lunedì 31 ottobre 2016

Boia in gonnella: Hilary Clinton, erodiana a stelle strisce

Nessun uomo pensante ammette sul serio che si possa approvare e stimare l'ideologia e la storia di una nazione – l'America - fondata dal plurimilionario massacro degli indigeni e accresciuta dall'associazione del fanatismo liberal-democratico con la ributtante idolatria dell'oro.
 L'età avanzata mi consente di rammentare i pedagogici mitragliamenti americani, perfetta sintesi di fellonia, efferatezza e plutocrazia. Correva la tormentosa primavera del 1945 e gli aviatori a stelle e strisce – gongolanti seminatori della democrazia - scendevano in picchiata per mitragliare (al netto di rischi e pericoli) civili indifesi e stremati dalle privazioni, sopportate durante gli anni infelici della guerra.
 Interprete postuma ed erede del pensiero pedagogico professato dai mitraglieri volanti, Hilary Clinton propone una legge, che contempla l'estensione della liceità dell'intervento medico finalizzato alla soppressione (all'omicidio) dei feti concepiti da nove mesi.
 L'America è sempre la Patria della Libertà in armi. Tuttavia non è lecito rimuovere il ricordo della fellonia e del sadismo degli americani in guerra. Non è facile resistere alla tentazione di paragonare e associare la ferocia dei mitraglieri americani, volanti contro i civili inermi, alla melmosa, erodiana frenesia dell'abortista Hilary Clinton.
 Nell'area destra italiana e in quella del cattolicesimo refrattario, il jazz e la democrazia americana sono oggetti di una moderata e civile allergia. Alcuni faticano addirittura a conservare e mantenere la debita e raccomandata distanza dalla deplorata estetica fascista. Gli indecisi stanno sull'orlo di un pensiero proibito, nel cui fondo giacciono (ad esempio) la sospetta predilezione della musica del camerata Pietro Mascagni e la deplorata sordità verso le fascinose e venerate canzoni del progressista Bob Dylan.
 La miriade di lettere propagandistiche spedite (con discussa e disinvolta procedura) dalla Clinton al fine di addomesticare il pensiero dei sudditi paganti, svela l'orizzonte della democrazia atlantica: l'umiliazione della dignità nazionale in vista dell'avversione alla vita nascente.
 La predicazione democratica della demo-abortista Clinton, pur lasciando quasi intatte le ferree e indeclinabili ragioni dell'antifascismo, desta una non lieve antipatia, che è quasi incline ad attenuare se non a capovolgere la canonica deplorazione e la dura avversione nei confronti della politica natalista, ostilità dichiarata e promossa specialmente da pensatori di fede cattolica e di origine italiana.

 L'appiattimento del progressismo clintoniano sulla delittuosa e lugubre passione abortista, dimostra l'avvenuta conversione dell'americanismo al nichilismo. Tale passaggio capovolge la geografia culturale stabilita nel secondo dopoguerra e obbliga le nazioni europee a riflettere sulla insignificanza e l'illusorietà dell'argine elevato dall'America contro il materialismo dell'ex unione sovietica. 

Piero Vassallo

giovedì 27 ottobre 2016

IL TRAPPOLONE (di Piero Nicola)

