venerdì 23 marzo 2018

LA GIORNATA DELL'AQUA (di Piero Nicola)


  Quasi ogni problema, vero o falso che sia, ha ricevuto la sua giornata democratica. A dire il vero, ultra-democratica, perché si suppone che i poteri eletti dal popolo, governanti e affini, non bastino a porre rimedio ai guai della società: bisogna che tutti, doverosamente e volonterosamente, manifestino a favore delle auspicabili soluzioni, che tutti celebrino memorie a rinverdire la civica sensibilità, che tutti partecipino attivamente a promuovere la buona causa, a sollecitare i responsabili. Passata la festa... ogni cosa torna come prima: nella dimenticanza dei più, toccati indirettamente, restando vive le noie di pochi che, in democrazia non contano. Ma guai seri pesano ormai sulla maggioranza, la quale non si presta più alle turlupinature e agli imbonimenti.
  Le giornate in onore di qualcosa o di qualcuno, le giornate dedicate a un tema sono numerose e sono le più varie, spesso insensate, truffaldine,  empie, inique. Loro funzione immancabile è quella di oscurare i santi sul calendario, di coprire le sante Feste.
  Come definire la giornata della pace se non una falsità ricoperta di buone intenzioni? Non v'è dubbio che la celebrazione del primo giorno dell'anno abbia un valore pacifista, ossia contrario alla realtà e alla giustizia. Da parte sua, l'occupante della cattedra di San Pietro non perde l'occasione per predicare azioni che nulla hanno a che vedere con la morale cristiana, come una pace che espone il gregge cattolico alle malefatte del Nemico e che disprezza l'Angelo protettore della Nazione.
  Dal 20 novembre 1989 ricorre la giornata mondiale dei diritti del fanciullo. L'occasione è buona per ribadire diritti simili a quelli dell'uomo, cioè non poco fantastici e fatti per rompersi il collo, essendo gli stessi della Rivoluzione dell'89, condannata per filo e per segno dai Papi, sino al 1958.
  L'8 marzo abbiamo avuto la giornata della donna. Altro strombazzamento di fanfaluche, di cui una enorme: la totale equiparazione dei due sessi, con giochi di prestigio per evitare l'assurdo e il ridicolo.
  A tale proposito, non si aspettano particolari ricorrenze per diffondere e ripetere il menzognero, ossessivo presupposto dell'uguaglianza di ciò che per natura e con ogni evidenza è disuguale. Ohibò, si tratta di esseri umani!
  In questi giorni di premiazione di lavori cinematografici con i David di Donatello, le belle e brave attrici impegnate, ossia comodamente sistemate nella bambagia del conformismo, ne hanno approfittato per un'ennesima, seria rivendicazione del rispetto dovuto alla femminile dignità. Però l'hanno fatto paragonando le espressioni verbali spettanti al sesso maschile con le medesime, di mutato significato, rivolte al gentil sesso; e hanno interpretato il mutamento come un inveterata offesa al sesso... debole. Così sono cadute nella stravaganza senza nome. Prendendo le frasi che si addicono all'uomo per mostrare come le stesse locuzioni si adattino male alla donna e suonino offensive per lei, queste argute signore dello spettacolo hanno voluto dimostrare l'affronto di un disuguale trattamento. In sostanza, pretenderebbero che i modi di dire della nostra lingua venissero modificati o annullati per via di una loro disparità di trattamento, viceversa affatto naturale. In sostanza, si intende affermare e imporre una parità inesistente.
