martedì 24 ottobre 2017

UNA DOMANDA ALLA SCIENZA (di Piero Nicola)

La scienza prosegue nelle sue indagini rivolte a scoprire, a spiegare l'universo e le sue leggi, sia nel microcosmo che nel macrocosmo. È un fatto naturale. Almeno dovrebbe esserlo qualora fosse in funzione della Verità, ovvero del bene dell'uomo e della gloria resa al Creatore.
  Purtroppo non è così quando, prescindendo da Dio e dalla metafisica, si agisce per altri scopi, che di necessità diventano cattivi, empi e luciferini.
  Si dirà che il progresso è sempre utile, giacché possono disporne anche i credenti fedeli.  Obietto che i buoni cristiani morti prima delle scoperte, non ne ebbero bisogno per salvarsi e per contribuire alla salvezza del prossimo. Ad ogni modo, la scienza attuale, volente o nolente, coltiva lo scientismo, che quanto meno è eretico; quanto meno essa inculca l'impressione che riuscirà a rivelare il mistero dell'esistente e a risolvere i problemi essenziali. Cosa affatto impossibile.
  Di tanto in tanto giunge la notizia della soluzione data a un enigma di cui la gente comune ignorava perfino l'esistenza. Il recentissimo presunto accertamento delle onde gravitazionali, sorprende coloro che a scuola appresero le leggi della gravitazione. Essi vengono a sapere che prima si brancolava nel buio, mancando il fondamento delle leggi di Keplero, pure inconfutabili. Vengono a sentire che la scoperta confermerebbe le teorie di Einstein. Forse i capitali investiti in questa ricerca non saranno stati spesi invano. Per adesso, i frutti sono più che altro platonici, e forse quei soldi serviti a costruire un impianto faraonico, potevano essere impiegati per alleviare la cresciuta povertà causata dalla crisi economica, e per combattere chi l'ha procurata.
  Ora, l'individuo terra terra, che non si fa incantare dai buchi neri, dalla meschina - di fronte ad essi - ventura missione degli astronauti su Marte (pianeta desolatissimo), individuo che scorda l'allunaggio e il mancato sfruttamento del nostro ingrato satellite, quest'uomo il quale, pur sognatore, da certi sogni prospettati non ricava un bel niente, può darsi che rivolto alla Scienza le domandi:
  "Come mai ti affanni per trovare una goccia d'acqua sul Pianeta Rosso, e hai già scartato gli altri pianeti per le loro atmosfere invivibili, e mi parli di galassie tremende e irraggiungibili, e non mi spieghi perché, in questo infinitesimo sistema solare, la terra è venuta fuori oltremodo differente, così unica, così ricca e vitale, così meravigliosamente combinata tra il benefico sole e le stelle?"
  Quando poi costui sia un cattolico, la domanda assume un valore quanto mai gratificante per lui, poiché la Scienza resta muta o, imbarazzata, adduce teorie e ipotesi labili come il vapore, soggette a ogni vento: schiacciate dalla Creazione.  


Piero Nicola

lunedì 23 ottobre 2017

GALANTINO E IL CONCILIO DI TRENTO (di Piero Nicola)

