martedì 26 luglio 2016

ERDOGAN È PIÙ INIQUO DELL'OCCIDENTE? (di Piero Nicola)

  Lasciando da parte l'empietà attuata dall'Europa Unita col suo rinnegamento delle radici cristiane, essa ha assassinato la legge naturale - la quale rientra nella Legge divina - bensì con norme sociali che gridano vendetta al cospetto di Dio. E sarebbe question finita. È del tutto screditato il pulpito dal quale l'UE predica contro l'iniquità del nuovo Sultano. Il resto dell'Occidente che ancora nelle sue costituzioni riconoscerebbe Dio, del pari Lo ha offeso, Lo ha tradito e abusa del suo Nome.
  Ma se vogliamo entrare nel merito, in particolare riguardo alle infrazioni della giustizia contestate al Presidente della Turchia, esse per lo più sono fasulle.
  Poiché il consorzio civile richiede un ordine che lo preservi, la differenza fra i provvedimenti adottati da Erdogan e quelli usati dai paesi ex-cristiani è una sola: il primo mette al bando, mediante chiari decreti, coloro che sono nemici del governo nazionale o che gli infilano i bastoni tra le ruote; i secondi mettono fuori gioco i loro sostanziali oppositori e quanti pongono intralcio, adoprando sistemi ipocriti, ingannevoli, sofistici, e nondimeno coercitivi e punitivi. Questi ultimi derivano dall'imputazione di essere antidemocratici e da quella di non rispettare i diritti umani, anche quando sono, in effetti, diritti disumani.
  L'accusa di autoritarismo antidemocratico è in genere pretestuosa. Anzitutto può essere legittimamente ritorta contro ogni regime democratico vigente, in cui, di fatto, la volontà popolare viene raggirata e guidata da oligarchie, che propagandano e inculcano principi errati e altresì criminosi. D'altronde, il sistema della sovranità popolare e della legge della maggioranza è evidentemente inumano, perché lascia la giustizia alla mercé dell'arbitrio della massa e dei suoi rappresentanti, a loro volta in balia della tara del peccato originale. Forma istituzionale codesta, che la Chiesa già definì disastrosa per il bene comune.
  Ne consegue che, mentre un regime autoritario può rispettare o meno i giusti diritti, un regime democratico basato sul volere del popolo reca con sé un grave e pregiudizievole vizio d'origine. Altro è il consenso dei cittadini; altra è l'ipoteca da essi imposta sulla legislazione, essendovi la libertà incondizionata di determinarla.
  L'obiezione solita dei sognatori rivendicatori della perfetta società (che, in ogni caso, non può essere quella dei figli di Adamo) lamenta il difetto della costruttiva opposizione politica. Se una ipotetica onesta e utile opposizione debba essere eliminata, chi non riconosce la necessità di un sacrificio, dovrà di sicuro sopportare un sacrificio peggiore. Il principio che garantisce voci e azioni discordanti, di necessità partigiane (partiti), genera lotte intestine, debolezze deleterie e decadenza. La storia lo attesta, a prescindere dalla qualità delle costituzioni statali e dalla qualità dei governi. D'altro canto, tale contesa è anche una commedia, che consente di mantenere il potere a chi lo ha arraffato, essendo reso intangibile dalle consacrate civiche libertà. Di fatto, la critica producente opera nell'ambito d'un programma politico onesto, definito e unanime, che i detrattori chiamano totalitarismo.
  I diritti civili decretati dal sistema laico e liberale attualmente in vigore sono la negazione del vero Diritto. Tanto si è abusato della democrazia incondizionata che, per governare il popolo, si sono dovuti coerentemente introdurre aberranti seduzioni materiali e ideali. I diritti degni di Sodoma e Gomorra vanno pure nello stesso senso psicologico.
  Su quest'ultimo punto, occorre riconoscere che una repubblica islamica, integrale o parziale, non incorre in una simile vergogna. I suoi delitti saranno altri e solamente alcuni di essi non ci appartengono.
  L'empietà della falsa religione maomettana viene contestata dall'Occidente per alcuni suoi aspetti legali. Si critica la disuguaglianza stabilita a danno della donna, e tuttavia con cautela per non urtare il mondo islamico, che si vuole venga accolto, soprattutto in Italia, con milioni di immigrati. Così si tralasciano o si trascurano diverse iniquità e immoralità contenute in quella religione, tra le quali il fine della guerra santa e la legge del Corano che molto discrimina lo straniero infedele.
  Siffatto procedimento machiavellico  degli occidentali - per niente giustificato, tendendo alla disgregazione delle nazioni e del cattolicesimo - completa la riduzione a sottozero dell'autorità morale dell'ormai vecchio e viepiù degenere Mondo Libero.
  A beneficio dei dubbiosi aggiungo un'azione esemplare dell'impostura democratica.
  Chi non sarebbe disposto a riconoscere che il diritto all'autodeterminazione dei popoli è almeno importante quanto il riconoscimento delle politiche minoranze interne? Orbene, siffatto diritto della popolazione del Sud Tirolo (Alto Adige, etnicamente non italiano),  è stato negato con argomenti contrari al principio enunciato dalla stessa ONU. Il che è avvenuto a causa della politica complicità di vari Paesi interessati al mantenimento dello status quo. Un regime forte avrebbe potuto rivendicare la necessità di assicurarsi i confini geografici includenti l'Alto Adige, appellarsi a un risarcimento per il sacrificio da noi consumato nella Grande Guerra, per le storiche occupazioni austriache delle regioni italiane prima irredente. Ma un regime uniformatosi alla Carta dell'ONU si sbugiarda penosamente calpestandone un punto capitale. Eppure gli italiani sono stati quasi tutti persuasi che il Sud Tirolo debba appartenerci, e che i sudtirolesi, battendosi per l'indipendenza (prima che quella gente la barattasse con un materiale tornaconto), avessero torto marcio.
  Gli Stati Uniti, da parte loro, si arrampicarono sugli specchi volendo giustificare l''indebita annessione dei territori appartenenti agli indigeni, né risulta che abbiano fatto marcia indietro in modo equo.
  In definitiva, gli stati non liberali rispetto ai democratici parlano chiaro, sono meno ingannevoli, e in essi ci si assume maggiormente le proprie responsabilità, si risponde molto più di persona.
  E dovremmo tacere dello Stato del Vaticano, dal quale partono diuturni avvelenamenti delle anime, oltre ad ammaestramenti contrari alla morale, talché pontifica disastrosamente?
 Caso mai qualcuno non abbia presente tali misfatti, riporto un passo dell'introduzione alla messa della X Domenica dopo Pentecoste, nel Messalino di D. C. Lefebvre O.S.B.:
  "La nostra santificazione è impossibile se vogliamo raggiungerla da soli, perché, abbandonati a noi stessi noi non siamo che impotenti e peccatori".
  Donde l'avvio all'inferno di quanti non ottengono la santificazione mediante lo Spirito Santo, ovvero mediante i Sacramenti validamente ricevuti. È facile dedurne le eresie vaticane che, piaggiando l'umanità e coltivandone l'orgoglio, attribuiscono alle coscienze e alle false religioni un potere redentivo.
  "L'umile [il contrario dell'attuale cittadino sovrano democratico] riconosce il proprio nulla perché sa che solo a questa condizione discenderà su lui la virtù di Cristo".
  Questa sedicente chiesa approva questa democrazia, e la cosiddetta società multietnica, inquinata da ogni sorta di errori e di disordini, e ignora l'incompatibilità sussistente tra musulmani ed eredi, volenti o nolenti, del cristianesimo.


Piero Nicola

martedì 19 luglio 2016

Violenza redentrice o esportazione della menzogna?

