lunedì 27 febbraio 2017

L’apertura al peccato di ‘Amoris Laetitia’ anticipata dalla ‘Pastorale di Cambrai’ del 2003 (di Paolo Pasqualucci)

Perché l’Esortazione Amoris Laetitia di Papa Francesco “sull’amore nella famiglia” ha destato tanta agitazione e scandalo, spingendo ben quattro cardinali ad avanzare cinque mesi fa cinque (finora inevase) richieste di chiarimenti (Dubia), coinvolgenti pesantemente l’ortodossia dottrinale del documento pontificio?
Perché, nel suo cap. VIII, ai parr. 300-305, si concede (secondo l’interpretazione dei vescovi argentini, approvata dal Papa stesso in una lettera con l’ormai famoso no hay otras interpretaciones) la “possibilità di accostarsi alla Santa Comunione fuori delle condizioni di Familiaris Consortio n. 84”, come recita il Dubbio n. 1. 
‘Mbè, tutto qui?  si chiedono i media, in genere pieni di lodi sperticate per la “misericordia” a 360° di Papa Francesco.  Che vogliono questi quattro cardinali, persone anziane e a riposo, che niente capiscono, sempre secondo i media, delle esigenze di vita della coppia moderna?  Che c’importa di quello che ha detto in un vecchio documento pastorale un Papa ormai defunto da dodici anni?  Il fatto è che i media che contano non sembrano aver mai spiegato chiaramente i termini della questione, che è di una gravità eccezionale, per la Chiesa cattolica.

1. L’Esortazione Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II.  Andiamo a leggere il n. 84 di FC, Esortazione del 22 novembre 1981 dedicata ai compiti della famiglia cristiana nel mondo odierno.  Dopo aver lamentato la piaga del divorzio e affermato che la Chiesa “non può abbandonare a se stessi coloro che, già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale, hanno cercato di passare a nuove nozze”, ragion per cui erano caldamente esortati i pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutassero i divorziati “procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa”; dopo questa caritatevole premessa il Papa ribadiva, come suo dovere, la dottrina perenne della Chiesa: 
“La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza.  La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati.  Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia”. Infatti, postillo, la prassi della Chiesa, fondata sulla Scrittura, risale a san Paolo, il quale, per divina rivelazione, ci ha ammonito che chi si comunica in peccato mortale compie sacrilegio nei confronti del Corpo di Cristo, aggiungendo quindi peccato a peccato.
“Perciò chiunque mangia questo pane o beve il calice del Signore indegnamente sarà reo del corpo e del sangue del Signore.  Ognuno dunque esamini prima se stesso e così mangi di quel pane e beva del calice; perché chi mangia e beve senza discernere il Corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna”(1 Cr 11, 27-29).
L’ esortazione di Giovanni Paolo II così continuava:  “C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale:  se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio”.  Questo il secondo motivo, sussidiario al primo, per il quale non si poteva assolutamente concedere l’Eucaristia ai divorziati risposati conviventi more uxorio. 
Cosa dovevano fare allora costoro per esser in regola con l’insegnamento della Chiesa?  E quindi, per potersi accostare all’Eucaristia? Dovevano ricevere l’assoluzione penitenziale che poteva esser data “solo a quelli che, pentiti di aver violato [divorziando e risposandosi] il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio.  Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi”.  In aggiunta, il Papa proibiva coerentemente “per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, di porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere.  Queste, infatti, darebbero l’impressione della celebrazione di nuove nozze sacramentali valide e indurrebbero conseguetemente in errore circa l’indissolubilità del matrimonio validamente contratto”[1].
Ma non è crudele imporre alla coppia di vivere come “fratello e sorella”, accusano i nemici della nostra religione?  No, perché l’ardua prova si può sostenere validamente con l’affidarsi interamente a Nostro Signore, con le preghiere quotidiane ma soprattutto con una fede generosa e totale nell’aiuto indispendabile e deciviso che ci viene dalla sua Grazia rigeneratrice.  E il premio per chi vince queste ardue battaglie contro se stesso è incommensurabile, è la vita eterna.

