sabato 7 ottobre 2017

ORIGINE DELL'“AMORIS LAETITIA” (di Piero Nicola)

Si potrebbe credere che gli errori dell'Amoris laetitia, come altri gravi (per esempio concernenti la stima dimostrata ai luterani, o quelli che riguardano l'astensione dal giudizio sui pubblici peccatori i cui atti gridano vendetta al cospetto di Dio), siano novità introdotte dall'attuale insediato sulla cattedra di Piero. Non è così. Le ultime infedeltà grosse e tremende sono figlie delle affermazioni eterodosse inserite nel Deposito della Fede. Non essendosi posto mano al risanamento del Deposito, chi lo detiene ha agio di trarne mostruosità.
  Potrei rifarmi dall'ultimo Concilio neomodernista. Invece considero un testo di certo meditato e recente, stabilito dal Vaticano per l'insegnamento della dottrina a tutti i fedeli: il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana in luglio 2005.
  Al  n. 372, "Che cos'è la coscienza morale?" risponde: "La coscienza morale, presente nell'intimo della persona, è un giudizio della ragione, che, al momento opportuno, ingiunge all'uomo di compiere il bene e di evitare il male. Grazie ad essa, la persona umana percepisce la qualità morale di un atto da compiere o già compiuto, permettendole di assumerne la responsabilità. Quando ascolta la coscienza morale, l'uomo prudente può sentire la voce di Dio che gli parla".
  Poiché si tratta dell'uomo in generale, non indicato come cattolico osservante, né altrimenti battezzato di fresco, risulterebbe che egli ha facoltà di servirsi della propria coscienza per distinguere il bene dal male e comportarsi da responsabile. Avremmo senza ombra di dubbio una proposizione eretica conforme al pelagianesimo, che voleva l'essere umano, anche non battezzato, anche privo della Grazia santificante, anche senza la Chiesa, in grado di concepire la verità morale e di salvarsi. In altri termini, stando a questo punto del Catechismo, tutti possederebbero una coscienza efficiente, né erronea, né adulterata colpevolmente.
  Era troppo, e bisognava rimediare.
  Per intanto, al n. 373, il catechismo prepara l'intangibilità della coscienza con la domanda: "Che cosa implica la dignità della persona nei confronti della coscienza morale?" Risposta: "La dignità della persona umana [dovuta alla somiglianza col Creatore, vien detto in precedenza, omettendo che la nostra dignità è rovinata dal peccato originale o profanata da quello attuale, mentre quella di creatura appartiene a Dio come la nostra vita, e possiamo onorarla o offenderla] implica la rettitudine della coscienza morale (che cioè sia in accordo con ciò che è giusto e buono secondo la ragione e la Legge divina). A motivo della stessa dignità personale, l'uomo non deve essere costretto ad agire contro coscienza e non si deve neppure impedirgli, entro i limiti del bene comune, di operare in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso".
  Qui sorge una netta contraddizione, che passerà come inesistente, presumendosi l'impossibilità d'una caduta  in questo importante magistero. Ammettendo che l'uomo, il quale si appella alla propria coscienza, possa violare il "bene comune", la sua coscienza non è sempre valida, egli può compiere il male altresì "in campo religioso" corrompendo il prossimo, quand'anche sia in buona fede. E non si vede in che modo un atto eretico o di empietà possa essere tollerabile e meno dannoso d'una lesione recata all'ordine civile. La vera Chiesa infatti non tollerò mai il contagio dell'eresia, comunque prodotto, e condannò la libertà religiosa.
  Poi si riconosce meglio che c'è anche una coscienza morale non retta e non veritiera. N. 374. "Come si forma la coscienza morale perché sia retta e veritiera?" Risposta: "La coscienza morale retta e veritiera si forma con l'educazione, con l'assimilazione della Parola di Dio e dell'insegnamento della Chiesa. È sorretta dai doni dello Spirito Santo e aiutata dai consigli di persone sagge. Inoltre giovano molto alla formazione morale la preghiera e l'esame di coscienza".