Dopo il distacco, il clero eminente continua imperterrito la sua marcia di allontanamento dal Signore. Basterebbero le innumerevoli prove della violazione della Verità per ritenere debito e definitivo il ripudio dei responsabili. Soltanto un loro ravvedimento potrebbe essere preso in considerazione. Tuttavia certe remore tengono ancora molti in sospeso e nell'indugio. Perciò conviene seguire il disgraziato cammino degli apostati che, come ai tempi dell'arianesimo trionfante, detengono il possesso delle chiese.
  La Pontificia Università Lateranense, definita da G.P. II "l'università del Papa", fondata nel 1773 da Clemente XIV, ha tenuto di recente un convegno sulla "Passione per Spiritualità e teologia della Riforma a 500 anni dal suo albeggiare".
  Sarebbe offensivo per la capacità di intendere di chi legge ogni commento inteso a mettere in evidenza la riabilitazione del luteranesimo, anzi il suo apprezzamento.
  Il Segretario della CEI, Galantino, è intervenuto e, citando l'iniziatore della Riforma, ha riferito un suo detto: "Mi sono schierato contro tutti i papisti, contro il Papa e le indulgenze, ma solo predicando la Parola di Dio. E quando io dormivo la Parola di Dio operava tali cose che il Papa è caduto".
  Di nuovo la volontà di giustificare Lutero appare troppo evidente per essere sottolineata. Lo straordinario è che sarebbe come se un giudice d'appello assolvesse un criminale condannato per le prove inconfutabili del suo delitto, adducendo a discolpa una dichiarata buona intenzione del reo. Un verdetto inappellabile è stato emesso dal Concilio di Trento, che fulminò di anatema le proposizioni di Lutero. Perciò assolvere o scusare l'eresiarca scomunicato, significa demolire non solo l'autorità del Pontefice, ma anche il Concilio di Trento. In verità, poco importa l'animo del monaco rivoluzionario, importa la sua dottrina sacrilega mantenuta dai suoi seguaci e oggi scusata. In vero è come se il custode della morale scusasse il delitto. Ma qui il custode dovrebbe essere il Vicario di Cristo e il delitto negato l'offesa enorme recata a Dio. Assurdità!
  Nell'affermazione riportata dal Galantino ci sono le contraddizioni che stritolano gli usurpatori degli altari e dei pulpiti. Poiché fa comodo, l'autorità pontificia viene da essi mantenuta, salvo inficiarla quando il violatore è un fratello separato (leggi: eretico). L'autore delle tesi di Wittenberg  "contro il Papa" screditò il Papa in materia di fede e di morale. Inoltre, nominando la predicazione della "Parola di Dio", non è affatto lecito prescindere dal contenuto di tale annunzio, quand'anche fosse stato fatto in buona fede. Il che sarebbe pure da escludersi, avendo l'imputato rifiutato l'obbedienza e la resipiscenza.
  Le affermazioni del Segretario della CEI sono pertanto false in modo risibile, sostenibili solo rivolgendosi a un consesso di sprovveduti e di sofisti da dozzina, che si arrampicano disperatamente sugli specchi onde non rinunciare alle loro misere convenienze morali e materiali.
  Galantino prosegue la perorazione a vantaggio dell'a suo tempo incompreso e scomunicato: "La riforma avviata da Martin Lutero 500 anni fa è stata un evento dello Spirito Santo".
  Dicono che nello scorcio dell'800, allorché uno spettacolino teatrale stava naufragando, si facessero entrare in scena Mazzini o Garibaldi. L'accostamento può sembrare blasfemo; ma,  data la profanazione dello Spirito Santo, anche in documenti conciliari in cui lo si adopera per rendere valide le religioni eretiche, come è possibile che si tratti ancora del Paraclito: fatto servire per benedire l'errore e l'empietà?
  Quanto all'"evento dello Spirito Santo" in quel frangente storico, ciò è vero in un senso opposto a quello suggerito. La dolorosa rivolta protestante servì - al pari di altre tremende eresie - al consolidamento della Rivelazione e al risanamento dei costumi ecclesiastici, intervenendo la Terza Persona della Trinità.
  Galantino ricorda che Francesco I a Lund "ha firmato la dichiarazione congiunta per superare i pregiudizi vicendevoli che ancora dividono cattolici e protestanti". E Lutero "volle rinnovare la Chiesa, non dividerla".
  La scempiaggine non ha requie. Quei "pregiudizi" e quell'"ancora" relativi alla divisione superabile, quel "volle rinnovare", comportano una rafforzata negazione sia dell'autorità pontificia (a meno di non mantenerla soltanto per Bergoglio e immediati predecessori), sia del Concilio di Trento e dei dogmi contrari all'eresia.
  Ed ecco l'infantile scappatoia: "La Chiesa è sempre da riformare mai da deformare".
  Dopo averla deformata quanto mai, si viene a sostenere che l'intento fu e resta soltanto quello di riformarla. Persino con l'uso del termine ambiguo riformare, si insinua la malizia che adonesta la Riforma.
  La campagna pro Lutero la ritroviamo sul foglietto stampato dalle Paoline per la messa dello scorso 1° ottobre, con un elogio a monaco eresiarca e alla sua apertura allo straniero (nell'ambito della propaganda per lo ius soli). - Fonte: Il Giornale del 21.10.2017.
  Però già Benedetto XVI, il 23 settembre 2011 a Erfurt, fu comprensivo verso Lutero a motivo della sua supposta buona intenzione!