2. Gli articoli 300-305 di Amoris Laetitia concedono la possibilità di aggirare la dottrina perenne. Ora, negli articoli citati di AL, in particolare nella famigerata nota n. 351 dell’art. 305, sembra che effettivamente le “condizioni”richieste da FC 84, sulla base dell’insegnamento perenne della Chiesa, vengano aggirate.  Recita, infatti, il testo, subito dopo aver ridotto la portata assoluta della legge naturale, cosa di per sé molto grave e del tutto inaccettabile in un documento pontificio: “A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa”.  Tale aiuto, proseguiva la citata nota n. 351 “In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti [inclusa quindi l’Eucaristia].  Per questo, ‘ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura etc.”[2].
Riesce difficile al senso comune concepire una situazione “oggettiva” di peccato (p.e. la convivenza more uxorio di un divorziato risposatosi civilmente) che consenta a chi l’ha provocata e la mantiene di vivere ugualmente “in Grazia di Dio” a causa del suo modo di “amare”, di vivere in generale la sua situazione; o comprendere come essa non sia situazione di peccato anche “soggettivamente”, come se il responsabile di tale situazione, un cattolico, non sapesse il significato di quello che ha fatto e sta facendo.  E nemmeno appare chiaro che cosa voglia dire ipotizzare l’esistenza di una colpevolezza soggettiva però “non piena” e quindi (si suppone) parziale.  Si tratta di nozioni vaghe, indeterminate, adattabili ad ogni caso concreto che si presenti.  Che sarebbe poi quello menzionato dalla nota, dal suo incipit: “In certi casi…”.   Ovvero:  data una situazione di colpevolezza oggettiva ma non soggettiva o non piena dal punto di vista soggettivo, si può ammettere che “in certi casi” chi si trovi in tale situazione potrebbe essere “accompagnato” nel suo “cammino” di inserimento nella Chiesa “anche con l’aiuto dei Sacramenti”.  E quindi anche con la partecipazione all’Eucaristia. Potrebbe, dice Papa Francesco.  Ma l’uso del condizionale non occulta il fatto che qui si stabilisce un principio applicabile ogni volta che si verifichino “certi casi”, principio che ha dunque portata generale:  d’ora in poi è possibile ai divorziati risposati conviventi more uxorio e quindi peccatori in stato costante e consapevole di peccato mortale (costituito da adulterio, concubinato, fornicazione, per chiamare le cose con il loro impietoso nome cristiano), accostarsi “al Corpo del Signore” pur restando in tutti questi loro peccati, da nessuno dei quali intendono emendarsi.
Che un Romano Pontefice conceda una tale apertura al peccato, è il caso di dire, contravvenendo in modo clamoroso al suo dovere, stabilito da Nostro Signore in persona, di “confermare nella fede i suoi fratelli” mediante la custodia attiva del Deposito della Fede, è cosa talmente grave ed incredibile, che i quattro cardinali, sorretti sicuramente dall’appoggio silenzioso di altri cardinali e di vescovi, si sono ritenuti giustamente in dovere di chiedere al Papa, nella forma tradizionale e rispettosa ma ufficiale del Dubium, se è proprio vero che l’art. 305 e la correlata nota n. 351 permettono di violare di fatto la dottrina di sempre della Chiesa, ribadita in ultimo da FC 84.
 La violazione consiste nel permettere caso per caso ciò che è espressamente proibito, da san Paolo in poi, cioè dalla fondazione stessa della Chiesa, sotto pena di condanna alla dannazione eterna.  L’eccezione alla norma vigente ammessa da Amoris Laetitia costituisce dunque una vera e propria apertura al peccato e da parte di un Papa!
Gli altri quattro Dubia ricavano, con stringente logica, le conseguenze che si devono trarre dal principio anomalo ed eversore introdotto dal documento bergogliano.  E cioè se esistono ancora, per l’etica cattolica, norme morali assolute, che non si possono in alcun modo violare, come per l’appunto la proibizione di comunicarsi in peccato mortale;  se ancora esiste una condizione oggettiva di peccato mortale, dopo le confuse distinzioni di AL fra l’oggettivo, il soggettivo e il meno pieno;  se le disposizioni interne, della coscienza del soggetto, possono render irrilevante la sua situazione oggettiva di peccato grave, visto che esse potrebbero consentire al penitente di comunicarsi pur restando in peccato grave; se, tutto ciò considerato, si deve adesso ammettere che la coscienza individuale possa svolgere una funzione creativa nell’ambito della morale, cosa contraria al fondamento stesso dell’etica cristiana, che riposa sulla divina Rivelazione mantenuta e insegnata dalla Chiesa, non sul sentire, individuale ed erratico, della nostra coscienza.
Non approfondirò qui il discorso sui quattro Dubia.  Cercherò invece dimostrare quanto sia falsa quella che sembra esser un’opinione diffusasi nei media, aver cioè l’intervento irrituale del Pontefice permesso la sanatoria di tante situazioni di coniugi “cosiddetti irregolari” che soffrivano in silenzio, di fronte all’incomprensione del loro caso umano da parte dell’autorità ecclesiastica, che sbarrava loro l’accesso alla Comunione.  Falsa, quest’opinione perché la prassi perversa della Comunione ai divorziati risposati conviventi more uxorio è nella Chiesa post-conciliare in vigore da più di trent’anni:  le concessioni di Papa Francesco sono solo servite a legittimarla, in spregio alla dottrina cattolica di sempre, in aperta offesa alla Verità  Rivelata.