  Ho fatto un sogno agrodolce, istruttivo; ho sognato una storia ininterrotta, preceduta da dettagliati quadri di vita sociale commentata. Eccoli qua:
  In un paese di nome Torpore da lungo tempo il popolo è libero, sceglie i suoi deputati al parlamento votando questo o quel partito; però con scarsa soddisfazione, specialmente negli ultimi anni. A furia di farsi concorrenza con i programmi e le promesse, i partiti non hanno più una bandiera, sono l'ombra di quello che furono (di desta, di sinistra di centro). Le loro lotte, anche intestine e senza esclusione di colpi bassi, il trovare appigli e ricatti per sopraffarsi nonostante che le loro differenze siano diventate trascurabili, hanno in essi portato a galla la feccia volgare e scaltra, hanno incrementato dovunque la corruzione, sicché prosperano i trafficanti, la malavita e lo spaccio. La gente non ha scelta. D'altronde, viene ipnotizzata con le novità, si diverte ad assistere alle puntate della telenovela politica, soprattutto arraffa i godimenti materiali, sensuali e morali che le sono propinati per tenerla buona. Per quietare la propria coscienza, la gente si persuade che siano conquiste sociali oneste e umanitarie.
  Esistono pure milioni di disoccupati, di poveri in canna, e altre vittime numerose, ma restano una minoranza e, si sa, in democrazia la minoranza non conta, salvo che faccia la rivoluzione. Poco importa che siano stati proclamati i sacri diritti delle minoranze. Di fatto, i diritti delle minoranze prostrate e silenziose sono in rapporto al grado di protesta violenta che possano compiere. Il governo, impantanato nella crisi economica, propaganda il proprio operato, vuol dimostrare i buoni risultati ottenuti, dice di lavorare per ridurre la povertà, e invece la fa crescere. La parola è libera, ma chi critica il conformismo, chissà come, finisce per essere tacciato di oscurantismo, di crudeltà e di populismo. Sebbene la parola populismo sia oscura, perché quelli che l'usano per dare addosso agli scorretti, ai dissenzienti, praticano sistemi populisti.
  Il Sommo Sacerdote, se talvolta punge i responsabili della vita pubblica, è per apparire credibile nella sua predicazione della bontà, con cui non fa altro che infrollire maggiormente la massa. Egli trasuda benvolere e comprensione e altruismo, sicché persino gli atei lo stimavano per le sue comode larghe vedute, che coincidono alquanto con la loro pelosa liberalità.  
  Lo stato di Torpore possiede un'invidiabile posizione geografica. Le sue coste sono bagnate da un mare temperato, le sue terre amene e ricche di vestigia d'un'inclita civiltà, producono le migliori derrate del pianeta. Gli abitanti si distinguono ancora per l'estro e l'iniziativa scientifica e produttiva, sebbene i vizi abbiano impoverito il suo sangue e ne soffra la procreazione.
   Ora, sull'opposta sponda marina si estende un continente popolato da genti disgraziate, travagliate da conflitti, prive di tradizioni valevoli, incapaci di sottrarsi allo sfruttamento dei potenti internazionali. Sebbene nel complesso quella situazione non sia mai cambiata, a un certo momento una buona parte di loro ha preso ad aspirare al benessere del Nord e si è data ad intraprendere l'emigrazione comunque sia. Costoro non hanno nulla in comune con i torporiani, né lingua, né costumi, né civiltà. Moltissimi professano una credenza che ammette soltanto sé stessa, dunque nemica del paese ospitante d'altro costume. Moltissimi non hanno arte né parte. Altri parlano le lingue e pare abbiano studiato. Molti sono giovanotti e uomini validi, ammirati obiettori di coscienza, pacifisti che hanno abbandonato il campo di battaglia e laggiù sono chiamati disertori. Tanti sono sfuggiti alla giustizia della loro patria e andranno ad ingrossare le fila della delinquenza. Tanti sono stati indotti all'emigrazione dai trafficanti o costretti dagli schiavisti con le buone o con le cattive. Tutti arrivano avendo pagato un buon prezzo per la traversata. Ma i reggitori e i partiti importanti di Torpore ribadiscono che chi fugge da guerra e fame deve essere accolto, anche essendo quasi impossibile stabilire che se abbia il diritto. I maestri ignavi, ma all'onor del mondo, insegnano che il miscuglio delle nazioni è una ricchezza anziché un pasticcio, per cui si cessa d'essere degni figli dei padri e di appartenere a un popolo che conservi una fisionomia; negano che la tradizione sia vagliata saggezza; insegnano che è preferibile aumentare le nascite mediante gli stranieri, anziché agevolare papà e mamme nostrane, e preferibile che gli stranieri facciano i lavori più incomodi, piuttosto che mettere i giovani nullafacenti nella condizione di doverli svolgere.
  Insomma, dall'altra sponda vengono, su barche e barchette, folle di sconosciuti i quali non si curano di rischiare la morte pur di allontanarsi dalle miserie di casa propria, maggiormente mortifere soltanto per eccezione. Essi scelgono l'avventura, e non già di lottare e d'adoprarsi per raddrizzare le patrie cose storte, che, raddrizzate, trarrebbero profitto dalle ricchezze naturali.
  E allora il governo, che ubbidisce al distante Potere dei Poteri, organizza il soccorso, manda a prendere i pericolanti sin presso la riva Sud del pelago, incoraggiando l'avventura suicida, incoraggiando la venuta di quelli che non riconoscono lo stato che li riceve sul suo territorio, perché non rinunceranno alla propria nazionalità e alle proprie leggi.
  La Potenza egemone vinse una guerra contro Torpore, lo liberò dal giogo dell'ordine assai rigido, da una salute assai obbligatoria. Essa restaurò il nome Torpore, che gli era stato cambiato onde tenere assai i cittadini nelle vetuste tradizioni. La Potenza egemone li svegliò nel moderno progresso, e Torpore rimase.
  Così va il mondo per chi ha accolto la sconfitta e, senza guardare per il sottile, si è affidato alla filosofia vittoriosa.  
  Qui è cominciata la vicenda onirica. Marinetta, un villaggio di quattrocento anime sorge sul piatto litorale di una placida laguna (sic). Ci si vedono rari forestieri a causa del paesaggio desolato e delle alghe che invadono le acque (sic). I paesani pescatori si rompono la schiena per un guadagno stentato, ma vivono tranquilli. Un uomo intraprendente si è arrischiato a costruire un alberghetto con caffè, dove ci si ritrova a fine giornata e si gioca una partita. Qualcuno ha spedito una e-mail di prenotazione sebbene la stagione sia morta. Sperano in un po' di commercio, in un giro di viaggiatori e di villeggianti.
  Il Primo ministro, cui conviene ogni tanto dire delle verità, dichiara che gli altri Stati della Lega Continentale si sottraggono agli impegni, non accogliendo le quote di immigranti che spettano loro. Egli si fida dell'ottusità dei cittadini. Soltanto l'altro ieri ha sostenuto in una conferenza stampa che gli stranieri sono una benedizione anche economica. Come mai non si fa in quattro per tenerseli tutti? Ma gli elettori non sono poi tanto tonti, cominciano ad averne abbastanza di disordine civile, di spese straordinarie a carico del contribuente, e le elezioni generali sono vicine. Sennonché gli scaltri hanno sempre un asso nella manica. Un asso giocato magistralmente dall'Autorità religiosa. È l'espediente dei buoni sentimenti viscerali e superficiali. Basta toccare la corda della proverbiale bontà popolare, della generosità, infine del vanto commosso e irresponsabile d'essere generosi. Per ottenere l'adesione è sufficiente suscitare le passioni del cuore e della mente, e addio ragione responsabile! La parola solidarietà assicura la presa, essendo magicamente rassicurante e vincolante.
  Gli arrivi dei semi-naufraghi sono stati così copiosi che non si sa dove metterli. Non basta pagare bene i borghi e le città per indurli a fornire vitto e alloggio. Il bravo funzionario governativo preposto alla provincia di cui fa parte Marinetta ha licenza di requisire alloggi. Invia un perentorio ordine di requisizione di camere dell'alberghetto rivierasco di belle speranze. Dovrà ospitare dodici persone. Nemmeno i nonni dei paesani sanno più che cosa significhi requisire, espropriare. Ma bisogna impararlo. L'imposizione sconsiderata solleva l'indignazione e la collera degli oltraggiati che, solidali, vanno ad erigere una barricata sulla strada di accesso al villaggio. Arriva il torpedone inviato dal funzionario. La determinazione dei resistenti è infrangibile, sembra avere qualcosa da insegnare agli svariati dimostranti che presto tolgono il blocco. Il funzionario sembra costretto a fare marcia indietro; provvede a un'altra sistemazione dei trasportati. Ma sull'automezzo, all'insaputa di tutti, aveva fatto salire dodici donne di colore di cui una incinta. Comunque sia andata, l'incidente ha sortito il grande effetto.
  Apriti o cielo! Vergogna! Una valanga di accuse, di improperi, di esecrazioni si è abbattuta sui pescatori e sulle loro famiglie. Tutta la stampa a inveire contro i malvagi che hanno calpestato la solidarietà, e rasentato il razzismo. I ministri a biasimare il peggiore degli esempi, che non può appartenere alla cara maggioranza. Il Sommo Sacerdote ha potuto a suo agio pontificare contro i costruttori di barriere, contrapposte agli afflitti da guerra e carestia. La pietà innanzi tutto. La considerazione delle conseguenze è una faccenda di disgraziati egoisti e di causidici. Intanto il Sommo Sacerdote non invoca misericordia per i pescatori e le loro famiglie, schiacciati sotto il tallone delle Autorità, delle televisioni, dei lealisti. Ha preso le parti dei meschini il capo, poco religioso, di un partito minore. Ci voleva! Doppio vantaggio: egli dimostra la garanzia della Libertà, e viene additato al discredito ora che ci sono le elezioni.
  Al mio risveglio, però, mi è sorto un dubbio sulla verosimiglianza del sogno. Sarà poi vero che gli abili mestatori a lungo andare la passino liscia? Se mi volgo intorno, vedo e sento parecchia diffidenza e scetticismo all'indirizzo di quelli che stanno in cima. Per esempio, non sono convinto che sia una furberia lo sperticarsi di Obama, di sua moglie e di De Niro, a favore della Clinton. 