  Sembrerebbe che per avere una coscienza valevole occorra essere diligenti membri della Chiesa. Però questa condizione, non espressamente definita, può essere tralasciata considerando la dignità personale originaria, supposta sempre efficiente (errore risibile, ma ribadito in modo disastroso).
  Al n. 375 si tratta delle norme che la coscienza "deve sempre seguire". Se ne approfitta per annettervi la seguente eresia: "La carità passa sempre attraverso il rispetto del prossimo e della sua coscienza, anche se questo non significa accettare come un bene ciò che è oggettivamente un male".
  In altri termini, si afferma che la coscienza è buona, inviolabile, pur essendo erronea e producendo un male. Grazie a questa presunta sacralità della coscienza (in virtù della sua connessione con la dignità innata - sia onorata o infangata) si rispetta l'autore del male, che non viene accettato.
  N. 376. "La coscienza morale può emettere giudizi erronei?" Domanda superflua, dopo le premesse. Risposta: "La persona  deve sempre obbedire al giudizio certo della propria coscienza, ma può emettere anche giudizi erronei, per cause non sempre esenti da colpevolezza personale. Non è però imputabile alla persona il male compiuto per ignoranza involontaria, anche se esso resta oggettivamente un male. È quindi necessario adoperarsi per correggere la coscienza morale dai suoi errori".
  Siamo giunti all'evenienza di una coscienza affetta da "colpevolezza personale". Ma, essendo ciò possibile, è impossibile che la coscienza sia per natura connessa alla divina dignità personale, che la renderebbe intangibile.
  Che uno non sia in buona fede avendo una coscienza erronea, da lui dichiarata veridica, è sovente impossibile stabilirlo. E allora,  non dovendosi condannarlo né riprenderlo per il suo errore, si sostiene, a motivo della sua dignità (purché non abbia turbato l'ordine pubblico), sarà ritenuto non colpevole fino a prova contraria; potrà aver calpestato la Legge di Dio e essere ciononostante giustificato.
  C'è la prescrizione di "adoprarsi per correggere la coscienza morale dai suoi errori". Come farlo, se bisogna avere "rispetto del prossimo e della sua coscienza"? Mettiamo che la Chiesa (questa pseudo-chiesa) abbia la facoltà di istruire moralmente il fedele, inducendolo a vedere la sua trasgressione. Questa non potrà essergli imputata a colpa senza che se ne abbiano le prove. Nondimeno, avvenuta l'istruzione o la correzione, rimane il principio della coscienza sovrana e intangibile. L'autorità ecclesiastica e divina è decaduta ed è omessa nello stesso Catechismo, secondo un concetto modernista. Serve a poco la contraddizione per cui, al n. 185, la dottrina infallibile obbliga i fedeli.
  Al n. 358 troviamo: "Qual è la radice della dignità umana?" "La dignità della persona umana si radica nella creazione ad immagine e somiglianza di Dio. Dotata di un'anima spirituale e immortale, d'intelligenza e di libera volontà la persona umana è ordinata a Dio e chiamata, con la sua anima e il suo corpo, alla beatitudine eterna".
  Dio vuole che tutti si salvino, però non battezzati, eretici e figli della Chiesa in peccato mortale non hanno, o hanno perduto, l'adesione alla dignità originaria, sono indegni destinati all'inferno, sono in potere di satana, sono mele marce possibilmente da risanare.  Pertanto, venendo meno la sacra dignità (attitudine al riscatto rovinata dal peccato, affidata alla personale responsabilità variamente indegna e bisognosa di misericordia), viene meno la presunta base della sacra coscienza: viceversa soggetta ad essere abusata dal suo possessore. Ma questa teologia dogmatica è stravolta dai nuovi teologi, che si sono guardati bene dal formulare una nuova dogmatica in materia.
  Il medesimo Catechismo (n. 337 seg.) ribadisce i precetti sul matrimonio, le colpe delle sue violazioni e come porvi rimedio. Contrapponendo tali asserzioni alla Amoris laetitia, sorge infrangibile contro di essa l'accusa di eresia. Non importa. Una volta fissato il principio dell'intangibilità della coscienza, nessuna norma ha più valore oggettivo e inderogabile; purché non turbi l'ordine della pseudo-chiesa.