Piero Nicola

sabato 7 ottobre 2017

ORIGINE DELL'“AMORIS LAETITIA” (di Piero Nicola)

Si potrebbe credere che gli errori dell'Amoris laetitia, come altri gravi (per esempio concernenti la stima dimostrata ai luterani, o quelli che riguardano l'astensione dal giudizio sui pubblici peccatori i cui atti gridano vendetta al cospetto di Dio), siano novità introdotte dall'attuale insediato sulla cattedra di Piero. Non è così. Le ultime infedeltà grosse e tremende sono figlie delle affermazioni eterodosse inserite nel Deposito della Fede. Non essendosi posto mano al risanamento del Deposito, chi lo detiene ha agio di trarne mostruosità.
  Potrei rifarmi dall'ultimo Concilio neomodernista. Invece considero un testo di certo meditato e recente, stabilito dal Vaticano per l'insegnamento della dottrina a tutti i fedeli: il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana in luglio 2005.
  Al  n. 372, "Che cos'è la coscienza morale?" risponde: "La coscienza morale, presente nell'intimo della persona, è un giudizio della ragione, che, al momento opportuno, ingiunge all'uomo di compiere il bene e di evitare il male. Grazie ad essa, la persona umana percepisce la qualità morale di un atto da compiere o già compiuto, permettendole di assumerne la responsabilità. Quando ascolta la coscienza morale, l'uomo prudente può sentire la voce di Dio che gli parla".
  Poiché si tratta dell'uomo in generale, non indicato come cattolico osservante, né altrimenti battezzato di fresco, risulterebbe che egli ha facoltà di servirsi della propria coscienza per distinguere il bene dal male e comportarsi da responsabile. Avremmo senza ombra di dubbio una proposizione eretica conforme al pelagianesimo, che voleva l'essere umano, anche non battezzato, anche privo della Grazia santificante, anche senza la Chiesa, in grado di concepire la verità morale e di salvarsi. In altri termini, stando a questo punto del Catechismo, tutti possederebbero una coscienza efficiente, né erronea, né adulterata colpevolmente.
  Era troppo, e bisognava rimediare.
  Per intanto, al n. 373, il catechismo prepara l'intangibilità della coscienza con la domanda: "Che cosa implica la dignità della persona nei confronti della coscienza morale?" Risposta: "La dignità della persona umana [dovuta alla somiglianza col Creatore, vien detto in precedenza, omettendo che la nostra dignità è rovinata dal peccato originale o profanata da quello attuale, mentre quella di creatura appartiene a Dio come la nostra vita, e possiamo onorarla o offenderla] implica la rettitudine della coscienza morale (che cioè sia in accordo con ciò che è giusto e buono secondo la ragione e la Legge divina). A motivo della stessa dignità personale, l'uomo non deve essere costretto ad agire contro coscienza e non si deve neppure impedirgli, entro i limiti del bene comune, di operare in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso".
  Qui sorge una netta contraddizione, che passerà come inesistente, presumendosi l'impossibilità d'una caduta  in questo importante magistero. Ammettendo che l'uomo, il quale si appella alla propria coscienza, possa violare il "bene comune", la sua coscienza non è sempre valida, egli può compiere il male altresì "in campo religioso" corrompendo il prossimo, quand'anche sia in buona fede. E non si vede in che modo un atto eretico o di empietà possa essere tollerabile e meno dannoso d'una lesione recata all'ordine civile. La vera Chiesa infatti non tollerò mai il contagio dell'eresia, comunque prodotto, e condannò la libertà religiosa.
  Poi si riconosce meglio che c'è anche una coscienza morale non retta e non veritiera. N. 374. "Come si forma la coscienza morale perché sia retta e veritiera?" Risposta: "La coscienza morale retta e veritiera si forma con l'educazione, con l'assimilazione della Parola di Dio e dell'insegnamento della Chiesa. È sorretta dai doni dello Spirito Santo e aiutata dai consigli di persone sagge. Inoltre giovano molto alla formazione morale la preghiera e l'esame di coscienza".
