venerdì 30 dicembre 2016

Luigi Gedda, cattolico refrattario alla teologia dei disobbedienti

Una delle conseguenze della preghiera certamente la più vantaggiosa, è che possiamo guardare tutto dal punto di vista dell'eternità, cosicché le difficoltà del mondo ci appaiono realmente sciocchezze.
 Giulio Alfano


Docente di filosofia politica nell'Università Lateranense, Giulio Alfano è un autorevole e geniale studioso e un navigatore impavido nelle acque post moderne, agitate, intorbidate e intossicate dai furori dell'anarchia laica ed estenuate dal debolismo teologizzante.

In violazione di un severo tabù laicista, impiantato nella mente labile dei fedeli modernizzanti, Alfano osa proporre (nella intrepida collana dell'editore teatino Marco Solfanelli) un magnifico saggio su Luigi Gedda, nobile protagonista del Novecento cattolico, purtroppo deprezzato, censurato e declassato dal giornalismo pio e dalla setta degli storiografi di bassa ed esangue sacrestia.
Vir bonus, illustre scienziato (le sue tesi sui gemelli fanno testo tuttora nelle scuola di medicina) e intrepido militante cattolico, Luigi Gedda (Venezia 1902- Roma 2000), attraversò imperterrito le feroci tempeste del xx secolo senza nulla concedere alle suggestioni squillanti e trionfanti tra progetti anacronistici, poteri scriteriati, ideologie vaneggianti, e teologie depresse e/o sbigottite dalla imperiosamente labile figura del mondo moderno.
Alfano, che di Gedda fu cristianamente amico e seguace, rammenta che la collaborazione del professore con papa Pio XII “fa parte di una storia calpestata, oscurata e dimenticata a volte nell'ambiente cattolico stesso e sul libro di storia le pagine oscurate sono troppe e Luigi Gedda e papa Pacelli sono illustri vittime di tale oblio della memoria”.
Gli storiografi di scuola laica e catto-progressista fingono di dimenticare il fatto che Gedda “ha servito il papa Pio XII che si accingeva a compiere un'opera storicamente ancora non da tutti riconosciuta: salvare l'Italia dal comunismo e i comunisti italiani stessi da Stalin”.
Alfano rammenta che, alla fine degli anni Cinquanta, Gedda, con la collaborazione di Gianni Baget Bozzo, tentò di orientare spiritualmente la politica italiana “ispirando e partecipando attivamente alla fondazione di Ordine Civile, un sodalizio intellettuale e sociale che intendeva rifondare i presupposti della politica come azione di servizio orientata al Magistero”.
L'impresa più notevole di Gedda, tuttavia, fu la fondazione dei Comitati civici. Nella drammatica vigilia delle elezioni politiche del 18 aprile 1948. Gedda, consapevole che “erano in gioco i diritti di Dio sulla persone e sulla collettività” fondò i Comitati civici, che costituirono l'argine sul quale si infranse la rivoluzione social-comunista: Vero è che ”nel giro di tre mesi i Comitati Civici riuscirono a capovolgere la situazione e a creare la differenza”.

Ricostruita magistralmente da Alfano, la storia soggiacente al successo ottenuto dalla Dc nelle elezioni del 1948, indica la via d'uscita dalla latitanza spirituale in rovinoso atto nella politica italiana.

Piero Vassallo

giovedì 29 dicembre 2016

L’AMERICA E LO SPETTRO DEL FASCISMO di Percy Winner (a cura di Emilio Biagini)


Dopo i democratici bombardamenti a tappeto per ammorbidire i pupi, occorreva erudirli sul felice salvataggio dagli orrori della dittatura. Per questo venne fondato Il Mese, la rivista di propaganda per l’Italia “liberata”, che presentava articoli compendiati da varie fonti. Ad oltre settant’anni di distanza, avviati al disastro demografico dal malthusianesimo e dall’ambientalismo anglosassone, nonché sprofondati nel mondialismo usuraio di Soros-Sauron e soci annidati in WallStreet-Barad-dûr, siamo in grado di valutare quanta gratitudine dobbiamo ai nostri “liberatori”.





Questo articolo, diviso in quattro capitoletti, dal titolo Lo spettro del fascismo visto dall’America, venne pubblicato su Il Mese, n. 23, settembre 1945, pp. 582-588, ed era compendiato da Harper’s Magazine, New York.




L’autore, Percy Winner era stato per tre anni vice-direttore dell’Office of War Information statunitense per operazioni speciali di guerra, ergo, spione.
[Le osservazioni in corsivo e parentesi quadra servono da opportuno commento.]

I
La disfatta della Germania, col restituire la libertà [Scusi, non ho capito bene: cosa ha restituito?] all’Europa, ha reso urgenti i problemi finora posposti. Durante la guerra, gli Alleati avevano dovuto ricorrere a  parecchie semplificazioni per ridurre al minimo i conflitti di opinione e gli equivoci; perciò la guerra contro la Germania fu senz’altro identificata con la guerra al fascismo. Ma oggi si deve riconoscere che  la guerra contro il fascismo non è finita, e che il problema del fascismo non può ridursi a termini così semplici. [Brillante deduzione, Watson, ci voleva proprio il tuo cervello anglosassone per arrivarci.]
Il fascismo non è morto, non è nemmeno battuto. [Agitare spettri inesistenti è il classico strattagemma disonesto delle menti totalitarie.] Esso sparirà solo quando si saranno trovate delle alternative alle soluzioni mostruose, ma tangibili, che esso offriva per taluni problemi europei. [Significativa ammissione: non esistono soluzioni alternative, o almeno non esistevano al momento in cui costui scriveva. Ma allora perché combatterlo con tanto accanimento senza avere neppure una soluzione alternativa in mente? Il fatto è che la spinta alla guerra per gli americani veniva non da un’idea “alternativa”, ma dagli interessi inconfessabili della finanza usuraia e petroliera che sperava di ingrassarsi a dismisura.]
Il cumulo di teorie, di menzogne, di mezze verità che, in veste ora mitologica, ora mistica, ora superstiziosa, costituì la cosiddetta ideologia del fascismo nella sua varietà nazista [Non esisteva una varietà nazista del fascismo, il nazismo era qualcosa di assolutamente diverso e unico, perché sprofondato nell’esoterismo.], ha esercitato tale influenza in Europa, che ad essa non si sono potuti sottrarre nemmeno coloro che hanno messo a repentaglio la propria vita per distruggerla. Sia pure in forma caricaturale, l’ideologia nazista si avvaleva tanto della scienza più moderna quanto della religiosità più primitiva. La varietà nazista del fascismo [ossia il nazismo, che non era affatto fascismo] si potrebbe invero definire come una sintesi pseudo-religiosa di un nuovo stato moderno e di un vecchio tipo di organizzazione tribale basata su vincoli di sangue. Dietro a questa costruzione stava la pseudo-ispirazione di Hitler che lo Stato potesse essere insieme umano e divino – umanizzato in un organismo, divinizzato in una chiesa. I teorici assunsero le funzioni di profeti e di sacerdoti, gli scienziati presero il posto degli stregoni. L’individuo tedesco divenne un automa cellulare, su cui la grazia scendeva nell’atto di servire l’organismo dello stato-chiesa e di partecipare alla sua comunione. A lui toccava raccogliere l’eredità della terra da popoli inferiori destinati alla sottomissione o alla distruzione.
Solo ora cominciamo ad accorgerci delle differenza tra la Germania nazista e quella guglielmina; e non siamo ancora arrivati a vedere che le conseguenze della distruzione di un universalismo patologicamente religioso sono differenti dalle conseguenze della disfatta di un imperialismo politico. Il nuovo ordine nazista era una tarda caricatura dell’originale Sacro Romano Impero; il nuovo disordine, morale e materiale, non solo della Germania, ma dei territori già occupati dai tedeschi, richiama non tanto al 1918 quanto al 1648, la conclusione dell’ultima guerra di religione.
L’orgia d’irrazionalismo imposta con diabolica abilità tecnica sull’Europa dai nazisti non poteva non lasciare gravi postumi psicologici, tale fu l’attrazione esercitata da quei distorti valori morali e da quei deformi principi politici. La parte del fascismo che ancora richiede comprensione e repressione è quella che ha lasciato tracce nei pensieri e nei sentimenti di milioni di europei che furono fascisti o che semplicemente non furono anti-fascisti. [Mostruosa arroganza: qui siamo alla psicopolizia di 1984].
Il comprendere questo è particolarmente arduo per noi americani. Noi siamo lontani. La nostra esperienza storica è differente. Per esempio, noi vogliamo pace e libertà [sic!]: ma per l’Europa la potenza è pace; e la libertà è il residuo dei sacrifici necessari per la sicurezza. L’americano vuole prevenire la guerra [Ma davvero?!]; l’europeo vuole prevenire un’altra guerra, una determinata guerra tra la nazione a cui appartiene e un’altra determinata nazione. Noi usiamo le stesse parole per cose differenti. [Non si sa ridere o piangere di fronte a simili vaneggiamenti propagandistici: quando mai gli americani hanno voluto la pace? Magari il popolino l’avrà preferita, per non andare a rischiare il collo per il bene dei guerrafondai, ma i poteri forti hanno sempre spinto per la guerra, usando i più vari pretesti e le più varie provocazioni, fino a rendere inevitabile l’attacco a Pearl Harbor.]

