. Esiste invece una bellezza che va oltre lo stadio dei corpi e risiede nelle grandi azioni morali. Ed è questa che ci rende simili a Dio. La scintilla che l'Essere ci infonde con la creazione e che ci permette scelte virtuose. Pensiamo a padre Massimiliano Kolbe che offre la propria vita seguendo l'esempio del Maestro immolato sulla croce o all'eroico carabiniere Salvo D'Acquisto che si lascia fucilare per salvare 22 innocenti oppure a Madre Teresa di Calcutta che a poco a poco dona la propria vita agli ultimi, ai dimenticati.

“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv. 15, 13). Il cammino sulla via della Bellezza ci insegna che non possiamo rimanere ancorati a qualcosa di effimero, come può essere un corpo che va incontro a sicura decomposizione, ma cercare con tutte le nostre forze la vera Bellezza che dà frutto e toglie il velo dai nostri occhi. [1]

Domenico Rosa



[1]      Per chi volesse approfondire l'argomento si rimanda al testo di Guido Mazzotta “La Scala dell'Amore” pubblicato in Euntes docete 20, 2007, n. 2, pp. 143-164.

lunedì 20 luglio 2015

SCORRIBANDE NEL TEMPO CHE FU (di Lino Di Stefano)

   L’Autrice del volumetto di cui ci stiamo occupando – ‘Voci del passato’ (Ed. Tigulliana, S. Margherita Ligure, 2015) – è una scrittrice molisana che ha al suo attivo un notevole ‘corpus’ di lavori che spaziano dalla poesia alla narrativa, dalla saggistica alla storia, dalla pedagogia alla critica, dalla lirica antica al romanzo, per limitarci ad alcuni aspetti del suo ricco mondo . Ragion per cui il presente libretto costituisce un vero e proprio ‘canto del cigno’ – nel significato migliore, beninteso, dell’espressione - di Antonia Izzi Rufo, ex insegnante di lettere e titolare di vasti interessi culturali.
   Anch’essa, un po’ come tutti coloro che si dedicano alle lettere, all’arte ed alla cultura in generale, non è venuta meno, colla sua ultima fatica – autentico viaggio nel proprio passato – all’affermazione del poeta e scrittore argentino, Jorge Luis Borges, a detta del quale, ogni autore che si rispetti, “scrive la propria autobiografia”; i filosofi idealisti avrebbero detto, al riguardo:  “Non si esce dalla soggettività”; entrambe le asserzioni sono vere “per la contraddizion che nol consente”, parafrasando l’Alighieri.
   Sicché, per dirla col Prefatore del libro, Marco Delpino, “ogni giorno che scorre è un giorno in più; ogni giorno che passa è un giorno in meno da qualcosa, ma il tempo non fa distinzioni, perché viaggia  inesorabile, e il passato diventa presente, e il presente si trasforma in futuro, mentre ti restano i ricordi di tutto ciò che hai vissuto”.“Fugit irreparabile tempus”, avrebbe osservato Virgilio.
Parole sacrosante – le prime e le seconde - visto che scrittrice ha rivissuto, nel libro,il tempo trascorso, dalla prima gioventù ad oggi, attraverso un ‘excursus’, ampio ed articolato, nel paese di nascita e in altri centri della sua regione, il Molise. Tradizioni, consuetudini, usi, costumi, dialetto e tutto ciò che l’inarrestabile tempo ha travolto e travolge nella sua fuga verso l’ignoto, tutto questo viene passato in rassegna dall’Autrice la cui nostalgia per un’epoca finita rimane fortissima nonostante le difficoltà di quel momento storico..
   Difficoltà e carenze evidentissime in tutti i campi dell’umano vivere, in genere, e della vita sociale in particolare ove si considerino le comodità del mondo d’oggi – che durano ormai da decenni - che hanno cambiato radicalmente il modo di vivere della stragrande maggioranza dei popoli più ricchi con tutti i risvolti negativi del caso. Le persone delle età trascorse erano, invece, costrette a subire i soprusi e le angherie dei più forti, dei più ricchi, dei più arroganti e dei cosiddetti nobili.