3.  La pastorale di Cambrai, distruttrice del matrimonio cattolico. Ciò risulta dall’episodio sconcertante della “Pastorale di Cambrai” che riporto da un articolo dell’Abbé Claude Barthe, apparso sull’autorevole trimestrale cattolico francese Catholica, dell’autunno del 2003[3]. Quasi quattordici anni fa, ma sembra oggi;  anzi, è il nostro sinistro oggi, già pervicacemente presente ieri.
L’ala “liberale” del cattolicesimo francese era da tempo impegnata, esordisce esordisce l’Abbé Barthe, a modificare la prassi della Chiesa “au sujet du ‘remariage’ des divorcés”.  Si trattava appunto di stabilire per loro un processo di “accompagnamento”, ai fini di un loro graduale inserimento nella Chiesa, attuato con il giusto “discernimento”.  L’ala “liberale” aveva comunque messo da tempo in cantiere una vera e propria offensiva contro il matrimonio, in particolare con un libro, mai condannato sottolinea il P. Barthe, di un vescovo a riposo, mons. Armand Le Bourgeois, intitolato Chrétiens divorcés remariés, DDB, 1990.  Vi si contestava che i divorziati “risposati”si trovassero in uno “stato di peccato”. Questo vescovo fedifrago enumerava alcune condizioni per l’ammissione alla Comunione (una certa durata nella vita della coppia, la cura dei figli avuti nel precedente matrimonio etc.).  Dava, inoltre, dei consigli, “risultanti da una prassi già stabilita”, per organizzare una cerimonia riservata nell’occasione del “risposamento” civile dei divorziati: lettura della Bibbia, intenzione di preghiera, animazione da parte di un prete amico.  Non si trattava di una cerimonia nel senso abituale del termine.  Mons. Le Bourgeois rivelava che questa “pastorale” era già praticata in una ventina di diocesi in Francia, Belgio, Canada, Stati Uniti.
Come si è visto, Giovanni Paolo II, già nel 1981, proibiva espressamente cerimonie del genere (vedi supra).  Dovevano essere nell’aria già alla fine degli anni Settanta del secolo scorso.  Comunque sia, il P. Barthe ci informa che la Commissione per la famiglia dell’episcopato francese, in un documento del 1992 concernente Les Divorcés remariés, insinuava in modo “sapientemente velato” la possibilità di queste cerimonie, con le dovute precauzioni.  Circa “l’accesso dei divorziati risposati all’Eucaristia”, esso continuava a praticarsi in modo discreto e spesso veniva inserito come desideratum da parte di certi gruppi di fedeli in molteplici sinodi diocesani francesi negli anni Ottanta e Novanta, tra rivendicazioni concernenti il diaconato, il sacerdozio femminile e l’ordinazione di uomini sposati.  Al sinodo di Nancy del 1990 si ebbe l’audace dichiarazione secondo la quale: “il concubinato è tappa nell’amore, l’ultima essendo il matrimonio”, mentre a livello internazionale questo tipo di rivendicazione era notoriamente sostenuto dai “teologi constestatari”.
Con questi precedenti, si è giunti al documento pubblicato dall’arcivescovo di Cambrai, mons. Garnier, un atto “particolarmente grave”, sottolinea l’Autore, perché documento ufficiale di un vescovo e perché in completa (e aperta) controtendenza rispetto all’indirizzo impresso in questo campo da Giovanni Paolo II, ancora regnante, la cui “restaurazione” dei valori del matrimonio e della famiglia era vista con favore dal clero giovane (sempre secondo il P. Barthe).   Il documento di mons. Garnier “intaccava la dottrina della Chiesa sui Sacramenti”.  Esso era l’espressione del mutamento di strategia del movimento progressista nella Chiesa:  abbandonata ogni pretesa “sociale”, ci si concentrava sul promuovere, a livello dei costumi, una sorta di “democrazia nella Chiesa”, democrazia “delle mentalità”, tutte improntate agli pseudovalori dell’ultramodernità, da far trionfare ovviamente nella Chiesa. Artefici di questa strategia i numerosi organi oggi esistenti nella Chiesa-istituzione, dai consigli diocesani a quelli delle conferenze episcopali, ai media cattolici etc.
La pastorale di Cambrai si basava ampiamente sul ”vissuto” emergente dai “gruppi di riflessione” presenti in discreto numero nella vita ordinaria della Chiesa, dopo il Concilio.  Dava istruzioni dettagliate su come organizzare senza dar nell’occhio la cerimonia per il “risposamento”dei divorziati risposatisi, escludendovi (in teoria) quelle forme che potevano richiamare la vera cerimonia nuziale in chiesa, a cominciare dallo scambio degli anelli.
Si occupava poi della Comunione ai divorziati risposati, lasciando capire, alla fine, che accostarvisi dipendeva dalla loro coscienza.  Una proposizione, ricordo, del tutto contraria all’etica e alla fede cattolica, la quale, secondo i Dubia, sembra potersi ricavare anche da Amoris Laetitia (vedi supra).  Ecco il passo significativo del documento di Cambrai:
“Nonostante la fondata pretesa della Chiesa [in contrario], persone divorziate risposate vengono a fare la Comunione. È un fatto.  Nella maggioranza dei casi il celebrante non li conosce.  Se li conosce, gli sembra odioso respingerli pubblicamente.  In questo caso, il migliore atteggiamento pastorale consiste nello spiegar loro fraternamente, in quanto possibile, il significato e la posta in gioco da parte della Chiesa e nell’invitarli modestamente a porsi in coscienza un certo numero di questioni:  ‘Odio forse il mio primo coniuge?  Come ho vissuto la procedura [di separazione] della giustizia civile?  In tutta verità o no?  Rispetto con fedeltà la corresponsione degli alimenti e la custodia dei bambini?  Ho smesso di servirmi di loro per ottenere informazioni su cosa succede presso colui o colei da cui mi sono separata/o?...’  Sarà sempre opportuno metterli in contatto con qualche membro della commissione diocesana sulla Pastorale familiare.  È sempre “in Chiesa”che si discerne meglio, in tutta carità e verità”.
Testi come questo, rileva giustamente il P. Barthe, “sovvertono in modo indiretto il sacramento del matrimonio”.  Si spiegano solo tenendo presente il grande “rilassamento disciplinare” che pervade l’ambiente ecclesiale.  Ci sono sacerdoti che affidano l’incarico di “animatore pastorale” a persone che si trovano in situazione matrimoniale irregolare, e costoro, in questo loro incarico, non solo ricevono la Comunione ma anche la distribuiscono.  Tra le signore che insegnano il catechismo ve ne sono diverse  di questo tipo, ed è noto che, in certe parrocchie, esse sono in maggioranza non praticanti.   Il lassismo si nota anche dall’impunità con la quale si possono diffondere pastorali come quella di Cambrai.  In effetti, osservo, Giovanni Paolo II ha difeso sì con energia la dottrina del matrimonio e della famiglia, ma quanto a punire i lassismi e le gravi deviazioni dottrinali presenti in queste “pastorali”, che cosa ha fatto?
L’Abbé Barthe conclude il suo breve ma incisivo articolo con acute riflessioni sull’infragilirsi (fragilisation) del matrimonio attuale già nella mentalità dei futuri sposi, che spesso si dimostrano “oggettivamente incapaci di assumere le responsabilità del matrimonio, incapacità accresciuta anche dal fenomeno della coabitazione senza responsabilità che spesso lo precede”.  Candidati al divorzio assai più che al matrimonio.  In effetti, concludo, sono le conseguenze dei pessimi costumi ormai universai, provocati soprattutto dalla c.d. liberazione della donna grazie alla pillola e dalla conseguente  Rivoluzione Sessuale.

  Paolo  Pasqualucci, venerdì 17 febbrario 2017






[1] Giovanni Paolo II, Esortazione Familiaris Consortio sui compiti della famiglia cristiana nel mondo di oggi, www.vatican.va, pp. 71-72 di 76. 
[2] Papa Francesco, Amoris Laetitia , esortazione apostolica sull’amore nella famiglia, introd. di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, San Paolo, 2016, pp. 264-5.   Il concetto espresso nella nota n. 351 era anticipato nella nota n. 336. 
[3] Claude Barthe, La pastorale de Cambrai, ‘Catholica’, Automne 2003, n. 81, pp. 100-106.

sabato 25 febbraio 2017

IL TALLONE D'ACHILLE DELLA NORMALITÀ (di Piero Nicola)