II
Forse la via migliore per avvicinarsi alla comprensione della situazione attuale è analizzare il fascismo nei suoi componenti umani. I fascisti non erano tutti uguali [Magnifico questo colpo d’ala di alta politologia e psicologia!]; non pensavano, sentivano, agivano tutti allo stesso modo [Ma guarda un po’, non ci avrei mai pensato; bisogna essere superuomini anglosassoni per fare osservazioni così geniali.]. L’unità creata dal fascismo fu superficiale e non riuscì a cancellare le cricche, fazioni e differenze d’interessi a cui si impose.
Una sola cosa teneva insieme i fascisti: in un modo o nell’altro il fascismo risolveva o pareva risolvere o prometteva di risolvere i loro problemi personali alle spese di qualcun altro. A guardare in fondo, questo sistema portava inevitabilmente alla guerra: un numero sufficiente di vittime non poteva trovarsi se non fuori della sfera fascista di influenza, ossia mediante la guerra. [Questa analisi si applica piuttosto al sistematico uso della violenza delle cosiddette democrazie anglosassoni, che massacrarono l’Irlanda cattolica e le parimenti cattoliche Highlands scozzesi, che foraggiarono e sostennero il “risorgimento” italiano per distruggere la Chiesa, che sostennero Leone Trockij per abbattere il regime zarista, che appoggiarono il regime ateo repubblicano durante la guerra di Spagna, tanto per citare alcune delle brutali aggressioni da esse perpetrate contro l’ordinamento cristiano che i santoni anglosassoni della massoneria odiano di odio diabolico.]
Ma anche prima della guerra l’uso sistematico dell’assassinio individuale o collettivo come metodo chirurgico per risolvere i problemi umani costituiva già parte essenziale del fascismo. La definizione più semplice – non già la spiegazione – del fenomeno fascista è quella che lo fa consistere di un gruppo di persone spinte a tal punto di insopportabile incertezza e di ansietà disperata da provare l’equivalente emotivo della alternativa di fatto: uccidere o essere uccisi. [E il comunismo, così teneramente coccolato dai poteri forti dei superuomini anglosassoni, non aveva provocato proprio questa situazione, in cui si trattava di uccidere o essere uccisi? È il solito vile sistema propagandistico di accusare qualcuno per aver cercato di difendersi.]
I capi furono naturalmente coloro che spinsero in questa direzione, ma essi non avrebbero potuto riuscire nel loro proposito, se le circostanze di vita europea dell’ultimo venticinquennio non li avessero favoriti, se cioè una concezione di vita aberrante non si fosse diffusa come un contagio per un’Europa già malata politicamente, economicamente e socialmente. [Ma guarda un po’! E chi aveva provocato questa malattia, se non le furie isteriche della massoneria anglosassone (e francese) che impose alla Germania sconfitta condizioni di inumana durezza e volle disintegrare l’Impero asburgico, colpevole di essere cattolico e l’ultimo residuo del Sacro Romano Impero? Ma per chi ha vinto, ed ha la bomba atomica, non ci sono difficoltà a sorvolare sulle proprie gravissime responsabilità.]
Si dice di solito che il fascismo è stato lo strumento dei reazionari di destra, fossero essi industriali, banchieri o militaristi. Non c’è dubbio che la reazione costituì ed ancora costituisce uno dei tre elementi più importanti del fascismo. Per coloro che cercano vantaggi personali, ricchezze, prestigio e potere, e per coloro che, avendoli, li vogliono conservare, la soluzione offerta dal fascismo era perfetta: tangibile, pratica, realistica, la vera sapienza politica. Ma questi reazionari diventarono strumenti e servi del fascismo, piuttosto che il contrario. Essi, senz’accorgersene, dicono il vero quando per sfuggire alle tremende responsabilità della loro partecipazione al fascismo e alla guerra fascista, piagnucolano che non sono mai stati realmente fascisti. Di fatto essi furono peggio che fascisti: essi, al pari dei vari rinnegati alla Quisling, furono venduti al fascismo. [E che dire degli industriali, banchieri e militaristi USA che fremevano per l’entrata in guerra? Che dire del blocco economico imposto al Giappone, il quale aveva petrolio solo per sei mesi ed era disposto perfino ad uscire dal patto militare con la Germania purché venissero attenuate le sanzioni e al quale, ricevuto un rifiuto, non restava che attaccare Pearl Harbor nel disperato tentativo di mettere fuori causa i suoi strangolatori anglosassoni e avere accesso al petrolio indonesiano? E se gli “alleati” avessero perso, non avrebbero dovuto piagnucolare i finanzieri petrolieri e fabbricanti di armi, per sottrarsi alle tremende responsabilità di aver scatenato la guerra?]
I veri fascisti vanno divisi in due gruppi: i capi (fanatici, zelatori mistici dell’assassinio) ed i seguaci (le grandi masse). Mentre i reazionari non hanno interesse che per le soluzioni espresse in solida moneta corrente [Esattamente come i finanzieri petrolieri e fabbricanti di armi anglosassoni, intenti a contare i miliardi guadagnati, mentre questo spione sproloquiava.], le soluzioni preferite dai veri fascisti, capi e gregari, sono un misto di realtà e di fantasia psicopatologica. In termini psicologici, i capi cercavano e ottenevano sollievo attraverso un processo di sfogo.
Come ha notato un acuto critico francese della giovane generazione: “Nessun popolo si è mai dato in mano a un dittatore per il semplice piacere di essere oppresso. Un’analisi del complesso sadistico-masochista che si sviluppa nelle masse durante il periodo di avvento di una dittatura isolerebbe tra i suoi componenti un desiderio di emancipazione, un’accettazione della sottomissione condizionata dalla paura della libertà e della responsabilità, una certa volontà di potenza, una parte di egoismo e infine il sentimento di dedizione alla comunità.” [Come se le grandi masse delle cosiddette democrazie non avessero gli stessi problemi psicopatologici: chi controlla gli eletti dopo che si è dato loro il voto? Ed è proprio un complesso sadistico-masochista quello che sta dietro alle rivoluzioni che hanno creato le “democrazie” liberali, a cominciare dalla rivoluzione francese.]
La soluzione per il gregario era psicologica, ma naturalmente includeva vantaggi sociali ed economici. Anche il gregario era un profittatore ai danni di un terzo. Questo terzo era un capro espiatorio di qualche sorta, deliberatamente scelto tra coloro che erano troppo deboli per difendersi: ebrei, liberali, massoni, democratici, non fascisti, fascisti tiepidi. [Qui siamo veramente al delirio: poveri massoni deboli e indifesi!]
Le vittime diventavano ipso facto nemici potenziali: i delitti contro di loro si trasformavano in atti di “legittima” difesa. Era una soluzione mostruosa, ma per l’individuo fascista era una soluzione – una soluzione personale. Ossessionato da un senso di inferiorità e d’incertezza deliberatamente e incessantemente esagerato, il fascista accettava questa soluzione e se la giustificava. La guerra divenne per i capi fascisti la meta a cui tendere coscientemente, perché non ci poteva essere altra soluzione in grande stile se non quella a spese di altri popoli. [Pseudo analisi delirante che pretende di sapere cosa c’è nella testa degli altri, trascurando i concretissimi interessi delle lobbies guerrafondaie dei paesi “democratici” anglosassoni, e trascurando pure le spaventose ingiustizie dei trattati che posero fine alla prima guerra mondiale – ingiustizie imposte dalla massoneria anglosassone e francese, la povera, piccola massoneria, debole e perseguitata!]
Durante la generazione presente il fascismo non combatterà più guerre, ma gli uomini e le donne che continuano ad avere qualche fede nel metodo fascista – e sono molti – si ostineranno a non credere nella possibilità della pace interna e della pace internazionale. [E infatti l’intera storia da allora in poi è stata una storia di continue guerre, aggressioni e massacri perpetrati dai regimi “liberali” anglosassoni e dai loro amiconi comunisti.]
Deliberatamente o inconsciamente essi saboteranno ogni tentativo per raggiugere un compromesso nei conflitti internazionali o una soluzione nei problemi domestici. Il fascismo in sé non è più un pericolo, ma gli uomini e le donne che hanno nostalgia dei suoi metodi chirurgia primitiva sono nemici della pace e del progresso dell’Europa postbellica. [Questo delirio nasconde il fatto concreto della politica malthusiana originata negli USA che avrebbe condotto l’Europa, sotto l’egida americana, sull’orlo dell’estinzione. Loro, gli americani, no che non hanno nostalgia della chirurgia primitiva. Loro no che non scatenano guerre. Loro sì che possono permettersi, dall’alto scranno dei vincitori in possesso della bomba atomica, di trinciare giudizi. E pochissimo tempo dopo avrebbero dimostrato quanto simili sono loro stessi alla distorta immagine del “fascismo” che propagandano. La storia degli Stati Uniti non è forse una storia di continue guerre? Se il fascismo fosse davvero quello farneticato da questo spione, i più perfetti fascisti sarebbero proprio i suoi connazionali e lui stesso.]
I fanciulli e i giovanetti presentano un problema speciale di disintossicazione e rieducazione che dev’essere affrontato. Degli adulti ex-fascisti e collaboratori, taluni saranno eliminati dai procedimenti penali contro i responsabili della guerra e dell’epurazione [oppure dagli assassini comunisti del triangolo della morte che poterono operare sotto il benevolo sguardo di una “democrazia” castrata e dei suoi mentori anglosassoni]; gli altri o ritorneranno a quei gruppi e partiti a cui già aderivano prima di passare al fascismo, o si sceglieranno un partito che sembri affine a quelle specifiche funzioni e clientele con cui solevano essere associati sotto il fascismo. Ciascun individuo andrà dove penserà di avere qualche probabilità di risolvere i propri problemi personali; e conserverà o perderà la nostalgia del fascismo secondo che troverà o meno qualcosa di approssimativamente simile al fascismo. [Ma che ne sa lui? Sono solo parole idiote in libertà.]
Il timore della punizione [O spione, ma lo sai almeno cos’era la “volante rossa”?] farà passare l’ex-fascista per un certo periodo di emozioni esteriormente rassomiglianti a una conversione morale dall’errore e dal peccato, ma l’infezione non potrà essere realmente vinta se non eliminando effettivamente l’incertezza materiale e psicologica. Bisogna dare all’ex-fascista la prova che esiste una soluzione onesta, giusta, onorevole, degna almeno di essere tentata [Già: l’osceno mondialismo globalista usuraio, guerrafondaio e assassino che promana dalla mecca della “democrazia”.].
Non basta impedire negativamente la ripetizione della soluzione fascista [No, bisogna inventare una soluzione di gran lunga peggiore e presentarla come il toccasana “democratico”.].
La nostalgia per il fascismo che risulterà in non-cooperazione, malessere, sabotaggio è un moto irrazionale che la sconfitta non basta a sradicare. Solo la fiducia nella capacità della democrazia a risolvere i problemi emotivi può rimuovere le vestigia nella fede nel fascismo. [E infatti la “democrazia” strombettata dai corifei anglosassoni e foraggiata da Soros-Sauron si è davvero dimostrata degna di risolvere tutti i problemi, emotivi e non emotivi. Complimenti!]