Negli anni Ottanta del secolo scorso, l'intrepido arcivescovo di Genova, cardinale Giuseppe Siri, fu  zittito dal frastuono dei mezzi di comunicazione sociale, che lo avevano accusato di empietà perché aveva osato affermare che l'Aids era un castigo di Dio, rovesciato sui vizi dell'Occidente libertino e pederastico.
 Associati a un ateismo demenziale e arrogante, i vizi dell'Occidente post-moderno incrementano l'ecumenismo pederastico e lesbico, avanzante dietro un prurito invincibile, che corrompe la persona, ricatta e aggredisce i fedeli cattolici, spegne il senso critico, calunnia la dissidenza e spaventa  gli osservatori neutrali. 
 Sul palcoscenico della nuova, grottesca morale si agita il fantasma di Fagiolino, il rumorista vagante, che, nel secondo dopoguerra, per il facile divertimento dei musicofili intestinali, metteva in scena sulle macerie, democratici e applauditi rumori. (Come è del resto noto il potere democratico e l'estetica associata hanno origine dal basso).
 In agosto saranno celebrate ufficialmente e a termini di legge statale (del rumoroso  stato fagiolino) le prime nozze tra due maschi appartenenti all'intoccabile e quasi venerata e incensata corporazione dei sodomiti, eredi del rumoroso Fagiolino.
 Saranno infatti celebrate ufficialmente e nel compunto rispetto delle capovolte leggi dello stato (in marcia trionfale verso il Vespasiano assoluto) le prime nozze tra due maschi appartenenti all'intoccabile e quasi venerata e incensata corporazione dei sodomiti progressivi. 
 Le barche degli immigrati islamici intanto scivolano sulle acque della pietà invincibilmente cieca, nelle quali si specchia il futuro di un'Italia agitata dal fanatismo e dalla refrattarietà/ostilità al lavoro. 
 Eccitati dal buonismo, preti zelanti e piissimi teologi allestiscono cucine fumanti per nutrire i maomettani, che hanno in dispetto la religione di Nostro Signore Gesù Cristo.
 Oggi nessuno osa sostenere che la cieca violenza islamica è un castigo di Dio, che si abbatte sulla trionfante e gongolante inversione della morale ecumenica.
 Chi osa dissentire, ad esempio Magdi Allam, è tacitato, minacciato e obbligato a vivere sotto scorta.
 Al contrario, si benedice e si loda il (falso) profeta Maometto, che dal cielo ci manda un alto numero di preziosi, deliziosi e graditi visitatori.
 A Parigi, a Bruxelles e a Nizza non propriamente graditi, ma la felicità ecumenica ha un prezzo che l'intelligenza deve pagare. Come ha detto il senatore Armando Plebe il godimento politico non vuole pensieri,
 Occorre rassegnarsi e tollerare la presenza di alcuni birbantelli nella pia folla degli islamici, Come è noto lippis et tonsoribus, tutte le grandi famiglie hanno il loro birichini. Bisogna guardare il bene e trascurare il cattivo margine.
 Sarà interessante seguire lo sviluppo dell'incontro degli intrepidi navigatori islamici con i sodomiti  abitanti sulla terra ferma.

 I lettori degli acrobatici documenti sulla comunione dei fedifraghi regolarizzati  attendono un'audace dichiarazione del vescovo di Roma a cauta e parziale giustificazione della pia pratica gomorrita. Saranno felici gli islamici? Il disagio civile è alle porte. Marcello Guidassdci è inquieto.

Piero Vassallo

LA PRIVAZIONE IDEALE (di Piero Nicola)

L'ultima vicenda Erdogan & Turchia potrebbe servire per dare un po' d'aria e di luce a un localino cerebrale disadorno, uno studiolo spartano e ruvido che, meschino, si sente ingiustamente chiuso, dato che ha la presunzione di ispirare cose sagge e maschie, mentre i piedi civili non si azzardano ad entrarci.
  Il rozzo popolo turco sta con il suo Presidente. Esso forse ha preso dimestichezza con l'accesso all'alquanto incivile stanza dell'umano pensiero.
  A questo punto, sorge il sospetto che tutte le manifestazioni, passate o recenti, degli evoluti democratici eroicamente scesi in piazza contro il novello Sultano, non fossero genuine riguardo alla loro rappresentatività dei molti connazionali, cioè che fossero numericamente trascurabili, sebbene valorose e represse. Forse il Sultano un dì lesse il Vangelo, dove dice che un po' di lievito a gonfiare tutta la massa.
  Le belle aspettative dell'Occidente gli hanno fatto più volte prendere abbaglio. Bisogna comprenderlo. Bisogna capire come i longanimi dal cuore d'oro (che nella loro magnanimità accolgono i diritti delle coppie che per loro uguale natura sessuale non procreano) non osino credere che ci sia molta gente favorevole a un ordine proprio severo e, per giunta, ben poco laico.
  Ora essi sperano nell'ignoranza riscattabile e, trasportati dal fulgido ideale, sono scusabili quando si lasciano alla propaganda e ai suoi espedienti malandrini, alla polemica e al disprezzo, purché trionfi la liberazione. Così, si tengono confortati nei quattro augusti saloni della magnifica libertà, e perdono di vista che la voce della verità, a più riprese rivolta a denunciare l'autoritarismo del governo di Erdogan, non può essere stata ignorata dagli abitatori dell'Anatolia. Sicché gli ottomani appaiono refrattari allo Stato di diritto: hanno scelto la politica, le leggi e la conduzione della Cosa pubblica dovute all'attuale Sultano, e per lui hanno presentato il petto ai cingoli dei carri armati e alle pallottole dei militari ribelli.
  Ci si dovrebbe rassegnare alla storia che non cambia, al consenso dato liberamente ai dittatori? Giammai! Si tratta di episodi, di circostanze; si capisce. Non c'è da preoccuparsi e da credere che si possa tornare al Medioevo, che le conquiste civili siano provvisorie e caduche. Siamo entrati in un'era irreversibile e immarcescibile. Certo, occorre pur sempre una dose di accortezza.
  Si può anche capire che i giornalisti, i politici eminenti e minori, gli intellettuali abbiano interessi imprescindibili e subiscano pressioni irresistibili, per cui dicono e fanno cose inverosimili, ad esempio affermando che con i rivoltosi bombardieri e maciullatori bisogna usare clemenza e non brandire la spada della Giustizia. Ma tutti gli altri uomini della strada perché dovrebbero restringersi nello splendido prefabbricato mentale, quando esso gli torna scomodo? Perciò attingano alla loro riserva di magnifica saggezza, gli alti indignati e i loro portavoce, non rischino di compromettersi con dichiarazioni avventurose! Obama eviti di affermare che la vittoria dei golpisti avrebbe rafforzato Putin in quelle regioni, quando gli americani fecero subito capire che essa faceva comodo a loro. I giornali non deplorino il ripristino della pena di morte in Turchia, quando in Egitto si operano esecuzioni anche peggiori, e negli USA la pena capitale viene attuata regolarmente. Inoltre non è affidarsi troppo ai principi assimilati dal pubblico, trattare il terrorismo ad Ankara e a Istanbul come differente da quello praticato altrove?
  Agli uni e agli altri timonieri basta ripetere che è un delitto porre limiti alla libertà di stampa, di parola e di manifestazione, perché quand'anche i perversi corruttori si vestissero di tale democratica facoltà, nulla giustificherebbe la sua limitazione. Soprattutto l'uomo del Duemila sa discernere e sa difendersi, casomai non ci fosse chi gli presti aiuto. Eccezion fatta, s'intende, circa la messa al bando di quei cattivi che pretenderebbero di perorare la causa della stessa limitazione delle libertà.
  Che importa se l'aumento dei diritti sembra aver giovato al disordine e alla crisi? Dovremmo ancora ricordare le giovevoli crisi di crescenza? Questo postmoderno, è il migliore dei mondi possibili. Occorre soltanto stare all'occhio per contenere gli slanci, talvolta erronei, e le sacrosante indignazioni, onde i populisti non ne approfittino, onde poter mettere a posto, in America, quel candidato repubblicano riccone e fanfarone, in Inghilterra, quell'ex sindaco di Londra biondo platino, in Francia, la maestrina Le Pen, in Italia, il birichino Matteo Salvini.
  Allora il buon Obama cerchi di non prendere posizione sui fatti internazionali, senza aver ben ponderato i suoi interventi. Oggi la situazione si è fatta un tantino delicata anche per i suoi pari, e per i suoi paterni protettori. L'aver eliminato Gheddafi e Saddam non è stato un successo. L'aver preso di mira l'autocrate Assad lascia a desiderare. Il sostenere il regime di ferro in Egitto desta perplessità. Il lasciar correre sui diritti umani bistrattati nei regni d'Arabia può destare sospetti. Resta un'inezia, se laggiù le donne adesso possono guidare l'automobile. E richiede solo un po' di tatto promuovere l'accoglienza in Italia dei prolifici maomettani in grande quantità, di già che qui non si fanno attentati terroristici sicché gli italiani possono restare buoni e non devono allarmarsi. Pertanto, i signori dei diritti umani ci vadano piano e tutto si aggiusterà.
 