Soltanto i pervertiti negano che la normalità sia una cosa buona. E molti di quelli che dall'idea di essa sono scombussolati, non hanno il coraggio di denigrarla. Non intendo adesso riferirmi alla normalità individuale conforme alla legge di natura. Parlo della vita pubblica alquanto ordinata, dell'ordine pubblico e della realizzazione di una giustizia civile abbastanza soddisfacenti. Essi sono un conforto, una pace che costa qualche sacrificio; occorre accettarlo e anche pregiarlo essendo una rinuncia a fin di bene, suscettibile d'essere virtuosa.
  Voglio far notare come il cittadino che abbia la ventura di vivere in una società assai esente da disordini, che non sia tormentato dal timore di ladri, rapinatori, assassini, raggiri, a cui in qualche modo non si sfugge, si abitui alla sua fortunata condizione senza apprezzarne il valore. È pure comprensibile che ciò avvenga: egli ha diritto ad essere protetto dallo Stato, il cui compito consiste appunto nella tutela del bene comune. A quel cittadino sembrerà scontato che le leggi siano eque, i giudici imparziali, che criminali e malfattori siano puniti e scontino le pene senza indulgenze di sorta. Allora parrà implicita la guerra senza tregua mossa dallo Stato a mafie e camarille, agli spacciatori di droga e ai loro capi; sembrerà normale che siano ridotte ai minimi termini le associazioni a delinquere e sovversive. Ma l'abitudine alla salute ne diminuisce il pregio, lo si ignora cercando un diverso sistema di vita (sociale e individuale) lusinghevole, presumendo di conservarsi ugualmente sani e vigorosi.
  "Quando mai il suddetto benessere poté darsi senza iniquità e oppressioni?" obiettano i democratici, che pure cercherebbero la corruzione (in qualche misura inevitabile) anche dove non c'è. Mettiamo nella sentina loro spettante le vergognose licenze spudoratamente chiamate libertà, i relativi loro diritti stortissimi, e ritroviamo nella storia, magari del primo Ottocento, esempi e testimonianze autorevoli della degna buona vita, priva di veri soprusi commessi dalle autorità. L'hanno rappresentata, nel Granducato di Toscana  e nello Stato della Chiesa, Narciso Feliciano Pelosini, Alfredo Panzini e diversi altri. Invano i libertari e i democratici d.o.c. le contestano una certa arretratezza, accusano la sonnolenza di quelle plaghe, il brigantaggio che qua e là riusciva a far danno.
  Con l'avvento del Regno d'Italia specie molti borghesi s'infatuarono del velenoso progresso liberale, i topi trafficanti e speculatori poterono addentare il formaggio e rimpinzarsi, ma il popolo, i bravi fedeli, subirono la nuova rivoluzione spacciata con nomi falsi e altisonanti. Socialismo, basse brame, vanitose aspirazioni finirono per inghiottire gran parte delle forze sociali operaie e dirigenti. Il contado più quieto, i veri devoti, i preti ossequenti al Papa, furono vasi di coccio stretti tra vasi di ferro. e fecero le spese dei ferrigni interessi. Non si può dire che il rivolgimento avvenne assai per l'ingratitudine popolare rispetto alla vita sana abbandonata, per smanie di novità e di democrazia.
  Viceversa tale fenomeno è accaduto nel Ventesimo Secolo. Se dicessi che quella certa stanchezza del regime fascista, manifestatasi nel lustro che precedette la guerra, fu travisata da storici anche in discreta buona fede, se allegassi il detto di Longanesi - non di certo tenero col regime - riferito ai politici antifascisti che stavano riprendendo il potere : "Si ha sete di punizioni perché si crede con ciò di liberarsi di un triste passato nel quale tutti sono stati benissimo”, qualcuno potrebbe accusarmi di illecita apologia. Ma prendendo in considerazione gli spagnoli e i portoghesi, che erano stati alquanto nel pulito fino alla scomparsa di Franco e di Salazar (i cui sistemi politici furono accettati ufficialmente dall'Occidente), come si spiega che preferirono introdursi nella cloaca massima? Certamente i politicanti sedussero la massa; essa però fu passiva, indifferente a quello che stava per perdere.


Piero Nicola

venerdì 24 febbraio 2017

Necrofilia democratica: La strage degli innocenti

 Imposta da un parlamento intossicato e intontito dalla necrofilia liberal-socialista, l'infezione abortista fu subita e tollerata da un arrendevole partito sedicente cattolico, la Democrazia cristiana, che si era già arresa alla legge divorzista, pur di conservare la poltrona al capo del governo Mariano Rumor.
 Vivente grazie all'ossigeno prestato dai deputati capitolardi, e al sonno di un popolo intontito e narcotizzato dall'urlo del potente e sfrenato giornalismo progressivo, (potere obbediente alla disonesta, mitologica ciancia intorno alla suprema autorità del voto referendario), la infame legge abortista incontra, finalmente, la risoluta e intrepida opposizione di ginecologi dotati di sano e refrattario intelletto.
 Uomini di scienza ritengono che la legge naturale sia degna dell'ossequio che, invece, si deve rifiutare coraggiosamente alla legge positiva inquinata da passioni criminogene, circolanti in una maggioranza politica contagiata e ottenebrata dai pensieri tossici, saliti dal sottosuolo iniziatico e dal vespasiano gay.
 La coraggiosa, irriducibile resistenza dei ginecologi a una disonesta, inumana e tirannica legge, conferma, infine, le ragioni del rovente disprezzo che i cattolici refrattari hanno per tempo rovesciato sull'impagliato buonismo dei radicali d'acquasantiera, preti senza bussola e senza cuore, che depongono la loro inutile ma vergognosa astensione ai piedi dei banditori radical chic di una legge infame e assassina, che li rende meritevoli di un implacabile disprezzo.
 Refrattari, imperterriti in mezzo ai vescovi assordati dall'incessante rumore della stucchevole celebrazione post conciliare, i ginecologi disobbedienti rappresentano l'avanguardia alla quale appartiene il futuro, già in cammino sulle rovine delle moderne rivoluzioni.
 Giuliano Ferrara, uno fra i più lucidi e ostinati difensori del sacro diritto alla vita (specialmente alla vita innocente e indifesa) rivendica i princìpi che i vescovi bergogliani hanno consegnato alla macchina che addolcisce e addomestica i pensieri scomodi e le sfide al potere esercitato dai nichilisti democratici. In un articolo pubblicato oggi nel quotidiano Il Fatto, osa indicare il bersaglio umano, sul quale sono puntati i coltelli affilati dalla della ciancia abortista: “La sanzione della condanna a morte di esseri ancora non nati, piccolissime persone che si possono fotografare, che sentono dolore, che hanno una struttura cromosomico finita e unica al mondo”.
 Le parole di Ferrara azzoppano i camminatori avanzanti (progredenti) sugli acrobatici sentieri del dis-umanesimo di stampo laicista.
 L'aborto è un delitto infame e maramaldesco; delittuosa e spregevole è la legge che lo assolve o addirittura lo incoraggia e lo finanzia. Indecoroso il potere dello stato che una tale legge impone. La disobbedienza degli intrepidi ginecologi per la vita è il segno della albeggiante rivolta contro i mortiferi poteri del progressismo di stampo cainita e/o sodomitico.