Piero Nicola

lunedì 24 ottobre 2016

Un saggio di Giovanni Chimirri: Teologia del nichilismo

Mentre il nichilismo di Gorgia nel V secolo a. C. era chiaro quello dei nostri contemporanei si compiace di nuvole retoriche, si circonda di allusioni ed ammette implicitamente tesi  contraddittorie.
 Nicola Petruzzellis

Dalla filosofia, una volta dentro, non si può più uscirne;  e negata una metafisica, si diventa subito membri di un'altra congrega che della metafisica non vuole avere le sembianze, ma che nella sostanza ne ha parimenti tutti i caratteri.
 Giovanni Chimirri




La casa editrice Mimesi, attiva in Milano, propone Teologia del nichilismo, ampio e pregevole saggio di Giovanni Chimirri, un autore strenuamente impegnato nella interpretazione e nell'aggiornamento, scevro di oscurità ed ambiguità, delle verità filosofiche, che rafforzano l'argine elevato dal senso comune in vista della tranquillità nell'ordine.
 Chimirri sostiene, infatti, che ove la vita dell'umanità non fosse segnata dalla faticosa ricerca della verità e della tranquillità nell'ordine “non sarebbe diversa da quella che conduce l'animale e il vegetale”.
 Di conseguenza Chimirri dimostra che l'ateismo si aggira intorno ad una negazione di stampo nichilistico - “nessun senso c'è nella realtà” - ossia di un rifiuto preconcetto “che fa il cane da guardia contro ogni pretesa umana di possedere la verità, affossandola nell'abisso del nulla”.
 L'essenza del nichilismo, sostiene Chimirri, “è la persuasione che qualcosa che è possa diventare un nulla e che quindi l'assoluto, l'origine, la verità, sia proprio il Divenire (=negazione dell'essere eterno in tutte le sue forme e in ogni momento)”.
 Al proposito è citato Emanuele Severino, il pensatore girotondista, che ha definito il nichilismo come “la fede che gli essenti escano dal nulla e vi ritornino”.
 Chimirri dimostra che Severino ripropone la dottrina dello gnostico Basilide, autore di una complicata teoria emanazionistica, quasi una filastrocca, che pone il nulla all'origine del cosmo, inteso quale non ente: “il non ente Dio creò dal non ente un non ente mondo”.
 Dall'imprigionante e paradossale circolo del nichilismo la ragione può tuttavia uscire contemplando nella realtà la radicale sconfessione dell'ipotesi nichilistica: “Nel mondo il nulla non c'è, perché ovunque c'è qualcosa. Ecco una verità minima iniziale dalla quale risalire poi alla fondazione del qualcosa e alla scoperta dell'assoluto (=qualcosa che non può non essere, qualcosa che c'è sempre stato e sempre sarà).
 Il primo movimento che la ragione deve compiere per attingere la verità è indirizzato al riconoscimento della coesistenza dell'uno e del molteplice: “I molti non possono stare senza l'uno, ma lo presuppongono, lo includono e ne derivano. … Il mondo è sì fatto di cose molteplici, ma insieme partecipa dell'unità dell'essere, dell'essere in quanto Uno, dell'Uno-Unico che è ciò da cui e per cui ogni cosa assolutamente è”.
 L'indubitabile contingenza del mondo indirizza il pensiero alla metafisica: “Se ci fermiamo al divenire del mondo senza cercare un principio fuori del mondo, non potremo mai risolvere le sue contraddizioni: e se tutto e proprio tutto fosse qualcosa di solamente mondano e contingente, allora tutto sarebbe in divenire e per questo tutto sarebbe sarebbe davvero contraddittorio perché compromesso radicalmente col nulla”.
 Di qui la confutazione dal nichilismo trionfante fra le righe disperate del pensiero laico e di qui la necessità di riabilitare la metafisica e la fede nell'al di là quali efficaci alternative alla notte del non senso: “Aveva ragione Aristotele nel momento in cui identificava l'essere con la verità e il non-essere con la falsità e la vuotezza di pensiero: oggi niente ha più (tanta) verità, appunto perché tutto è svuotato di forza, necessità, sostanzialità, essere. … Fra tutte le bestialità che l'uomo può dire, quella più stolta e dannosa è la credenza che dopo questa vita non ve ne sia un'altra”.

 L'uscita dall'incubo nichilista, strisciante fra i piaceri, le dissipazioni e gli stordimenti offerti dal mercato moderno dipende, infatti, dall'attitudine a riconoscere il fine eterno della vita umana.

Piero Vassallo

sabato 22 ottobre 2016

La verità sull'umanesimo cristiano

Massimiliano Merisi propone un inedito viaggio intorno gli arcigni conflitti fra le scuole medievaliste

 Sulla traccia segnata dal magistrale, classico saggio di Etienne Gilson, l'autore che ha svelato l'irrequietezza e il disordine della giovinezza di Dante, il sagace erudito Massimiliano Merisi,  autore di un pregevole saggio, Umanesimo cristiano, uscito in questi giorni dagli infaticabili e strenui torchi di Marco Solfanelli,  editore in Chieti.
 L'autore propone un inedito viaggio nelle polemiche letterarie, in atto nell'evo di mezzo, dispute che la frottola evanescente oggi al potere tenta di tenere a galla sulla precaria, tarda e fragile zattera illuministica.
 Tale operazione totalizzante e falsificante è compiuta dagli autori della acrobatica ipotesi intorno alla presunta egemonia medievale di un aristotelismo, manipolato e alterato dal passaggio attraverso le tendenziose strettoie e i filtri castranti della teologia islamista. 
 Merisi definisce analogicamente illuminismo la filosofia del XIII secolo: “Aristotelismo, più o meno radicale, arabismo, averroismo, latino, naturalismo, antiromanesimo, che si fa spesso anticristianesimo tout court, sono tutte caratteristiche che connotano il secolo come unico e peculiare, incastrato come elemento di frattura dentro uno sviluppo di sostanziale continuità nel rapporto tra mondo classico e mondo cristiano, che in seguito, passata l'ebbrezza filosofica, si ricostruirà di necessità senza poter più prescindere dagli apporti del pensiero speculativo”.
 Se non che la vitalità del medioevo cristiano fu capace di respingere il troppo e il vano in corsa tra le righe della filosofia diffusa dagli islamici e, al contrario, di accogliere e fare propri i frammenti e le schegge di verità presenti nella filosofia aristotelica.
 L'uscita dalle contraddizioni medievali è la Divina Commedia, il poema scritto da Dante dopo la liberazione dagli errori dell'averroismo: “è facile comprendere che, se la Commedia, come è possibile dimostrare in maniera obiettiva, presenta un'impostazione perfettamente cattolica, in sintonia peraltro con una mena sostanzialmente tomista. … La radicale differenza nell'impostazione ideologica che si riscontra nel Poema rispetto ai trattati aristotelici impone di pensare non a una improbabile e contraddittoria composizione parallela ma a una cesura cronologica evidente tra le opere della maturità e il successivo Capolavoro, che non è solo diverso dal Convivio e dalla Monarchia, ma è anche i se stesso tutto quanto omogeneo e coerente”.
 Il magnifico lavoro di Merisi sferra il colpo di grazia e getta un consumante fuoco sulla vasta e oggettivamente umoristica biblioteca massonica e para massonica, nelle quali sono esposte le leggende (curiosa e spassosa quella scritta dal sedicente Eliotassi Levi) intorno a Dante rosa croce e massone ante litteram.

 L'ingente opera di Merisi, in definitiva, contribuisce alla sottrazione dell'opera dantesca – poema della nazione italiana - dalle mani sporche dei biscazzieri incappucciati dalla notte moderna e unti (bagnati) dalla sapienza del vespasiano massonico.