  Sembrerebbe che per avere una coscienza valevole occorra essere diligenti membri della Chiesa. Però questa condizione, non espressamente definita, può essere tralasciata considerando la dignità personale originaria, supposta sempre efficiente (errore risibile, ma ribadito in modo disastroso).
  Al n. 375 si tratta delle norme che la coscienza "deve sempre seguire". Se ne approfitta per annettervi la seguente eresia: "La carità passa sempre attraverso il rispetto del prossimo e della sua coscienza, anche se questo non significa accettare come un bene ciò che è oggettivamente un male".
  In altri termini, si afferma che la coscienza è buona, inviolabile, pur essendo erronea e producendo un male. Grazie a questa presunta sacralità della coscienza (in virtù della sua connessione con la dignità innata - sia onorata o infangata) si rispetta l'autore del male, che non viene accettato.
  N. 376. "La coscienza morale può emettere giudizi erronei?" Domanda superflua, dopo le premesse. Risposta: "La persona  deve sempre obbedire al giudizio certo della propria coscienza, ma può emettere anche giudizi erronei, per cause non sempre esenti da colpevolezza personale. Non è però imputabile alla persona il male compiuto per ignoranza involontaria, anche se esso resta oggettivamente un male. È quindi necessario adoperarsi per correggere la coscienza morale dai suoi errori".
  Siamo giunti all'evenienza di una coscienza affetta da "colpevolezza personale". Ma, essendo ciò possibile, è impossibile che la coscienza sia per natura connessa alla divina dignità personale, che la renderebbe intangibile.
  Che uno non sia in buona fede avendo una coscienza erronea, da lui dichiarata veridica, è sovente impossibile stabilirlo. E allora,  non dovendosi condannarlo né riprenderlo per il suo errore, si sostiene, a motivo della sua dignità (purché non abbia turbato l'ordine pubblico), sarà ritenuto non colpevole fino a prova contraria; potrà aver calpestato la Legge di Dio e essere ciononostante giustificato.
  C'è la prescrizione di "adoprarsi per correggere la coscienza morale dai suoi errori". Come farlo, se bisogna avere "rispetto del prossimo e della sua coscienza"? Mettiamo che la Chiesa (questa pseudo-chiesa) abbia la facoltà di istruire moralmente il fedele, inducendolo a vedere la sua trasgressione. Questa non potrà essergli imputata a colpa senza che se ne abbiano le prove. Nondimeno, avvenuta l'istruzione o la correzione, rimane il principio della coscienza sovrana e intangibile. L'autorità ecclesiastica e divina è decaduta ed è omessa nello stesso Catechismo, secondo un concetto modernista. Serve a poco la contraddizione per cui, al n. 185, la dottrina infallibile obbliga i fedeli.
  Al n. 358 troviamo: "Qual è la radice della dignità umana?" "La dignità della persona umana si radica nella creazione ad immagine e somiglianza di Dio. Dotata di un'anima spirituale e immortale, d'intelligenza e di libera volontà la persona umana è ordinata a Dio e chiamata, con la sua anima e il suo corpo, alla beatitudine eterna".
  Dio vuole che tutti si salvino, però non battezzati, eretici e figli della Chiesa in peccato mortale non hanno, o hanno perduto, l'adesione alla dignità originaria, sono indegni destinati all'inferno, sono in potere di satana, sono mele marce possibilmente da risanare.  Pertanto, venendo meno la sacra dignità (attitudine al riscatto rovinata dal peccato, affidata alla personale responsabilità variamente indegna e bisognosa di misericordia), viene meno la presunta base della sacra coscienza: viceversa soggetta ad essere abusata dal suo possessore. Ma questa teologia dogmatica è stravolta dai nuovi teologi, che si sono guardati bene dal formulare una nuova dogmatica in materia.
  Il medesimo Catechismo (n. 337 seg.) ribadisce i precetti sul matrimonio, le colpe delle sue violazioni e come porvi rimedio. Contrapponendo tali asserzioni alla Amoris laetitia, sorge infrangibile contro di essa l'accusa di eresia. Non importa. Una volta fissato il principio dell'intangibilità della coscienza, nessuna norma ha più valore oggettivo e inderogabile; purché non turbi l'ordine della pseudo-chiesa.