Piero Nicola

lunedì 18 luglio 2016

Frammenti e ragionamenti nella sera della via

Nella mia vita, come nella tramontante vicenda del qualunque anziano, ha unicamente significato l'elenco degli esempi. Degli insegnamenti e dei benefici ricevuti dai genitori, dai parenti saggi, e dal vasto numero degli educatori professionisti o amici.
 Per rammentare e comprendere il proprio nascosto significato l'io deve, anzi tutto, fare un coraggioso passo indietro e rivolgere la memoria ai testimoni della pietà cristiana e dell'amor di Patria. Due virtù che, in altri, censurati tempi, erano inseparabili. … Dietro la cattedra erano in mostra ritratti del Papa Pio XII, del Duce Benito Mussolini e del Re, Vittorio Emanuele III.
 Correva il tormentato maggio del 1943, l'Italia stava per scendere nel sottosuolo della sconfitta.
 Nel piccolo e povero paese in cui la mia famiglia si era rifugiata per sfuggire ai bombardamenti, le sere di maggio erano movimentate da un piccola e ardita folla di donne e giovani uomini credenti, che, per recarsi in chiesa rischiavano l'incontro con il solitario areo americano, la cui mitraglia aveva il compito di terrorizzare  il quasi disarmato nemico.
 Infine vinsero gli alleati. Insieme con i filippini, nell'aprile del 1945, gli zelanti fucilieri italiani salivano da una valle parallela, seminando bieco sangue fascista.
 I filippini lanciavano cartigli verdi, contenenti gomme da masticare. La liberazione incrociava l'accattonaggio. 
 Gli adulti del paese rustico guardavano scrollando la testa. Il fascismo non si smaltisce i pochi giorni...
 I rari operai, illuminati dal lavoro nella città, applaudivano e lanciavano fiori selvatici. La sconfitta li faceva gongolare.
Un giovane cripto fascista (il padre nascondeva in casa il fascista Giulio Cesco Baghino) osò lanciare fiori gialli, familiarmente detti piscia cani.
 Fortunatamente i liberatori filippini non capirono il significato offensivo del simbolo giallo. E i patrioti fecero finta di niente, ringhiando in cuor loro. (Se avessero saputo di Baghino, però...)
 Le donne, in disparte, facevano il segno della croce. Dall'alta valle scendeva infine il sordo rumore della plumbea giustizia partigiana. Eccitato dal lontano rumore delle mitragliette, l'illustre resistente promise e profetizzò una vita stentata al giovane lanciatore di fiori gialli.
 Se non che le tombe dei giustiziati fascisti, scavate in prossimità incauta dall'aquilotto, causarono una epidemia di tifo. Alcuni sussurrarono un enigmatico proverbio: Dio non paga il sabato.
 Un bieco fascista osò dire che l'infezione era la vendetta dei fascisti sveltamente assassinati e incautamente sepolti.
 L'antifascismo, era minoranza, infine. I montanari tacevano. I cialtroni erano l'un per mille. Nella grande folla l'un per mille di necrofili costituiva una folla rabbiosa ma esigua.
 La canaglia festante intorno ai morti esposti in piazzale Loreto rappresentava la minoranza vincente: cinquemila illuminati in rappresentanza di un silenzioso milione e mezzo di milanesi. La giustizia antifascista avanzava cantando in inglese.
 A Milano un poeta cieco, l'eroe italiano, medaglia d'oro (fascista) Carlo Borsini fu ucciso e gettata nel cassonetto della spazzatura. Iniziava il democratico corso della cultura.
 Pasolini (a futura memoria) era davanti al cassonetto. In attesa della conversione pederastia della poesia.
 Il giorno dopo la scuola fu  riaperta. Il professore ci assegnò un compito in classe: Il fine inglorioso del tiranno.  Poi si affacciò alla finestra. 
 Il tiranno era Benito Mussolini? O il popolo che applaudiva il boia? Quale era il pensiero del professore? L'incertezza incombeva. Mi avvicinai per chiedere spiegazioni. E mi accorsi che il professore piangeva. Ho forse intuito che il nascosto pianto celebrava l'avvento della nuova Italia? Mi resi conto che finiva un'epoca, che i discorsi del Duce, i libri di storia, le lezioni dei maestri e dei professori, gli appelli nella adunate, i bollettini di guerra, i racconti della radio, i giornali, le conversazioni familiari stavano per capovolgersi nel tran tran della chiacchiera disfattista cioè democratica? La triste ombra di Ferruccio Parri...
 Mi fu assegnato un tema. La liberazione. Avrei voluto, poiché in giro squillava la festa dei nemici, tuttavia non  riuscii a scrivere neppure una misera riga. Che splendido ricordo quella estranea impotenza a scrivere la parola dei vincitori.
 In città, infine, dopo lo sfollamento. Sulle terrazze e nei pubblici giardini si ballava il bughi bughi, una danza acrobatica, propedeutica di fulminee avventure americane. Magnifici vettori di malattie veneree. Dopo il mal francese il male americano. La storia s'insinua negli ospedali, talora.
 Genova, circonvallazione a monte. In via Acquarone, sulle macerie di un antico palazzo signorile, intanto stava l'improvvisato palcoscenico di Fagiolino, un comico di strada, specialista in  rumori intestinali, applauditi da una democratica suburra.

 Un sospetto impertinente li definiva colonna sonora della liberazione dall'odiata tirannia fascista. Dalla sana maggioranza applausi e grida di ammirazione alla profonda voce dell'Italia democratica. L'antifascismo, che magnifica, che soave musica.

Piero Vassallo

sabato 16 luglio 2016

NELLA S. SCRITTURA, NON SOLO SODOMA E SAN PAOLO... (di Piero Nicola)

Da Il Terzo Libro dei Re (XIV, 21 - 26; XV, 1- 13):
  "Roboamo poi, figliuolo di Salomone regnò in Giuda. Quarantun anni aveva Roboamo, quando cominciò a regnare. E regnò diciassette anni in Gerusalemme città eletta dal Signore fra tutte le tribù di Israele, per stabilirvi il suo Nome. La madre sua chiamavasi Naama, ed era Ammonita.
  "E Giuda fece il male al cospetto del Signore, ed essi lo irritarono più di quello che avessero fatto con tutte le loro opere i padri loro.
   "Perché essi si eressero altari, e statue, e boschetti sopra tutte le alte colline, e sotto ogni albero ombroso.
  "E oltre a questo eranvi nel paese dei giovani effeminati, i quali rinnovellarono tutte le abominazioni delle genti, le quali il Signore distrusse all'arrivo dei figli d'Israele.
  "Or l'anno quinto del Regno di Roboamo, Sesac re di Egitto venne a Gerusalemme. E portò via i tesori della casa del Signore, e i tesori del re, e depredò ogni cosa, e fino gli scudi d'oro fatti da Salomone".
  "Il diciottesimo anno del regno di Geroboam figliuolo di Nabat, regnò Abia sopra Giuda.
  "Egli regnò tre anni in Gerusalemme: sua madre chiamavasi Maacha figlia di Abessalom.
  "Ed egli imitò in tutto i peccati fatti dal padre suo prima di lui; e il suo cuore non fu sincero verso il Signore Dio suo, come il cuore di Davide suo avo.
  "Ma per amor di Davide il Signore Dio suo gli diede una lampada in Gerusalemme, suscitando dopo di lui il suo figliuolo, e tenendo in piedi Gerusalemme.
  "Perché Davide aveva operato rettamente agli occhi del Signore, e non aveva deviato in nulla dai suoi comandamenti per tutto il tempo di sua vita, eccettuato il fatto di Uria di Heth [...] E Asa suo figliuolo gli succedette nel regno.
  "Dunque l'anno ventesimo del regno di Geroboam re d'Israele, regnò Asa re di Giuda [....] E Asa fece quel che era giusto nel cospetto del Signore, come Davide suo avo.
  "E tolse via dal paese  gli effeminati, e lo purgò da tutte le sozzure degli idoli fabbricati dai suoi padri.
  "E oltre a questo si levò d'intorno sua madre Maacha, affinché non fosse sacerdotessa nelle cerimonie di Priapo, e del bosco che ella gli aveva consacrato: ed ei rovinò la sua spelonca, e spezzò l'infamissimo simulacro, e lo bruciò presso il torrente Cedron".
  Levitico (20, 13):
  "Se uno pecca con un maschio come se questo fosse una donna, ambedue han fatto una cosa esecranda: siano puniti di morte".


Piero Nicola

Lo scandaloso elogio di Bergoglio a Lutero, sulla giustificazione (di Paolo Pasqualucci)