 Per quanto riguarda il riferimento ai cosiddetti nobili, basti leggere il celebre ‘Dialogo sopra la nobiltà’ di Giuseppe Parini per avere la conferma dell’insolenza del presunto nobile che dialoga col poeta vantando meriti inesistenti; quest’ultimo, già all’inizio del colloquio se ne esce con tali significative parole: “E che diacine (razza) d’animale egli è mai cotesto nobile? o perché dobbiam noi  esser obbligati a rispettarlo?”. Alla fine del lungo scambio di idee, abbastanza lungo, il nobile, o presunto tale, messo in difficoltà dal poeta conclude: “Deh, amico, perché non ti conobbi io meglio, quand’io era colassù tra’ i vivi; ché io non avrei aspettato a riconoscermi così tardi!”.
   Tornando alla nostra scrittrice, questa non tralascia alcun aspetto della società della sua epoca, talmente numerose risultano le memorie dei momenti in cui, per fare un esempio, le case “non erano decenti, comode, accoglienti (…), ma tuguri aperti alle mosche, alle galline, ai maiali, a cani e gatti”. Così come non trascura di evidenziare gli aspetti positivi delle stesse abitazioni allorquando “le porte erano sempre aperte e le chiavi si lasciavano fuori, fino a sera, a volte anche di notte, nella serratura. Si entrava ovunque senza bussare né chiedere permesso”, perché dei ladri nessuna traccia.
   La nostalgia dell’Autrice è struggente e sincera e chi come lo scrivente – suo conterraneo – ha vissuto le medesime esperienze può confermare poiché è tutto vero e tutto realistico; la gente del tempo, gli attrezzi allora in uso, le relazioni sociali, le amicizie, le usanze quotidiane, le sentite funzioni religiose, i semplici cibi del periodo, le elementari, ma efficaci, tecniche per procurarsi il necessario  – anche perché allora ci si accontentava  di poco – nulla sfugge alla meticolosa e formidabile memoria dell’Autrice la quale, ad un certo punto, ricorda pure la preparazione di alcuni prodotti.
   Ma lasciamole la parola: “Il sapone si preparava in casa con potassio e scarti di grasso di maiale, la cena faceva da regina, era il detersivo più sfruttato; imbevuto di aceto si usava per pulire e lucidare recipienti di rame, bollita in acqua serviva per ottenere la liscivia per togliere le macchie e schiarire la biancheria”. Sembra ieri ed è, invece, trascorso un cinquantennio. E si potrebbe continuare. Naturalmente, la stessa mette parimenti in evidenza, soprattutto, gli sprechi della vita di oggi quando, al contrario, negli anni Cinquanta e Sessanta, in particolare, nulla veniva buttato e ogni cosa veniva conservata e riutilizzata.
   I paesi del tempo, anche se piccoli e poveri, erano pieni di vita e di solidarietà umana, mentre, a vederli oggi, abbandonati e desolati, stringono il cuore e suscitano soltanto malinconia e tristezza; pure le scuole, oggi, sono vuote di alunni per egoismo coniugale visto che i figli, da una parte, non si desiderano e non si fanno e, dall’altra, sono confezionati in provetta con tutte le mostruosità genetiche sotto gli occhi di tutti. La scrittrice parla anche dei suoi genitori, onesti lavoratori, i quali con immani sacrifici permisero alla figlia di studiare e di conseguire una laurea. Ed i casi ogni tanto si ripetevano, ad onta degli ostacoli oggettivi insiti in quella società.
   A questo punto, una domanda è d’obbligo: stando così la situazione, si può fare qualcosa? A malincuore, rispondo di no, considerata l’estrema velocità con cui tutto viene travolto e continuerà ad essere spazzato via dalla cosiddetta ‘modernità’ lanciata verso un avvenire onusto di incognite, ma non tanto sconosciute da non far comprendere che l’umanità va verso l’autodistruzione.
   La Izzi Rufo si accomiata dal lettore scrivendo testualmente: “Si corre, si ha sempre fretta; il tempo per sostare a dialogare non c’è più”; le rispondo con una calzante espressione della fisica, purtroppo, veritiera: “Motus in fine velocior”. L’ignoto, infatti, ci attende – basta dare un’occhiata al pianeta - e al momento opportuno, salvo miracoli, ci sterminerà tutti. Si tenga, pertanto, l’Autrice ben stretti i citati ricordi, unico rifugio alle follie della comunità contemporanea. 

Lino Di Stefano


domenica 19 luglio 2015

NON CI RESTA CHE RIDERE (di Piero Nicola)