III
Sfortunatamente alla fine della guerra trova aggravati entrambi gli aspetti del problema fascista. Quello emotivo e quello materiale. I fascisti hanno fatto quanto era in loro potere per rendere le condizioni dell’Europa postbellica ancora più penose, turbate da incertezze materiali ed emotive di quel che fossero, almeno per i fascisti, le condizioni dell’Europa prebellica. [Ma guarda un po’, non è che i problemi emotivi e materiali consistano nella distruzione dei bombardamenti a tappeto e sulle violenze contro la popolazione civile delle regioni che i superuomini anglosassoni venivano a liberare, ad esempio nella stessa Normandia, no, sono gli sconfitti e schiacciati che, misteriosamente, pur sconfitti e schiacciati, continuano ad ammorbare l’Europa. Se non fosse tragica e macabra, questo insensato blaterare dello spione sarebbe sarebbe ridicolo e grottesco.]
Dal punto di vista materiale, stiamo infine iniziando un compito gigantesco di soccorso [sic!] e ricostruzione [Ricostruzione! Ad esempio ricattando il governo dell’Italia “liberata” perché ammettesse che nell’abbazia di Montecassino c’erano soldati tedeschi, altrimenti il governo dei “liberatori” non avrebbe finanziato la ricostruzione? Come tutti sanno, è finita che l’abbazia hanno dovuto ricostruirsela gli italiani, senza contributo da parte dei vandali assassini. Per fortuna la maggior parte dei tesori artistici di Montecassino erano stati messi in salvo per tempo dai tedeschi.]. Ma dal punto di vista psicologico abbiamo piuttosto fatto il gioco di coloro che ancora sognano e lavorano in vista di una rinascita del fascismo. [E come? Affermazioni vaghe in cui non si sa prevalga la falsità o la nebulosità. Certo le distruzioni indiscriminate dei “liberatori” non sono mai state tali da predisporre gli europei ad accogliere costoro con particolare simpatia.]
Rimane da vedere che costoro si decideranno un giorno a scambiare la loro nostalgia del fascismo per una fede nella democrazia. Per il momento noi non possiamo dedurre quello che sta nella mente e nei cuori degli europei altro che da ciò che essi fanno. [Ma guarda quant’è intelligente!]
In Italia e in Francia già possiamo scorgere entro quali partiti politici vecchi e nuovi gli ex-fascisti stiano nascondendosi. Noi vediamo che il fascismo si sta dissolvendo negli elementi che lo hanno composto e più o meno nelle proporzioni della precedente composizione: una frazione di mistici fanatici per cui il fascismo era religione; una minoranza di reazionari che servirono il fascismo con lo scopo di guadagnare o conservare ricchezza e potere; una grande maggioranza di gente minuta – agricoltori, funzionari, operai, commercianti, professionisti, piccoli borghesi – per cui il fascismo era garanzia, limitata ma solida, di ricchezza per sé ai danni altrui, ottenuta rinunciando alla propria libertà politica e responsabilità individuale. Tuttora spinti dai medesimi motivi, costoro si rifugiano nei partiti che sembrano offrire vantaggi analoghi. Con un passato di esperienze di tipo fascista essi portano nei partiti che vanno a ingrossare delle tendenze antidemocratiche innate o acquisite. [Delirante caccia alle streghe.]
Dove vanno a finire i fascisti? Un esiguo numero di fanatici va a finire in movimenti clandestini. Tanto in Europa quanto in America tali piccoli gruppi di disperati stanno formando delle organizzazioni a scopo di sabotaggio e vendetta (quali i tanto nominati “lupi mannari” e lo Schweigsieg). I reazionari già al servizio del fascismo ritornano donde vennero, ai partiti di estrema destra. Essi passarono al fascismo non per procurarsi una sicurezza vera o immaginaria che prima non avessero, ma per conservare e aumentare la sicurezza, il prestigio, il potere che già possedevano. Furono costoro che diedero per un certo tempo una falsa apparenza di rispettabilità al fascismo. Tanto profitto derivarono da quella che era una caricatura di ordine, autorità, disciplina e stabilità, che si persuasero di aver trovato non la caricatura ma la realtà di questi valori. Non sarebbe esatto né onesto asserire che in un paese come la Francia i partiti di destra stanno passando sotto il controllo diretto di ex-fascisti e collaborazionisti; ma non è inverosimile suggerire che l’afflusso dei reazionari ex-petainisti e fascisti può provocare tendenze anti-democratiche fra i partiti di estrema destra. Da sole esse conterebbero assai poco. [Mentre costui blaterava, gli assassini comunisti delle varie Volanti Rosse e bande di infoibatori facevano strage di innocenti che talvolta non avevano neppure mai aderito al fascismo.]
Il fascismo non può prosperare se non dove ai reazionari si congiungano i fanatici, e i fanatici – che sono poi psicopatici – trovino alla lor volta una massa da sfruttare psicologicamente. Ora è certo che in nessun paese d’Europa c’è una massa di manovra pronta per i partiti di destra. Essa non esiste nemmeno nelle sinistre democratiche e tanto meno al centro. Solo un numero trascurabile di fascisti è passato ai partiti del centro cattolico o ai partiti democratici del centro, della destra e della sinistra. Neppure i socialisti hanno ingrossato i loro ranghi con ex-fascisti. La massa di ex-fascisti che può combinarsi con i reazionari di destra è da cercarsi altrove. La grande maggioranza dei fascisti sta riemergendo tra i gregari delle organizzazioni comuniste. Questo fatto non sorprende: nelle elezioni tedesche che precedettero l’avvento di Hitler al potere, cinque milioni di voti andarono ai comunisti. Se si fossero tenute poco dopo altre elezioni moderatamente libere, questi voti sarebbero andati ai nazisti. Se oggi si potessero tenere delle elezioni in Germania, il numero dei tedeschi votanti per i comunisti sarebbe un multiplo di cinque milioni. In Italia una larga parte degli ex-fascisti voterebbe per i comunisti, e chi può dubitare che lo stesso non avverrebbe nell’Europa slava? Anche in Francia una parte considerevole del crescente numero di comunisti è costituita da persone che hanno collaborato col fascismo o l’hanno accettato. [Allo spione piace giocare con la sfera di cristallo.]
Queste nuove reclute del comunismo sono per la maggior parte persone che non ebbero posizioni di responsabilità nel fascismo. Nei movimenti comunisti esse si comporteranno come già nel fascismo, da gregari e non da capi. Essi non saranno né fanatici né propriamente militanti, ma accetteranno il comunismo perché è più facile accettare che dubitare, e ubbidiranno perché è più facile ubbidire che resistere. Per ogni uomo che si preoccupa soprattutto di essere libero, ce ne sono inevitabilmente cento per cui il pane è la maggior preoccupazione. E per uno cui importa soprattutto di sviluppare le propria personalità di individuo responsabile a se stesso, ci saranno centinaia cui una garanzia anche minima di sicurezza sociale è di maggiore importanza immediata. La grande massa dei vinti e dei delusi graviterà verso un credo politico che rassomigli a una religione secolare, e inviti a una comunione extra-nazionale e universale di sentimenti. Dopo essersi sentiti dire per tanti anni che la disfatta del comunismo avrebbe garantito il loro benessere personale, ora si rivolgono al comunismo trionfante come all’unica fonte di sicurezza che ancora rimanga. [Ragionamento campato in aria.]

IV
Perché essi si volgono verso il comunismo della Russia piuttosto che verso la democrazia dei paesi occidentali? Non perché fascismo e comunismo siano intercambiabili – il che non è – ma perché il comunismo è una fede bell’e pronta mentre la democrazia è una fede che ciascuno deve rifare in se stesso [La democrazia è una truffa, vista l’enormità dei brogli e delle manipolazioni dei poteri forti.]; perché la Russia è diventata non solo una potenza europea ma la potenza europea maggiore, e i fascisti sono usi al dominio; perché la paura della Russia si è trasformata in timoroso rispetto della Russia; perché i russi rimarranno mentre gli americani possono andarsene; perché la Russia, distrutta essa stessa dai fascisti, ha contribuito poco alla distruzione dell’Europa occidentale, mentre l’America, la più potente delle democrazie, e quella materialmente appena toccata dalla guerra, è stata l’agente diretto della maggior parte delle distruzioni nell’Europa occidentale [Gli europei, commossi, ringraziano.]; perché infine la terra della ricchezza e della sicurezza sembra ancor più spiritualmente che geograficamente lontana dall’Europa, la terra della gente povera e malsicura.
È chiaro che né la Russia né il comunismo si fascistizzeranno per l’influenza di ex-fascisti convertiti. Né è da attendersi che le preferenze anti-democratiche di questi comunisti ostacolino l’evoluzione graduale del comunismo verso una democrazia comunista [Sì, la democrazia del carro armato e della polizia segreta.], la quale, per quanto profondamente diversa dalla nostra democrazia, sarà anche più diversa dal fascismo. Un influsso di elementi ex-fascisti non è né un pericolo né un dilemma per il comunismo russo, ma può diventare un pericolo e un dilemma per i partiti comunisti dell’Europa occidentale. Negli scorsi cinque anni il comunismo si è sviluppato su un duplice piano: sul piani nazionale o verticale, e sul piano internazionale o orizzontale. Sul piano verticale-nazionale i comunisti di tutto il mondo cooperano per salvaguardare con ogni mezzo la sicurezza territoriale e gli interessi della terra promessa della loro fede, la Russia sovietica. Sul piano orizzontale-internazionale i comunisti di ogni parte lavorano al servizio del comunismo con il propagarne e difenderne gli articoli di fede.
Per combattere vittoriosamente su entrambi i fronti durante la guerra, i partiti comunisti di ciascuno Stato abbisognavano di una minoranza militante e di una massa di manovra. Gli ex-fascisti saranno benvenuti e utili nelle file comuniste, perché essi sono più docili e disciplinati, meno individualisti ed esigenti degli ex-socialisti. Nella struttura politica triangolare della maggioranza dei paesi europei, i comunisti tengono la bilancia fra la destra nazionalista e la sinistra socialista. Con la fine della guerra l’equilibrio interno del partito comunista occidentale si è modificato. Durante a guerra contro la Germania nazista, il fronte orizzontale e quello verticale si completarono a vicenda. Gli interessi del comunismo “nazionale” in una paese come la Francia, che aveva gli stessi nemici dei Sovieti, coincidevano con gli interessi del comunismo internazionale. Ma ora le relazioni tra il comunismo “nazionale” di tutti i paesi d’Europa, eccetto  la Russia, e il comunismo internazionale sono diventate uno dei grandi interrogativi della politica post-bellica. [Se n’è accorto perfino lui.]
La presenza nelle file comuniste di un considerevole numero di ex-fascisti può diventare un fattore di grande importanza nell’Europa occidentale. C’è da considerare l’ipotesi che, posto di fronte alla scelta tra nazionalismo ed internazionalismo, il comunismo francese si debba scindere in due, e che di conseguenza i comunisti francesi dell’ala nazionalista facciano un nuovo voltafaccia e vadano a raggiungere i nazionalisti reazionari – il che verrebbe a costituire la base politica classica per un nuovo movimento fascista [sic!]. Mancherebbe tuttavia ancora l’elemento essenziale per la vittoria di questo movimento, la massa sfruttabile psicologicamente, perché non c’è dubbio che l’altra sezione dei comunisti farebbe causa comune con i socialisti. Il risultato sarebbe non già un nuovo fascismo, ma la guerra civile.
Tale è la minaccia rappresentata oggi dalle sopravvivenze del fascismo nelle menti e nei cuori degli europei – guerra civile e, come probabile conseguenza, guerra internazionale. Il pericolo fascista non è stato ancora eliminato né dalle menti né dalle attività degli europei [sic!]. La fine della guerra che unì contro la Germania un gran numero di popoli ha segnato l’inizio di altri conflitti che possono separarli di nuovo. Noi negli Stati Uniti che ora guardiamo con speranza all’ideale delle Nazioni Unite [sic!], dobbiamo renderci conto che le nazioni dell’Europa non possono servire quell’ideale se non si sentono unite internamente e internazionalmente ed esse non possono sentirsi unite finché i loro cittadini non hanno raggiunto individualmente la sicurezza materiale e psicologica. [Ragionamento (se così si può chiamarlo) che traballa da tutte le parti: ingigantisce il fascismo sconfitto e non vuol vedere il mostro rosso assassino che per decenni minaccerà e distruggerà. Poi, dopo la caduta del comunismo, i parassiti di regime che vi si sono ingrassati passeranno ad agitarsi per altre cause, tutte deleterie: l’ambientalismo, il gender, i migranti, il piagnucolio terzomondista. Faranno leva sulle rendite di posizione accumulate in decenni di potere, di sottogoverno, di parassitismo, per presentarsi come paladini delle nuove cause. Ad aiutarli serviranno tutte le loro strutture rimaste intatte: le sezioni del partito ribattezzato con altri nomi, le amministrazioni pubbliche sotto il loro controllo, la magistratura da loro inquinata, le coop, le università e le scuole avvelenate. Così facendo, si troveranno ad essere perfettamente allineati con il più bieco capitalismo finanziario usuraio, alleati o piuttosto succubi di Soros-Sauron.]
EMILIO BIAGINI


giovedì 22 dicembre 2016

ODE AL NATALE (di Maria Antonietta Biagini)