Nell’ultima conferenza stampa aerea rilasciata da Bergoglio, durante il volo di ritorno dalla visita in Armenia, interrogato a proposito delle celebrazioni con i luterani per il 500centenario della Riforma protestante, egli ha detto:
“Io credo che le intenzioni di Martin Lutero non fossero sbagliate.  In quel tempo la Chiesa non era proprio un modello da imitare:  c’era corruzione, c’era mondanità, c’era attaccamento ai soldi e al potere.  E per questo lui ha protestato.  Poi era intelligente ed ha fatto un passo avanti, giustificando il perché facesse questo.  Ed oggi luterani e cattolici, con tutti i protestanti, siamo d’accordo sulla dottrina della giustificazione:  su questo punto tanto importante lui non aveva sbagliato.  Lui ha fatto una “medicina” per la Chiesa, poi questa medicina si è consolidata in uno stato di cose, in una disciplina etc.”[1].
Ciò che colpisce come un’autentica mazzata, in queste parole, è l’affermazione che oggi, dopo decenni di “dialogo”, cattolici e protestanti luterani e non, sono d’accordo sulla dottrina della giustificazione.  Concorderebbero anche i cattolici nel sostenere che “su questo punto tanto importante Lutero non aveva sbagliato”.
Ma non è sempre stato questo uno dei punti di completa rottura di Lutero con la dottrina insegnata nei secoli dalla Chiesa?  Vale a dire il fatto che egli propalasse una dottrina della salvezza, o della “giustificazione del peccatore” di fronte a Dio, mediante la sola fede con l’esclusione del contributo delle opere e quindi del nostro libero arbitrio.  Il Tridentino, a conclusione del suo Decreto sulla giustificazione, del 13 gennaio 1547, inflisse 33 anatemi con relativi canoni, il 9° dei quali recita: 
Se qualcuno afferma che l’empio è giustificato dalla sola fede, così da intendere che non si richieda nient’altro con cui cooperare al conseguimento della grazia della giustificazione e che in nessun modo è necessario che egli si prepari e si disponga con un atto della sua volontà:  sia anatema[2].
 La dottrina qui condannata è notoriamente quella di Lutero.  Ed ora il Papa in persona ci viene a dire che “su questo punto tanto importante  Lutero non aveva sbagliato“?  Il presente Pontefice in che conto tiene le definizioni espressamente dogmatiche del Concilio di Trento?  In nessuno, evidentemente.  Ma bisogna dire che non tiene in alcun conto l’intera dottrina della Chiesa sul punto, poiché il Tridentino non ha fatto altro che ribadire, spiegandola e chiarendola, la dottrina sempre professata dalla Chiesa.  E bisogna anche chiedersi, di fronte ad affermazioni del genere: qual è il livello di preparazione teologica di Papa Bergoglio?  
Tuttavia, le sue stupefacenti dichiarazioni non devono sorprendere più di tanto.  Egli non fa altro che trarre le ovvie ed esplicite conclusioni da quanto affermato nella Dichiarazione congiunta sulla giustificazione, perfezionata poco tempo fa, alla fine di un “dialogo ecumenico” con i Luterani iniziatosi nel 1994 proprio con l’intenzione di arrivare ad una Dichiarazione del genere; dialogo sviluppatosi pertanto con la completa approvazione dei due Papi precedenti:  Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.  Risulta forse che essi vi si siano opposti?  Una loro chiamata in correità non è come minimo dovuta?   
Lo straordinario elogio di Papa Francesco a Lutero, elogio nel merito della dottrina eretica di quest’ultimo, mostra quanto sia vera la recente dichiarazione di mons. Bernard Fellay, Superiore Generale della FSSPX,  esser cioè la Chiesa devastata oggi da errori molteplici e gravi, insegnati dagli stessi Pastori, ivi compreso il Papa.
Verità fondamentali vengono negate o svuotate di significato, si cerca l’accordo dottrinale esplicito con gli eretici e scismatici, addirittura la Somma Autorità della Chiesa elogia apertamente i fondamenti stessi delle loro dottrine!  Infatti, l’eresia della sola fides quale procacciatrice di salvezza, senza bisogno del concorso delle opere meritorie che Dio vuole da noi, con l’osservanza di tutti i Dieci Comandamenti, e pertanto con la cooperazione del nostro libero arbitrio all’opera della Grazia in noi, costituisce il principio fondamentale di tutto il sistema luterano ed anzi dell’intero Protestantesimo.

Difensori della fede, dove siete?  Per quanto tempo, ancora, continuerete a tacere?

Paolo  Pasqualucci



[1] Testo ripreso dal sito Riscossa Cristiana, articolo di M. Faverzani, del giugno 2016, p. 2 di 2; originariamente nel sito Corrispondenza Romana.  Il testo riproduce il parlare a braccio del Papa, nel suo spesso infelice italiano, come riportato dalla stampa internazionale.  Corsivi miei.
[2] Giuseppe Alberigo (a cura di), Decisioni dei Concili Ecumenici, tr. it. di Rodomonte Galligani, UTET, 1978, p. 553; DS 819/1559.

giovedì 14 luglio 2016

PERCHÉ L’OPERA VALTORTIANA FU MESSA ALL’INDICE (di Emilio Biagini)

Ottenere l’imprimatur per un’opera che si dice ispirata è molto più laborioso che pubblicare direttamente un’opera che non abbia questa pretesa: la proverbiale prudenza della gerarchia ecclesiastica unita alla viscerale antipatia della gerarchia medesima verso ciò che sa di mistica, garantisce che l’opera, fosse pure del tutto priva di pericoli per l’ortodossia, vedrà la luce alle calende greche.
Le alte sfere dei Servi di Maria scalpitavano invece per far presto, e pretendevano quindi che la Valtorta dichiarasse l’Opera puramente naturale e scritta puramente da lei stessa senza alcun intervento soprannaturale. In questo modo la pubblicazione si sarebbe potuta realizzare rapidamente e fare tanti bei soldi. I bravi Servi di Maria sognavano perfino farne un film. Nel convento servita di Viareggio si praticava lo spiritismo, ritenuto “scientifico”, e i Serviti volevano appunto travestire l’Opera come “scientifica”, ossia spiritistica”, in barba alle ripetute condanne della Chiesa allo spiritismo.
Di qui indegne pressioni sulla Valtorta, la quale aborriva lo spiritismo e insisteva che l’Opera non le apparteneva, perché era di Chi gliel’aveva dettata e le aveva suscitato le visioni. I Serviti giunsero a negare la Comunione alla veggente malata e costretta a letto. Nonostante tutto, l’imprimatur stava per essere concesso, quando fu bloccato da una denuncia al Sant’Uffizio da parte di un gerarca Servita (la Valtorta per carità ne tace il nome). Stanco dell’insistenza di Padre Corrado Berti che intercedeva per la Valtorta afflitta da atroci sofferenze fisiche, sospetti, insulti, infinite tergiversazioni, tentazioni diaboliche, nonché dalla povertà, costui denunciò l’Opera per mancata acquisizione dell’imprimatur, dopo che egli stesso ne aveva ostacolato la concessione.
La messa all’Indice condizionò tutti i successivi tentennamenti vaticani. Intanto, siccome riguardava i volumi, vi erano chierici che li smontavano e leggevano tranquilli i fascicoli staccati, tanto la messa all’Indice fu presa sul serio. La veggente avrebbe avuto ogni vantaggio ad accettare le proposte dei Serviti pubblicando col proprio nome, come la tentava a fare il diavolo. Mentre questo avveniva, l’imprimatur fu elargito a un certo Caius, il cui libro metteva in dubbio la perpetua verginità della Madonna, mentre alcuni monsignori della Curia romana si dicevano pronti a concedere permessi di pubblicazione in cambio di grosse mazzette. Queste sono le circostanze, ben documentate ma “stranamente” poco note, della messa all’Indice, che si pretende presa “dopo ponderate motivazioni” (sic) che nessuno ha mai spiegato.

EMILIO BIAGINI

martedì 12 luglio 2016

SCRIVERE SECONDO ME (di Piero Nicola)

  L'8 e 9 luglio u.s. si sono celebrati gli Stati generali delle Edizioni Tabula fati e Solfanelli, in quel di Chieti.
   Sarei stato lieto di partecipare all'interessante convegno, dove alcuni esperti hanno tenuto lezioni sull'arte di presentare i propri lavori ai consulenti editoriali, sull'arte di scrivere e sull'arte di presentare in pubblico le fatiche partorite. Purtroppo ragioni di età, di distanza e di clima mi hanno relegato nella mia città.
  Ho visto i programmi degli interventi, senza, almeno per ora, aver potuto leggere i testi delle conferenze. Ciò mi ha tuttavia suggerito delle considerazioni di scrittore, artista fra i molti, e di oscuro critico letterario.
  A occhio e croce, credo che il complesso dell'insegnamento fosse inteso a migliorare le capacità narrative e espositive dei partecipanti, autori delle Edizioni Tabula fati e Solfanelli. Cosa di per sé encomiabile. Encomiabile anche la modestia degli stessi invitati, d'altronde al corrente degli argomenti da trattare. Ma, a meno che abbia preso abbaglio, non mi sembra peregrino mettere in rilievo che la ricerca del gradimento da parte d'una vasta gamma di lettori conduca fuori strada.
  Il mondo di chi vuol raccontare o licenziare un saggio non dovrebbe piegarsi all'esigenza di piacere a questo e a quello. Così facendo egli finisce per tradire se stesso, cade dell'insincerità, la quale è un grave peccato dello scrivere. Quel mondo poi, sta già nel linguaggio, nell'espressione. Lo scritto non fallace bisogna anzitutto che abbia un contenuto veridico e che sia sincero. Vincolati a questo assunto sono quelli che onestamente acquistano il libro e lo apprezzano. Semmai, chi concepisce il libro può mirare a convincere coloro i quali pensano diversamente.
  Gli accorgimenti stilistici, la costruzione del lavoro, il dosaggio degli argomenti e degli avvenimenti, il vocabolario variato e appropriato, lo scampo alle assonanze, l'arte delle ripetizioni, la scorrevolezza, il ritmo quasi musicale, i dialoghi sapienti senza parere, l'intelligente suggerimento, i scelti punti di vista, il distacco misurato, la grammatica, la sintassi, eccetera, sebbene indispensabili, vengono dopo.
  I casi da addurre sono tanti e molteplici. Quante eccellenti prove di abilità descrittiva non reggono alla logica e al buonsenso. Il fatto che esse catturino critici e incantino masse di appassionati non le salva affatto dalla disonestà. Gli amanti delle falsità non si contano. I patiti di Voltaire o del pluralismo o di Benigni, sono i lusingati da protagonisti e personaggi che, ben  dipinti e ben rivestiti, incarnano i loro propri vizi, quasi convertiti in virtù. L'apparenza estetica...
  Se qualcuno mi accusa di moralismo, porto pazienza. La verità esiste, è una. I giochi di artificio sono altra cosa.
  Per converso, si assiste al triste fenomeno dei critici che disdegnano o trascurano rari esempi di belle lettere, di scrittura magistrale, i quali godettero di un favore popolare, classificati nella letteratura rosa o per educande, quando il loro solo difetto consistette in un certo romanticismo, tuttavia contenuto nella possibile realtà. Se signore e signorine di vario genere furono sedotte da quel romanticismo, non fu certo un male.
  Mi riferisco, ad esempio, a Liala e a Milli Dandolo (vedi il suo romanzo storico di 1.000 pag. Croce e delizia). Da quelle gentildonne, nondimeno attualmente, molti che faticano sulla penna avrebbero molto da apprendere.   
  Quanto alle tecniche consigliabili al presentatore dell'edizione contenente le proprie sudate carte, davanti a un pubblico d'occasione, consento sulla loro utilità. Ciononostante, resta ardua la metamorfosi di un timido in un oratore disinvolto. E certi suggerimenti li trovo piuttosto adatti per il venditore. Costui, del resto, si destreggia e va sul liscio nel procurarsi la sala, i relatori e gli astanti.