Piero Vassallo

venerdì 14 ottobre 2016

IMMORALITÀ VATICANA (di Piero Nicola)

Francesco I predica l'accoglienza degli stranieri che vengono in Italia e in Europa da ogni parte del mondo. Il fatto è arcinoto. Sebbene i suoi discorsi sul tema siano per lo più generici - e per questo pecchino di omissione - possiamo concedere che si riferiscano a genti bisognose. Tuttavia, anche così, la sua morale (che si riveste di cristianesimo e di Chiesa) è falsa e ingannatrice. Inoltre essa implica le eresie per le quali non ci sono stranieri nocivi riguardo a costumi e religione, le religioni sono tutte valevoli, i cattolici non devono predicare il Vangelo a pagani, infedeli, eretici e atei, ma limitarsi a dare un buon esempio.
  Tornando alla morale unica e vera, la Chiesa l'ha sempre applicata con il discernimento e la casistica, a partire dai punti fermi sopra accennati, cioè dal contrario delle suddette eresie. Non distinguere le azioni da compiere di fronte a chi vuole o pretende di entrare nel paese altrui (il nostro), non distinguere fra individui e fra genere di persone, fra rifugiati veri e falsi, tra nocivi ed innocui, non cercare il bene valutando i pro e i contro dei provvedimenti, significa porsi nell'errore, nell'impostura, nell'insegnamento contrario al Vangelo.
  Entrando nel particolare, consideriamo la venuta dei natanti dall'Africa, il pericolo di morte e di violenze della traversata. Che questo pericolo sia corso volontariamente non implica che debba essere accettato da chi possiede la facoltà di scongiurarlo. Ammesso e non concesso che sia giusto soccorrere quelli che affrontano l'emigrazione in tali condizioni, e non dissuaderli invece dichiarando che non si andrà a prenderli in mare, esistono altri modi per evitare le morti che tuttavia si verificano. Per esempio, praticando il soccorso in terra africana, anche col rimedio di un'occupazione di territorio. Non si venga a parlare delle contrarie risoluzioni dell'ONU, che sono regolarmente disattese da stati grandi e piccoli. Perciò la responsabilità delle perdite di vite umane, lamentata quasi giornalmente, ricade in parte su molti emigranti temerari e sui loro traghettatori, in parte sull'Italia che non provvede.
  L'Italia poi si dimostra incapace di sopprimere il commercio degli scafisti, di rimpatriare a sufficienza la moltitudine che non ha diritto di asilo, incapace di integrare secondo le leggi e i costumi propri quelli che hanno tale diritto, incapace di evitare disordini e delitti causati dall'immigrazione, si dimostra indegna riguardo alla debita discriminazione culturale e religiosa, agevolando la costituzione di centri musulmani e la costruzione di moschee, aprendo le porte a colonie di maomettani che non saranno assimilati con l'asilo e la cittadinanza. Se ne hanno le prove deplorevoli  in paesi come la Francia, dove gli islamici risiedono da molto tempo essendo venuti dalle ex colonie.
  Tutto questo per Bergoglio non ha importanza. Lo ha dimostrato ultimamente con le solite, ma sempre più corruttrici, prediche in Vaticano e in Sassonia, e con toni sia insidiosi per le coscienze, sia provocatori.
  "È da ipocriti definirsi cristiani e poi cacciare via gli immigrati," ha detto.
  "È ipocrisia cacciare via un rifugiato. Se mi dico cristiano e caccio via un rifugiato io sono ipocrita," ha insistito presso i protestanti tedeschi, ricordando l'avversione di Gesù Cristo nei confronti dell'ipocrisia.
  Dunque è innegabile il suo rovinoso fare di ogni erba un fascio, dove l'erba utile è poca. Ma nella sua ansia di propagandare l'accoglienza, che è vera e propria barbara invasione, egli si appella curiosamente e contraddittoriamente alla religione cristiana, non al sentimento e all'etica di tutte le religioni ugualmente buone, non al senso di giustizia e di pietà presente ed efficace in ogni uomo, secondo il neomodernismo della neochiesa.
  Ora, giova vedere che la barbara invasione può essere impedita - alcuni Stati già ci provano - e, se mai così non dovesse essere, in Europa non esistono Chiesa e Stato che abbiano la capacità e la volontà di convertire, di cristianizzare, di romanizzare, come avvenne all'epoca del Tardo Impero.
  In tutto questo non c'è quasi niente di inedito. Ciò nonostante, notiamo che lo scrupolo del cattolico, cui s'impone l'esempio del Buon Samaritano, può turbarlo e trarlo in inganno. Sta in agguato il cattivo ricatto morale e spirituale della pseudo-misericordia, che non distingue tra l'immediato, personale soccorso da prestare al povero, al sofferente, e la responsabile misericordia che deve agire rispettando la morale cristiana. 


Piero Nicola

domenica 9 ottobre 2016

I MISERABILI (di Piero Nicola)

Nella vita di tutti i giorni conosco persone gentili, sotto diversi aspetti ammirevoli: un carrozziere, una bibliotecaria, una dottore, una dottoressa. Non so dei retroscena che li riguardano, né mi interessano, considerando i rapporti che intercorrono fra noi. Talvolta incontro sconosciuti e sconosciute, specie giovani, altrettanto a modo in occasioni fuggevoli, e resto sorpreso che in questa società esista gente la quale conserva rispetto e letizia. Peccato che nel complesso non contino nulla. Se contassero, non avverrebbero certi misfatti pubblici e anche legalizzati.
  In generale, la nobiltà è morta, l'onore è usurpato da bassi politicanti. Dignità e decoro sono abusati e mancano proprio laddove le cariche e i ruoli eminenti dovrebbero almeno farne mostra.
  La fellonia e l'inverecondia danno maggior spettacolo allorché sono in gioco gli interessi dei padroni del vapore e dei loro tirapiedi, e i sentimenti del popolo plagiato.
  Un segno confortante e divertente (confortante perché conferma che non si è pessimista e Cassandra, divertente perché occorre pure ridere della gratuita stoltezza incorreggibile) si leva dagli odierni notiziari. Donald Trump è quello che si vede e che dimostra di essere. Non un gentiluomo, ma un tipo parecchio americano, un soggetto del West. E l'America non è forse anche il Far West, non è anche il miliardario grossolano? Essa non ha mai rinnegato né l'una cosa né l'altro.
  Ora, è normale che questo magnate si sia lasciato andare, in privato, a volgarità irrispettose verso le donne, nel senso del suo modo di trattarle sessualmente, non senza qualche vanto di spaccone. Che qualcuno si sia procurato la registrazione del fatto, avvenuto ben undici anni fa, nel 2005, che lo abbia messo da parte con chiaro intento ricattatorio, e che ora lo renda pubblico per creare uno scandalo inteso a danneggiare il candidato alla Presidenza degli Statu Uniti, è davvero un'azione che lascio giudicare ai galantuomini. Viceversa, su quella volgarità vagamente misogina e dal sapore goliardico, si è montata una campagna denigratoria feroce e livorosa, propria delle coscienze sporche di coloro che temono di perdere la partita e dei tifosi che non vogliono vedere la miseria della propria squadra.
  Certo che è uno spasso assistere a questo accanimento, a uno scandalizzarsi sperticato da vere beghine, che pretendono di essere liberali. Ai volponi mestatori è inutile far caso. Sono quelli che ci credono a dimostrasi miserabili, proprio nel senso di indigenti morali e spirituali. E siccome esistono ancora tante persone comuni  dabbene, essi devono essere colpevoli, meritano il loro tifo malato, la loro passione per lo sporco andamento politico che ci governa. Quindi, se non è bello ridere di uno che inciampa e finisce a terra disteso, forse nemmeno in una comica finale, rido di questa che passerà alla storia come una delle più esilaranti storielle realmente accadute, comunque vada a finire, giacché gli onesti amanti dell'obiettività (mi scuso per l'immodestia di voler farne parte) non possono farci niente, salvo dire pane al pane e vino al vino nella loro cerchia o poco al di là.
  A onor del vero, in un importante telegiornale è comparso un importante vecchio giornalista che ha ricordato, con l'ausilio delle sequenze di repertorio e senza un forte commento, la serie dei presidenti statunitensi protagonisti di cose turche. Solite cose. Un po' di verità per spacciarsi illibati, una goccia limpida dissolta nel mare del fango gettato. Lo stesso Trump ha risposto che in casa Clinton si è fatto di peggio. Ma ha chiesto scusa, secondo l'immarcescibile ipocrisia e la cattiva ingenuità americana.