“Guai a chi magna l’abbacchio
ch’è il “bambino” pecoracchio,
antropofago è colui
che lo magna, uhi, uhi, uhi!”
O che bella la bontà
della cara Cirinnà.
Ma se ammazzi il tuo bambino,
è un diritto, o cittadino.
E se tu pronunci “aborto”
vuole dire “bimbo morto”.
O che bella la bontà
della cara Cirinnà.
Tra “cannibale” e assassino
chi è peggiore, o cittadino?
Chi si mangia un buon agnello
o chi ai bimbi fa macello?
È il Natale di bontà

della “buona” Cirinnà.

Maria Antonietta Biagini

lunedì 19 dicembre 2016

La destra dopo la meningite esoterica

 Il tuffo del pensiero atlantico nelle grigie e morte acque del conservatorismo, pone il problema di far uscire la cultura della destra italiana dall'illusione, nella quale è sequestrata dall'insensata ma gongolante e galoppante euforia, destata dall'elezione di Donald Trump alla pittoresca presidenza degli Stati Uniti d'America.
 Festeggiata la squillante trombatura della babilonese globale Hilary Clinton, si dovrebbe finalmente considerare il profilo grottesco e farlocco della vincente destra americana.
 Secondo l'indeclinabile lezione, a suo tempo impartita da Francisco Elias de Tejada, l'orizzonte della cultura della destra autentica ossia tradizionale, rappresenta l'allontanamento del pensiero post fascista dall'influsso (pseudo ecumenico) dalle suggestioni inquinanti, diffuse dai catatonici e microcefali banditori francesi e dai teologi di scuola luterana e/o anglicana, in libera circolazione negli Stati Uniti d'America e nelle menti dei nomadi italiani, festanti e gongolanti nel cerchio magico disegnato dalle attempate (para massoniche e/o tardo schellinghiane) opere di René Guénon e di Giulio Evola.
 Assimilato e metabolizzato lo squittio esoterico, le eccitate/intossicate avanguardie destre si abbandonarono - sciaguratamente - ai fonemi al carbonio, in uscita fumosa dal vuoto polmonare del filosofante neo pagano Alain De Benoist e dei suoi pallidi ed esangui reggicoda italiani.
 Una destra vivente è dunque pensabile e realizzabile solamente a partire dal congedo delle incapacitanti suggestioni neo pagane, che giacciono sotto il freddo marmo massonico.
 La furente e disgraziata circolazioni del modernismo francese nella Chiesa post conciliare complica e tuttavia non annulla il disegno di una destra d'ispirazione cristiana, intesa a riprendere il cammino interrotto dalla fragilità clericale e dalla confusione democristiana.
 Il vero e quasi insormontabile ostacolo al risanamento della politica nazionale è costituito dalla diaspora del popolo militante nella destra di ispirazione cattolica in un pulviscolo di associazioni, nelle quali la vivacità e l'attualità del soggiacente pensiero sono purtroppo associate a progetti di organizzazioni abbagliate e inquinate dal culto della loro (per lo più labile e mortificante) particolarità.
 La produzione di immaginarie e comunque fragili differenze, gridate o sussurrate dagli studiosi in agitazione invincibile a destra, costituisce l'ostacolo alla fondazione di un movimento d'indirizzo cristiano, capace di ostacolare efficacemente e rovesciare il cammino della dissoluzione in atto.
 L'unificazione delle sparse membra del tradizionalismo italiano, che sta dimostrando una straordinaria vitalità intellettuale, è un compito che non può essere affidato agli attempati fondatori e protagonisti degli annosi e tradizionali scismi. Di qui l'attenzione che si dovrebbe prestare ai giovani emergenti, quali (ad esempio) Roberto Dal Bosco, Elisabetta Frezza, Alessandro Gnocchi, Emilio Artiglieri, Rodolfo de Mattei.
 Sarebbe un imperdonabile peccato non capire che una destra unita intorno ai princìpi della tradizione italiana (ossia sollevata dalla umiliante ipoteca liberale) potrebbe contrastare efficacemente la cultura della sinistra crepuscolare, ormai ridotta alla mesta circolazione intorno agli avanzi tossici di un trionfale banchetto.


Piero Vassallo

mercoledì 14 dicembre 2016

Mitologie progressive intorno agli atti contro natura

 Queer – che tradotto in italiano significa strambo, bizzarro - viene utilizzato dai suoi sostenitori per indicare il carattere indefinito e sempre mutevole dell'identità sessuale. I teorici queer portano dunque alle estreme conseguenze gli 'ideologi del gender, denunciando il fondamento il fondamento etero sessista … e sostenendo la necessità di creare un paradigma antropologico non più soggetto all'eterosessualità obbligatorio.
 Rodolfo de Mattei



Il progressivo, democratico, illuminato abbassamento della legge morale esalta l'irresistibile fruscio nei gabinetti deputati all'amicizia capovolta e le grida dalla savana del conformismo.
Gli impulsi contro natura, che salgono dal fondo tenebroso e melmoso, in cui l'avversione a Dio incontrano l'oscuramento della ragion politica e la irresistibile debolezza dei difensori della sessualità secondo natura.
Vero è che le camarille pederastiche e lesbiche raccolgono – davanti all'impassibile palazzo dei disertori e dei complici - minoranze alterate e sconvolte dalle scuole del delirio americano, nelle quali imperversa l'infondata, sofistica e urlante opinione sulla naturalità (e sulla liceità) degli atti sessuali contro natura.
Lo studioso Rodolfo de Matteri, autore di un puntuale ed esauriente saggio – Dalla sodomia all'omosessualità – proposto in questi giorni dall'irriducibile Marco Solfanelli editore in Chieti - cataloga e confuta i sofismi democratici e progressivi, che, ispirati dalla rivoltante aberrazione, che l'intrepido don Ennio Innocenti definisce coprofagia, eccitano e sconvolgono i laidi marciatori in guerra contro la legger naturale.
Rodolfo de Mattei rammenta che il primo sodomita ad uscire dal rifugio costituito dall'anonimato, fu il raffinato giurista tedesco Karl Heinrich Ulrichs Award (Aurich 1825 - L'Aquila 1895).
Di seguito il giovane e qualificato studioso italiano dimostra che “Award cercò di presentare la condizione omosessuale come una inclinazione innata e naturale”, e che la sua bizzarra e delirante tesi fu respinta e ridicolizzata dagli scienziati tedeschi.
Agli intellettuali della (avventizia, gongolante) sinistra pederastica, Rodolfo de Mattei rammenta (ironicamente) il dileggio di cui l'inversione sessuale, nel 1869, fu fatta oggetto dal sodale di Marx, Friedrich Engels, del quale è citato uno sprezzante giudizio: “Mi aspetto che il nuovo Codice penale della Germania settentrionale abbia riconosciuto i droits du cul … Per noi povera gente del davanti, con la nostra puerile inclinazione per le donne, le cose si metteranno ben male allora...”.droits
Evidentemente i pensatori materialisti del XIX secolo non erano ancora affascinati e catturati dal vortice e dal vaneggiamento pederastico, che è scritto sul vessillo della spudorata e debragata avanguardia contemporanea.
Il progetto di tale avanguardia, è capovolto e accecato al punto di sostenere, sorpassando i confini del classico idealismo, che “non è l'essere a determinare il pensiero ma il pensiero a determinare l'essere: io non sono ciò che sono ma ciò che il mio io o la mia coscienza mi dice di essere”.
Rodolfo de Mattei non si arresta neppure davanti alla incensata rispettabilità delle teorie scientifiche elaborate da Alfred Charles Kinsey e rammenta che il famoso e applaudito scienziato “fu un convinto sostenitore della pedofilia e dell'abrogazione delle leggi che tutelavano i bambini contro i rapporti sessuali con uomini adulti”.
Contro le aberrazioni in corsa libera nei palazzi del potere progressista/nichilista, Rodolfo de Mattei, scrittore d'avanguardia, afferma risolutamente l'attualità della tradizionale scuola di pensiero “che sottolinea l'esistenza di una natura umana congenita che prevede un progetto specifico che si realizza nella complementarietà tra l'uomo e la donna”.
Le scuole di delirio e le capovolte cattedrali del vizio impropriamente detto gay e della tanatofilia iniziatica riescono a turbare la vita sociale delle persone fragili e inclini al conformismo, diffondendo la lue abortista e la cialtronesca schizofrenia divorzista, nelle fasce indifese dalla società dei politicanti e stordite dai giornaloni, non possono piegare la vita agli incubi dei tanatofili e dei dementi chic.
Alla classe dirigente della destra oggi esangue e balbettante in dialetto politichese, Rodolfo de Mattei offre l'occasione di uscire dalla gabbia dell'insignificante chiacchiera e di lanciare il guanto di sfida sulla faccia americana di un potere alienato dai gridolini del vespasiano.