Piero Nicola 

domenica 10 luglio 2016

Padre Ernesto Balducci: Teologo dell'ecumenica confusione

 Dato per scontato che la presenza dei gruppi etnici diversi dal nostro si farà più massiccia, si aprono due vie: quella della lenta assimilazione di modo che in una o due generazioni gli immigrati diventino in tutto come noi, o quella della convivenza tra gruppi etnicamente e culturalmente diversi. Io credo che la via giusta sia quella della convivenza. Ma se questo è vero dobbiamo affrettarci a predisporre gli strumenti necessari – a cominciare dalla scuola – perché questo futuro si avveri senza traumi. Quel che occorre è una rapida instaurazione della cultura della diversità. Le culture che si chiudono in se stesse sono destinate a morire. La nostra non fa eccezione.
Ernesto Balducci



 Insieme con Giorgio La Pira e don Lorenzo Milani, padre Ernesto Balducci (1922-1992) ha rappresentato la rumorosa avanguardia teologica intesa alla maturazione ecumenica/sincretista - “aprirsi al diverso” - della teologia cattolica.
 Occasione o pretesto della riforma auspicata dai nuovi teologi e in special modo dal padre scolopio Balducci era la vastità del fenomeno migratorio: “esso viene verso di noi scatenando contraddizioni che mettono a dura prova i nostri strumenti di analisi e di progettazione e chiedono perciò un più alto livello di razionalità e di lungimiranza politica” (testo citato da Andrea Cecconi nella presentazione all'antologia di scritti di padre Balducci, intitolata Dobbiamo vivere insieme, e riedita nel gennaio del corrente 2016 da Marco Pagliai, editore in Firenze.
 Padre Balducci fu un fervente e disinvolto ecumenistaardito al punto di affermare che “i musulmani hanno normalmente dimostrato grande tolleranza per quanto riguarda i credenti di altre religioni (purché non politeistiche).
 A sostegno della sua tesi, p. Balducci cita Erasmo da Rotterdam (“lo spirito aggressivo della chiesa era dovuto alla subordinazione del vangelo all'aristotelismo) e Pierre Bayle, “che fece di Maometto un modello di tolleranza”.
 Nonostante il dichiarato apprezzamento delle religioni monoteistiche, padre Balducci, nel saggio del 1983, sferra un attacco alla fede di Israele, “combinazione fra sionismo e imperialismo … un tragico segno di contraddizione, la cui portata va ben al di là di una pur grave questione tra due popoli”.
 Di qui un giudizio di stampo quasi sovietico sullo stato di Israele: “Gli Askhenaziti che hanno in mano lo Stato israeliano sono in realtà gli emissari sacrificali dell'Occidente nel cuore del Terzo Mondo”.
 Associata alla condanna dello Stato d'Israele è la disapprovazione della inevitabile collocazione della Cristianità a Occidente: “oggi il cristianesimo, in quanto religione dell'Occidente, non solo è costretto a riconoscere la propria relatività, che lo rende inabile a proporsi come sintesi delle contraddizioni altrui, ma è costretto a ricostruire una memoria del suo passato in cui ritrovino il proprio posto i tradimenti e le deviazioni. Sulla linea di questa memoria c'è anche l'origine e il trionfo dell'islam”.
 Al seguito di tale temerario giudizio p. Balducci si spinge fino al punto di affermare l'esemplarità dell'islam: “La comunità islamica, col suo fervore religioso e con la sua schietta fraternità, riproponeva la novità delle comunità cristiane di sei secoli prima, espropriate e finalmente annullate dalle escrescenze istituzionali”.
 Infine p. Balducci non esita ad affermare la superiorità della teologia di Maometto: “Il contenuto della fede islamica è, nella sua essenza, quello del ceppo monoteistico ebraico e cristiano, ma ha in proprio una semplicità estrema, sgombro com'è di dogmi e di contaminazioni concettuali”.
 Nell'apologia cattolica della falsa e grottesca religione dell'epilettico Maometto si contempla il naufragio della teologia progressista nelle acque di uno stato d'animo avvelenato dal modernismo e intossicato dalle suggestioni pseudo ecumeniche.
 La teologia post conciliare era ed è tuttora avvelenata dal buonismo e dal masochismo e perciò incapace di vedere l'intolleranza navigante sulle patetiche imbarcazioni degli immigrati islamici.
 All'orizzonte si annuncia la sostituzione del popolo cristiano da parte di un popolo che nasconde l'aggressività e l'imperiosità sotto la patetica figura del naufrago.

 Confusa dallo spettacolo messo in scena dai migranti islamici, la teologia della diserzione cattolica si è capovolta, senza ritegno, nella “missione” di ridurre gli italiani allo stato di un popolo neo coloniale.

Piero Vassallo

sabato 9 luglio 2016

L'ODIERNA MADRE DI QUASI TUTTE LE ERESIE (di Piero Nicola)

  Il pelagianesimo, oggi, è l'eresia grande dispensatrice di errori. Da essa il clero che conta attinge a piene mani per i suoi tradimenti, giustificati - presso il suo assai complice gregge - con la losca mostra della carità.
  Il pelagianesimo si condensa nella definizione offerta dai vocabolari: la negazione della necessità del battesimo per conseguire la salvezza, i. e. per non finire all'inferno. Sant'Agostino fu importante confutatore della condannata dottrina di Pelagio.
  Il Catechismo tradizionale e autentico dice:
  "Il Battesimo è assolutamente necessario per salvarci, avendo detto espressamente il Signore: Chi non rinascerà nell'acqua e nello Spirito Santo non potrà entrare nel Regno dei cieli".
  E la Grazia salvifica santificante, perduta col peccato attuale, si ricupera con il Sacramento della Penitenza:
  "I Sacramenti che conferiscono la prima Grazia santificante, che ci rende amici di Dio, sono due: Il Battesimo e la Penitenza [acquistata, di regola, dal confessore]". "Si chiamano perciò i Sacramenti dei morti, perché sono istituiti principalmente per ridare alle anime morte per il peccato [originale e attuale] la vita della Grazia".
  "Fuori della Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana nessuno può salvarsi, come nessuno poté salvarsi dal diluvio fuori dell'Arca di Noè, che era figura di questa Chiesa".
  "Chi trovandosi senza sua colpa, ossia in buona fede, fuori della Chiesa, avesse ricevuto il battesimo, o ne avesse il desiderio almeno implicito; cercasse inoltre sinceramente la verità, compisse la volontà di Dio come meglio può; benché separato dal corpo della Chiesa, sarebbe unito all'anima di lei e quindi in via di salute".
  Evidentemente le condizioni di battesimo di desiderio, di sincera ricerca della verità e di compimento della volontà di Dio, sono tali per cui trattasi di eccezioni, e tuttavia di maggior stato di pericolo rispetto ai buoni che si trovano nella Comunione dei santi.
  Se così non fosse, verrebbe meno la necessità della stessa Missione evangelica comandata esplicitamente da Nostro Signore:  “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato” (Mc. 16, 15-16).
  Se non bastasse, ricordiamo l'Enciclica Humani generis (1050) di Pio XII dove così insegna:
  "Benché la ragione umana, assolutamente parlando, con le sue forze e con la sua luce naturale possa effettivamente arrivare alla conoscenza, vera e certa, di Dio unico e personale, che con la sua Provvidenza sostiene e governa il mondo, ed anche alla conoscenza della legge naturale impressa dal Creatore nelle nostre anime, tuttavia non pochi sono gli ostacoli che impediscono alla nostra ragione di servirsi con efficacia e con frutto di questo suo naturale potere. Le verità che riguardano Dio e le relazioni tra gli uomini e Dio trascendono del tutto l'ordine delle cose sensibili. Quando poi si fanno entrare nella pratica della vita e la informano, allora richiedono sacrificio e abnegazione.
  "Nel raggiungere tali verità, l'intelletto umano incontra ostacoli sia a causa della fantasia, sia per le cattive passioni provenienti dal peccato originale. Avviene che gli uomini in queste cose volentieri si persuadano che sia falso, o almeno dubbio, ciò che essi non vogliono che sia vero! Per questi motivi si deve dire che la Rivelazione divina è moralmente necessaria affinché quelle verità che in materia religiosa e morale non sono per sé irraggiungibili, si possano da tutti conoscere con facilità, con ferma certezza e senza alcun errore (Conc. Vat. D. B. 1876, Cost. De fide cath., cap. 2, De Revelatione).
  "Anzi, la mente umana qualche volta può trovare difficoltà anche nel formarsi un giudizio certo di credibilità circa la fede cattolica, benché da Dio siano stati disposti tanti e mirabili segni esterni, per cui anche con la sola luce naturale della ragione si può provare con certezza l'origine divina della Religione cristiana. L'uomo infatti, sia perché guidato da pregiudizi, sia perché istigato da passioni e da cattiva volontà, non solo può negare la chiara evidenza dei segni esterni, ma anche resistere alle ispirazioni che Dio infonde nelle nostre anime.
  "Chiunque osservi il mondo odierno, che è fuori dell'Ovile di Cristo, facilmente potrà vedere le principali vie per le quali i dotti si sono incamminati..."
  Segue un elenco degli errori dovuti ai cattivi maestri.
  Pertanto "la Rivelazione divina è moralmente necessaria". Tuttavia, avendola appresa, resta il bisogno di applicarla, talché occorrono, di norma, per i non cattolici, l'ingresso nella Chiesa e i Sacramenti.
  Sulla negazione di tali verità dogmatiche appare reggersi in piedi l'inganno che stabilisce come acattolici, ebrei, maomettani e pagani possano avviarsi, senza convertirsi, a raggiungere Dio, come essi siano atti a operare il bene sufficientemente, e siano innocui portatori di errori ai veri credenti e alla restante umanità.
  Diede il via a quet'ultimo errato presupposto l'ottimismo di Giovanni XXIII. La Mater et Magistra, rivolta ad ogni popolo, fece assegnamento sul prossimo buon governo di genti refrattarie tanto alla giustizia quanto alla verità.
  Con la pratica adesione al pelagianesimo, gli auto-esautorati pontefici hanno praticato l'orribile e assurda abolizione della peste eretica, sempre combattuta dalla Chiesa. Dopo il largo ecumenismo, si è giunti al disprezzo del fare proseliti.
  Infine, l'aver reso relativa la Legge di Dio corrisponde bensì a una sopravvalutazione della coscienza del trasgressore, soggetta alle conseguenze del peccato originale.
  Queste sono eresie che discendono dal pelagianesimo, per così dire, secondarie, sebbene affatto condannabili.