  Sento che Bergoglio ha già risposto ai suoi accusatori che il documento oggetto di contestazione da lui approvato, è in ordine con la dottrina tradizionale della Chiesa, con san Tommaso d'Aquino, e bisogna saper leggere, leggere tutto per bene.
  Può darsi che vi siano delle asserzioni giuste, che contraddicono quelle errate. È il solito espediente degli eresiarchi: tengono in serbo - pubblicate nella loro dottrina ma quasi nascoste - espressioni corrette con cui tappare la bocca all'obiezione ortodossa; tuttavia non si curano di emendare l'errore perpetrato, né badano alla contraddizione e all'ambiguità che distruggono il vero, pronti a sfoderare un sofisma per smentire i rigorosi formalisti. E infine le incongruenze, di non semplice connessione e comprensione, sono peggiori della netta proposizione eretica (meglio confutabile): difendono l'eresia spacciata, anziché indebolirla,essa farà maggior presa su molti grazie all'astuzia; diversamente: sfiducia nella Sposa di Cristo inattendibile e perdita della fede.
  Si pensi che dopo aver difeso a spada tratta la libertà delle coscienze erranti (n. 364: "l'imputabilità e la responsabilità di un'azione possono essere sminuite e talvolta annullate [...] dalla violenza subita, dal timore..."; n. 365: "il diritto all'esercizio della libertà è proprio di ogni uomo, in quanto è inseparabile dalla sua dignità... pertanto tale diritto va sempre rispettato, particolarmente in campo morale e religioso...") in Appendice, a pag. 178, tra le Sette opere di misericordia spirituale, ricompare "Ammonire i peccatori". Precetto negato a iosa, con argomenti e nei fatti, in nome della libera coscienza, nondimeno da Madre Teresa di Calcutta, proclamata santa.
  Ora, la scocciata risposta di Francesco I riposa sull'asserzione seguente: "Voglio ribadire con chiarezza che la morale dell'Amoris laetitia è tomista, quella del grande Tommaso. Potete parlarne con un grande teologo [...] il cardinal Schömborn". Il quale, in proposito, dichiara essere "funzione propria del magistero vivente, interpretare autenticamente la Parola di Dio, scritta e trasmessa". Sicché, per esempio, "noi leggiamo [...] il Vaticano I alla luce del Vaticano II".
  D'altronde il Catechismo attuale dice, al n. 15, che: "tutto il Popolo di Dio, con il senso soprannaturale della fede, sorretto dallo Spirito Santo e guidato dal Magistero della Chiesa, accoglie la Rivelazione divina, sempre più la comprende e la applica alla vita".
  Non dice che la maggiore comprensione debba essere uno sviluppo semplice e rigoroso della prima sufficiente comprensione, restando fermi i dogmi. I dogmi non vi sono mai neppure nominati. Dunque l'asserita continuità dottrinale resta affidata alla spiegazione dell'ultimo magistero, che in effetti interpreta il Deposito della Fede in modo eretico, violentando i dogmi.
  Così è questione finita. La confutazione della Correctio filialis, che pone l'eresia delle 7 proposizioni attribuite Bergoglio, è bell'e fatta:
1. "Una persona giustificata non ha la forza con la grazia di Dio di adempiere i comandamenti oggettivi della legge divina".