  Se venisse soddisfatto il presunto diritto a un uso del lessico indifferente rispetto ai sessi, si avrebbe soltanto un impoverimento della lingua, mentre la diversità dei sessi, che come tale richiede diversità di riguardo linguistico, resterebbe quella di prima, salvo presupporre il genere umano una massa di ermafroditi. In certe segrete e potentissime stanze dei bottoni è probabile che si tenda a questa estremità, tuttavia la sua attuazione appare assai chimerica, dopo che l'America cerca di riappropriarsi della propria identità e mette in atto i dazi doganali, che mandano all'aria il disegno mondialistico. Similmente, in Europa, l'UE mondialista naviga in cattive acque, specie dopo la brexit, e dopo che consistenti masse popolari la stanno prendendo a calci.
  Una volta che la gente ha preso in uggia il manovratore, una volta che sospetta di lui e più non gli crede, tutto quanto minaccia di venire giù, tutto diventa losco, incluse le giornate consacrate, persino quelle che sarebbero consacrate bene, se non subissero la profanazione dei loro sacerdoti. L'insofferenza dimostrata alle elezioni è prova lampante dell'incredulità.
  Perciò le allegre attrici femministe, i cineasti, i conduttori televisivi, i politicanti devono stare all'erta, cominciando a guardarsi dal conformismo, dal cavalcare gli usati cavalli di battaglia: la gente non abbocca più, non li ama, specie la gioventù martoriata dalle disgregazioni familiari, dalle madri egoiste, che hanno approfittato dei propri diritti che vanno a scapito di quelli del babbo e, godendo delle libertà prettamente maschili, hanno fatto sfracelli.   
  Naturalmente i sondaggi, le spie evidenti dell'insofferenza, della sorda ribellione, della pentola sotto pressione, trasformeranno ancora una volta i marpioni politici in finti riformatori radicali, in vele che prendono il vento così come è girato; ma anche il mestiere di pompieri è divenuto rischioso, voltare gabbana non è sempre facile, l'avversario populista (non compromesso col defunto regime) sta pronto a ricordare la precedente militanza del girella.
  Prima della giornata dell'acqua, il 21 marzo c'è stata la giornata mondiale della poesia, stabilita dal un ente onusiano. A quanto pare si è svolta in sordina. Concorrenti e premiazioni: in una beata nuvola. I telegiornali non si sono azzardati a farne pubblicità. I manovratori stanno già sul chi vive, in bilico sul punto critico.
  Certo non siamo ancora giunti al pericolo di sollevamento. Diversi pregiudizi sono duri a morire. Molti credono che il difetto non stia nel manico, che l'apparecchio si possa aggiustare, una volta sostituiti i tecnici. Invece, stanti le legali aberrazioni prodotte dall'uso dell'apparecchio, ci vorrà del bello e del buono perché qualcuno lo faccia ancora funzionare in modo soddisfacente.

