giovedì 31 maggio 2018

ORE 13:15, LEZIONE DI STORIA (di Piero Nicola)


Prima del telegiornale regionale di Rai 3 va in onda una lezione di storia condotta dal celebre giornalista Paolo Meli, che interloquisce con un cattedratico professore di storia, e fa intervenire, dall'altro lato, tre studenti invariabilmente lodevoli riguardo al tema del giorno.
  Il conduttore si premura di chiarire, ripetutamente, che sulla storia di qualsiasi periodo e paese non è mai stata detta l'ultima parola, né sarà mai scritta in modo definitivo. Il che solletica l'interesse del pubblico, allettato dalle novità e dalle scoperte. Io, diffidente in buona compagnia, sospetto che questa apertura consenta di convalidare le interpretazioni conformiste, i tabù inamovibili, e di aggiungervi libere e appetitose osservazioni, in linea con gli amati pregiudizi, senza i quali ai docenti come a molti cittadini verrebbe a mancare la terra sotto i piedi.
  Vedete - e ben si dovrebbe sapere - la storia scritta ha un difettaccio insanabile: quello dei giudizi di merito, degli aggettivi, che gabba i migliori intenzionati a riportare scientificamente gli avvenimenti, le loro cause, i loro effetti, i pesi e le misure. Per quanto si incaponiscano a voler  essere obiettivi, per quanto passino le loro coscienze sulla  fiamma purificatrice come fa la massaia quando brucia le ali spennate e il petto del pollo per mondarli delle peluria, i poveri storici non riescono a mondarsi del tutto del loro io non santo. Alcuni scrupolosi, rileggendo il sudato testo pronto per la stampa e per la gloria, attanagliati dal rimorso, pencolano fra il rogo del caminetto in cui gettare l'opera e il suicidio.
  Però si tratta di casi estremi. I più non solo sono sicuri del fatto loro, godono bensì delle scoperte dovute a lampi di genio, sono talmente innamorati di essi che se ne fregano addirittura della  stravaganza, della disinvoltura, del tradimento. E non esiste forse il fedifrago che si bea del piacere clandestino? Il fatto poi che la storia sia interpretabile e sempre da riscrivere rende agevoli le gloriose scappatelle.
  Con tutto questo, prima di trinciar giudizi ed essendo impenetrabile il segreto della buona o della cattiva fede, bisogna ammettere il semplice errore, la cantonata, che nondimeno è giusto denunciare.
  Quindi torno da dove ho preso le mosse: la trasmissione di Rai 3 tenuta da Paolo Mieli.
  In uno di questi giorni, si trattava del fascismo e degli USA, delle ragioni americane di avversare il regime del Duce negli anni Trenta. Al termine della disquisizione il moderatore, dopo aver chiesto al super-professore di segnalare i testi migliori da leggere sull'argomento, dopo aver elogiato gli studenti per le loro doti di acume e di preparazione, come di prammatica, rilascia le finali conclusioni.
  Per la verità, il suo compendio è stato parziale, e giustamente, perché aggiungere qualcosa alle accuse mosse al fascismo avrebbe equivalso a stuccare. Dunque egli ha affermato che Mussolini, prima della Trasvolata atlantica, comandata da Italo Balbo nel 1933-34 e destante l'ammirazione degli americani, aveva simpatia per la Repubblica a stelle e strisce, l'apprezzava. Ma, roso dalla gelosia per il successo e la popolarità acquistata dal Balbo nella terra che fu dei pellirossa, da quel momento prese in uggia il Grande Paese.
  Ahimè! che brutti scherzi gioca la vanità dell'acume, pur esprimendosi sotto forma di piana, quasi scontata e assodata trasmissione di notizia.
  Nel volume XIV dell'Enciclopedia Treccani, redatto nel 1932, si trova a pag. 847 che la "concezione fascista [...] è contro il liberalismo classico". A pag. 849, in un'estensione della voce fascismo, recante in calce la firma dallo stesso Mussolini, abbiamo: "Il fascismo respinge nella democrazia l'assurda menzogna convenzionale dell'egualitarismo politico e l'abito della irresponsabilità collettiva e il mito della felicità e del progresso indefinito". Inoltre: "Di fronte alle dottrine liberali, il fascismo è in atteggiamento di assoluta opposizione". Inutile continuare. L'opposizione del fascio littorio alla Democrazia per eccellenza e per tradizione, che si erigeva a maestra negli Stati Uniti, era irriducibile, non ammetteva amichevole compromesso. Due idee, due regimi inconciliabili si fronteggiarono. L'inimicizia esistette prima che insorgesse. Tanto più che la disastrosa crisi economica mondiale del 1929 provenne da Wall Street, ebbe un lungo strascico e non si poté ringraziarne Washington, né la Statua della libertà.

Piero Nicola

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