Piero Vassallo

giovedì 23 febbraio 2017

L'autoinganno

 Negli anni Cinquanta del xx secolo i giovani studiosi militanti nella destra estrema furono conquistati, affascinati, elettrizzati e depistati da Julius Evola, un instancabile scrittore esoterico, a suo modo geniale.
 Secondo Evola la teologia cattolica era strutturalmente contagiata dall'eredità guelfa (ossia dall'avversione plebea all'autorità ghibellina) e di conseguenza irriducibile alla presunta radice del fascismo, la c. d. tradizione ario-romana, abusivamente associata all'imperialismo e legittimamente associata e assimilata al neopaganesimo circolante in Germania.
 Alla luce di una tale, abbagliante/accecante opinione, l'ortodossa teologia dei cattolici sembrava allineata e sottomessa ai pensieri ondivaghi degli eversori (i guelfi modernizzanti), irriducibili progressisti e perciò facili prede della suggestione marxiana.
 La tesi di Evola, pertanto, contemplava e dimostrava. con acrobatici e sofistici argomenti, la strutturale uguaglianza della teologia tradizionale (in allora difesa valorosamente dal venerabile papa Pio XII) con la teologia progressista, strisciante nei disordinati pensieri dei teologi e dei politicanti impegnati, che il cardinale Alfredo Ottaviani definiva umoristicamente pesci rossi d'acquasantiera.
 Pubblicato nella rivista Ordine nuovo, un articolo di Evola, intitolato La Pira non è pazzo, è cristiano, diventò il motore ruggente dell'equivoco in libera circolazione nell'area della cultura neofascista. Soltanto alcuni intrepidi anticonformisti, Fausto Belfiori, Attilio Mordini, Giano Accame, Carlo Casalena, Pinuccio Tatarella e Primo Siena, resistettero alla calamitosa attrazione della tesi evoliana.
 Dai veementi cori esoterici, nei quali squillavano gli acuti giovanili degli evoliani, la disgraziata trasformazione della parte nel tutto, ossia la inavvertita metamorfosi neopagana della cultura della destra missina.
 La metamorfosi neopagana era (in qualche modo) associata alla proclamata e gridata intenzione di svelare e confutare il progetto eversivo, corrente nei pensieri aperturisti (giudicati autenticamente cattolici!)
 Il pensiero di Evola e della vasta congrega evoliana, aprì una breccia nel muro cattolico della vera destra, una fenditura attraverso cui passarono, quasi indisturbate, le nebbie (germaniche) della ideologia confusionaria.
 Nel cuore della tradizione avventizia, la cecità degli studiosi di neopagani lasciò cadere e dissolversi le ragioni del potenziale argine destro, rappresentato dalla tradizione cattolica, e con ciò contribuì a disporre la cultura patriottica alla contaminazione neopagana.
 L'avversione di Giorgio Almirante al moderato Arturo Michelini potenziò le intenzioni dello scisma laico e accelerò il naufragio della cultura missina sullo scoglio di un frenetico (e anti italiano) laicismo.
 In seguito pensatori più risoluti, refrattari e irriducibili al galoppante progressismo. - ad esempio il padre stimmatino Cornelio Fabro, Luigi Gedda, mons. Luigi Guglielmo Rossi, e Gianni Baget Bozzo - erano respinti in un margine insignificante e deriso dai teologi aggiornati, che si preparavano a trionfare nel Concilio Vaticano II.
 La teologia inquinata dal modernismo e dal progressismo, si trasferì nella pista degli equivoci, in cui galoppavano (indisturbate e applaudite) le bufale anticristiane, abilmente rappresentate e contrabbandate dai media. Le intenzioni di difendere l'ortodossia era messa a tacere e capovolta da un coro, urlante nella lingua dell'avanguardia surreale.
 Alla fine, a difesa della ridotta in cui è esiliata e chiusa la cultura politica dei cattolici, veglia soltanto una dotta minoranza di irriducibili, (ad esempio mons. Antonio Livi, i frati dell'Immacolata, l'intrepido e inflessibile Enrico Maria Radaelli, il sapido Pucci Cipriani, l'erudito, instancabile Paolo Deotto, don Marcello Stanzione, Marco Solfanelli, Roberto De Mattei, Patrizia Fermani, Luciano Garibaldi, Tommaso Romano, Cristina Siccardi) i quali hanno svelato la verità nascosta dai vaticanisti, ossia l'avanzata di una teologia miope, sgangherata e azzoppata dalla incapacità di vedere la desolazione, in corsa sfrenata intorno alla mente dei fedeli ai dogmi crepuscolari del mondo moderno, circolanti in una vera e propria cronaca dei moribondi.
 La controrivoluzione, avviata in Russia da Vladimir Putin e la salita della filosofia americana sul palcoscenico del surrealismo perfetto, inducono a sperare in un risveglio dei testimoni della verità politica, oggi dormiente nelle braccia dell'insignificanza a destra e della dissociazione furente a sinistra.
 I giorni di un coraggioso ripensamento della cultura politica non sono lontani, lo dimostra la vivace fioritura di iniziative editoriali, nelle quali si specchiano l'insufficienza della politica sul palcoscenico e la invincibile speranza di un necessario cambio della guardia.


Piero Vassallo

domenica 19 febbraio 2017

FACCIAMO IL PUNTO SULLA POLITICA? (di Piero Nicola)

