domenica 16 febbraio 2014

I ben pensanti oltre le mitologie intorno al c. d. male minore

Il realismo della visione e l'ottimismo della ragione

I ben pensanti oltre le mitologie intorno al c. d. male minore

 Sotto lo sguardo disincantato dal qualunque realista, la classe politica italiana rivela la natura del desolato ectoplasma, emesso da un paese intossicato dalle utopie liberal/libertine e castrato dalle illusioni ecumeniche, predicate dai falsi profeti onusiani e rimuginato dal clero modernizzante /conformista.
 La politica italiana attua, dopo due secoli di conflitti, il disegno eversivo, che fu concepito dall'alleanza degli invasori giacobini, propriamente detti cleptomani, con il clero infettato dall'errore giansenista.
 Alla fine del XVIII secolo l'intenzione dei sovversivi fu ostacolato e umiliato dall'insorgenza del popolo cattolico, fedele alla tradizione.
 Purtroppo quella fedeltà è ultimamente scoraggiata e ostacolata dallo spirito dei tempi soffiante nelle tesi del Vaticano II e nelle chiacchiere dei predicatori buonisti.
 L'insorgenza dei ben pensanti, nell'Italia europeizzata/scristianizzata, è un pio sogno. Non si può sperare nella reazione civile di un popolo, la cui maggioranza ha consegnato il libero arbitrio alla dura corda dei banchieri americani, alla stupidità della televisione libertina e alla costosissima nullità dei politicanti, di sinistra, di centro e di destra.
 Per stabilire la misura dell'impotenza italiana, Giacinto Auriti citava il detto di un poeta, secondo cui "un satrapo per comandare meglio faceva fare agli uomini quello che dovevano fare le donne e viceversa, perché quando il potere si trova di fronte a dei mezzi uomini e a delle mezze donne non si verificherà mai una rivoluzione capace di modificare l'ordinamento costituito" [1].
 Di conseguenza il voto per il c. d. male minore, ad esempio il partito di conio democristiano, fondato da Alfano, Lupi & Formigoni, per ottenere una lieve riduzione del danno gravissimo procurato al paese dalla politica di segno ateo e immoralista, sarebbe un atto paragonabile alla discesa nelle fogne, compiuta da esploratori surreali, intenzionati a scoprire, eleggere e incoronare Miss Pantegana.
 Il realismo della visione sconsiglia la fiducia nel qualunque politicante in Topolinia e perciò giustifica e attiva l'ottimismo della ragione, l'unico ostacolo che oggi si può opporre alla macchina del disfacimento e del furto.
Ora la via da percorrere è segnata dal rifiuto dell'affermazione che la politica dei ben pensanti non ha ideologia: "Dire che un movimento politico manca di ideologia, sostiene Auriti, significa dire che un movimento politico manca di scopo. Solo un un epilettico o un sonnambulo si muove senza scopo" [2].
 Senza la proposta di un pensiero fedele alla verità è impossibile un'azione politica degna delle speranza del popolo italiano, che può vivere soltanto del nutrimento procurato dalle sue radici cristiane. Di qui la proposta formulata da Auriti: preparare il futuro della nazione in laboratori costituiti a imitazione dei chiostri benedettini, nei quali fu concepita la risposta del Cristianesimo alla barbarie imperante nei secoli bui.
 La politica può cominciare dopo l'elaborazione di un progetto politico conforme al diritto naturale e  perciò idoneo a contrastare efficacemente i devastatori della giustizia.
 In sintonia con l'insegnamento di Benedetto XVI, Auriti si oppose strenuamente alla corruzione kelseniana del diritto: "Quando si pretende di mettere, secondo l'insegnamento di Kelsen, la norma costituzionale come norma-base, cioè come norma portante tutto l'ordinamento giuridico, si realizza con uno sforzo razionalista il surrogato artificiale di quello che tradizionalmente era definito il diritto naturale" [3].
  La mostruosa legge erodiana, votata dalla cialtroneria insediata nel parlamento belga, conferma il drastico giudizio formulato da Auriti sulla la facoltà di legiferare contro la legge morale, un abuso permesso dalle costituzioni di conio kelseniano: "quando sentite fare delle valutazioni sulla qualità delle leggi, voi non sentite mai più la distinzione fra legge giusta e legge ingiusta, che è la valutazione del diritto sotto il parametro etico (cioè trascendente l'ordinamento giuridico) ma sentite fare la distinzione in base all'alternativa: legge costituzionale o legge non costituzionale" [4].
 La cultura postmoderna, avendo attuato la sottomissione della legge naturale al diritto positivo, è contagiata e tormentata da una lebbra che avvelena le radici del vivere civile e apre le porte alle più devastanti aberrazioni.
 A confronto di una tale devastazione è poca cosa lo scandalo costituito da una spesa pubblica fuori controllo e dagli sprechi di una classe dirigente insensibile alla collera che la stupida baldoria suscita nei sudditi umiliati, depredati e spesso ridotti alla fame e alla disperazione da coloro che dovrebbero tutelare il  benessere dei sudditi. 
 In conclusione è lecito affermare l'inutilità di un voto di protesta, che avrebbe la stessa efficace del grido "andate via!" indirizzato alle pulci. Anziché sprecare tempo nell'osservazione dell'osceno fatto politico è consigliabile organizzare una scuola di pensiero finalizzata - secondo la inascoltata proposta di Auriti - alla fondazione di una scuola di pensiero in grado di ferire la radice del presente malessere.