Piero Nicola       

sabato 8 ottobre 2016

Giorgio La Pira critico delle ideologie

 Questo lavoro è rivolto soprattutto a quanti si interessano dei problemi riguardanti l'organizzazione della società. … Potrà essere gradito anche a quanti in La Pira ammirano e venerano l'uomo che, da testimone politico, trova nel Vangelo le regole per dare una direzione sicura alla civiltà umana e si pone interamente a servizio dei fratelli, nelle sue vesti di docente universitario, parlamentare nonché capo nell'amministrazione comunale di Firenze. Ma soprattutto come uomo di pace, perché vede nei suoi simili dei fratelli e in essi Dio.
Giulio Alfano


 Nel mare tempestoso e ingordo, in cui sta affondando la vicenda degli illuminati, il pensiero di Giorgio La Pira, puntualmente e magistralmente interpretato da Giulio Alfano in un saggio (Giorgio La Pira – Un Domenicano alla Costituzione) edito in Chieti dall'infaticabile Marco Solfanelli, capovolge l'immagine di La Pira sottomesso all'ideologia progressista e riconosce in essa l'intatta vitalità della tradizione cristiana.
 L'attività di La Pira nell'assemblea costituente fu la testimonianza da un cattolico intrepido, che, in mezzo alle furie del secondo dopoguerra, interpretò fedelmente le indeclinabili ragioni della pace nell'ordine civile .
 In una assemblea agitata dalle ideologia e dai rossi furori discendenti dalla guerra civile, La Pira fu testimone dei princìpi del diritto naturale e pertanto si impegnò affinché “la struttura della Costituzione fosse conforme alla struttura reale del corpo sociale poiché questa struttura è organica e si svolge per la comunità”.
 Di qui l'affermazione del primato della persona e la ricusazione “della concezione hegeliana, che vede lo Stato come un tutto e l'individuo come elemento integralmente subordinato alla collettività, in antitesi con l'altra concezione, che pur rispettando le esigenze della collettività, vede la persona come un ente dotato di una sua interiore autonomia e quindi considera la libertà e i diritti suriettivi non come concessione, ma come conseguenza di questa interiore autonomia”.
 Il rigetto della suggestione illuministica è pertanto radicale: l'esigenza della libertà, infatti, è l'unica esigenza avvertita da Rousseau.
 Se non che La Pira dimostra che, nell'ottica illuministica la libertà politica fa sparire tutti gli altri enti: “Dov'è la famiglia? Dov'è la comunità religiosa? … Dove sono le organizzazioni di classi, le comunità di lavoro, che pure esistono? Insomma tutto questo mondo organico in cui si articola il corpo sociale, nella concezione rousseauiana è sparito, tanto è vero che la prima preoccupazione che voi trovate nelle dichiarazioni del 1789 e del 1791 è questo: scioglimento di tutte le corporazioni... E perché? Perché nella mente di Rousseau ed in quella dei costituenti del 1789 esistevano 20 milioni di francesi, atomisticamente considerati, i quali formavano la comunità attuale”.
 L'adesione ai princìpi corporativi urge nel pensiero lapiriano e detta la denuncia incombente sul pensiero moderno: “il giorno in cui voi disarticolate tutte queste società e lasciate un'unica società, che è quella politica statuale, avete il crollo della vita associata: da qui la formazione del proletariato, la genesi della questione operaia; i problemi grandissimi di struttura economica hanno qui la loro radice”.
 Di seguito la critica della Carta dell'Ottantanove si spinge fino all'accusa di limitatezza: “è una carta monca, perché quando avete affermato che l'uomo ha la libertà politica, cioè il diritto di partecipare, in piede di eguaglianza, al governo della cosa pubblica, ma non avete riconosciuti diritti che sono connaturali con le altre comunità di cui egli fa parte, avete affermato un diritto incompleto. Avete la situazione drammatica che si creò dopo il 1789 e da cui è derivata l'inquietudine di questo mondo in contrasto, che è il mondo contemporaneo”.
 Sulla sincerità dell'antifascismo avventizio, professato (non senza ragioni) da Giorgio La Pira è arduo dubitare. La proposta lapiriana di fare entrare l'idea corporativa nella Costituzione repubblicana, tuttavia, può essere intitolata all'antifascismo puro soltanto a prezzo dell'oblio (acrobatico) dell'avversione fascista alle economie politiche di stampo illuministico e/o liberale.

 L'eredità corporativa, separata dalla umbratile memoria della dittatura, è la chiave atta ad aprire la via d'uscita dall'Occidente liberale.

Piero Vassallo

giovedì 6 ottobre 2016

Continuità nella metamorfosi di un avanguardista nero

La crisi del capitalismo come sistema mette in luce la componente
 neocapitalistica del regime che fronteggia tale crisi operando in una
 ottica sostanzialmente antiborghese: il giovane Dossetti era
 rimasto più coinvolto in questa mentalità di quanto non abbia
 voluto ammettere in seguito.
 Pier Paolo Saleri