  Come si fa a sapere se uno, quando trasgredisce, ha la giustificazione e la grazia? Quelli che non le hanno a causa di circostanze avverse ("violenza", "timore") dovrebbero essere messi tra i reprobi?
2. I divorziati risposati che vivono more uxorio possono non essere in peccato mortale. - Perché no? Chi può entrare nelle loro coscienze? Come escludere che esistano serie circostanze a giustificarli?
3. "Un cristiano può avere la piena conoscenza di una legge divina e volontariamente può scegliere di violarla in materia grave, ma non essere in stato di peccato mortale".
   Inutile insistere: si dà il caso che ciò avvenga, e se ne tiene conto. De resto, alla gravità della "materia" si contrappone la gravità dei dolori e degli incomodi. Il foro interiore di quel cristiano resta la misura, svelata o incognita, della sua innocenza o colpevolezza. Sussistendo l'incertezza del giudizio sulla gravità del peccato, occorre credergli, occorre assolverlo, persino allorché per scrupolo egli si accusa.
4. "Una persona, mentre obbedisce alla legge divina, può peccare contro Dio in virtù di quella stessa obbedienza".
  L'accusato dirà di non capire il fallo attribuitogli, di non aver pronunciato tale arzigogolo. Egli non ha criticato chi obbedisce alla legge divina, ha assolto chi sembra disobbedire e pare abbia sufficienti attenuanti, che lo rendono degno della misericordia.
5. "La coscienza può giudicare veramente e correttamente che talvolta gli atti sessuali tra persone che hanno contratto matrimonio civile, quantunque uno dei due o entrambi siano sacramentalmente sposati con un'altra persona, sono moralmente buoni, richiesti o comandati da Dio".
  La replica sarà che solo Dio è giudice delle anime.
6. "I principi morali e le verità morali contenute nella Divina Rivelazione e nella legge naturale non includono proibizioni negative che vietano assolutamente particolari generi di azioni che per il loro oggetto sono sempre gravemente illecite".
  Si farebbe più presto imputando all'Amoris laetitia d'avere, in buona sostanza, affermato che la Legge divina ha un valore pedagogico non assoluto, non potendo giudicare le coscienze, il ministro di Dio non potendone scrutare il santuario, dovendo invece tener conto degli elementi di discolpa.
  Ma questa eresia è già stata sostenuta, in vario modo essenzialmente, dal magistero a partire da Giovanni XXIII e dal Concilio sino al Catechismo oggi in vigore. E fa specie che i dotti difensori dell'ortodossia, coraggiosi - benché filiali - accusatori di Bergoglio, soltanto adesso e soltanto a lui contestino errori presenti e palesi da molto tempo nell'ammaestramento e nel governo esercitati dagli occupanti le mura della Chiesa.
  Infine, come possono i circa 60 firmatari della Correctio filialis addossare l'eresia a qualcuno, a Bergoglio, quando essa è stata abolita da lunga pezza? Essa non figura più nel Catechismo e non può essere contemplata né li né altrove dalla psuedo-chiesa, dal momento che questa ha tolto agli eretici il loro nome e il loro essere, prestando alle loro chiese un'idoneità dottrinale, attribuendo loro l'assistenza dello Spirito Santo, considerandole vie di salvezza grate al Signore. Perciò questo enorme tradimento di Cristo, dovrebbe essere anzitutto denunciato.