Piero Vassallo




[1]             Cfr. Giacinto Auriti, "L'occulta strategia della guerra senza confini", Solfanelli, Chieti 2014, pag. 38.
[2]             Cfr. Giacinto Auriti, "L'occulta strategia della guerra senza confini", op. cit., pag. 6
[3]             Cfr. Giacinto Auriti, "L'occulta strategia della guerra senza confini", op. cit., pag. 30.
[4]             Ibidem.

venerdì 14 febbraio 2014

Dalla criptopolitica all'ordine civile, il cammino della libertà

La spada di Perseo

Dalla criptopolitica all'ordine civile, il cammino della libertà

 Con scelta felice, Primo Siena, studioso scampato al penoso naufragio della destra italiana e autore del robusto e saggio "La spada di Perseo", pubblicato in questi giorni da Solfanelli in Chieti, comincia la sua riflessione politologica assumendo il punto di vista di Carl Schmitt, un autore tanto discusso quanto geniale, cui va riconosciuto il merito di aver definito, con chirurgica esattezza, il disordine generato dalla capitolazione della politica nei confronti delle mitologie intorno alla perfetta felicità in terra: "la decisione politica e morale si paralizza in un paradisiaco aldiquà, nella vita naturale e nella pura corporeità senza problemi".
 La conseguenza della capitolazione della politica è il trionfo del piacere momentaneo sulla morale e l'alluvione "di una cultura sottomessa, nella quale i valori sono ridotti a epifenomeni di un mercato che si sente libero nella misura in cui si fa libertino".
 Il naufragio del piacere nelle sabbie mobili frequentate dall'autodistruttore è il risultato finale della insensata guerra condotta contro l'ordine civile da "finanzieri americani, tecnici industriali, marxisti e rivoluzionari, anarcosindacalisti, i quali si uniscono perché finisca il dominio affatto obiettivo della politica sull'oggettività della vita economica".
 L'orizzonte della politica si rovescia nel primato dell'economia. L'autorità, che la politica tradizionale aveva esercitato in vista di una crescita integrale dei sudditi, ossia di un virtuoso augere della persona umana, si restringe all'attività imprenditoriale esclusivamente intesa a procurare momentanei e fuggevoli piaceri.
 A tale degenerazione, Primo Siena attribuisce il nome di criptopolitica, un neologismo che indica "l'espressione di poteri occulti (tra i quali, i servizi d'informazione politica e finanziaria e la criminalità organizzata a livello mondiale), che, camuffati politicamente, vanno ad occupare progressivamente gli spazi dai quali è stata sloggiata dissimulatamente la politica".
 Incatenata ai pregiudizi del pensiero liberale, la democrazia contemporanea "è stata attirata negli spazi oscuri della criptopolitica ed ha scartato il bene comune in quanto bene comunitario, per preoccuparsi solo dei beni materiali individuali", esiliando la politica nel poliverso degli affari.
 La riforma della cripto-democrazia è possibile quando si riconosca che gli organismi intermedi (famiglie, associazioni di categoria, associazioni umanitarie senza fini di lucro) sono sopravvissute al diluvio causato dalle rivoluzioni totalitarie e potrebbero "esercitare il proprio ruolo partecipativo nel modello istituzionale della società. Da qui la necessità impellente di restituire la sovranità sociale all'insieme degli organismi intermedi, nel contesto di una democrazia organica e partecipativa".
 Intriganti sono le pagine finalizzate a interpretare la tesi esposta da Dante nel "De Monarchia" quale alternativa al globalismo dominante sull'umbratile scena contemporanea. La soluzione della anomalia globalista, secondo l'autore, sarebbe la restaurazione della originaria sacralità/universalità del potere civile: "In analogia col Regnum Dei - nel quale il Re è Cristo - nel Regnum hominum il Monarca supremo è l'Imperatore in quanto vicario di Cristo nella sfera temporale, come il Papa lo è nella sfera spirituale" .