Spigolature d'un giorno nelle esternazioni dei signori che contano

  Da Il Giornale del giorno stupefacente (d'una nutrita serie) 18 luglio, ho raccolto delle perle che sarebbe stato un delitto abbandonare alla corrente del tempo che passa. Di sicuro esso non sarà avaro di altre meraviglie, come non lo è da lunga pezza, ma ogni tanto conviene fermarsi a prendere nota.
  Don Mazzi, che condisce i trattenimenti televisivi con la sua presenza di prete alla mano, facente dimenticare il sacerdote nell'aspetto come nella dottrina, ci ha fatto sapere, col pacioso eloquio che lo distingue: "Quando vedo Salvini corro subito in bagno".
  Superfluo andare a vedere il perché ed il percome.
  L'ex ministra colorata mogano, Kyenge, ha dichiarato col cuore in mano: "Non possiamo portare le persone dove c'è sofferenza. Piccoli gruppi di profughi [presunti] possono essere ospitati nelle case dei cittadini italiani".
  Sembra che Salvini, a corto di spirito e truce come al solito, l'abbia così apostrofata: "Peggio di una zanzara nella camera da letto".
  Va pure riconosciuto che, in questa stagione brulicante di insetti molesti, per quanto pedestre, la frase acquista un certo mordente.
  Occorre essere comprensivi: questi straumanitari, sorpresi dalla piega inaudita assunta da gente italiana insofferente pel numero dei cari ospiti stranieri, non hanno nervi d'acciaio per restare calmi e, loro malgrado, risultano esilaranti.
 Il validissimo nonché omaggiato prefetto Gabrielli, che ha affidato al ministro degli interni Alfano le ultime decisioni sulla giunta Marino inciampata nella corruzione, si è scandalizzato delle inquietudini dei romani circondati dai commiserandi clandestini, ed è pervenuto a questo scioglimento: "In Italia c'è troppo razzismo. Non oso pensare a cosa avranno pensato questi ragazzi che provengono da teatri di guerra, mentre dal pullman assistevano a scene simili".
  Al cospetto di un personaggio così autorevole, crediamo fermamente che egli conoscesse quei "ragazzi", tanto da poter escludere che, senza giustificazione, avessero disertato i "teatri di guerra" dei loro paesi.
  Lo stesso perseguitato politico riparato all'estero, sarebbe bello se esibisse una scusa per il suo abbandono del campo. Naturalmente essendosi prima appurato che il persecutore era tale, cioè un soggetto dalla parte del torto. Ma non siamo duri con i benevoli, con i caritatevoli cattolici adulti che, nella loro generosità, non stanno a guardare il pelo nell'uovo!
  Il giornalista Tommasi, assistendo agli scontri fra polizia e dimostranti anti-immigrati in quel di Quinto di Treviso, ha avuto una terribile visione allegorica, e si è premurato di pubblicarla su face book: "Ho visto Himmler" è la sua sintesi verbale.
  Siccome Renzi conta sull'efficacia politica della legge che introduce i matrimoni dei gay e vuole bruciare le tappe, pare che Monsignor Galantino, segretario generale della CEI, abbia dichiarato: "Rispetto alle urgenze che si impongono è paradossale questa attenzione".
  Se il prelato, come dobbiamo presumere, non è uomo per tutte le stagioni, ma è convinto di quello che dice, forse ignora la sua fortuna di non essere venuto in fama all'epoca in cui una minimizzazione come la sua lo avrebbe costretto a cospargersi il capo di cenere antieretica.
  La Caritas, nella persona di don Giannone, sempre a Casale San Nicola, ha detto: "Chi protesta non sa nemmeno perché lo fa".
  Beato lui, che sa leggere nelle molteplici e associate scatole craniche!
  I giudici della UE hanno condannato una Società bulgara per discriminazione, perché aveva deciso di installare i contatori dell'energia elettrica a un'altezza irraggiungibile, nei quartieri dove sostano i nomadi.
  Dalle parti di Rimini un albergatore, rammaricato e un po' distratto rispetto alla politica correttezza, confessa: "Il mio hotel guadagnava 45mila euro al mese accogliendo i profughi". Da malaccorto, ha acconsentito che ne andassero altrove. "Meglio loro dei turisti" conclude.
  Siccome una nostra inclinazione malevola è più forte di noi, riportiamo una  notiziola ormai di poco momento, di quelle che i giornali rompiscatole pubblicano quasi per riempitivo nella pagina della cronaca nera:
  A Pisa una ragazza è stata stuprata sul treno da un povero extracomunitario in crisi di astinenza sessuale.
  Qui però, il riso ci muore sulle labbra.
  Infine, a Santa Margherita Ligure non hanno trovato spazio per alloggiare gli extracomunitari, sicché laggiù il turismo va a gonfie vele. Però gioiscono poco le località di villeggiatura circonvicine e onniaccoglienti.