Piero Nicola

venerdì 8 luglio 2016

Islam: un altro scandalo (di Ezio Minerva)

Se il cristiano deve necessariamente considerare ogni persona come una creatura dotata di assoluta dignità, infatti creata ad Immagine e Somiglianza di Dio, è comunque doveroso non edulcorare e ancor meno censurare la realtà dei fatti, per quanto spiacevoli possano essere.
Riferendomi specificatamente alla religione islamica, non voglio soffermarmi a valutare le banali considerazioni di buonisti, progressisti, laicisti e diversamente cattolici, drammaticamente estranei alla storia ed incapaci di sospettare come, assai comprensibilmente e legittimamente, un normale musulmano consideri, a fronte del Corano, carta straccia le costituzioni occidentali, valuti, a fronte dell'operato e dei comandi di Maometto, ridicole se non sataniche le bonarie disquisizioni di politici, giornalisti, intellettuali e purtroppo vari chierici, persino impotenti nel comprendere la pregnanza del fatto religioso per un uomo non drogato dai mali di questa società.
Dal nichilismo all'edonismo, dal relativismo al materialismo, di solito è proprio chi rifugge o almeno avverte la nefasta portata di tali dinamiche a sottolineare l'invincibile frattura esistente fra la civiltà occidentale e quella islamica, insultati, a loro immemore onore, dai citati multiculturalisti, solitamente ben attestati nei loro monoculturali quartieri.
L'innegabile denigrazione della donna - assai meno drammatica in Paesi come la Siria, subente l'attacco degli Stati Uniti – nonché l'altrettanto innegabile e addirittura fondante vocazione ad inquadrare ogni uomo, volente o dolente, fra le sottomesse fila di Allah, costituiscono gli aspetti più utilizzati dai così detti populisti e xenofobi per descrivere la religione musulmana, tuttavia quasi nessuno, almeno nei media più diffusi, evidenzia una dinamica determinante per la società, la storia e la dottrina islamica; quella dello schiavismo.
Dai trasporti all'agricoltura, dall'esercito all'artigianato, dall'edilizia alle bonifiche, pressoché ogni società musulmana, nel corso della storia, ha fatto della schiavitù un fattore portante e dunque quasi onnipresente, prezioso per il proprio espansionismo militare, irrinunciabile per il sostegno della sua economia, tanto che la prima apparizione della tratta schiavista in Africa si ebbe proprio a pochi decenni dalla comparsa della religione di Allah.
O profeta! Noi ti abbiamo reso lecite: le tue mogli alle quali hai pagato le loro spettanze, le donne venute in tuo possesso come parte del bottino concessoti da Dio” (Corano, sura XXXIII, 50). Esplicitamente legittimata e persino promossa dal Corano, la schiavitù, praticata dallo stesso Maometto, ha rappresentato infatti una pressoché costante ricompensa delle vittorie militari islamiche, nonché la prima causa d'innesco al razzismo verso i neri, in quanto - come successe successivamente per la tratta occidentale, posta in essere contro il Cristianesimo e infine vinta soprattutto grazie al Cristianesimo – risultò assai comodo e forse spontaneo non riconoscere una piena dignità umana a chi si stava sottomettendo, tanto che, quando i soggiogati erano musulmani, non di rado le comunità faticavano a celare un certo imbarazzo, consce dei versetti coranici invitanti ad una loro numericamente parziale liberazione.
Gli adepti del sincretismo s'irritano innanzi a queste realtà, recentemente sottolineate da un autore non certo filo-cattolico come Olivier Pétré-Grenouilleau e dall'assai più sagace Rodney Stark, ma anche loro non possono negare gli harem di concubine, gli eunuchi posti a loro guardia, i bambini europei consegnati all'Impero Ottomano, evidenze storiche infatti più o meno conosciute da tutti.
Purtroppo assai meno conosciuto, e ancor meno divulgato, è il fatto che mai nell'Islam si è aperto un autentico dibattito sulla liceità della schiavitù, tanto che nella seconda metà del XIX secolo il Mediterraneo era ancora solcato dai pirati musulmani, tanto che fu solo grazie alle vincenti pressioni militari e politiche degli europei coloniali del XIX e XX secolo, fascisti italiani compresi, che lo schiavismo venne abolito negli Stati islamici soprattutto africani, sino ad arenarsi, in Arabia Saudita, nel 1962.
Qui però non si vuole giudicare nessuno, tanto meno quei numerosi musulmani che conducono una vita degna, onesta e a volte edificante, non di rado a confusione di milioni di occidentali autoprivatisi del senso stesso dell'esistenza, il quale, se autentico, non può che vincere ogni morte e la morte, essendo pervaso ed animato dal Risorto e dal suo Vangelo.
Il giudizio, alquanto severo, è invece doveroso applicarlo alle tesi occidentali dei 'maestri del nulla' che, essendo tali, sono anche 'guide cieche', desiderosi di tracciare il futuro senza conoscere il passato, d'organizzare il presente senza aver coscienza di altri significativi presenti, come quelli della Mauritania, delSudan e di vari territori africani, nei quali, Isis a parte, ancora oggi la schiavitù viene praticata, non da missionari cattolici, validi conoscitori del Vangelo, ma da altri attivisti, altrettanto validi conoscitori della loro religione.

Ezio Minerva

giovedì 7 luglio 2016

L'UMIDITÀ NEI POZZI (di Piero Nicola)

  In questo modo di falsificatori, qualche volta è bene riscoprire l'umidità nei pozzi, ossia le pacifiche realtà.
  Giorni fa su Il Giornale è comparso un titolo che dovrebbe sorprendere: "Così tra Brexit e Europei [di calcio] rinasce l'idea di  Nazione".
  L'"idea di Nazione", o meglio la Nazione, non è mai scomparsa e difficilmente scomparirà. Gli stessi europeisti, i mondialisti arcobaleno, i cittadini senza frontiere, i senza patria, a un certo momento si scoprono campanilisti. Ciò perché, la lingua, la razza, gli usi, le tradizioni, i monumenti e i ruderi di casa propria, la cucina della mamma e del luogo, gli eroi e i santi patroni, li distinguono, anche loro malgrado, da tutti gli altri.
  L'Europa Unita è un'artificiale costruzione politica, come tale destinata a disfarsi. La Commissione di Bruxelles, l'Europarlamento, la BCE, sono organi di governo, legislativi e finanziari che usurpano assai la sovranità degli Stati membri; in modo irrazionale, dato che le Nazioni sussistono con i loro interessi legittimi e indistruttibili. Sembra lapalissiano ricordarlo, ma decenni di propaganda europeista hanno annebbiato le menti.
  Un conto è un'alleanza economica, altra cosa è la finzione per la quale i popoli non debbano governarsi secondo le proprie esigenze peculiari. Infatti, allorché esse vengono lese troppo palesemente, ecco che appare necessario chiudere le frontiere, ecco che emergono i partiti del patrio sentimento, ecco che i dittatori dell'UE si trovano nelle peste, e le riunioni dei capi di governo si ripetono inconcludenti. La crescita dell'euroscetticismo diventa concreto incubo dei politicanti. Natura e normalità impongono le loro leggi, non appena l'esagerazione fa male e si manifesta.
  Circa il bisogno spirituale e morale, è sperabile che le melate dottrine religiose e filantropiche stucchino le coscienze. Il miele ha scacciato il sale, la facilità ha distrutto la virile militanza e reso vacuo, oltreché l'inferno, anche il paradiso. I cattivi e i moderni bucanieri, fondatori della Nuova Sodoma, approfittano del buonismo, ma si scherza col fuoco. Siamo tutti figli dell'ira (senza la Grazia santificante) i buoni lo sono e, in ribellione verso i loro maestri, potranno convertire la propria ira funesta nondimeno contro gli idoli proposti dal clero marcescente e dai Signori dei diritti umani di pervertiti.