Piero Vassallo

venerdì 9 dicembre 2016

Personalità della Rsi a Genova, 1943-1945

 Pier Francesco Malfettani è uno scrittore insensibile e refrattario al vento in discesa - lemme lemme – dalle brulle colline incombenti sulla soddisfatta e gongolante stupidità della Genova avvolta nella nebbia crepuscolare/resistenziale.
 La città esausta e malinconica è incline ad accogliere e ad applaudire le sentenze lavative e purgative, diffuse dal collerico, imperioso Spruzzo Resistenziale, al fine di alterare, addomesticare e colonizzare la memoria storica degli italiani.
 Malfettani è invece autore di un veridico e avvincente saggio, Personalità della Rsi a Genova, inteso a rammentare la intrepida nobiltà dei gerarchi fascisti repubblicani (dodici sono citati nel saggio in questione) militanti contro le tracotanti, soffocanti, implacabili (e purtroppo vincenti) potenze democratiche.
 Potenze associate all'infame club dei praticanti il vizio di Sodoma e Gomorra, peraltro. L'autorevole e insospettabile Curzio Malaparte ha dimostrato, infatti, che la seconda guerra mondiale fu vinta dagli omosessuali, combattenti sotto l'umido usbergo della massoneria da vespasiano.
 Ora finalità sagacemente perseguita da Malefettani è la puntuale confutazione della leggenda nera, in cui il fascismo è ridotto alla figura della volgare brutalità.
 A smentire la abusata e ostinata diceria, circolante nell'obitorio antifascista, è sufficiente rammentare che “il fascismo allargò il suo spazio in ogni campo dell'arte, compenetrandola e conferendo ad essa la funzione di strumento” di civilizzazione e aprendola all'innovazione e all'esperimento.
 A conferma della sua tesi Malfettani cita dodici studiosi di alto profilo morale, che a Genova testimoniarono, in un periodo segnato dal triste rovesciamento del destino e delle gabbane, la loro fedeltà agli ideali di Benito Mussolini. Alcune delle brevi ma esaustive biografie scritte da Malfettani meritano una speciale citazione.
 L'autorevole primario palermitano Alfredo Cucco, ad esempio, è autore di un saggio che contesta la infondata (e ostinata e quasi invincibile) mitologia intorno alla felicità regnante e gongolante negli Stati Uniti d'America , “il paese dove la barbarie ancora culmina attraverso la selvaggia manifestazione del linciaggio, il paese dove, come un rosario disonorante, si snodano per le strade le marce della fame”.
 Del poeta e medaglia d'oro Carlo Borsani si rammenta la presenza a Genova per predicare, con toni profetici, la pacificazione: “la voce dei morti è come la voce di Dio: si fa intendere nella solitudine della meditazione e nel raccoglimento della preghiera, non già nel frastuono e nel contrasto delle passioni e degli odi o nel turbine delle vendette”.
 Avvincente è la rievocazione dell'animoso patriota, padre Eusebio Zappaterreni, autore di una ispirata orazione che invocava la protezione della Madre di Dio: “Noi vogliamo che la Madonna sia proclamata Regina d'Italia e batteremo le monete con la scritta: Maria Regina della Repubblica Sociale Italiana”.
 Malfettani dedica un ampio e puntuale capitolo a Carlo Alberto Biggini, l'insigne studioso, che fu ministro della pubblica istruzione nel governo della Ra pubblica Sociale Italiana. Di Biggini è rammentata la magnanimità che lo indusse ad intervenire per sventare la minaccia incombente su alcuni suoi colleghi, (fra i quali Giorgio Bo, Agostino Capocaccia, Adelchi Baratono, Roberto Lucifredi, Antonio Maria Maragliano, Eugenio Togliatti) che, nel luglio del 1943, avevano firmato un frettoloso documento antifascista.

 L'opera di Malfettani, in definitiva, costituisce una importante correzione alla mitologia (spesso calunniosa) intorno alla vicenda dei fascisti repubblicani. Come tale il saggio deve essere proposto ai giovani studiosi, che sono tuttora intossicati da una storiografia finalizzata al puntellamento di un potere politico avvolto negli immortali fumi prodotti dall'incenso democratico e resistenziale.

Piero Vassallo

martedì 6 dicembre 2016

IL FATTO NUOVO (di Piero Nicola)

  Chi ha mai dubitato che Politici&Poteri forti aventi a disposizione governo, giornali, tivù, star dello spettacolo, personaggi della cultura e sistemi di persuasione occulta, potessero influenzare l'opinione pubblica tanto da far votare la gente secondo i loro desiderata? Eppure la gente ha rigettato tutta questa propaganda. Bisogna dire che slealtà e disonestà con cui si sono aggirate alcune regole del gioco è risultata piuttosto scoperta e ha suscitato il fastidio dei bombardati da lusinghe e minacce non troppo velate, nazionali e internazionali (salita vertiginosa dello spread, fallimento di banche, ritorsioni da parte della Commissione di Bruxelles). Indubbiamente si è esagerato e, ben lo sappiamo, accà nisciuno è fesso. Ma se la maggioranza delle casalinghe ha contraddetto i suoi beniamini, che accompagnano le sue giornate nell'acceso schermo televisivo, se la maggioranza dei fedeli della sinistra ha rinnegato il capo del partito, se tanti giovani non hanno dato retta ai loro idoli cantanti o d'altra specie, se una massa di cosiddetti ben pensanti ha respinto la stabilità renziana, qualcosa di sostanziale dev'essere cambiato.
  Come alcuni osservatori hanno messo in evidenza, il NO ha colpito il governo piuttosto che andare contro la riforma costituzionale, per lo più non sentita, volutamente ignorata nel contenuto. E ciò non solo perché Renzino ha personalizzato il referendum, per giunta in modo assai indisponente, come colui che vuol vincere ad oltranza e appare come un imbonitore da fiera mentre occupa il posto di capo a Palazzo Chigi. Si è detto NO alla politica governativa, al modo di risolvere i problemi assillanti: crisi, occupazione, immigrazione. Se mettiamo insieme i poveri, i disoccupati, la classe media impoverita e coloro i quali debbono vedersela con i danni e i delitti procurati dall'immigrazione e dalla malavita: ecco la maggioranza, il voto di protesta.
  Per la verità, il toscanello aveva fiutato odore di bruciato e i sondaggi parlavano chiaro. Ma si è intestardito, ha cercato di darla a bere facendo la commedia della voce grossa con i poteri della UE, vantando i suoi successi inesistenti. Il suo voler combattere una battaglia persa in partenza ha rivelato il suo limite. Il colpo di grazia glielo ha inferto l'appoggio degli esponenti politici  screditati: Casini, Prodi, Obama, Merkel, i quali riscuotevano molto meno del 50% dell'approvazione. Gente che, come lui stesso, aveva contribuito alla sconfitta della Clinton nelle elezioni presidenziali americane.
  Il fenomeno Grillo aveva già suonato il campanello d'allarme circa il consenso alla conduzione politica di stampo europeista e mondialista. Negli USA il distacco del popolo dal sistema sino a poco prima autorevole, il rifiuto del disegno montato dai fianzieri padroni del mondo, si è concretizzato. Qua e là in Europa, come in Inghilterra, non se ne vuol più sapere di immigrazione invadente, di delocalizzazione di industrie, di artato impoverimento, di artificiosa stasi economica, di abbandono delle radici. Ora è toccato a noi.
  La presunta maggioranza moderata, silenziosa, conformista e di buon senso su cui il potere vigente poteva contare, si è disgregata, non esiste più. La fiducia è scomparsa, in barba alle indagini demoscopiche e alle statistiche fasulle. Anche se la condizione del popolo non è ancora scesa sotto la famosa soglia dei bisogni elementari, per cui si accende la rivolta, il popolo non crede nei politici, li ha abbandonati e non ritorna a loro fino a quando non risolvano fattivamente certi problemi.
  Mattarella avrebbe fatto bene a risparmiarsi il compiacimento per l'affluenza alle urne, che avrebbe dimostrato la vitalità della democrazia. Votare NO era il mezzo per dire NO al sistema, infine per manifestare scetticismo anziché fiducia nelle elezioni.


Piero Nicola

lunedì 5 dicembre 2016

TOTALITARISMO O MORTE (di Piero Nicola)

Valutiamo la condizione civile della nostra nazione. È forse degna e accettabile? La domanda è retorica. Ma vale la pena di ricordare ancora una volta i principali mali mortiferi di questa società: classe politica e dirigente disonesta o inetta, divorzio, aborto, diritto di famiglia pervertito, procreazione artificiale, pornografia, aperture legali all'eutanasia, matrimonio omosessuale e teoria del gender ammessa nell'insegnamento, aperture legali all'immigrazione senza prospettiva di assimilazione, droga e mafia tollerate, diffuso gioco d'azzardo di stato, cessione di importanti branche della sovranità nazionale a organismi internazionali che impongono leggi e direttive empie e di perversione, soggezione a poteri finanziari mondialisti che deprimono altresì l'economia e generano milioni di poveri, trasferimento di industrie all'estero, imperante cultura nichilista, internazionalista, fautrice della convivenza multietnica, antipatriottica, negatrice dei valori militari e della guerra giusta.
  Indubbiamente si è giunti a tanta desolazione e abiezione venendo da migliori condizioni. Se mai tutto ciò non sia dipeso per intero dal sistema democratico, è innegabile che esso lo abbia permesso con la sua intrinseca debolezza, con il suo laicismo, con la sua divisione partitica e faziosa, con i suoi principi di sovranità popolare, di eguaglianza e di libertà inique, con la propria demagogia corruttrice, basata sul materialismo, sull'edonismo e sulla concessione di diritti abusivi.
  L'esperienza storica dimostra che le democrazie sono sempre state regno di oligarchie, mutevoli ma aventi in comune il dominio di pescecani e di politici corruttori, almeno circa l'ideologia professata e praticata (liberalismo, socialismo), circa la tolleranza di movimenti sovvertitori del bene comune, e circa la disponibilità al compromesso inaccettabile, nonché inevitabile perché imposto dai poteri forti interni ed esteri.
  Pendiamo ad esempio gli USA. Dalla loro nascita in avanti essi sono stati il campo su cui hanno imperversato l'impostura dell'utopica felicità e preminenza raggiungibile da chiunque con i mezzi individuali favoriti dalla costituzione, l'impostura del libero potere popolare, l'impostura di un presidente e di un governo che invocano e onorano un dio inesistente perché comune a religioni fra loro incompatibili e false, la grande corruzione politica, il banditismo su vasti territori e poi il gangsterismo, un liberalismo che fece, e fa, milioni di indigenti e di diseredati. Di lì, si diffuse un imperialismo immorale e machiavellico.
  Se mai qualche democrazia abbia dato l'impressione di essere onesta essa è sempre ricaduta sotto l'influenza della generale disonestà.
  E allora come se ne esce? Che cosa c'entra il totalitarismo? Se prendiamo un qualsiasi dizionario ne abbiamo la definizione. "Dottrina politica che ammette un solo partito informatore e guida dell'azione statale o sostiene che il potere governativo debba disciplinare direttamente tutti i rapporti sociali, in particolare quelli economici" (Dizionario Zingarelli, 1970), "Sistema, regime politico in cui il potere viene concentrato nelle mai di un gruppo dominante, che assume il controllo di tutti gli aspetti della vita dello stato imponendo la propria esclusiva ideologia; anche dottrina, teoria politica fautrice di un sistema di questo tipo" (Dizionario Garzanti, 1987).
  Escludendo tale soluzione autoritaria non sembra esistere altra costituzione di Stato etico né una via di mezzo. Ogni regime contiene diversità di vedute e di giudizi, e può lasciare spazio a una sufficiente libertà sociale e individuale. Il totalitarismo può essere mitigato da un corporativismo consultivo e di relative autonomie amministrative. Ma qualsiasi attribuzione dell'elezione al popolo, qualsiasi ordinamento dei partiti rivali e dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario in conflitto, dei sindacati autonomi e delle controversie di lavoro affidate allo sciopero o alla serrata anziché al giudizio di un magistratura, tutto ciò fa ricadere nel disordine, nella corruzione, nella decadenza.
  Va da sé il pericolo del totalitarismo. Esso sarà buono o cattivo. Ma non correre il rischio equivale ad accettare lo status quo.
  Naturalmente il discorso è teorico. Spesso non si pone la scelta. Oppure gli eventi la propongono con un'elezione popolare. Nella storia si ebbero regni più o meno assoluti con esito positivo o negativo. In ogni caso un certo consenso della gente, una certa unanimità è sempre stata indispensabile alla loro sopravvivenza. Ciò che non è valido decade di per sé. Ed è quanto sta avvenendo delle attuali democrazie. Il cosiddetto populismo che avanza rappresenta il loro discredito, il loro sfacelo. Che cosa ne sortirà è imprevedibile, dipende dagli uomini, dai capi dei movimenti. Sta di fatto che per uscire dalla palude occorrerà un regime che si renda indipendente dal sistema democratico ora universalmente convenuto, un regime efficiente che rispetti la realtà della nazione, della sua cultura, della tradizione storicamente distillata, vicina al rispetto della legge naturale e della Chiesa, tradizione sempre valida e necessaria ad ogni ripresa.
  Infine, non è detto che il totalitarismo proficuo sia del tutto come Dio lo vorrebbe, non è detto che sia esente dai germi della dissoluzione, tuttavia otterrà una certa ripresa e l'arresto della perversione in atto.
  Qualcuno obietterà che oggi in Russia la conduzione di Putin si svolge vigenti certe regole democratiche. Di fatto egli governa discretamente grazie al grande consenso di cui gode e non in virtù di quei liberi istituti. Nulla vieta che sussista una forma posta in non cale dalla prassi. Tanto è vero che i custodi delle libertà occidentali contestano allo "Zar" la violazione di diritti umani. Maggiori violazioni si possono imputare alla Cina totalitaria, sebbene le Potenze interessate non le muovano accuse per ragioni di convenienza, ovvero di realpolitik.