 Alla dimissione della cultura nera dalle prigioni e dai manicomi democratici, nei quali è segregata l'indicibile e detestata verità storica, contribuisce la diffusione di un ingente saggio del politologo Pier Paolo Saleri, L'influsso del democristiano Dossetti nell'elaborazione costituzionale, edito in questi giorni, a cura di don Ennio Innocenti, per le infaticabili edizioni della Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe.
 Saleri confuta la tesi dossettiana finalizzata alla minimizzazione della adesione al fascismo: “Dossetti era stato riconosciuto come un oratore tra i più efficaci e venne più volte incaricato di intervenire per sviluppare temi in linea con le parole d'ordine e gli obbiettivi del regime: temi come Originalità del Fascismo o Esperimento bolscevico e rinnovamento fascista”.
 Al proposito Salera rammenta che “come padre Gemelli, Dossetti ed i suoi amici, condividevano alcune posizioni del Fascismo più radicale. Credevano che lo stato individualista liberale fosse fallito, accettavano i princìpi dell'economia corporativa, ritenevano che il regime potesse venire scavato dall'interno e cristianizzato”.
 L'antifascismo di Dossetti ebbe (cauta) origine dall'avversione all'alleanza italiana con la Germania nazista e dal rifiuto delle leggi razziali.
 I segni premonitori della sconfitta italiana accrebbero la distanza di Dossetti dal Fascismo e l'otto settembre del 1943 lo indussero ad aderire alla comunità dei resistenti.
 Al proposito Dossetti scriveva: “Prima di tutto bisogna capire come sono entrato nella Resistenza. Ci sono entrato scivolando su un gradino dopo l'altro … Ho cominciato in paese. Ho ritrovato gli amici delle elementari – fatte a Cavriago – che erano nella Resistenza attiva, appartenenti al Partito comunista … Con quelli ho preso il mio contatto clandestino”.
 Nelle bande partigiane, Dossetti assume funzioni di comando e matura “decisioni molto gravi che potevano riguardare arresti di persone, pattuglie, colpi di mano”. Comanda squadre incaricate di eseguire omicidi e tuttavia si vanta (con sublime ipocrisia) di non aver mai fatto uso delle armi.
 Non è lontano dal vero l'opinione degli storici secondo i quali il partigiano Dossetti condivise e applicò la spietata legge sovietica intorno alla guerra civile.
 Saleri dimostra che “la fratellanza d'armi nella Resistenza segna e caratterizza in maniera determinante l'atteggiamento di Dossetti nei confronti dei comunisti. Sullo sfondo dei suoi rapporti con il Pci resta, infatti, sempre l'indimenticata esperienza comune della Resistenza, che Dossetti interpretava come il riconoscimento almeno implicito del valore supremo della persona umana, un valore che rendeva pur sempre in qualche modo possibile il dialogo, anche nei momenti più cupi dell'ultimo stalinismo”.
 Nel parlamento eletto per scrivere la costituzione repubblicana, Dossetti obbedisce a una logica, di stampo progressista, secondo cui “lo Stato non deve limitarsi ad amministrare e governare la società ma deve, piuttosto, darle forma, educarla, indurne ed informarne la crescita”. Salera sostiene pertanto che nelle intenzioni di Dossetti “riecheggia in qualche misura, depurato dell'aspetto militarista e totalitario, il mito della Grande proletaria capace di proporre una terza via alternativa tra capitalismo e comunismo, tra collettivismo e individualismo. Prende forma uno stato pedagogo che, in qualche misura, non può non assumere affinità con la concezione di Stato autoritario”.
 Un autorevole storico, Giorgio Campanini, opportunamente citato da Salera, ha dimostrato che l'ammirazione e la stima e la stima nutrite da Dossetti nei confronti dei comunisti resistette alla dura contrapposizione in atto tra Pci e Dc nel 1948. Una tale ostinazione, secondo Salera, manifesta la stretta dipendenza di Dossetti dalla filosofia di Jacques Maritain: “come in Humanisme Intégral il marxismo era giudicato un riconoscimento esatto della realtà storica, viziato da una falsa metafisica”.
 Dossetti e al suo seguito gli esponenti della sinistra democristiana, traevano alle conseguenze estreme – strutturalmente antitradizionali - le obiezioni al pensiero della borghesia illuminata, e perciò postulavano un nuovo, progressivo ordine sociale e politico.
 La più aspra critica che Salera indirizza al dossettismo e ai suo derivati democristiani, riguarda la curiosa pretesa di stabile quale evento fondante della Nazione italiana la Costituzione, “un duro colpo all'essenza stessa dell'identità popolare italiana. Identità che non nasce con la Costituzione ma si è invece costruita nei secoli. … La teoria dossettiana sulla Costituzione evento fondante porta infatti, come esito inevitabile, ad una concezione massificata della società, che riduce il popolo a massa e la persona ad individuo”.
 Si può affermare, in conclusione che, giusta l'analisi puntuale di Salera, la politica dei cattolici può uscire dalla cattività modernizzante/insignificante/alienante, riallacciando il nodo con la tradizione ossia spezzando il nodo avventizio, che vincola la cultura politica degli italiani ai pensieri esportati dai vincitori della seconda guerra mondiale. Il futuro della Patria inizia dall'uscita dalla fossa scavata in cui pullulano i bifidi errori del mondo moderno.

Piero Vassallo



il saggio di Pier Paolo Saleri può essere ordinato a fraternitasaurigarum@gmail.com

mercoledì 5 ottobre 2016

Un saggi di Ennio Innocenti: Critica della carta costituzionale

 “Per Dossetti non valeva la tradizionale dottrina cattolica del diritto naturale, secondo cui i vincoli della legge naturale sono antecedenti lo Stato. Per lui il diritto naturale non limitava lo stato e la persona umana, non era il nucleo da cui nasceva il diritto. … Il diritto positivo dello stato era, per Dossetti, l'unico diritto vigente”.
 Ennio Innocenti

 Poiché il pensiero si avvicina alla indeclinabile verità quando fugge dalle tentazioni della gloria vana, è lecito affermare che don Ennio Innocenti, autore di una magistrale e coraggiosa Critica alla carta costituzionale d'Italia, testo edito in questi giorni dalla Sacra fraternitas aurigarum in Urbe, appartiene alla irriducibile minoranza degli studiosi refrattari, che contrastano magistralmente l'ideologia degli apostati, trionfanti e gongolanti nelle società assordate e intossicate dagli squilli della miscredenza illuminata.
 Ispirata dalla refrattarietà alla teologia luterana e dal laicismo, la critica della costituzione italiana è avviata dalla puntuale analisi del principio ispirato dal pessimismo luterano, che contempla “la totale consegna della società nelle mani dell'autorità statuale”.
 Ora la degenerazione in atto nella politica italiana ha origine dal germe dell'assolutismo democratico, che ha interamente trasferito la sovranità al Parlamento.
 L'immanentismo maramaldo, osserva don Innocenti, “inquina nel profondo il mondo moderno, e si innesta allorché si sostiene – ritenendosi non sussistere nulla di superiore alla ragione umana né valori trascendenti – che quanto è stabilito dalla legge positiva trova in essa il suo vero e ultimo fondamento, e per ciò stesso quindi tutte le disposizioni della legge positiva vanno osservate sempre”.
 Le ragioni della critica cattolica (animata da Pio XII) alla modernità furono malauguratamente inquinate e sopraffatte dalle suggestioni concepite e propalate dai democristiani, obbedienti al sinistrismo di Giuseppe Dossetti e conquistati dalle tesi di Jacques Maritain, “propugnatore d'una cristianità riconciliata con la rivoluzione democratica moderna”.
 Dalla filosofia maritainiana discende, infatti, quella rovinosa cultura politica democristiana, “che esalta la nuova costituzione come fondata sulla resistenza, ossia sulla guerra civile voluta dai comunisti (che ancora nel 2016 vengono premiati per le loro stragi) invece che sulla fraternità civica”.
 Dalla paura destata dagli atti criminali dell'alleato comunista, discendono la timorosa flessione della politica cattolica e il silenzio sui crimini di stampo staliniano consumati nella radiosa primavera del 1945 (durante la quale don Innocenti calcola che furono giustiziati – assassinati - almeno centomila fascisti. Una gloriosa mattanza, che fu eretta a festa della liberazione).