Si può dire che si siano sperimentati tutti i regimi istituzionali o costituzionali, tutti dopo qualche tempo andati falliti o sconfitti. Forse è lecito concludere che nel mondo la buona soluzione della società civile non è data, perché il mondo sta sotto il tallone del maligno, la sua corruzione è irrimediabile, e quando un governo si avvicina a una ragionevole condotta, i suoi rivali riescono a procurarne il rovesciamento, facendo leva sulle umane debolezze o ricorrendo alle guerre. Tuttavia non è questo un buon motivo per lasciar perdere.
  Lo stato attuale dell'Occidente democratico, e non solo dell'Occidente, è tanto deteriorato che non reggerà a lungo. I poteri che lo dirigono e lo reggono non sembrano in grado di correggere la rotta e di evitare la caduta. Un palese sintomo di essa sono i cosiddetti populismi, denunciati da ipocriti esperti in demagogia e plagio delle masse, ma ormai ridotti a usare strumenti logori e frecce spuntate. Il controllo del popolo democratico sfugge loro di mano. Il progetto mondialista di dominare i popoli tenendoli nelle ristrettezze, nella depressione economica, nel disagio morale, nella miseria spirituale, privandoli dei sodi valori tradizionali, cercando di sostituirvi il buonismo, la finta misericordia bergogliana, la debole celebrazione della società multietnica sotto bandiere arcobaleno, le libertà viziose e deleterie, sfasciafamiglie, è un progetto di disordine che non funziona. La gente non ci sta più a tanta impostura. Donde il successo di un M5S in Italia, della Le Pen in Francia, di Trump in America, ecc. A parte il movimento di Grillo, gli altri capipopolo propongono rimedi nella sola direzione possibile: il ripristino di valori passati al vaglio dei secoli e quindi il ridimensionamento della libertà.
  Gli sfruttatori di pregiudizi radicati e insani, i manovratori dell'antifascismo, gli esperti nella seduzione dell'orgoglio personale, possono ancora avere buon gioco, disponendo dei mezzi di informazione e di propaganda. Ma in paesi come l'Ungheria si è già potuto validamente contrapporre a tale propaganda la voce dell'esecutivo e del partito maggioritario. Non è escluso che anche negli USA ciò possa avvenire.
  Sussiste però un altro ostacolo nella presa di potere da parte degli esponenti della protesta o rivolta o controrivoluzione, ed è la capacità di rimettere al di sopra degli interessi particolari Dio, la Patria e la Famiglia, così da eliminare i falsi miti, i falsi benefici, i falsi progressi, che hanno abbindolato le masse. Dio dovrebbe essere il Dio della civiltà cristiana, possibilmente il Dio vero del cattolicesimo, con la Sua superiore legge morale; la Patria dovrebbe comportare l'eliminazione delle divisioni di sette e partiti; la Famiglia dovrebbe essere un bene personale e sociale contrario a divorzio, aborto e vizi sessuali.
  Il progetto di mobilitazione del popolo su questi capisaldi non è impossibile. L'Altissimo tutore del bene meritato; la dignità e il sano orgoglio della tradizione nazionale; la famiglia società intima ordinata, ordinatrice degli affetti, non sono vane promesse, sono speranze positive. Non altrettanto sicuro è che i capipopolo abbiano le idee chiare, che sappiano valersi del patrimonio ereditato e cui possono attingere. Sta nelle loro nature, nei loro caratteri e in chi li circonda, nelle menti che possano assisterli, e infine nella Provvidenza, il loro conseguimento della potestà e l'esercizio di un certo buon governo.


Piero Nicola

martedì 14 febbraio 2017

Domenico Longo, critico del fisco vorace

Qualificato studioso e intrepido esponente della destra popolare, oggi resa invisibile dalla fumosa e indecorosa presenza di brutte copie, il compianto Domenico Longo è stato uno fra i più lucidi e spietati critici della stupidità neocapitalistica e dei suoi soffocanti/asfissianti comandamenti.
 Un puntuale giudizio formulato da Longo decapita e ridicolizza i pensieri in umiliante, disastrosa circolazione nelle menti dei consumatori manipolati dai capitalisti vestiti di nuovo, come il Valentino di pascoliana memoria: E' assolutamente impensabile che si possa vivere al passo con i tempi senza avere il telefonino o l'autovettura o gli altri strumenti a cui la modernità s'ispira e su i quali poggiano i suoi presupposti. Tutti vanno a caricare il telefonino, così come tutti mettono il carburante nelle proprie vetture”.
 Refrattario alla implacabile censura attuata dagli scagnozzi dell'oligarchia democratica, atea e materialistica, Domenico Longo ha dimostrato e rappresentato magnificamente la perfetta distanza che corre tra gli indifesi contribuenti e un fisco in perpetua oscillazione tra demagogia, rapacità e soggezione ai dogmi del neocapitalismo.
 Di qui un approfondito, puntuale e impietoso esame dell'infelice rapporto instaurato tra i contribuenti italiano e il fisco. Rapporto che Longo ha descritto con singolare puntualità: “Quando si parla di evasione dobbiamo con rigore fare una doverosa distinzione e cioè dire che v'è l'evasione fiscale, quella vera, e che v'è l'evasione fiscale attuata per legittima difesa da esercenti deboli e da piccole e medie imprese aggredite spropositatamente da un fisco predone. La maggioranza di queste piccole imprese riesce a mantenersi in vita perché non ottempera a quanto previsto dalle inique leggi fiscali italiane”.
 A dimostrazione del tragicomico funzionamento del vorace fisco nazionale, Longo cita alcune storiche vischiosità, potenziali pagine di un calendario surrealista: “in materia fiscale paghiamo, su ogni litro di carburante, le accise per la guerra di Abissinia del 1935, per la crisi di Suez del 1956, per il disastro del Vajont del 1963, per l'alluvione di Firenze del 1966, per il terremoto del Belice del 1968, per il terremoto del Friuli del 1976, per il terremoto in Irpinia del 1980”.
 Le deprimenti e incubose statistiche riguardanti il numero dei fallimenti, dichiarati ogni anno dai tribunali italiani, confermano le ragioni di Longo e perciò pongono il problema (o il sogno) di fondare (finalmente) una destra capace di uscire dal porto delle nebbie progressive e di navigare, con la necessaria intrepidezza, nelle acque continuamente agitate dai macigni in caduta dai vertici del capitalismo e del socialismo.
 Refrattario ai peli, che il potere democratico posa sulla lingua dei giornalisti di servizio, affermava il Nostro coraggioso e compianto amico: “Sono tanti gli esponenti di governo, mascalzoni, disonesti, che continuano a farla franca e ad approfittare ai sacrifici della gente onesta, laboriosa, per assicurare a se stessi una condizione di opulenza addobbata di sfarzosità e privilegi”.
 L'umiliante naufragio della vecchia destra, oscillante tra il vuoto politico di Gianfranco Fini e l'affarismo dei Tulliani, conferma che aveva la ragione l'onesta, implacabile e purtroppo inascoltata critica di Longo.
 La rinascita di una destra fedele alla genuina tradizione italiana non può fare a meno della lezione che si legge nella magnifica biografia di Domenico Longo e nei suoi scritti, ispirati da un invincibile amore per la Patria italiana per la giustizia.

 Di tali indeclinabili valori è degna erede la sagace figlia di Domenico, Rosalia, direttrice della intrepida rivista L'Altra Voce, fondata dal padre negli ormai lontani anni Ottanta del Ventesimo secolo.