Piero Nicola

martedì 13 marzo 2018

CONFERME VATICANE (di Piero Nicola)


  Pur quando si è certi di un fatto storico, che anche prosegue nel presente, è confortante riceverne le conferme. E non tanto per se stessi, quanto per la persuasione degli indecisi, dei non rassegnati alla realtà.
  Vediamo di riassumere il fatto in questione: un caso di importanza massima per l'umanità, per il suo Sommo Bene e Giudice, che è Dio.
  Posto che la Chiesa, Corpo Mistico di Gesù Cristo, e massime il suo Vicario successore di Pietro, sono necessari alla salvezza dei fedeli e alla diffusione del Verbo nel mondo; posto che a tale sacro ministero e magistero è indispensabile la Verità, ossia la fedele trasmissione dei riti e del Vangelo, è chiaro che lo stravolgimento (eresia) dell'oggetto della Fede (Rivelazione), operato da chi occupa il seggio di papa o di gerarca ecclesiastico, rende lo strumento-Religione non solo inefficace, lo rende mezzo di perdizione, mezzo diabolico. Ciò, oggettivamente: che il tradimento sia consapevole o ignaro, colpevole o incolpevole.
  S'intende che, nonostante il tradimento, la Chiesa usurpata e martoriata non sparisce, né sparirà.
  Farei a meno di mostrare lo stravolgimento della dottrina indispensabile, l'eresia pratica, l'obbrobrio del Magistero pastorale e missionario. Troppe volte ho allegato le probanti argomentazioni di eminenti uomini di Chiesa e di teologi veritieri; io stesso mi posi all'opera che stabilisce come il Nemico abbia lavorato e viepiù lavori in Vaticano contro l'elementare volere di Dio, contro la sua misericordia e la sua giustizia, contro il suo amore rivolto a noi tutti.
  Tuttavia cercherò un compendio, alcune formulazioni del male primario commesso dai traditori.
  -  La relativizzazione della Legge di Dio e la conseguente mortifera indulgenza.
  -  La generale, universale mancanza di necessità del Battesimo e degli altri Sacramenti.
  - L'abolizione del male recato dai vari non cattolici in quanto tali (o dai falsi cattolici) e dell'obbligo di combatterlo, bensì con la separazione del gregge dagli erranti.
   -  La pervicacia con cui tali e altri mortiferi errori vengono spacciati sotto veste di misericordia e di carità, insieme alla negazione dei cattivi frutti prodotti dall'albero guasto.
  Tanto basta alla condanna senza appello. Beninteso: non andiamo contro ai servi di Dio come tali (sempreché ancora lo siano, grazie a valide ordinazioni e consacrazioni), ma puntiamo l'indice sui falsificatori del Decalogo e della funzione dei Sacramenti, mezzi della Grazia, senza la quale ci si perde.
  La conferma sopra menzionata viene oggi da una lettera di Ratzinger spedita alla Segreteria di Francesco I e resa nota dalla stampa. Benedetto XVI sostiene con forza la "continuità interiore" dei due pontificati: del suo e di quello di Bergoglio. E ha ragione, tanta ragione quanto aveva torto a rivendicare la continuità con il regno di Pio XII e antecessori. Il presunto papato bergogliano è conseguenza, è sviluppo del precedente, come entrambi lo sono dell'infausto Concilio Vaticano II.
  Coloro che ancora si illudevano sulla bastante ortodossia di Ratzinger possono mettersi l'animo in pace. "Papa Francesco è un uomo di profonda formazione filosofica e teologica" dichiara il predecessore emerito; tra di loro c'è soltanto una "differenza di stile e di temperamento". Ma si è formato "lo stolto pregiudizio per cui papa Francesco sarebbe solo un uomo pratico privo di particolare formazione teologica e filosofica".
  L'intervento avviene in concomitanza con la celebrazione del quinto anniversario dell'investitura di Francesco I, onorata dall'uscita di 11 volumi redatti da teologi di fama internazionale. La collana a cura di Roberto Repole, è intesa alla difesa dell'abusivo papa regnante, debolmente attaccato da sparsi prelati e preso di mira da isolate voci sincere, fuori dal coro.
  Che quei teologi siano di fama internazionale è una condizione che li squalifica automaticamente. La Scrittura ci avverte che l'onestà e la veridicità di chiunque si deve (oggi più che mai) all'avversione, alla persecuzione del mondo, non già alla sua stima. "Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti" (Lc. 6, 26).
  Il che vale per il cosiddetto Papa buono, per i suoi successori, per Madre Teresa di Calcutta, ecc.
  Se poi i conformisti laici e sedicenti cattolici tributano lodi a Santi certissimi, per esempio a San Francesco d'Assisi, la loro empietà ha occasione di manifestarsi nel peggiore dei modi. Quei santi vengono travisati e sfruttati a pro dell'eresia, mentre San Francesco fu un campione del combattimento contro gli eretici e celebrò i suoi monaci martiri andati a convertire gli infedeli. Invece Francesco I se la intende con i figli del peggior eresiarca: Lutero.
  Naturalmente ci sarà chi a furia di arzigogoli, di sofismi, di esegesi moderniste cercherà di negare la luce del sole, ma il sofisma bisogna che esista, bisogna che esista il male: privazione del bene, privazione di Dio, bisogna che il demonio svolga il suo mestiere.
  Sono stato troppo cauto prima, parlando di stravolgimento del Vangelo. In effetti si tratta di un vero capovolgimento, se un telegiornale, forte dell'implicita approvazione degli ascoltatori, ha chiamato a chiare lettere "velenosi" i piuttosto ortodossi tradizionalisti, critici di Bergoglio in seno alla pseudo-chiesa, quando il velenoso in ogni senso è proprio lui.

Piero Nicola

mercoledì 7 marzo 2018

La vittoriosa sconfitta dei grillini ovvero l'involontaria utilità degli arruffoni


E levò si tasca un foglio di carta rossa sul quale era scritto, in lettere maiuscole: qui sono stati i ragazzi della via Pal.
Ferenc Molnar