 Interessante è infine la ricostruzione della resistenza dei cattolici (ad esempio Giuliano Balbino e Giovanni Papini) alle leggi razziali e la sottolineatura della pieghevolezza del regime fascista in materia di difesa della razza: “senza ripetere qui le osservazioni di De Felice e di Primo Siena, basterebbe l'azione svolta dal questore Palatoci a dimostrare la flessibilità del governo fascista in tale doloroso frangente”.
 Al proposito don Innocenti rammenta che l'evoluzione filo cattolica del fascismo era favorita dall'influsso di autorevoli prelati e di affermati scrittori quali Niccolò Giani, Guido Pallotta, Carlo Borsani, Giovanni Papini, Giuseppe Bottai, Federico Tozzi, Domenico Giuliotti, Pietro Mignosi, Piero Bargellini, Arnaldo Mussolini.
 Don Innocenti, infine, cita lo storico israeliano Yehoshna Porat, il quale ha rammentato che “il regime [fascista] salvò migliaia di ebrei nel sud-est della Francia e in Croazia”.
 Tali notizie dimostrano che il soggiacente, inflessibile antifascismo costituisce la debolezza della cultura a monte della costituzione italiana e a valle della politica radicata nell'indeclinabile guerra civile.
 Negli anni del sanguinoso dopoguerra, il faticoso lavoro di ricerca intorno alla tragedia degli italiani, condotto da don Ennio Innocenti, ha prodotto un ingente volume di notizie e di commenti che assottigliano e ridimensionano l'apologetica resistenziale e restituiscono la parte di dignità alla quale hanno diritto i vinti in camicia nera.
 Il risultato di tale infaticabile revisione è il riscatto delle verità deportate sulla faccia proibita e comunque inguardabile (per decreto) della storica luna.

 Il faticoso riscatto della memoria di un'unità conquistata debellando lo stato della Chiesa e i legittimi regni e ducati, è il modello della revisione necessaria ad ottenere la rinascita di un patriottismo avvelenato dalla giustizia esercitata dagli eredi della vittoria ottenuta dal partigiani al seguito dei vittoriosi nemici della tradizione italiana, gli alati giustizieri anglo-americani e i loro tirapiedi. 

Piero Vassallo

martedì 4 ottobre 2016

IL TEATRINO APOCALITTICO SULL'AEREOPLANO (di Piero Nicola)

   Dobbiamo ricordare che negli ultimi tempi "vedrete l'abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, stare nel luogo santo" (Mt. 24, 15), e che "sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore , se possibile, anche gli eletti" (Mt. 24, 24)? Sarà comunque logico che l'Anticristo, presente in ogni tempo (II Tes. 2, 7 - I Gv. 2, 18; 4, 3), debba essere abile ingannatore. Ma dove sta oggi l'inganno peggiore?
  E allora quale meraviglia se il provato scaltro e falso maestro rilascia ai giornalisti una verità, utile a lui e alla sua dottrina?
  È ormai evidente che la legge Cirinnà, che ha istituito il matrimonio omosessuale, ha fatto fiasco. La maggioranza dei sodomiti e delle lesbiche non hanno interesse a impelagarsi in legami legali né a formare famiglie con prole. D'altronde, nessuno come loro è cosciente della precarietà dei loro rapporti. Quanto alla massa eterosessuale raggirata con le proclamazioni di libertà e diritti uguali per tutti e con la misericordia bergogliana, una volta dato il consenso, è stata naturalmente ripresa dal buon senso e dalla diffidenza verso strani concorrenti nel beneficiare delle provvidenze sociali riservate ai coniugi e alle famiglie. Inoltre i transessuali non sono mai stati simpatici, soprattutto alle donne, alle quali la gran parte di loro fa concorrenza.
  Perciò Bergoglio, nella sua apparentemente informale e ricorrente conferenza stampa sull'aeroplano, si è lanciato contro gli internazionali demolitori della famiglia, che persino nelle scuole fanno valere la teoria del gender.
  Quanti ingenui cattolici o presunti tali, insidiati dai dubbi, hanno tirato un sospirone di sollievo, e si sono rivoltati a vilipendere i maligni retrogradi che avevano inteso mettere loro pulci nell'orecchio!
  E voilà! Il gioco di prestigio è riuscito! Ma per non lasciare che qualcuno con certe deduzioni rovinasse l'impostura già stabilita, l'uomo venuto dalla fine del mondo ha precisato che omosessuali e transessuali non sono da condannare. Gesù non li scaccerebbe, ha detto. Sicché ha fissato la sua affermazione secondo cui egli non ha facoltà di giudicarli. Ha ricordato d'aver ricevuto un tale che da uomo si era fatto donna ed era felice della mutazione. Comunque sia, ha ripetuto, il peccato non risulta da un comportamento, ma è oggetto di esame morale, caso per caso, nelle sedi opportune. E poteva forse smentirsi l'amico di Pannella, della Bonino e di Scalfari?
  Il diavolo fa le pentole, non i coperchi. Il ridicolo dello strale scagliato contro i propugnatori del gender, nemici della famiglia, sta nel fatto che egli dichiarò di astenersi dall'interferire nella legislazione dello stato laico, quando esso emanò la legge Cirinnà, esiziale per la famiglia, e nel fatto che egli lascia correre circa il divorzio, l'aborto, la pornografia e altri vizi legalizzati, grandi rovine per la famiglia.
  Ma qual è il succo della commedia aerea? Con un ortodosso giro di valzer, che ha dato armi agli scaltri e agli ottimisti difensori dell'occupante il Trono di Pietro, costui ha ribadito l'ereticissima teoria e prassi che abolisce la certezza della Legge di Dio, che fa affidamento sulla coscienza individuale e assegna il predominio alla misericordia (presunta) sulla giustizia e sulla verità.


Piero Nicola 

sabato 1 ottobre 2016

IL VOLO (di Piero Nicola)

  Qualcuno disse: "Il popolo è donna". Costui un po' avventatamente alluse alla passività femminile. S'intende che la persona oggetto di desiderio e di conquista (corteggiatori che danno il meglio di sé, pavoni che fanno la ruota, lusingatori di ogni sorta) ha di che difendersi, ha facoltà di scelta, può anzi prendere l'iniziativa, può sedurre e, mai come oggi, la fa da padrona. Tuttavia la natura dispose un fondamento: il maschio è fatto moralmente e fisicamente per svolgere un ruolo peculiare, una funzione attiva. Egli ingravida, le sue capacità a svolgere le funzioni della vita restano normalmente invariate, e gli è data l'attitudine a proteggere donna e famiglia.
  Così la metafora ha un senso. Anzi, il popolo si trova in uno stato di maggiore soggezione e volubilità. Ciò farà sperare i cosiddetti tradizionalisti (non impropriamente chiamati tali: quando il progresso fallisce occorre rifarsi dagli esempi del passato) e farà indispettire gli inguaribili ottimisti.
  Allegoria della facile conversione della massa l'ha fornita ultimamente il fenomeno Il Volo. Questi giovani in possesso di talento vocale o canoro, nonché d'una buona dose di genuinità e di entusiasmo, hanno spopolato nelle platee del mondo intero, in piazza e nelle trasmissioni televisive. I loro concerti non hanno nulla da invidiare, quanto a partecipazione di pubblico, alle adunate oceaniche prodotte dalle rock star che si danno a indiavolati rituali bacchici, o che intonano trite nenie iperboree, altrimenti canzoncine mediterranee imbastardite.
  Il repertorio dei Volo può dirsi classico, melodico e soprattutto italiano. Essi emanano uno spirito pulito, leggermente goliardico. Insomma rappresentano l'antitesi dello spirito attuale: filosofico oltre che musicale.
  In questi giorni, il celebre tenore spagnolo Placido Domingo, che in un'intervista collocò Andrea Bocelli in un campo distinto da quello dell'opera, si è unito ai tre prodigi del bel canto in una loro esibizione. Vien da pensare che sia stato un omaggio alla loro schiettezza.
  Dunque questa pulizia, di cui inconsciamente la gente ha sete e bisogno, è divenuta popolare, nonostante le resistenze  e le sotterranee manovre per corromperla. Sarà stata anche una necessità di cambiamento, il solito amore del nuovo. Interessa la dimostrazione che la moltitudine, sovrana a mezzo servizio, viziata e drogata dalla propaganda martellante, non è mai perduta. Bastano un canto, una nostalgia, una ventata d'aria pura, per farla girare da Nord a Sud. Ci vorrebbe soltanto un trio di cantanti politici bravi e dabbene, e il gioco sarebbe fatto. 