Piero Nicola

La pastorale ecologica quale prassi svincolata dal dogma

"Ciò che oggi la Chiesa deve superare per sopravvivere è il vortice di ambiguità in cui è stata trascinata dagli anni Sessanta." Enrico Maria Radaelli

 Gestita dai poteri attivi nel tenebroso sottosuolo abitato dagli  iniziati, l'officina liberale produce e spaccia il lugubre umanesimo postmoderno, una ideologia ultima, che confonde e stordisce il clero e il laicato post-conciliari, persuadendoli a prestar fede alla allarmante miscela di catastrofiche previsioni e di eco-calunnie contro la vita umana e contro l'onestà delle unioni matrimoniali.
 In perfetta sintonia con il lavoro profondo dei mistificatori superiori, i giornalisti di quadro rovesciano sui disarmati lettori proclami catastrofici, che incoraggiano le unioni irregolari ed applaudono la  politicamente corretta sterilità.
 La perfetta incredibilità e illogicità dell'eco-pensiero, diffuso dagli squillanti promotori della contraccezione e dell'aborto, si rivela tuttavia al qualunque osservatore capace di rammentare l'origine del terrorismo a monte, ossia l'allarme gridato a squarciagola da Robert Malthus (1766-1834) quando la popolazione mondiale era inferiore agli ottocento milioni di unità, poco più di un decimo di  quella attuale.
 L'assenza di rigore scientifico nelle tesi malthusiane si manifesta al lettore che  consideri il fondamento del gridato allarme nella valutazione infondata e quasi terroristica dell'insufficiente crescita delle risorse alimentari  
 Purtroppo la macchina che diffonde l'ideologia denatalista oggi  (come nel XIX secolo) è nutrita  dalla chiacchiera di politicanti servili e lubrificata dal denaro di usurai necrofili, abbacinati credenti nelle fumettistiche profezie formulate da pseudo-scienziati intorno alla minaccia di eco-catastrofi causate dallo sviluppo demografico. 
 Gridate da araldi illuminati dall'ateologia francofortese e dalla squillante sodomia californiana, le leggende crepuscolari intorno alla bomba demografica suscitano allarmi ingiustificati e roventi trepidazioni nei settori della Chiesa cattolica sferzati dal vento del concilio, aree in cui vescovi stupefatti dagli strilloni attivi al soldo delle logge e dei poteri forti, credono che il futuro del genere umano sia minacciato dalla irresponsabilità di coniugi fecondi come conigli.
 I timori e le inquietudini clericali, denunciate e ridicolizzate da Antonio Socci, frenano la sacra missione della Chiesa cattolica, che contempla la strenua resistenza ai nemici della vita umana e ai cadaverici calunniatori del suo provvidente Creatore.
 Opportunamente l'attuale caposcuola dei filosofi cattolici, mons. Antonio Livi, propone una raccolta di saggi che forniscono "i criteri di sicuro discernimento teologico, che possono rimediare al grave disorientamento provocato dalla discussione sui temi all'ordine del giorno nel Sinodo sulla famiglia" [1]
 Don Stefano Carusi, autore di un puntuale intervento sulle velenose alterazioni, seminate dai teologi progressisti intorno al concetto di misericordia, dimostra che "una larga parte del mondo cattolico aggredito dai fermenti del protestantesimo liberale, del modernismo e del relativismo mondano, sembra anch'esso aver smarrito le corrette nozioni di grazia, stato di grazia, grazia santificante" [2].
 Risultato di un tale velenoso delirio teologico sono le avventurose tesi dei cardinali Walter Kasper e Reinhard Marx, nelle quali l'emergente teologo Carusi vede l'influsso devastante del luteranesimo. Livi, pur assegnando alle tesi di Carusi il carattere limitativo della dottrina privata, non esclude il sospetto che i cardinali tedeschi progettino "mutamenti sostanziali e quindi, all'atto pratico, di diretta negazione della verità che Dio ha rivelato e la Chiesa custodisce fedelmente e interpreta infallibilmente."
 Nutrimento e alibi dell'eresia nascosta (a tempo debito denunciata dall'inascoltato cardinale Alfredo Ottaviani) dunque è l'immaginario pericolo demografico, oggetto del grido d'allarme in salita dal sottosuolo della ragione oscurata dall'ateismo e dall'eco-ideologia.
 La linea di difesa della fede cattolica coincide pertanto con la linea di difesa del sacro diritto di nascere, procreare e dominare la terra, diritto stabilito dal Creatore: "Dio creò gli uomini secondo la sua somiglianza ... e disse loro siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra e soggiogatela" (Gen., I, 28).  

Piero Vassallo




[1]             Cfr. Antonio Livi. Discussione sulla pastorale della famiglia, in Aa. vv., Antonio Livi, Enrico Maria Radaelli, Stefano Carusi, Dogma e pastorale, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2015, pag. 7
[2]             Cfr. Stefano Carusi, La tesi di Walter Kasper sulla misericordia si ricollega più all'eresia luterana che al dogma cattolico", in Aa. vv., Dogma e pastorale, op. cit., pag.181.