Piero Nicola

sabato 3 dicembre 2016

Il futuro forse non remoto della destra italiana

 “Sembrava che, dopo aver rifiutato il Cristianesimo, alla società inebetita fosse caduta la testa e si fosse posta in adorazione, così decapitata, dinanzi alla materia mentre questa, divenuta, per un prodigio infernale, micidialmente intelligente, si preparava ad annientarla”.
Domenico Giuliotti



Interprete geniale e autorevole della cultura di una destra dis-americanizzata, non abitante nella disadorna casa della Meloni e pertanto capace di ragionare oltre la fulminante suggestione evoliana e dopo la escursione finiana negli ambulacri quirinalizi del socialismo irreale, il giovane e brillante filosofo Paolo Rizza propone una azione culturale indirizzata ad accogliere, aggiornare ed interpretare sagacemente l'ingente eredità di Attilio Mordini, l'opera che Luigi Gagliardi, pensatore refrattario alle stizzose ingiunzioni degli inquisitori politicamente corretti, definisce “la cultura controriformistica del fascismo”.
Nel saggio La reazione cattolica contro la decadenza, edito in Chieti dall'impavido Marco Solfanelli, Rizza lancia il guanto di sfida contro il teologicamente corretto e la teologia di stampo sudamericano, spezzoni di una frenesia modernista al tardo e disperato galoppo nella praterie del passato marxiano, affermando risolutamente e dimostrando, senza lasciar ombra di dubbio, che “la Tradizione, che Mordini considera il fondamentale criterio interpretativo delle vicende contingenti, è costituita dal depositum fidei affidato da Cristo alla Sua Chiesa quale attuazione del disegno divino sapientemente preordinato ab aeterno”.
Nel magistrale capitolo dedicato al pensiero antimoderno, Rizza elogia e attualizza l'opera di Domenico Giuliotti una autore la cui memoria è oscurata “da un pervasivo potere culturale che mira protervamente a difendere i tratti costitutivi dell'ideologia, tentando di preservarli dai fallimenti catastrofici che ne hanno caratterizzato la storia”.
Rizza osa difendere la memoria del conte reazionario Clemente Solaro della Margharita (1792-1869), un patriota che fu avversario implacabile dei liberali e dei massoni, complici e servi sciocchi degli invasori francesi. Di Solaro è opportunamente rammentata sopra tutto “la coraggiosa opera civile, tesa alla creazione di un assetto costituzionale alternativo al centralismo burocratico di stampo cavourriano e perciò capace di tutelare le molteplici peculiarità della penisola”.
Alla correzione dell'innaturale entusiasmo cavourriano, festante negli ambulacri della destra acefala e debragata è dedicato il capitolo intitolato alla riflessione antiliberale di Louis de Bonald, il geniale studioso cui si deve la confutazione delle utopie canagliesche, diffuse da eversori sedicenti illuminati.
Avvincente è altresì il capitolo dedicato ai paesaggi spettrali del nichilismo, un capitolo in cui sono riproposte e aggiornate le ragioni esposte da Maurizio Blondet nel magistrale saggio Gli Adelphi della dissoluzione Strategie culturali del potere iniziatico, un catalogo delle nefandezze urinarie, coperte dal mantello della massoneria.
Impegnativo e avvincente è il capitolo dedicato allo sviluppo della filosofia dopo Giovanni Gentile, la cui opera è apprezzata da Rizza quale dichiarazione della “consapevolezza della indispensabilità di un inveramento del cattolicesimo in una interpretazione coerentemente dialettica e idealistica del reale, che porta il fondatore dell'idealismo a ritenere – come osserva Michele Federico Sciacca – che il suo pensiero costituisce l'unica posizione spiritualistica e cristiana fuori o contro la quale si è naturalisti e atei”.
Merita una speciale segnalazione il capitolo dedicato ad Enzo Erra, autore de L'inganno europeo, una puntuale e impietosa critica della mitologia europeista. Erra è stato un pensatore geniale, ingiustamente declassato e archiviato in tutta fretta dagli alieni liberali, che hanno occupato e sfigurato l'area della destra italiana. Di Erra si rammenta la ferma denuncia dell'attuale istituzione europea “concentrato di falsificazione della storia e del linguaggio … costituzione economica e finanziaria di un'Europa che, figurando come ridicola caricatura degna delle democrazie”.
Il libro di Rizza si propone agli aspiranti alla disintossicazione dai filosofemi associati a una storiografia corrente nei fumi emanati del delirio democratico.

Piero Vassallo


venerdì 2 dicembre 2016

LA FEDE SCIENTISTA (di Emilio Biagini)

“Ma la scienza un giorno spiegherà...”, esclama il credente della curiosa “religione” che si chiama scientismo: la fede secondo la quale la scienza sarebbe l’unica fonte di conoscenza. Lo scientismo pretende di ridurre la complessità dell’esistente, dove inevitabilmente moltissime cose ci sfuggono, per ridurre tutto alla portata del nostro intelletto. Quando si assume il compito di amministrare la società con le scienze economiche, politiche e sociali, sfocia nella burocrazia, si assiste all’edificante spettacolo di giovani che studiano per “amministrare” le vite degli altri (ossia montare loro sulla testa), arzigogolare, negare finanziamenti ai piccoli imprenditori che ne hanno disperato bisogno per non fallire e concederli invece agli “amici degli amici”, paralizzare e ritardare ogni iniziativa, come è proprio della burocrazia.
Parallela allo scientismo è la svalutazione della metafisica. Quest’ultima, ricordiamo, è la teoria dell’ente in quanto ente, visto nei suoi caratteri universali, e conduce all’intuizione dell’assoluto, ossia a Dio. La metafisica è creazione dell’antico pensiero greco: in via puramente intellettuale, senza alcun aiuto dalla Rivelazione, i Greci si erano persuasi dell’esistenza di Dio, al punto che avevano elevato, sull’acropoli di Atene, il tempio “al Dio sconosciuto”, e san Paolo poté dire loro: “Il Dio che voi adorate senza conoscerLo, io ve Lo annuncio” (Atti degli Apostoli 17, 23). La metafisica era tenuta in alto onore anche dalle menti più elette del mondo romano, come Cicerone e Seneca.
Il grande filosofo Karl Popper, emigrato in Gran Bretagna, per sottrarsi alla dittatura nazista, e divenuto professore all’università di Oxford, era il maggior specialista di epistemologia (filosofia della scienza) vissuto nel Novecento. A lui dobbiamo la demolizione più efficace e incontrovertibile dello scientismo, la cui proposizione basilare stessa è miseramente contraddittoria: infatti non è possibile dimostrare scientificamente che la scienza sia l’unica fonte di conoscenza, per cui tale proposizione non è scientifica. Infatti, se la proposizione fosse vera, significherebbe che almeno una proposizione non scientifica è vera. Siamo dunque di fronte ad un’insanabile autocontraddizione, ad una difficoltà logica irrisolvibile, e che, in termine tecnico, si chiama aporìa.
Il Popper categorizza tale tipo di contradditorietà come un caso di “paradosso del cretese”, ben noto alla logica classica e di facile comprensione. Infatti se un cretese dice: “Tutti i cretesi mentono”, l’affermazione è comunque falsa, perché se per assurdo fosse vera, significherebbe proprio il contrario, ossia che non tutti i cretesi mentono, dato che almeno uno di loro ha detto la verità. I falsi dogmi scientisti, sono un gravissimo ostacolo alla scienza autentica. Infatti allo scientista non importa nulla della scienza, se non come arma contro la religione. Lo scientista è prima di tutto un settario guidato non dalla sete di verità ma dal proprio orgoglio e dalla voglia di non sottostare a una “fastidiosa” legge morale. La fonte prima dello scientismo e del suo fratellino, l’ateismo non è quasi mai nel cervello, ma sotto la cintura, molto più in basso nell’anatomia umana.


Recentemente si è affacciato alla ribalta un nuovo scientismo, che rivendica alla scienza un campo d’indagine illimitato. La scienza stessa si propone cioè come filosofia onnicomprensiva in progressiva espansione. Ciò presuppone quindi che non vi sia niente al di fuori della scienza stessa se non l’ignoto. Si tratta di una forma di scientismo più insidiosa di quella tradizionale, ma anche questa è contraddittoria: infatti l’affermazione “al di fuori della scienza non vi è che l’ignoto” non è scientificamente dimostrabile, e ricade quindi in un’aporìa di fondo simile a quella del vecchio scientismo. Né è chiaro cosa sarebbe l’“ignoto”: le teorie sbagliate sostenute per motivi politici, come il darwinismo e l’ambientalismo, ad esempio, fanno parte dell’“ignoto”?