  Sento che Bergoglio ha già risposto ai suoi accusatori che il documento oggetto di contestazione da lui approvato, è in ordine con la dottrina tradizionale della Chiesa, con san Tommaso d'Aquino, e bisogna saper leggere, leggere tutto per bene.
  Può darsi che vi siano delle asserzioni giuste, che contraddicono quelle errate. È il solito espediente degli eresiarchi: tengono in serbo - pubblicate nella loro dottrina ma quasi nascoste - espressioni corrette con cui tappare la bocca all'obiezione ortodossa; tuttavia non si curano di emendare l'errore perpetrato, né badano alla contraddizione e all'ambiguità che distruggono il vero, pronti a sfoderare un sofisma per smentire i rigorosi formalisti. E infine le incongruenze, di non semplice connessione e comprensione, sono peggiori della netta proposizione eretica (meglio confutabile): difendono l'eresia spacciata, anziché indebolirla,essa farà maggior presa su molti grazie all'astuzia; diversamente: sfiducia nella Sposa di Cristo inattendibile e perdita della fede.
  Si pensi che dopo aver difeso a spada tratta la libertà delle coscienze erranti (n. 364: "l'imputabilità e la responsabilità di un'azione possono essere sminuite e talvolta annullate [...] dalla violenza subita, dal timore..."; n. 365: "il diritto all'esercizio della libertà è proprio di ogni uomo, in quanto è inseparabile dalla sua dignità... pertanto tale diritto va sempre rispettato, particolarmente in campo morale e religioso...") in Appendice, a pag. 178, tra le Sette opere di misericordia spirituale, ricompare "Ammonire i peccatori". Precetto negato a iosa, con argomenti e nei fatti, in nome della libera coscienza, nondimeno da Madre Teresa di Calcutta, proclamata santa.
  Ora, la scocciata risposta di Francesco I riposa sull'asserzione seguente: "Voglio ribadire con chiarezza che la morale dell'Amoris laetitia è tomista, quella del grande Tommaso. Potete parlarne con un grande teologo [...] il cardinal Schömborn". Il quale, in proposito, dichiara essere "funzione propria del magistero vivente, interpretare autenticamente la Parola di Dio, scritta e trasmessa". Sicché, per esempio, "noi leggiamo [...] il Vaticano I alla luce del Vaticano II".
  D'altronde il Catechismo attuale dice, al n. 15, che: "tutto il Popolo di Dio, con il senso soprannaturale della fede, sorretto dallo Spirito Santo e guidato dal Magistero della Chiesa, accoglie la Rivelazione divina, sempre più la comprende e la applica alla vita".
  Non dice che la maggiore comprensione debba essere uno sviluppo semplice e rigoroso della prima sufficiente comprensione, restando fermi i dogmi. I dogmi non vi sono mai neppure nominati. Dunque l'asserita continuità dottrinale resta affidata alla spiegazione dell'ultimo magistero, che in effetti interpreta il Deposito della Fede in modo eretico, violentando i dogmi.
  Così è questione finita. La confutazione della Correctio filialis, che pone l'eresia delle 7 proposizioni attribuite Bergoglio, è bell'e fatta:
1. "Una persona giustificata non ha la forza con la grazia di Dio di adempiere i comandamenti oggettivi della legge divina".
  Come si fa a sapere se uno, quando trasgredisce, ha la giustificazione e la grazia? Quelli che non le hanno a causa di circostanze avverse ("violenza", "timore") dovrebbero essere messi tra i reprobi?
2. I divorziati risposati che vivono more uxorio possono non essere in peccato mortale. - Perché no? Chi può entrare nelle loro coscienze? Come escludere che esistano serie circostanze a giustificarli?
3. "Un cristiano può avere la piena conoscenza di una legge divina e volontariamente può scegliere di violarla in materia grave, ma non essere in stato di peccato mortale".
   Inutile insistere: si dà il caso che ciò avvenga, e se ne tiene conto. De resto, alla gravità della "materia" si contrappone la gravità dei dolori e degli incomodi. Il foro interiore di quel cristiano resta la misura, svelata o incognita, della sua innocenza o colpevolezza. Sussistendo l'incertezza del giudizio sulla gravità del peccato, occorre credergli, occorre assolverlo, persino allorché per scrupolo egli si accusa.
4. "Una persona, mentre obbedisce alla legge divina, può peccare contro Dio in virtù di quella stessa obbedienza".
  L'accusato dirà di non capire il fallo attribuitogli, di non aver pronunciato tale arzigogolo. Egli non ha criticato chi obbedisce alla legge divina, ha assolto chi sembra disobbedire e pare abbia sufficienti attenuanti, che lo rendono degno della misericordia.
5. "La coscienza può giudicare veramente e correttamente che talvolta gli atti sessuali tra persone che hanno contratto matrimonio civile, quantunque uno dei due o entrambi siano sacramentalmente sposati con un'altra persona, sono moralmente buoni, richiesti o comandati da Dio".
  La replica sarà che solo Dio è giudice delle anime.
6. "I principi morali e le verità morali contenute nella Divina Rivelazione e nella legge naturale non includono proibizioni negative che vietano assolutamente particolari generi di azioni che per il loro oggetto sono sempre gravemente illecite".
  Si farebbe più presto imputando all'Amoris laetitia d'avere, in buona sostanza, affermato che la Legge divina ha un valore pedagogico non assoluto, non potendo giudicare le coscienze, il ministro di Dio non potendone scrutare il santuario, dovendo invece tener conto degli elementi di discolpa.
  Ma questa eresia è già stata sostenuta, in vario modo essenzialmente, dal magistero a partire da Giovanni XXIII e dal Concilio sino al Catechismo oggi in vigore. E fa specie che i dotti difensori dell'ortodossia, coraggiosi - benché filiali - accusatori di Bergoglio, soltanto adesso e soltanto a lui contestino errori presenti e palesi da molto tempo nell'ammaestramento e nel governo esercitati dagli occupanti le mura della Chiesa.
  Infine, come possono i circa 60 firmatari della Correctio filialis addossare l'eresia a qualcuno, a Bergoglio, quando essa è stata abolita da lunga pezza? Essa non figura più nel Catechismo e non può essere contemplata né li né altrove dalla psuedo-chiesa, dal momento che questa ha tolto agli eretici il loro nome e il loro essere, prestando alle loro chiese un'idoneità dottrinale, attribuendo loro l'assistenza dello Spirito Santo, considerandole vie di salvezza grate al Signore. Perciò questo enorme tradimento di Cristo, dovrebbe essere anzitutto denunciato.



Piero Nicola

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