Piero Vassallo

domenica 12 febbraio 2017

Un'antologia curata da Sergio Pessot: "Fascismi nel mondo"

La definizione più profonda del fascismo è questa: il movimento politico  che va più francamente, più radicalmente verso la grande rivoluzione  dei costumi, nel senso di una restaurazione dei corpi - salute, dignità  pienezza ed eroismo – nel senso di una difesa dell'uomo contro la gran  città e contro la macchina.
 Pierre Drieu La Rochelle


L'intrepido e instancabile Marco Solfanelli, editore in Chieti, propone una voluminosa, avvincente e provocatoria antologia, Fascismi nel mondo (Solfanelli, Chieti 2017), realizzata, con singolare perizia e acribia dallo storico Sergio Pessot.
 La lettura delle trecento pagine della avvincente raccolta, curata e diligentemente commentata da Pessot, desta una pungente domande, che sfida la sorda, turibolante inflessibilità dei vu inizià?, attivi nella camarilla resistenziale: come è possibile respingere la cultura fascista nella morta gora dell'irrazionalismo, quando il pensiero dell'italianissimo Benito Mussolini si diffuse in tutto il mondo, ottenendo l'ammirato consenso di filosofi, giuristi, statisti e letterati di alto profilo?
 Ad esempio furono collaboratori e sinceri estimatori del duce italiano studiosi di alto ingegno, quali (fra i tanti) gli italiani Giovanni Gentile, Alfredo Rocco, Santi Romano, Carlo Costamagna, Luigi Pirandello, Giovanni Papini, Domenico Giuliotti, e gli stranieri Francisco Elias de Tejada, Ezra Pound, Knut Hamsun, Engelbert Dollfuss, Ernst Junger, Vintila Horia.
 Mussolini, inoltre, ha sostenuto e mobilitato i numerosi emarginati e/o perseguitati dall'oppressione, esercitata dalle concorrenti e concomitanti ideologie rivoluzionarie, liberalismo e socialismo, errori emanati (flesciati) dal ventre molle e tossico del sottosuolo massonico,
 Pessot propone, infatti, un lungo viaggio attraverso i movimenti politici, che hanno interpretato, con passione civile e con rigore teoretico, il malessere dei popoli oppressi dalle oligarchie rivoluzionarie, che erano (e sono tuttora) emanate e promosse dagli incubosi, intossicanti sistemi emanati dalle fantasticherie ideologiche del mondo moderno.
 La domanda che corre nelle numerose testimonianza, citate nel volume in questione, rinvia alle ragioni delle speranze, che il fascismo seminò nel cuore generoso della gioventù insorgente nelle nazioni tormentate dal capitalismo e frastornate dalle oligarchie illuminate.
 Gli autori citati da Pessot svelano la forte ragione, che muoveva la rivolta dei fascisti contro i poteri truffaldini, emanati dall'esoterismo, in circolazione nel sottosuolo della modernità, movimento nazista incluso, che imponevano istituzioni conformi alle esigenze di una spietata ed esosa oligarchia.
 Refrattario alle suggestioni diffuse dagli iniziati, il governo di Mussolini fu strenuamente impegnato a restaurare la dignità del popolo italiano, resistendo alle torbide suggestioni del romanticismo tedesco.
 Opportunamente Pessot cita un testo dello storico inglese Richard Lamb, in cui si dimostra la forte ostilità del governo fascista nei confronti del movimento hitleriano, espressione di una corrente di pensiero fedele agli oscuri miti della foresta, Avversione destata (nel luglio del 1934) dall'assassinio di Engelbert Dollfuss compiuto da agenti nazisti. Purtroppo la cialtroneria dei governi democratici isolò l'Italia di Mussolini, rendendo obbligatoria l'innaturale alleanza dell'Italia con la Germania nazista.
 I testi raccolti da Pessot tracciano il movimento di una storia italiana dal respiro universale, storia di una filosofia concepita e attuata quale progetto di un antemurale al materialismo democratico e al furente paganesimo di Germania, per poi cadere (prima di essere devastato dai bombardieri democratici) nella tela di ragno tessuta dalla collauda arte dell'inganno tedesco.


Piero Vassallo

martedì 7 febbraio 2017

Viaggio intorno alla pastorale talismanica

Una pseudo-pastorale della famiglia vuole piacere al mondo, alla  opinione pubblica, ai potenti di questo mondo, anziché alla chiara  ed esigente verità di Cristo.   I propagatori clericali di tale pseudo-pastorale  mostrano un amore al mondo che è sempre paura del mondo  e complesso d'inferiorità nei confronti del mondo.
 Athanasius Schnreider vescovo ausiliare della diocesi di Astana


 Insigne studioso e strenuo difensore della verità cattolica, che è calunniata, aggredita e alterata dai furori in ebollizione nelle pentole arroventate dal delirio iniziatico e del buonismo pseudo-ecumenico, Guido Vignelli è l'autore di un avvincente saggio, “Sei parole talismaniche”, in questi giorni edito in Roma a cura della animosa e strenua associazione cattolica Tradizione Famiglia Proprietà. Tale associazione contesta la teologia buonista, che promuove la tendenza (anarcoide) ad assolvere il trasgressore della morale e a contestare i tribunali ecclesiastici e le leggi da loro interpretate e applicate. 
 Vignelli va dritto al cuore del problema che affligge la cultura cattolica del post-concilio ed afferma, risolutamente, che “la nuova pastorale tende a concepire la parola misericordia come espressione di una carità che si pone in concorrenza o in alternativa con la verità. Spesso ci si preoccupa di ammonire che la verità non deve essere separata dalla misericordia, il che è vero; San Paolo avverte ce pieno compimento della legge è la carità (Rom., 13,1) per cui bisogna fare la carità nella verità (Ef., 4,16). Tuttavia talvolta si pretende che fare la verità non sia di per sé un'azione misericordiosa, per cui si debba bilanciarla o addirittura correggerla esternamente con la misericordia, il che suppone una misericordia estranea alla verità, realizzando quindi proprio quella separazione che si diceva di vole evitare”.
 Rigorosa è la puntuale confutazione della pastorale novista, influenzata dal pregiudizio buonista, secondo cui è finalmente esclusa la emarginazione di ciò che un tempo era giudicato irregolare o immorale: “oggi va incluso a pari titolo e senza condizioni, non solo nella società ma anche nella Chiesa”.
 Il furore inclusivo altera la vista e appesantisce la ragione dei pastori modernizzanti inducendoli a credere (osserva Vignelli) “che ormai sia difficilissimo trovare coppie o famiglie perfette in ogni aspetto. Pertanto, un sano realismo richiede di rassegnarsi alla crescente prevalenza di coppie e famiglie imperfette, con le quali la società e la Chiesa devono pur convivere”,
 Insieme con l'esuberante e sfrenato buonismo, figura della carità capovolta nel cimitero degli illuminati, procede la rivoluzione del vocabolario ecclesiastico, “ad esempio una coppia che vive in stato scandaloso di concubinato non può essere qualificata come meramente imperfetta, ma deve essere giudicata come immorale in quanto pubblica peccatrice”.
 Ridotta a scaramuccia cortese la guerra cattolica contro l'eresia e i mali che essa – infallibilmente – produce si rovescia nel teatrino dell'arrendevole buonismo.
 Di qui l'apprezzamento, che i cattolici refrattari alle suggestioni confusionarie e cineree emanate dalla teologia progressista, tributano ad autori refrattari (al pari di Guido Vignelli) al canto arrogante e sguaiato (ma esausto e obsoleto) delle sirene arruolate dai promotori del delirio teologico. Un fiume di parole rumorose, che sono emanate dal vano desiderio di stupire gli esausti tifosi dell'apostasia e di piantare il vessillo del nulla sulle rovine del mondo moderno.