 La soluzione proposta da Siena delinea una alternativa ideale al potere dissacrante, tanto invasivo quanto gommoso, esercitato dall'ONU.
 La interpretazione della dottrina dantesca proposta da Siena, tuttavia, non è in sintonia con le conclusioni di Etienne Gilson. Nel saggio "Le metamorfosi della Città di Dio", recentemente pubblicato da Cantagalli, l'autorevole studioso della filosofia medievale, ha dimostrato, infatti, che, nel "De Monarchia", Dante, allontanandosi dalla dottrina di San Tommaso, afferma la piena autonomia del potere temporale, "ossia l'ideale di una società umana universale, che deve la sua universalità alla sua stessa temporalità".
 A sostegno del suo giudizio, Gilson rammenta che, riconosciuta la necessità dell'impero universale, Dante ne affermava l'indipendenza dal magistero ecclesiastico, vuoi perché l'impero, secondo lui, dipendeva direttamente da Dio, vuoi perché l'impero, nei confronti del sole ecclesiastico, gli sembrava simile a una luna che non deve al sole né il suo essere né la sua luminosità.
 L'analisi gilsoniana della dottrina politica dantesca mette capo a una drastica conclusione: "Con l'ingratitudine verso la fede che così spesso dimostrano gli uomini, la filosofia di Dante si appoggiava su ciò che essa doveva alla rivelazione cristiana per giustificare la propria intenzione di farne a meno in futuro".
 Puntuale è il riferimento alla filosofia di Vico, "segnata da un ottimismo di fondo protetto dalla divina Provvidenza, che vince le delusioni superficiali, essendo la filosofia della storia la filosofia dei popoli che rifiutano di morire".
 Opportuno è il richiamo al diritto naturale, "dal quale nasce il diritto positivo, nel quale si inseriscono l'autorità domestica e la stessa autorità sociale".
 Ora l’auctoritas, la disposizione a prosperare - augere - secondo il comandamento divino, fa parte della natura razionale, “cum hominibus nata est”. Vico la definisce puntualmente virtù “cognata vel nativa[1].
 Con esplicito riferimento a San Tommaso, San Roberto Bellarmino (1542-1621) affermava: "Politicam potestatem immediate esse tamquam in subiecto in tota multitudine, nam haec potestas est de iure divino, et ius nulli modo in particulari dedit hanc potestatem[2].
 Il gesuita Francisco Suarez (1548-1617), una delle fonti del pensiero vichiano, quasi facendo eco al Bellarmino sosteneva che l'autorità non appartiene al singolo (al sovrano) ma alla collettività:: “Dicendum est potestatem [civilem] ex sola rei natura in nullo singulari homine existere, sed in hominum collectione. Conclusio communis et certa sumitur ex D. Thoma ... principem habere potestatem ferendi leges quam in illum transtulit communitas[3]. “
 Nel XX secolo un autorevole collaboratore di Pio XII, l'illustre gesuita Antonio Messineo, ha definito l’autorità “un’attribuzione connessa in modo necessario con la natura dell’ente, che, possedendo quella determinata costituzione essenziale, voluta da Dio, postula uno speciale completamento o facoltà, senza cui non potrebbe sussistere[4].
 La riaffermazione di tali postulati è il dovere della scienza politica intesa a scendere, diversamente attrezzata, nel campo in cui si è consumata la disfatta della destra polifrenica e la disgraziata metamorfosi della democrazia cristiana.
 Sulle altre numerose questioni affrontate nell'ingente opera di Primo Siena sarà opportuna una riflessione e un approfondimento ulteriori da parte della redazione di Riscossa Cristiana.