Lo scientismo non è che fede cieca, scienza mascherata da religione, e quanto di più contrario alla vera scienza: quella che si accontenta di ricercare nel proprio ambito senza pretendere di sostituirsi alla metafisica e alla teologia. E qual è quest’ambito? È l’investigazione dei fatti, alla ricerca di spiegazioni, di generalizzazioni e di leggi, senza forzature, arrestandosi di fronte a quello che appare inspiegabilmente contrario alle leggi naturali, riconoscendo i propri limiti. Dentro questi limiti, la scienza è un’impresa magnifica, che fa onore all’intelletto umano. Fuori di questi limiti cade nel delirio e nella superstizione, in un pensiero sedicente “moderno” che ha radici arcaiche: trae origine dall’antichissima, sempre mutante dottrina della gnosi, che si infiltra ovunque, senza che, di solito, i suoi sostenitori abbiano la minima idea della palude pseudofilosofica nella quale si sono cacciati.

Emilio Biagini

martedì 22 novembre 2016

Le inestirpabili radici cattoliche della solidarietà

Allo sguardo del turista, che dal centro storico di Genova risale verso la elegante e fastosa Circonvallazione a monte, si fa incontro l'ampio viale alberato, che mette capo a un edificio imponente e sontuoso, l'Albergo dei poveri, progettato e avviato dall'umanista e benefattore cattolico Emanuele Brignole Sale, per ospitare e assistere i genovesi privi di un decente alloggio e di sufficienti mezzi di sostentamento.
La solennità del palazzo rivela l'intenzione dei nobili e facoltosi credenti, che ne hanno attuato la splendida costruzione: inscrivere, nella magnifica e solenne struttura dell'edificio, l'affermazione dell'universale diritto alla pietà e al rispetto, diritto che la teologia cattolica riconosce specialmente ai malati e ai poveri, immagini del Cristo paziente.
Anche il grandioso ottocentesco (e tuttora funzionante in Genova Carignano) ospedale Galliera è stato costruito con il denaro di una generosa e ingente donazione, disposta dalla marchesa (papalina) Maria Brignole Sale di Galliera.
L'aristocrazia genovese è stata, insieme con il clero, all'avanguardia del movimento spirituale e civile finalizzato a soccorrere e sollevare i malati (specialmente i contagiosi, per il popolo oggetto di un sacro terrore) ricoverandoli in ospedali nei quali erano accolti e curati con misericordia ed efficienza (ad esempio, ogni giorno erano cambiati i lenzuoli, questo mentre in altre città europee i malati erano consegnati e abbandonati alla miseria dei tuguri o addirittura allo squallore e alla sporcizia delle strade).
Ispirati dalle sapienti e affascinanti conversazioni con il cardinale genovese Giuseppe Siri, i pregevoli saggi del dotto avvocato Emilio Artiglieri hanno dimostrato che le moderne imprese ospedaliere non hanno origine e fondamento nella ideologia laica e progressista e pertanto devono essere correttamente attribuite ai lungimiranti innovatori cattolici, già attivi in Genova alla fine del quindicesimo secolo.
La cultura della comunità, in cui avvenne la nascita della nuova medicina, fu ispirata e influenzata dalle geniali e intrepide intuizioni della genovese Santa Caterina Fischi Adorno (1447-1510) e di seguito, tra il sedicesimo e il diciannovesimo secolo, fu magnificamente rinvigorita dalle opere di misericordia finanziate e attuate con sapiente fede e illuminata generosità dalla aristocrazia cattolica.
La nobiltà cattolica genovese, vera avanguardia della misericordia, spese somme ingenti per costruire ospedali e abitazioni per i poveri e i disagiati.
Purtroppo l'affermazione della disgraziata e rovinosa ideologia o meglio lues liberal-massonica, importata dalla Francia e dall'Inghilterra, ostacolò e avvelenò la sequela della misericordia cattolica e promosse quella sordida borghesia degli affari, che ha fatto passare le conquiste sociali dei cattolici attraverso la calunnia, l'usurpazione e l'inquinamento della teologia, che aveva nobilitato e illuminato la storia della Superba.
Ove intendano uscire dalla degradante e imprigionante chiacchiera liberale e/o progressista, agli amministratori dell'oggetto frastagliato e misterioso, che è eiettato dalla sfasciata e sfasciante cultura della destra ultima e plurima, è offerto un solido e magnifico sostegno nella storia del cattolicesimo genovese.
L'umiliante confronto della Genova del passato cattolico con l'odierno, desolante/struggente agglomerato di progressisti, speculatori, ruffiani e necrofili urbani, offre una lampante indicazione circa il cammino da intraprendere sulla traccia del cristianesimo sociale.
E' dunque urgente confutare e smentire la storiografia riduttiva, che riduce la vicenda patriottica di Genova alle elucubrazioni e alle codarde e allucinate contemplazioni degli azionisti di varia e triste risma, sovversivi istigati e attizzati dalla storia del febbricitante e delirante Giuseppe Mazzini.
Il contraffatto patriottismo del Mazzini va respinto e rigettato energicamente nella sua ideale patria inglese, e sostituito dalla misericordia dei popolani cattolici, - gli eroici insorgenti antigiacobini, ad esempio - che hanno interpreto i valori profondi dell'anima genovese.


Piero Vassallo

lunedì 21 novembre 2016

GAETANO RASI: Un metapolítico di carattere (di Primo Siena)

La mia amicizia con Gaetano Rasi (nato a Lendinara, Rovigo, il 15 maggio 1927) è di lunga data; risale attorno al giugno-luglio del 1947, quando c’incontrammo nel primo convegno interregionale della gioventù del Msi a Padova dov’erano convenuti i delegati provenienti dai gruppi giovanili del Triveneto per organizzare una manifestazione per l’italianità del Trentino-Alto Adige contestata dai gruppi austriacanti del Volskpartei costituitisi a Bolzano.
 Gaetano - patavino da parecchi anni - faceva gli onori di casa di casa, assieme a Carlo Amedeo Gamba, Gianni M. Pozzo ed il cugino Cesare Pozzo.
Una foto d’epoca, di poco successiva, ci ritrae in gruppo alla stazione ferroviaria di Venezia dove eravamo affluiti (gennaio 1951) per un convegno regionale del Raggruppamento giovanile. Gaetano Rasi, unico con cappello, in quella foto s’assomma sorridente dietro ad un giovanissimo Fausto Gianfranceschi.