Piero Nicola

martedì 3 ottobre 2017

La manfrina antifascista

Oggidì il fascismo (ammesso che l'onorevole Giorgia Meloni sia fascista o fascistottarda piuttosto che cripto o tarda finiana) non è un serio, incombente pericolo.
Qualificati politologi sostengono, concordemente, che non è necessario rammentare che al presente sono sconosciute e per la maggioranza degli italiani perfino incomprensibili le circostanze storiche, le idee e gli stati d'animo, che, nel primo dopoguerra, hanno suscitato e in qualche modo incoraggiato e giustificato la vincente azione del partito di Benito Mussolini.
A cauti passi – tuttavia – gli storici, che hanno considerato e meditato seriamente i fatti propriamente detti, avviano una puntuale revisione della storia del Novecento italiano, proponendo un abbassamento delle unidirezionali sentenze sulla guerra civile.
Il fascismo appartiene interamente al passato dunque l'antifascismo oggidì ha tanta attualità quanta ne potrebbe vantare l'azione di un partito ghibellino, governato (regnante in Vaticano un improbabile guelfo) dalla germanica cancelliera Angelica Merkel.
Robustissima e mutante (trans politica) la domina teutonica (ex comunista), che (pur avendone i requisiti fisici e mentali) non fa ridere l'ammansito e addomesticato popolo tedesco.
E' pertanto lecito sostenere che sarebbe utile considerare i cambiamenti avvenuti nella scena filosofica postmoderna, dunque preservare la politologia dalle ottenebranti e depistanti suggestioni dell'anacronismo, ossia dalla tentazione di usare, quali parametri dell'attualità spensante intorno alle salme delle ideologie, pensieri e fatti inattuali, in ultima analisi appartenenti a un passato, che è – per obbligante e categorica definizione - irrevocabile.
La ventennale storia del fascismo infine appartiene all'irripetibile passato e come tale andrebbe letta sine ira et studio. Di qui l'esigenza di uscire da una lettura polemica e irosa di fatti storici, che la scolastica, generata dal progressismo retroattivo, consegna e affida al partito dei passatisti militanti (a sinistra e al centro liberale).
La storia del ventennio fascista deve pertanto incominciare dall'espulsione della pretesa – strutturalmente irrazionale - di trascinare nel presente idee e fatti appratenti al passato. Si pensi alla polemica antifascista che, sotto l'impulso dell'irrealtà, ha proiettato nel passato – facendone quasi il temibile e agguerrito erede del duce di Predappio – una foglia al vento quale è stato il politicamente (auto)emarginato Gianfranco Fini.
Dopo le indispensabili messe a punto è forse possibile proporre una lettura storica e non più politica del ventennio di Mussolini, delle sue felici imprese, dei suoi gravi errori e della sua tragica fine.
Non si può negare seriamente che Mussolini riuscì nell'impresa di trasformare l'Italietta dei liberali in una nazione capace di condurre splendide imprese: la pacificazione nazionale, il concordato con la Chiesa cattolica (non è certo per un caso che la giovane classe dirigente democristiana – Moro e Fanfani, ad esempio - ebbe un passato in camicia nera), la gigantesca impresa della bonifica pontina, l'attivazione di un sistema sociale (che il regime degli antifascisti non ha osato debilitare, prima che su di esso precipitasse, dall'estero, la sciagura del neoliberalismo), il rinnovamento della scuola e la sua apertura alle c.d. classi subalterne, l'attivazione di una grandiosa campagna contro le malattie sociali, la civilizzazione della Libia (sulla cui memoria i libici – se potessero conoscere la storia – dovrebbero manifestare le ragioni del loro rimpianto), l'avveniristica progettazione e costruzione di autostrade, e infine la proiezione del mondo di una splendida immagine dell'Italia.
Errori capitali e imperdonabili furono la promulgazione delle leggi razziali, l'abolizione del sistema elettorale (da cui il fascismo avrebbe ottenuto strepitosi consensi) e l'alleanza con i parenti serpenti di Germania, una decisione contraria per diametrum, ai giudizi beffardi e devastanti, che Mussolini aveva espresso su Adolf Hitler, sul suo partito e sul suo popolo (lo ha rammentato, sviluppando un tema di Renzo De Felice, Fabio Andriola autore di un fondamentale saggio su Mussolini nemico di Hitler (Piemme, Milano 1997) puntualmente censurato dai severi vigilanti progressisti).
Mussolini era perfettamente consapevole dell'oscurità incombente sul partito nazionalsocialista, cui si avvicinò spinto dalla cieca avversione delle cancellerie di Francia e Germania e dalla impellente necessità di importare le materie prime indispensabili all'industria italiana.
Ad attenuazione del fatale, imperdonabile errore commesso da Mussolini alleato della Germania di Hitler, è doveroso rammentare l'ostilità delle democrazie massoniche e anti italiane, che nell'inseguimento corsaro dell'odio (antifascista e anti italiano) superarono (in larga misura) l'Unione Sovietica.
Al seguito dello storico (antifascista ma onesto e veridico) Renzo De Felice, è ora necessario uscire dalla sentenza settaria che, nel fascismo, contempla esclusivamente una malattia morale. Il futuro della storiografia proporrà il ristabilimento della verità che - nel concordato con la Santa Sede – manifesta la dura negazione fascista della mefitica cultura dei lumi e l'implacabile avversione alla sozza e criminosa cialtroneria degli iniziati ai misteri dei muratori. Negazioni che – in un futuro disintossicato dagli ambidestri pregiudizi settari – dovranno bilanciare gli errori del regime fascista ed essere iscritte nella colonna dei meriti di Benito Mussolini.

Piero Vassallo