Piero Vassallo






[1]     “De uno universi iuris principio et fine uno”, XCVIII.
[2]     De laicis, 6.
[3]   De legibus ac Deo legislatore, III, (De lege humana et civili, c. 2, In quibus hominibus immediate existat ex natura rei potestas haec condendi leges humanas?)
[4]     Cfr. La voce “autorità” nell’Enciclopedia cattolica, Roma, 1951, col. 479-480.

venerdì 7 febbraio 2014

Potere, politica e leggi, dopo l'aperturismo conciliare

Una magistrale lezione di Benedetto XVI

Potere, politica e leggi, dopo l'aperturismo conciliare

 Dai torchi dell'editore senese Cantagalli è felicemente uscito "Il posto di Dio nel mondo", una splendida antologia dei discorsi controcorrente su potere, politica e legge, tenuti da Benedetto XVI e raccolti con diligente cura da Stefano Fontana.
 La chiarezza e la profondità dei testi pubblicati, induce a rammentare che papa Ratzinger ha elevato il tono della cultura cattolica, avviandola, con erudizione sicura e illuminata cautela, all'oramai irreversibile cammino della restaurazione post-conciliare.
 Nel discorso preparato in previsione dell'incontro alla Sapienza, in calendario per il 17 gennaio del 2008 e purtroppo rinviato a causa di diffusi pruriti laicisti, Benedetto XVI riconobbe la necessità (a suo tempo avvertita da Jurgen Habermas) di stabile un rapporto tra politica e verità e sostenne che la soluzione del problema si trova nella filosofia di San Tommaso d'Aquino.
 E' insegnamento di San Tommaso, infatti, che "la filosofia deve rimanere nella propria libertà e nella propria responsabilità; deve vedere i suoi limiti e proprio così anche la sua grandezza e vastità".
 Ora i limiti della filosofia si possono superare applicando la formula del Concilio di Calcedonia, secondo cui filosofia e teologia devono rapportarsi tra loro senza confusione e senza separazione.
 Di qui la soluzione proposta dal dotto pontefice: "la filosofia non ricomincia ogni volta dal punto zero del soggetto pensante in modo isolato, ma sta nel grande dialogo della sapienza storica, che essa criticamente e insieme docilmente accoglie e sviluppa; ma non deve neppure chiudersi davanti a ciò che la fede cristiana ha ricevuto e donato all'umanità come indicazione del cammino".
 La via d'uscita dal tunnel nichilista, nel quale si è smarrita la cultura post-moderna, è dunque indicata nell'equilibrio di fede e ragione, una feconda armonia, che i secoli cristiani hanno stabilito e conservato.
 Malgrado le contrarie apparenze, è dunque possibile affermare che, per effetto del pontificato di Benedetto XVI, è iniziato il riscatto della verità cattolica, sofferente sotto la massa imprigionante/umiliante dei coriandoli lanciati dalle finestre dell'irenismo teologizzante.
 Nella tormentata storia della Chiesa durante l'età delle neo-rivoluzioni, la figura di Benedetto XVI rappresenta la volontà di sciogliere il nodo stretto dalla incauta/illusoria mitologia conciliare intorno all'autocorrezione dei moderni erranti.
 I puntuali ragionamenti e le critiche taglienti indirizzate da papa Ratzinger alle scolastiche, che avviliscono e tormentano la politica in scena nelle nazioni occidentali, comunità uscite dall'incubo ideologico per entrare nell'inferno del nichilismo, sono finalizzati alla confutazione degli errori piuttosto che alla loro paciosa/precipitosa assoluzione e alla loro empiamente pia assimilazione.
 Benedetto XVI ha iniziato un cammino opposto a quello suggerito dall'irenismo emanato dal Vaticano II.
 Nella scrupolosa post-fazione ai discorsi di papa Ratzinger, monsignor Giampaolo Crepaldi, quasi aggredendo l'opinione di Karl Rahner sui cristiani anonimi, sottolinea opportunamente il rifiuto opposto al relativismo e rammenta che "la libertà di religione non vuol dire che qualsiasi scelta religiosa conferma e verifica la libertà di religione".
 Benedetto XVI indica la causa della fragilità/volubilità della cultura di massa nella presunzione scientista: "La capacità di vedere le leggi dell'essere materiale ci rende incapaci di vedere il messaggio etico contenuto nell'essere, messaggio chiamato dalla tradizione lex naturalis, legge morale naturale".