Piero Vassallo

TRUMP VERIDICO (di Piero Nicola)

È successo un fatto inaudito: il Capo dello Stato della maggiore Repubblica presidenziale ha detto una verità che accusa di delitto i suoi predecessori, praticamente dichiarando guerra ai suoi oppositori e al sistema politico e dirigenziale che lo ha preceduto al governo.
  A coloro che, attaccando Putin con l'accusa d'aver commesso delitti di guerra hanno anche attaccato lui per la sua apertura a un'intesa con Mosca, Trump ha ritorto l'imputazione contro l'America ipocrita, che non è stata da meno con le sue ingiustificabili azioni belliche. Si prenda ad esempio lo sterminio di civili perpetrato a Falluja (Irak).
  La drastica rottura con l'opposizione interna - che gli ha scatenato contro una distruttiva campagna mediatica e popolare, altresì inaudita - culminata con questo evitabile discredito gettato in faccia ai poteri forti statunitensi, con abbandono della più elementare diplomazia, dicono tutto sul personaggio, nuovo Presidente USA. Egli vuole attuare un'inversione di rotta, riformare radicalmente un sistema che ha oltrepassato ogni limite di legalità e di decenza. Egli dice: "O io, o voi, qualunque siano le conseguenze".
  Il effetti, non esiste compromesso con chi dimostra di volerti eliminare e non accetta il risanamento.
  Il caso costituisce un indubbio segno dei tempi. Il disegno di dominio mondiale messo in atto da poteri plutocratici, intesi ad asservire le nazioni mediante il mondialismo, ha coinvolto l'America sottomettendola a interessi sovranazionali che non le appartengono, siano economici, siano di ordine sociale, morale e spirituale. Trump ha impersonato una rivolta di popolo - e ben poco intellettuale - a siffatta sottomissione, la cui ideologia democratica snerva e corrompe nondimeno la potenza su cui si basano i padroni del vapore. Essi sono oggi soggetti a subire una spallata che li metta a terra. Perciò fanno ricorso ad ogni espediente, senza rendersi conto, o forse rendendosi conto, che i loro slogan, i loro cavalli di battaglia, la loro manovre, i loro ricatti ormai hanno mostrato la corda, non fanno più presa su almeno su metà della nazione americana. Comunque vada a finire, questa controrivoluzione del Tycoon ha seminato un germe inestirpabile, che sta attecchendo anche in Europa.


Piero Nicola    

giovedì 2 febbraio 2017

Rinoceronti di bar e di sacrestia

 Nel dramma Rinoceronti, la accesa immaginazione del geniale autore rumeno Eugène Ionesco ha narrato l'angoscia del refrattario, che contempla, in una scena opaca e desolante, la metamorfosi animalesca (rinocerontesca) dell'uomo posseduto dalla frenesia laica, democratica e progressiva.
 Il dramma inizia, infatti, dalla scena umoristica, di cui sono protagonisti gli osservatori benpensanti, figure dei borghesi, che la frivola chiacchiera del bar democratico, rende incapace di vedere l'orrore, in corsa animalesca, nel branco maggioritario, radunato e comandato a bacchetta dai filosofi natanti nelle acque dei capovolti pensieri, dagli agitatori progressisti e dai sovrastanti usurai.
 La verità, che corre nel testo del non credente Ionesco, rivela la vociante ma desolata sopraffazione esercitata dal rinoceronte, possente figura dello sfrenato, imperioso conformismo, di conio laico e democratico, lanciato in corsa feroce contro la ragione e il sentimento dell'uomo refrattario alla suggestione democratica.
 Nella opinione degli umbratili domatori, i c.poteri forti, agisce, infatti, la capovolta verità, intravista e purtroppo non condivisa da Ionesco: l'apostasia quale fonte del rabbioso delirio in atto nella torrida mente degli ideologisti, che gestiscono il potere trionfante e galoppante nell'ateismo di stampo bancario, in circolazione nel vicolo cieco frequentato dal radical chic.
d.
 Infine è più che mai evidente l'insanabile conflitto, che oppone la screditata e dissanguata ideologia moderna alla verità della dottrina cattolica – vincente quantunque vilipesa e combattuta dal potere mediatico e impoverita dalla timidezza e dal conformismo dei pastori ciangottanti nel deserto, in crescita sfrenata nelle loro parrocchie.
 Il clero si piega davanti all'urlante ma estenuata, crepuscolare e perdente figura del mondo moderno, massa di perdizione, dipinta dai colori grigi, giacenti nella tavolozza disperata, cui attinge il drammaturgo romeno.
 La scena contemporanea, contemplata da Ionesco e rovesciata in una satira feroce e implacabile, in-segna che il destino delle rivoluzioni ateiste e neopagane si risolve in un umiliante e ridicolo paradosso, la vittoria perdente, rappresentata dal capovolgimento del trionfante e gongolante errore sovietico nella contraria, sconcia e rovinosa corsa dell'omosessualismo euro-americano.
 Fra le righe laiche e democratiche, scritte a caratteri cubitali e squillanti dagli immaginari vincitori, infatti, irrompe lo splendore della verità cristiana, trionfante sui rinoceronti, grazie alle imprese di minoranze eroiche, frenate invano dall'ufficiale, servile debolezza di pastori, che il modernismo strisciante nei loro pensieri, rende incapaci di vedere la intrinseca debolezza e lo sfacelo del progressismo progressismo gongolante invano.
 Al clero non vedente e non udente, Ionesco narra, a voce alta, la metamorfosi animalesca dell'uomo in corsa nella direzione del divorzio dalla ragione, ultimo, invincibile ostacolo alla discesa nella foresta dei rinoceronti.


Piero Vassallo