 Quel nostro rapporto, umano, politico, intellettuale, non s’affievolì neppure quando (febbraio 1978) lasciai l’Italia per una missione professionale in Cile, che con il tempo mi trasformò in un italiano stabilmente residente all’estero.
Egli, invece, presentando il 2 marzo 2012 a Palazzo Sora in Roma, il mio libro La perestoika dell’ultimo Mussolini, confessava agli astanti:
 “Ho la convinzione di aver sempre conosciuto Primo Siena. Non riesco a stabilire una data, un’occasione, un luogo dove io abbia incontrato per la prima volta l’autore di questo libro. Il mio sodalizio umano ed intellettuale con Primo, che nasce certamente nei mesi immediatamente successivi alla seconda Guerra Mondiale, costituisce uno di quei fatti che sono compenetrati nella formazione continua di ciascuno di noi nel corso del tempo. Insomma che fa riferimento a coloro con i quali condividiamo principi e valutazioni (cum qui in idem sentiunt)”.
Quel nostro sodalizio, infatti, è durato ininterrottamente fino al giorno del suo inaspettato decesso (20 novembre 2016), quando si trovava a mezza strada dei suoi novantanni, pieni di acuta e penetrante lucidità intellettuale.
C’eravamo visti ed abbracciati a Roma (11 ottobre 2016) alla celebrazione del settantesimo del Msi, organizzata dalla “Fondazione Giorgio Almirante”.
Quattro giorni prima del suo improvviso ricovero in clinica, l’avevo chiamato telefonicamente a Bracciano da Santiago del Cile. Ci s’era parlati per quasi due ore, trattando diversi argomenti di comune interesse: i cambi culturali e sociopolitici avvenuti nel mondo ultimamente; le celebrazioni dei 70 anni dalla fondazione del Msi, i problemi della Fondazione di Alleanza Nazionale; la situazione del Cesi, quel Centro Nazionale di Studi politici ed economici, sua ultima creatura la cui continuità nel futuro era il suo cruccio. “Vi ho raccolto uomini di alto valore e profilo, già anziani o di mezza età, ma vedo pochi giovani” mi diceva.
 I giovani della nostra area politica e la loro formazione, erano la sua costante, profonda preoccupazione (da me condivisa), perchè essi solo – insisteva - possono assicurare la proiezione futura del nostro progetto politico alternativo.
Un progetto politico le cui radici affondavano in un tempo assai lontano, quando sulle pagine della rivista giovanile Cantiere (n.2, marzo 1952) Gaetano rintracciava la derivazione corporativa (e s’era a 7 anni appena dalla sconfitta del 1945) del “Piano” di William Beveridge avviato nell’Inghilterra laburista di quegli anni.
 Egli richiamava l’attenzione su questo caso perchè: “l’interesse che esso suscita – scriveva – viene anche dal fatto che proprio questa nazione fu la irriducibile nemica e la causa prima della sconfitta di quell’Italia che espresse la soluzione sociale ed economica valida, con i necessari adattamenti, per tutti i popoli, compresi quelli di lingua inglese”.
E commentava in proposito: “Interessante è per noi, che combattemmo dall’altra parte della barricata, constatare come il nemico a mano a mano che ci combatteva, si appropriava, facendole passare per proprie, quelle idee che costituivano i motivi ideali per i quali moriva il fior fiore della gioventù europea”.
Allievo dell’economista Marco Fanno e del geopolitico Ernesto Massi, il giovane Gaetano Rasi si poneva già da allora il problema della giustizia sociale come un problema non solo economico bensì etico, inteso quindi come esigenza spirituale per assicurare un ordine ai rapporti tra gli uomini, nell’ambito di una struttura organica e funzionale dello Stato moderno, affinchè il cittadino non naufragasse nell’anonimia della massa informe.
Egli riprende questi concetti quando assieme a me, alla fine del 1954, dà vita alla rivista Carattere; la quale - accanto alla linea gentiliana e tradizional-evoliana di Cantiere (che fu l’officina, il laboratorio appunto, di una ricerca d’indirizzo), ne accentua una tradizional-cattolica elitista che puntava all’unione metapolitica tra due mondi anteriormente poco comunicanti: il religioso ed il politico; due spazi dove dovrebbe agire l’essere umano sostenuto eticamente da principi spirituali trascendenti.
 Ma è soprattutto con una misura di coerenza morale (un “carattere” appunto, ossia fermezza consapevole) con la quale Gaetano Rasi si misura in questa avventura culturale proponendo le linee – sono parole sue – “di un progetto politico non restaurativo, ma evolutivo” atto a raccogliere le emergenti esigenze spirituali, etiche e politiche future di una postmodernità tuttora incerta e confusa.
Fin dal tempo di Carattere egli comprese che, senza cambiare la visione del mondo offertaci dal riduzionismo scientifico moderno (e dalle sue conseguenze tecnologiche, non sempre positive), non si sarebbe potuto affrontare la crisi attuale che ha avvolto il mondo per aprirgli, quindi, spazi futuri più fecondi dove la scienza e la tecnica ritornino fecondamente al servizio dell’uomo.
Già da allora - dotato di una solida cultura classica, nutrita altesì di una profonda visione spirituale – egli intuì la correlazione tra una scienza interdisciplinare come la metapolitica e la metafisica della politica (tanto ideologica come economica), intesa non come una scienza esclusivamente teoretica, bensì come misura di pensiero che si apre all’azione politica concreta dove il metapolitico agisce.
Infatti, come precisava ancora, “la rivista trattò molti temi relativi alla trasformazione dello Stato, fondato dopo la sconfitta solo sui partiti, in uno Stato che fosse l’organizzazione giuridica rappresentativa di tutti i corpi sociali della Nazione. In quest’ottica, la rivista Carattere rappresentò un ponte tra il passato, il presente e il futuro”.
 Bisognava infatti, secondo lui, sciogliere il nodo della discontinuità storica inevitabile tra il fascismo mussoliniano, cioè tra il fascismo storico ed il periodo successivo nel quale stavano sorgendo nuove esigenze geopolitiche, geoeconomiche e culturali che si stanno consolidando ed evolvendo in una postmodernità tuttora incerta e confusa.
Diveniva quindi necessario non un taglio netto sul nodo gordiano, ma un dipanare con pazienza e creatività raziocinante il nodo della frattura storica, per mantenere – pur con nuove forme per i tempi nuovi – una continuità d’idee e di principi, al fine di elaborare programmi attuali per un progetto politico alternativo volto a creare una Nuova Repubblica organica, dotata di una democrazia partecipativa in sostituzione della attuale, imbrigliata nelle maglie aggrovigliate di “un tiranno senza volto”: la partitocrazia.
Gaetano Rasi ha visto la possibilità di risolvere il male della partitocrazia attraverso l’instaurazione di una funzione corporativa, che si profila come la quarta accanto alle altre tre (la legislativa, l’esecutiva, la giudiziaria), in un ambito che da politico si fa metapolitico perchè soddisfa la problematica relativa all’ordinamento d’una società composta da uomini liberi ed orientata al bene comune; ragion per cui la politica si costituisce come ramo della morale intesa quale etica civile della convivenza umana sociologicamente e giuridicamente organizzata; una convivenza che attinge infine alla metafisica, come insegnava l’ insigne maestro dell’ateneo patavino, da Gaetano Rasi ben conosciuto e seguito: Marino Gentile.
Il quale nel corso di un suo famoso corso accademico su “Il filosofo di fronte allo Stato” (1969) aveva affermato: “Una filigrana naturale collega l’uomo allo Stato, perchè non esiste ordine giuridico senza morale, come non c’è ordine fisico senza metafisica”.
In quest’ottica, Rasi ha insegnato che l’ordine derivato dalla funzione corporativa si va costituendo mediante la partecipazione in sede politica, economica e culturale (ossia anche in senso antropologico). Ed ha attribuito alla partecipazione la caratteristica ineliminabile della corresponsabilità perchè il partecipare implica un condividere, cioè l’assunzione tanto dei doveri e dei sacrifici come degli esiti e dei benefici dell’azione.
Questo concetto “corporativo” di partecipazione – egli precisava[1]- “si differenzia nettamente dalle interpretazioni astratte e deformate” poste in circolazione dalla sociologia comunitaria, la quale annega nel calderone anonimo nell’assemblearismo il contenuto autentico della partecipazione, perchè in tal caso si esclude tanto la responsabilità individuale quanto “ l’apporto della volontà e delle intelligenze dei partecipanti pur tendenti al fine comune”.
Per Gaetano Rasi, nella cultura politica contemporanea sono tuttora presenti, con diverse sfaccettature e commistioni, tre ideologie: il liberismo, il socialismo e il corporativismo.
Delle prime due, di derivazione illuminista si conoscono i limiti e gli effetti concreti che ne hanno messo in crisi l’effettualità. In esse, l’ideologia pone sempre un interesse primario rispetto al quale i valori risultano secondari.
Infatti, nel liberismo le scelte dell’individuo sono sempre preminenti sulla società, e la libertà economica senza disciplina (cioè senza un minimo di programmazione interna e volontaria) esportata nel mondo, serve infine ad un potere contrario alla libertà: al potere dispotico del denaro. Mentre nel il socialismo (tanto nella formulazione radicale del comunismo, come in quella moderata della socialdemocrazia) l’interesse del proletariato, inteso come classe organizzata a Stato, prevale su quello dell’individuo che in tal modo viene annullato nella massa.
Rasi riconosce che, dal punto di vista storico, sono stati vissuti periodi di alternanza di un interesse o di un valore preminente su un altro; quindi, per uscire da tale altalena, l’obiettivo da perseguire resta la costituzione di una società nella quale “tutti i valori abbiano sede e siano fra essi correlati. La scelta di un valore come assoluto e preminente sugli altri, costituisce un momento di crisi etica e sociale”; e comunque si tratta di fasi di passaggio.
Solo la terza costituisce una prospettiva di futuro in grado di destreggiarsi tra i difetti e gli errori delle altre due, perchè essa punta alla ricerca dialettica di una armonia sociale tra le parti in grado di sostituirsi alla lotta di classe, trasformando così la politica da arte o scienza esclusiva del gestire il potere, in modalità sostanziale per vivere la pienezza di ogni essere umano.
 Il momento obiettivo per evitare le crisi etico-sociali od uscirne, è costituito dalla ricerca operativa onnipresente ed istituzionale di tutti i valori. E chi pensa ad un superficiale, difficile equilibrismo post-ideologico perchè - tanto - saremmo usciti definitivamente dall’epoca delle ideologie, s’inganna. Oggi il perseguimento degli interessi (non sempre limpidi ed onesti) sostituisce quello dei valori; per cui le ideologie non sono sparite, hanno solo cambiato di segno.
Il corporativismo,quindi, nonostante le demonizzazioni semantiche affibiategli dalle ideologie contrastanti, risulta la terza via possibile
Analizzando la storia delle idee sviluppatesi all’interno del Msi, nei 48 anni della sua esistenza, Gaetano Rasi ne individua, appunto, l’identità politico-dottrinale nel corporativismo concepito come l’ideologia “che tende a realizzare la democrazia sostanziale in contrapposizione alla democrazia solo formale dei regimi liberisti e partitocratici, tendenzialmente oligarchici e indifferenti allo sviluppo solidale della comunità cui appartiene un popolo nella sua consapevolezza”[2].
Questo corporativismo costituzionale affermato dal Msi – e alla formulazione dottrinale del quale, Rasi ha dato un forte contributo di pensiero – postula una Repubblica presidenziale dove il Presidente della Repubblica è la sola autorità che viene eletta direttamente dagli cittadini indifferenziati, mentre la selezione del resto della dirigenza politica viene affettuato elettoralmente “dal cittadino individuato nella sua competenza professionale e nelle sue opinioni politiche”. Sicchè gli istituti parlamentari che esprimono l’esecutivo e fanno le leggi, sono formati, per una parte, dai partiti politici costituiti “da coloro che la pensano alla stessa maniera (qui in idem sentiunt) e propongono progetti e programmi politici”; e per l’altra parte “dalle associazioni spirituali, culturali, economiche, ossia le categorie professionali e del volontariato”: corpi sociali organici che – secondo la dinamica della società - sono portatori “di specifiche competenze nonchè d’interessi morali e materiali”.
Nello sviluppo delle sue riflessioni sul corporativismo democratico del Msi, Gaetano Rasi ha dimostrato, accanto alla preparazione giuridica (s’era infatti laureato, a suo tempo, in giurisprudenza), una solida formazione speculativa nutrita da un’ annosa consuetudine con il filosofo Ugo Spirito e dalla filosofia attualista di Giovanni Gentile (il maggior pensatore eminente del nostro Novecento), al quale ha dedicato acuti saggi, trasmessi nella loro essenza educativa, sia dalle cattedre universitarie dalle quali ha esercitato un originale magistero economico-sociale, sia dalle ricerche scientifiche e dai corsi politici svolti mediante l’Istituto di Studi Corporativi, da lui fondato e diretto per cinque lustri; ed infine attraverso la Fondazione Ugo Spirito della quale fu, se non erro, il primo presidente.
Ha vissuto una vita dedicata allo studio e al magistero politico inteso come “servizio al cittadino, alla società, alla Patria”: con trasparenza, onestà e disinteresse (nominato Ministro del Commercio Estero del Governo Dini nel 1995, rifiutò l’incarico per coerenza politica).
Italiano cattolico, discreto ma osservante, ha creduto nella religione dei padri, ha vissuto con intensità spirituale le vicende della Patria con l’animo del combattente che affronta le vicende varie e talora difficili della vita come uomo di carattere che non s’arrende: esempio di vita per le nuove generazioni che si inerpicano sui sentieri scosesi del secondo millennio.
Questi fu Gaetano Rasi!

Primo Siena



[1]
                        [1] G.Rasi, Partecipazione organica e política programmatoria in AA.VV., Il Corporativismo è libertà. Gruppo di studio Fuan-Isc. Collana “La alternativa”. Istituto di Studi Corporativi, Roma 1975, p.21-22.
[2]
                        [2] Le citazioni, virgolettate, sono tratte dall’opera: GAETANO RASI, Storia del progetto politico alternativo. Dal Msi ad AN (1946-2009). Vol.Iº , La costruzione dell’identità (1946-1969).Solfanelli Ed. 2015. Pagg. 224 + 8 ill. Il progetto editoriale dell’opera prevede, come seguito di questo volume, altri due: L’alternativa al sistema (1970-1994) che va dalla preparazione del IXº congresso dove alla sigla MSI si aggiunge la dicitura “Destra Nazionale”, fino alla trasfornamazione del MSI-DN in Alleanza Nazionale; e un 3º volume, titolato: Evoluzione, involuzione, eclissi (1995-2009) che fa riferimento alle vicende che vanno dal tentativo di allargare il consenso di base fino alla destrutturazione organizzativa ed alla dissipazione del patrimonio progettuale, per concludersi nella fusione di AN con Forza Italia. 
E` da sperare che l’improvviso decesso dell’autore, non arresti l’edizione di quest’opera fondamentale per lastoria delle idee del Msi, e di cui il 2º volume si trova già tutto composto. Gaetano mi ha dedicato una copia del Iº volume con queste parole: “All’amico di cuore e di mente Primo Siena col quale mi trovo sempre in sintonia, nell’auspicio che i suoi libri e i miei piú modesti saggi possano trovare prosecuzione di pensiero e di azione. 8 Settembre 2015 (che anniversario...) G.R.