Augusto Del Noce e Giano Accame, due lungimiranti critici delle ideologie serotine e/o notturne, messe in circolo dei vincitori della Seconda Guerra Mondiale, hanno elaborato una puntuale teoria sull'eterogenesi dei fini onirici, che turbano e scompongono i pensieri senili, in notturna agitazione fra i tardi promotori delle crisi epilettoidi, abusivamente definite progressi civili.
Motore delle ideologie intorno alla rivoluzione immaginaria era una furia ancestrale, del genere di quella in attività nelle sassaiole compiute dagli immaginari ragazzi della via Pal e narrate dal lacrimoso Ferenc Molnar.
Dopo le elezioni di domenica nella scena politica italiana ha fatto irruzione l'incubo di un vano programma, concepito dietro le quinte dell'avanspettacolo prima di irrompere nel sottobosco sociale.
Mossa da gridi infantili, il grillismo ha prodotto un concerto di parole, che abbassa il pensiero politico alla funzione spazzina di sollevare tempeste di foglie morte e volanti tra malumori, escandescenze e deliri politici.
Disgraziatamente il delirio grillino ottiene un consenso fecondato dal regresso economico e dalla corruzione civile. Si profila – ultimamente – il rischio rappresentato dalla costituzione di un governo capace di deliziare il malinconico Massimo Cacciari e (quel che è peggio) di sollevare la maligna e devastante risata dell'Europa spocchiosa sull'Italia, paese mandolinista, che esegue la musica grillina per far ballare il sottosviluppo.
Il colpo vibrato dall'ammirazione grillina del qualunquismo ateo, grazie a Dio, ha aperto gli occhi dei più attenti politici italiani, rendendoli finalmente capaci di riconoscere, nel gridato programma del comico genovese, il decomposto e brulicante cadavere dell'ideologismo illuminato.
Ora si tratta di capire che – dopo la ingloriosa discesa nel sottosuolo delle ideologie di stampo illuministico – è in atto la implacabile guerra tra il nichilismo da cabaret atlantico e la fede cristiana.
Dall'umiliante scenario, disegnato dal perpetuo, eterodiretto voto dei sonnambuli, si può uscire soltanto se i partiti della destra, contemplato il profilo della temibile minaccia all'orizzonte, osano avviare una spietata critica delle suggestioni piovute sull'Italia dalle nubi del laicismo europeo. L'alleanza tra la destra e il capitalismo deve essere rifiutata categoricamente. Di conseguenza i dirigenti della destra italiana devono uscire dal perdurante sonno finiano e scegliere tra il naufragio nelle acque infettate dal laicismo europeo – puntualmente rappresentato dal comico genovese – e la risalita sulla rischiosa barca di San Pietro.
La fioca risposta del perbenismo laico e democratico affonda miseramente nel frastuono destato da una cultura largamente finanziata dagli abitanti accucciati nella sentina della banca, sulla quale viaggiano gli usurai e i loro adulatori.

Piero Vassallo

martedì 6 marzo 2018

LA MOSSA DEL CAVALLO (di Piero Nicola)