Piero Nicola 

mercoledì 6 luglio 2016

Valori e deontologia nell'opera di Nicola Petruzzellis

Nella visione petruzzelliana, l'agire umano si rivela intimamente connotato da una tensione immanente, condizionante ma non determinante, verso mete qualificanti, anzi verso fini assoluti alla luce dei quali esprime il suo più intimo significato..
 Giovanni Turco


 Strenuo difensore ed autorevole, fedele interprete della metafisica classica, Nicola Petruzzellis (Trani 1910 – Roma 1988) ha approfondito e incrementato le ragioni della tenace/efficace attività dei pensatori cattolici refrattari e irriducibili ai tossici sofismi, in frenetica e (in apparenza) inarrestabile circolazione negli scritti dei prestidigitatori filosofanti.
 L'eccellente saggio dedicato a Petruzzellis, Valori e deontologia, pubblicato nella prestigiosa collana della casa editrice romana Studium, è la più recente opera di Giovanni Turco, pensatore autorevole, schierato nella prima fila dei cattolici non narcotizzati dalla mitologia intorno al Vaticano II e perciò resistenti alle abbaglianti suggestioni del neomodernismo.
 Turco propone la lettura dell'ingente opera del Tranese quale antidoto alle elucubrazioni pseudo filosofiche e ai desolati sofismi teologici urlati dai post moderni e sussurrati nelle sacrestie degli incalliti modernizzatori, circolanti/galoppanti nel triste pensatoio da Pier Paolo Ottonello intitolato al debolismo.
 Ora il nodo che l'ateismo moderno ha stretto intorno alla vera filosofia è il criticismo kantiano, ossia l'intenzione sofistica di screditare, squalificare e mettere al bando la metafisica in vista di un'età pacifica e felice.
 La contraria lezione impartita dalle guerre illuminate dal moderno non disarmò – purtroppo - la fazione dei cattolici infatuati dalla abbagliante filosofia di Kant.
 Spaventati o ubriacati dalle squillanti frottole, dietro le quali il Novecento nascondeva il proprio feroce e sanguinario malessere, i teologi dai nervi fragili e modernizzanti caddero ginocchioni davanti alla parodia kantiana del pensiero filosofico.
 Quello concepito da Kant, è un programma in cui agisce l'influsso della tenebrosa avversione di Martin Lutero alla verità cattolica.
 Conseguenza della rivolta luterana e kantiana è lo scetticismo al galoppo dogmatico nella mente dei pensatori scismatici, a proposito dei quali Petruzzellis affermava: “E' proprio, come è noto, dall'agnosticismo metafisico del criticismo che trae vigore il rifiuto, in tanta parte del pensiero contemporaneo, dell'affermazione razionale dell'esistenza di Dio”.
 Petruzzellis, in sintonia con Cornelio Fabro, insorge contro la sofistica di matrice luterana, causa delle disavventure del pensiero moderno, e propone, quale efficace terapia, le ingenti opere dei cattolici San Tommaso d'Aquino e Giambattista Vico.
 Alla luce della metafisica tomasiana e della scienza nuova vichiana è possibile schivare i trabocchetti del falso ecumenismo, e confutare l'oscuro, modernizzante pregiudizio “che vieta di estendere il principio di causalità al di là del campo dei fenomeni”.
 Rimossi i pregiudizi antimetafisici, svelate le aporie che inceppano il sistema e conteggiate le esigenze insoddisfatte dalla filosofia di Kant, Petruzzellis afferma l'inderogabile obbligo di riabilitare “la ricchezza imprescindibile dell'esperienza”.
 Di qui la legittimità del pensiero fondato sul riconoscimento “che la realtà nella quale siamo immersi esiste ma potrebbe anche non esistere … infatti se ciò che è dato fosse l'Assoluto sarebbe intimamente contraddittorio” . Di qui, infine,l'obbligo di risalire a una casa increata”, un dovere cui nessuno può seriamente sottrarsi.
 La riabilitazione della metafisica, in ultima analisi è la premessa necessaria all'uscita dell'uomo moderno dalla macchina che fa girare i valori e le leggi intorno ai mutevoli e capricciosi stati d'animo dei legislatori e dei loro elettori.
 Petruzzellis afferma infatti che “la vera filosofia dei valori è proprio la filosofia dell'essere in quanto sia intesa in tutta la sua profondità, fecondità e organicità”.
 L'alternativa alla metafisica è il vago e stucchevole buonismo, predicato dai teologi dimezzati e perciò incapaci di vedere il delirio a due teste matte – la falsa religione e il laicismo – un'alienazione che incombe minaccioso sui piaceri promossi dal pensiero rovesciato nella fantasticheria.


Piero Vassallo

domenica 3 luglio 2016

MA QUESTO GARIBALDI È DAVVERO ESISTITO? (di Emilio Biagini)

Applicazione a un personaggio laico dei metodi critici
usati dalla critica storica laica quando si tratta di Gesù

La schiatta dei Garibaldi, di probabili quanto oscure origini longobarde, pare fosse insediata nella mitica città di Nizza che, a detta di taluni archeologi, si troverebbe da qualche parte sulla costa mediterranea, mentre secondo altri sarebbe nell’interno, forse nel Monferrato. Pare che, verso gli inizi del secolo diciannovesimo, diversi Garibaldi fossero battezzati col nome Giuseppe, che forse era il nome del nonno paterno, o di quello materno, o di tutti e due, o di nessuno dei due.
Non vi è accordo fra i garibaldologi circa la questione se il mitico Garibaldi, che pare abbia combattuto nel Sudamerica, forse per l’Uruguay contro il Brasile o per il Paraguay contro l’Argentina, sia o meno il medesimo Garibaldi che era partito dalla mitica Nizza per commerciare in Sudamerica. I detrattori antigaribaldisti affermano che sotto la Croce del Sud costui si sarebbe dedicato soprattutto a promuovere nel continente sudamericano gli interessi degli imperialisti e sfruttatori britannici, oltre a dedicarsi alla tratta dei cinesi per le miniere di guano, dove i malcapitati morivano come le mosche, e al furto di cavalli, reato per il quale gli tagliarono le orecchie. Se l’avesse fatto nell’America del Nord la cura sarebbe stata più radicale, ma purtroppo in quella del Sud erano di cuore tenero.
I garibaldologi ortodossi e politicamente corretti sostengono, invece, che il Garibaldi del Sudamerica si sarebbe comportato da eroe, pugnando per la libertà. Gli studiosi più avvertiti, tuttavia, opinano che tali voci non siano che sterili sviolinate, spiegabili con l’appartenenza del soggetto ad una società segreta nata in Gran Bretagna, dedita all’erezione di muri, muretti ed altre opere muratorie. Detta società avrebbe una certa tendenza a gonfiare le gesta dei suoi affiliati e, in fatto di controllo su cattedre, giornali, radio, televisione e cinema, avrebbe le mani lunghissime ed un’elevata capacità di manipolare i cretini che formano l’opinione pubblica.
Pare che, successivamente, l’individuo (o un suo omonimo) sia apparso in Italia e sia entrato in contatto con un altro Giuseppe, più Giuseppe di lui, nativo di Mezastrassa, e anch’egli affiliato alla società dei muretti. La debole mente di Garibaldi ne sarebbe uscita infiammata contro la Chiesa e il Papa, che sembra egli chiamasse “un metro cubo di letame”.
Quando scoppiò il Quarantotto, con l’Europa in subbuglio per la metastasi giacobina iniziata nel secolo precedente, la società dei muretti, soprattutto britannica, ritenne giunto il momento di infliggere il colpo decisivo alla Chiesa, murandola viva, col privarla del potere temporale. A questo scopo si rivelarono particolarmente utili gli affiliati italiani, fra i quali si distinse un certo conte piemontese, il quale, oltre che muratore, pare fosse anche abile tessitore.