Piero Nicola  

Teologia di strada: Un avvincente saggio di Enrico Maria Radaelli

Dicono che oggi alla civiltà serve <un'idea forte di umanità per ridare sacralità alla persona> (Marc Augé). Proprio così: idea forte di umanità, sacralità della persona: Marc Augé ha dipinto il cristianesimo aureo.
 Enrico Maria Radaelli


 Felice interprete ed originale continuatore dell'opera di padre Antonio Livi e dei professori Romano Amerio e Paolo Pasqualucci, Enrico Maria Radaelli è instancabile indagatore e critico puntuale delle alte illusioni, a monte della slavina neoterica, vettrice dei fumosi deliri che scendono in folle e sfrenata corsa sulle piste della teologia modernizzante, prima di rovesciarsi nella liquide e quasi surreali esternazioni di Bergoglio.
 Radaelli ha pubblicato, in questi giorni, un magnifico saggio controcorrente, “Teologia di strada”, un testo la cui lettura è suggerita ai cattolici in cerca della bussola necessaria alla navigazione nei bifidi e trifidi mari della nuova e squillante teologia.
 Pubblicato in Verona dalla intrepida casa editrice Fede & Cultura, il voluminoso, esauriente saggio (scritto in una agile, raffinata e godibile lingua italiana) disegna fedelmente il profilo sgangherato della modernizzazione, in triste corsa nelle oscure viscere di una teologia intossicata dagli errori indiavolati, squillanti nelle sontuose gallerie scavate, addobbate e flesciate dai gongolanti eredi del modernismo e – ultimamente – dai prosecutori del chiacchierato concilio Vaticano II.
 A proposito dei nuovi teologi, Radaelli denuncia i distruttori della Cristianità e cita il Salmo 73: “Hanno annientato un popolo, a milioni vengono sterminati, e intanto parlano di problemi ecologici e di misericordia mettendo sotto il tappeto, come polvere, la dottrina. … Proprio come profetizza il Salmo: Pensavano: 'Distruggiamoli tutti'; hanno bruciato tutti i santuari di Dio nel paese”. Radaelli elenca e confuta senza riguardi i prodotti ultimi, le pessime dottrine elucubrate dal vaneggiamento teologico, emanato e gridato da ventriloqui al servizio di un buonismo concepito per rovesciare l'ecumenico diluvio delle frivolezze e degli errori sugli attoniti e sgomenti fedeli, che rimangono in imbarazzata/disagevole/dolorosa sosta nella neo chiesa di Bergoglio.
 Fomite e arma del buonismo, inteso come iperconfusione mondiale, in sfrenato movimento nei testi della nuova teologia, è la paura “di dover dire qualche verità sgradevole, di quelle che da sempre non piacciono al mondo, al pensiero unico e laicista, che domina il mondo, verità che poi sarebbero le eterne verità dette e ridette dalla Chiesa da duemila anni”.
 La fredda paura di dispiacere ai minacciosi erranti, al potere nel mondo moderno, ha fatto avanzare le fumose opinioni e le ritrattazioni ignobili intorno alle dottrine non cristiane, “false, vuote, carnali e fuorvianti nozioni religiose, prive di riscontri oggettivi con la realtà, che essa sia quella riscontrabile a partire dalla creazione o che sia invece quella deducibile dalla storia (scienza a posteriori) e dalle Scritture (scienza a priori)”.
 Indenne dal timore reverenziale in debilitante circolazione nel pensiero dei teologi post conciliari, Radaelli, di seguito, osa mostrare la debolezza dell'idealismo filosofico, motore instancabile dei revisionismi, che sono abbracciati disperatamente da pensatori irriducibili al realismo: “Gran fuga dalla realtà, l'idealismo. Gran fuga che pare sia riuscita a ghermire non pochi Pastori, alcuni anche sommi. Il motivo c'è, ed è che tale sistema filosofico garantisce come nessun altro l'assenza della realtà, dolosamente usurpata dalla sua idea. L'idea pensa se stessa – il cogito cartesiano – e questo pensiero, che certo è una realtà, è però solo una realtà logica, equivocata dall'idealismo per realtà vera”.
 Sbalordita dalla filosofia hegeliana e spaventata dalle sentenze del giornalismo iniziatico, la teologia progressista scende nella pista del nientismo, in cui corrono – all'impazzata - teologiche quisquilie e umilianti filosofemi. A questo punto Radaelli fa uscire dal cappello magico del compianto card. Martini, la sentenza che ha rovesciato sui fedeli lo schizo-rebus della teologia a due piste: “Ciascuno di noi ha in sé un credente e un non credente, che si interrogano a vicenda”.
 Di seguito Radaelli dimostra che l'ascesa della nuova teologia al linguaggio surreale del teatro di Luigi Pirandello, dipende dalla fatica assidua dei teologi modernizzanti e dalla desistenza dei pastori, due squadre “che hanno voluto fissare la forma del concilio (Vaticano II) al grado pastorale invece che al dogmatico, il che ha permesso la stesura di documenti liquidi, ossia terribilmente equivoci, costruiti a bella posta in linguaggio liquido, come illustra Romano Amerio in Iota Unum”.
 Avviandosi alla conclusione del faticoso viaggio nelle desolanti bellurie della teologia buonista/novista, Radaelli cita un tagliente scritto di Sandro Magister, che svela i rovesciamenti del pensiero vaticano: “Con la Amoris letitia sta accadendo nella Chiesa cattolica qualcosa di simile a quanto accadde mezzo secolo fa con la Humanae vitae. A parti rovesciate. L'enciclica di Paolo VI sulla procreazione era chiarissima. Ma teologi, vescovi e conferenze episcopali dissenzienti ne diffusero interpretazioni artificiose e fumose, al fine di far apparire lecito ciò che il papa proibiva. L'esortazione postsinodale mdi Francesco sulla famiglia è stata scritta invece in forma volutamente vaga, consentendo a chiunque di leggervi ciò che desidera, in particolare sulla questione cruciale della comunione ai divorziati risposati”.
 Oltre la coltre fumosa, sotto cui prospera la non pia illusione di Bergoglio e dei teologi novisti, Radaelli intuisce e rivendica una opposta, consolante e luminosa realtà: “Il Signore conduce e protegge sempre la sua Chiesa, per mano della Santa Vergine Maria: mai l'ha lasciata e mai la lascerà in questa santa battaglia di cui Ella è la Condottiera”.

Piero Vassallo