 Di qui la critica inflessibile al positivismo giuridico. Il 22 settembre del 2011, nel magistrale discorso al parlamento tedesco, Benedetto XVI, indicando la via d'uscita dall'irenismo, affronta il nodo del positivismo giuridico elucubrato da Hans Kelsen, attribuendolo a una ragione mutilata e perciò "non in grado di percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale" e in ultima analisi diventata strumento degli "ismi" di nuova e velenosa generazione: "Dove la ragione positivista si ritiene come la sola cultura sufficiente, relegando tutte le altre realtà culturali allo stato di sottoculture, essa riduce l'uomo, anzi minaccia la sua umanità".
 Di qui lo svolgimento di un magistero finalizzato alla correzione dell'ottimismo infondato. Il 17 settembre del 2010, rivolgendosi alle autorità del Regno Unito, Benedetto XVI, dopo aver citato la vittima, San Tommaso Moro, in casa dei discendenti dal boia, ha segnato gli stretti confini oltre i quali la moderna democrazia non può essere condivisa: "Se i princìpi morali che sostengono il processo democratico non si fondano, a loro volta, su nient'altro di più solido che sul consenso sociale, allora la fragilità del processo si mostra in tutta la sua evidenza".
 Benedetto XVI ha affrontato anche il nodo dell'assolutismo democratico: ammesso quale strumento indispensabile la decisione a maggioranza l'autore osserva che "anche le maggioranze possono essere cieche o ingiuste. La storia lo dimostra in modo più che evidente: quando una maggioranza- per quanto preponderante - opprime con norme persecutorie una minoranza, per esempio religiosa o etnica, si può parlare ancora di giustizia o in generale di diritto?"
 Per uscire dal circolo vizioso avviato dall'assolutismo democratico, inversione demoniaca dell'ordine civile, occorre superare "il culto politico opposto alla verità, che è culto dei demoni, mettere l'unico universale servizio alla verità, che è libertà".
 Il problema che angustia i politologi postmoderni, in conseguenza di tale premessa, è ricondotto alla verità intravista (obliquamente) dal greco Evemero da Messina (330-250 a. C.), il quale sosteneva che "tutti gli dèi sono stati in origine una volta uomini".
 La riflessione sul paradosso di Evemero aiuta a vedere la realtà in agitazione alle spalle della democrazia assoluta: la divinizzazione dell'uomo è fomite di una politica schiavizzante.
 Considerata alla luce della tragica esperienza della mitologia politica in scena nei secoli delle rivoluzioni sterminatrici, la ruvida demistificazione di Evemero suggerisce il riconoscimento della bontà insita nell'unica rivoluzione che può interrompere il circuito della democrazia tiranna: il riconoscimento che "ogni religione pagana poggia su una iperbolizzazione di sé da parte dell'uomo".
 In definitiva l'orizzonte della libertà è attingibile solo da una scienza politica capace di percorrere la via di una demistificazione, che abbia per bersagli la tracotanza e la superbia degli uomini abbagliati e fulminati dal potere del loro denaro e storditi dagli inni declamati dai loro servi.
 Obbediente al consiglio evangelico di rinunciare al corteo funerario degli illusi e dei devianti, Benedetto XVI non chiama in causa gli intontiti banditori di un umanesimo integrale concepito nella luce modernizzante emanata dagli errori di rivoluzioni in corsa lungo le piste sanguinarie del delirio e dell'autodistruzione prima di accedere alle disarmate sacrestie.
 Papa Ratzinger prende atto dell'inevitabile fallimento ottenuto dall'umanesimo democristiano, ed indica una via di liberazione dalla avventizia chimera incombente sulla vita politica: l'illusione di aver chiuso vittoriosamente la partita con le ideologie emanate da secolo dei lumi al lumicino.
 La filosofia politica proposta da Benedetto XVI mostra la via difficile che i cattolici devono percorre per non estenuarsi nelle manfrine politicanti al suono dei pifferi di montagna. Il rimanente è il girare vano dei superstiti testimoni della teologia della liberazione intorno alla confusione tra poveri e poveri in spirito.

 Piero Vassallo