Fuggito il Papa da Roma di fronte all’incalzare della plebaglia assassina aizzata dai costruttori di muretti, venne costituita la Repubblica Romana, nella quale la cura dei malati negli ospedali venne affidata alle donne di malaffare, dopo che le suore ne erano state cacciate in malo modo per affermare la sana laicità dello Stato repubblicano. Con poche idee, ma tutte accuratamente confuse, giunse, a dirigere il bailamme romano, il Giuseppe nativo di Mezastrassa.
Secondo la tradizione agiografica garibaldica, nella difesa della Repubblica Romana si sarebbe distinto un certo Garibaldi, che taluni considerano identico a quello che pare avesse fatto il ladro di cavalli e il mercante di schiavi cinesi nel Nuovo Mondo. Non vi sono tuttavia documenti storici inoppugnabili che dimostrino la continuità storica del personaggio. Infatti, il mitico “difensore” della Roma “repubblicana” dall’offensiva austriaca viene presentato dai suoi agiografi come abile, impavido ed eroico, ma una simile versione contrasta con il modo incompetente, dilettantesco e ridicolo con il quale venne condotta la difesa, ciò che rende lecito ogni dubbio non solo sulle capacità del mitico “condottiero”, ma anche sulla sua stessa esistenza.
Sembra tuttavia probabile che, tra i falliti rivoluzionari fuggiti dopo la sonora sconfitta, vi fosse un individuo di nome Garibaldi, che pare fosse accompagnato da un altro individuo di “sesso”, o meglio “genere”, femminile, per il quale la leggenda tramanda il nome di “Anita”. Ora, questa donna sembra fosse di origine sudamericana, e ciò potrebbe sostanziare l’ipotesi di un’identità del presunto agente dell’imperialismo britannico chiamato Garibaldi, che, come abbiamo visto, nel Nuovo Mondo avrebbe trafficato in cavalli rubati e in cinesi deportati, e il fuggitivo dalla disfatta romana.
Se non che l’insistito aspetto romantico della fuga, la malattia della donna, la sua morte in circostanze fortemente tragiche, in ambiente paludoso e inospitale, durante l’inseguimento di soldati e sbirri austriaci e papalini, fanno dubitare della veridicità dell’intero episodio, di colore nettamente agiografico, drammatizzato fino all’abbandono del cadavere insepolto.
Una versione più attendibile, e in carattere con un simile avventuriero, se mai è veramente esistito, asserisce che sì, qualcuno fuggì da Roma accompagnato da una femmina, probabilmente di malaffare, visto che le puttane avevano entusiasticamente collaborato alla rivoluzione sostituendo, come abbiamo osservato, le suore cacciate dagli ospedali. Ad un certo punto, essendosi la donna sentita male per qualche malattia connessa al suo mestiere, e forse anche per gli strapazzi sofferti, il suo compagno l’avrebbe ammazzata perché gli rallentava la fuga, e nel timore che, se fosse caduta viva nelle mani della polizia, avrebbe potuto parlare, dando informazioni pericolose sull’occasionale compagno. Tale era infatti la versione accreditata dal medico dello Stato Pontificio che esaminò il cadavere, trovandovi evidenti tracce di strangolamento: versione peraltro vivacemente contestata dalla società dei muretti, secondo la quale si tratterebbe di un tentativo reazionario per screditare il presunto “grande eroe risorgimentale”.
Dopo una decina d’anni o poco più, la società dei fabbricanti di muretti aveva messo a punto un piano molto meglio organizzato per murare viva la Chiesa, facendo della religione una questione puramente “privata”, ossia morta per asfissia, mentre la sola “kul-tura” laicista doveva essere pubblica e brutalmente imposta a tutti. Parte fondamentale di questo piano fu la bestiale aggressione al cattolicissimo Regno delle Due Sicilie, compiuta corrompendone i capi militari, grazie alle enormi somme donate a tal fine, con mirabile generosità, da diverse logge muratorie, ed in special modo da quelle di Edimburgo. Generosità veramente mirabile, dato che i generosi anglosassoni pretesero poi il rimborso con gli interessi nell’arco di soli cinquant’anni, che il felicemente costituito Regno sabaudo d’Italia pagò, o meglio fece pagare ai felici sudditi, inventando perfino la felice tassa sul macinato.
Occorreva che questa aggressione anglo-sabaudo-muratoria sembrasse uno spontaneo moto popolare, e per questo, con due vapori scortati e gelosamente protetti dalla marina britannica, fu inviato un migliaio di borghesucci e arrivisti di varia estrazione, che sbarcarono in Sicilia, dove l’“intelligence” britannica aveva spianato in tutti i modi la via all’invasione. I mille furono ben presto rafforzati da mafiosi, da avventurieri di mezza Europa e da numerosissimi soldati professionisti del regime sabaudo-muratorio del Nord, mandati stranamente “in licenza”.
Mafia, ‘ndrangheta e camorra, fino ad allora organizzazioni di piccolo cabotaggio criminale, vennero enormemente potenziate dall’alleanza con gli invasori e dal saccheggio delle ben fornite casse statali del Regno borbonico, così che crebbero a dismisura e acquisirono il controllo di ampi territori. Le terre comuni, che permettevano di vivere a tutti, anche poveri, furono ingoiate da profittatori senza scrupoli, ponendo le basi per la disperata insorgenza dei cosiddetti “briganti” e alla biblica emigrazione dal Sud. Questo, che era ricco, ben governato e altamente civile, ma odioso ai soloni britannici e ai loro italici burattini risorgimentali perché profondamente cattolico, andava saccheggiato, castigato ed “educato”: nacque così il “problema Mezzogiorno”.
A capo di una mascalzonata così complessa e ben organizzata, occorreva una figura di avventuriero che accendesse l’immaginazione del popolo bue, e per questo fu estratto dalla naftalina il mito garibaldesco. Approfittando del generale casino da loro stessi provocato nella penisola, i fabbricanti di muretti piemontesi e di altre regioni, avendo le spalle ben coperte dalla muretteria internazionale, e specialmente da quella britannica, dapprima ingoiarono Parma, Modena e la Toscana, grazie a pseudorivoluzioni pseudopatriottiche inscenate da delinquenti prezzolati. Poi invasero, senza dichiarazione di guerra e senza un’ombra di giustificazione, lo Stato della Chiesa, annettendone la maggior parte.
Poiché un pezzo dello Stato Pontificio sussisteva ancora, i medesimi poteri occulti, ma non troppo, ritornarono alla carica pochi anni dopo, dapprima agitando il fantasma del “grande condottiero” Garibaldi, con la scusa di oscure sparatorie fra banditi e forze dell’ordine, verificatesi in Aspromonte e a Mentana, e poi aggredendo sfacciatamente il Papa con i bersaglieri del regime muratorio sabaudo, per strappargli l’ultimo pezzo di terra.
Non potendo distruggere il Cristianesimo tutto in un colpo, tentarono di diffondere, come prima fase della secolarizzazione, il protestantesimo. Infatti, il primo civile ad entrare in Roma, dopo lo sfondamento di Porta Pia, fu il “colportore”, ossia il venditore di Bibbie protestanti: figura dell’aggressione alla Chiesa assai più emblematica e significativa dell’evanescente “condottiero” Garibaldi.
In quest’ultima e decisiva fase dello stupro del Cristianesimo, il Garibaldi, o chiunque si nascondesse sotto questo nome, non ebbe alcuna parte, ciò che avvalora l’ipotesi che si tratti di un semplice prestanome, utilizzato a scopi propagandistici, ma non più necessario, una volta che la società dei costruttori di muretti ebbe reso il regime muratorio sabaudo abbastanza forte da aggredire il Papa senza bisogno di complicate menzogne propagandistiche, precisamente come avvenne in una certa favola avente a protagonisti un lupo e un agnello.
L’ultima fase della leggenda ha per scenario l’isola di Caprera, dove, in effetti, visse un laido vecchiaccio che affermava di chiamarsi Garibaldi e si vantava di aver fatto l’“eroe” in “due mondi”, e pretendeva addirittura di aver combattuto quaranta battaglie, perdendone solo tre, quindi con un’incredibile percentuale di successo del 92,5%, mai raggiunta neppure dai generali che non perdono mai, cioè quelli che compilano i bollettini di guerra. Aveva conquistato mezza Italia, diceva lui, e l’aveva graziosamente regalata, senza pretendere niente in cambio, ad una cucurbita coronata (affiliata a sua volta alla società dei costruttori di muretti) che si trovava per caso a passare in quel di Teano. Ma, a parte l’assurdità di simili vanterie senili, il vegliardo era talmente malconcio e paralizzato dall’artrite (a causa del frequente dormire all’aria aperta, diceva lui) che le sue smargiassate appaiono semplicemente ridicole.
L’intera operazione di massacro e distruzione del Cattolicesimo in Italia, che va sotto il nome improprio di “risorgimento”, è un fatto indubbio, ma di certo non può essere avvenuta che sotto la sapiente regìa di poteri forti e dotati di enormi risorse, fra i quali spiccava al massimo grado il servizio segreto britannico-massonico.
Simili poteri forti, che, allora come oggi, avevano il totale controllo dei giornali, erano perfettamente in grado di inscenare enormi montature propagandistiche su inesistenti, o almeno selvaggiamente gonfiate, figure carismatiche per impressionare la plebe e menarla per il naso. Tutto ciò giustifica i più seri dubbi sulla reale esistenza del presunto “eroe” rispondente al nome di Giuseppe Garibaldi.


Emilio Biagini