  Scrissi questo articolo qualche tempo fa, e non lo proposi alla pubblicazione perché troppo vicino ad altri pezzi già inviati. Tuttavia credo abbia sempre qualcosa da dire, per cui mi sarebbe spiaciuto lasciarlo perdere.
  Di solito evito di soffermarmi su film per il cinematografo o per la televisione; di regola non intendo guardarli, essendo stanco di dover ripetere le stesse osservazioni, le stesse critiche allo stile, le stesse condanne dei contenuti. Pornografia propinata con pretesti, lenocinio di volgarità e di turpiloquio evitabili, immoralità e vano abbellimento dei vizi, della fornicazione caccosa:  gira e rigira si ritrova tutto ciò ad ammorbare l'atmosfera, senza che sia possibile riscatto di sorta grazie all'arte della rappresentazione.
  Ma in questi giorni una persona a me vicina, che ci tiene a vivere assai la vita sociale e a usufruire degli spettacoli (la cui rinuncia a me giova, anziché infondermi rammarichi), questa persona ha visto il filmato La mossa del cavallo, tratto da un racconto di Andrea Camilleri pubblicato nel 1999, e si è dichiarata soddisfatta, consigliandomi di non perderlo.
  Già pochi minuti innanzi la proiezione televisiva, il primo canale Rai aveva tessuto gli elogi del lavoro dei cineasti, dello scrittore siciliano, degli interpreti. Nel gioco alla tivù in cui un concorrente deve indovinare le attività delle persone che gli si presentano, era comparsa fra loro l'attrice giovane e carina, protagonista femminile del filmato, della cui pubblicità ella aveva costituito il motivo. Era venuta in abbigliamento modesto, mentre negli spezzoni di scene proiettate per saggio, il suo petto emergeva provocante, sebbene quel personaggio di vedova seducente non facesse ancora immaginare la sua prostituzione e l'esibizione di questa nei rapporti avuti con un parroco.
  Mette conto notare che simile oscenità libidinosa non sarebbe mai passata alla censura sino alla fine degli anni Cinquanta. E dirò, a chi mi compatisce facendo appello all'attuale comune senso del pudore, che me ne infischio, che compatisco lui, perché nudo disonesto e lascivia restano i medesimi per sempre e per chiunque, da Adamo in poi. Ma siamo precisi: all'epoca della benedetta censura, questa non escludeva le miserie, non tagliava alcuna situazione disonesta che fosse resa implicita o raffigurata decentemente e senza complicità o indulgenza riguardo a vizi e delitti.
  I più che boccacceschi episodi dello scambio delle grazie muliebri con i beni materiali del prete potevano benissimo essere resi con accenni, e si sarebbe persino ricavato maggior profitto per l'economia dell'intreccio eliminandoli o adoperando un diverso accidente.
  La vicenda poliziesca, nel siculo contesto mafioso, comincia con l'arrivo di un ispettore del macinato, sul quale bisogna pagare un'imposta che si presume iniqua, ma importante per le finanze statali. Il giovane funzionario di famiglia siciliana proviene da Genova dove è cresciuto, sostituisce il suo predecessore corrotto e fatto fuori per essersi opposto a interessi illeciti. L'usciere che riceve il nuovo arrivato è l'umile rappresentante dell'omertà rivestita di buon senso. Il delegato di polizia è al servizio del capoccia latifondista e cerca di dissuadere l'ispettore, che intende mettere ordine e giustizia, nondimeno fra i suoi collaboratori malfidati, dispersi sul territorio. Il superiore in grado, l'intendente di Finanza, è colluso col grande malvivente. I carabinieri sembrano dover adattarsi al malcostume. In seguito, anche il prefetto appare rassegnato. Resisterà invece il pubblico ministero, che persegue la colpevolezza dei delinquenti; ma alla fine è costretto ad augurarsi, soltanto, la sconfitta del capo mafioso, per ottenere la quale occorre risalire a lui con l'imputazione, mentre costui si difende procurando la morte dei suoi strumenti compromessi e divenuti pericolosi. Ad ogni modo, mandare in galera una colonna della società criminale risolve ben poco. Oggi ne sappiamo qualcosa.
  A tale proposito non resisto alla tentazione di andare fuori tema: ci sono storici illustri che disprezzano lo Stato della Chiesa perché subì il brigantaggio. Essi salverebbero questa democrazia italiana che è molto più infestata, ospitando mafie formidabili e droga a go-go.
  Or dunque, l'ispettore dei mulini viene incolpato dell'uccisione del parroco, invece assassinato da un cugino pazzoide. I cugini avevano avuto una questione d'interesse, e lo squilibrato aveva perso la causa. Lo ha mosso a commettere il delitto l'avvocato del gran capo mafioso. Qui sorge il punto debole. L'omicidio del sacerdote, predisposto per la levata di mezzo del giovane, venuto dal Nord a rompere le uova nel paniere, avrebbe dovuto svolgersi in una circostanza prevista e non fortuita. Viceversa le coincidenze giungono eccezionali. Il parroco, non si capisce come, si è trovato in aperta campagna boscosa, e lì lo ha colpito la micidiale revolverata. Contemporaneamente è accaduto il transito solitario dell'ispettore a cavallo. Sappiamo che si recava a compiere le verifiche spingendosi sui luoghi della molitura, per diffidenza verso i suoi sottoposti. Ma ci è stato anche detto che si rifiutava di preavvertire chiunque riguardo alle proprie ispezioni. Egli, messo in allarme dallo sparo dell'attentatore, subito dileguatosi, ha sparato a sua volta alle ombre, per poi rinvenire il morente sacerdote, dimenticando presso di lui la rivoltella.
  La macchinazione ai danni del protagonista reca con sé ulteriori artifici. Egli è andato dal delegato a denunciare l'assassinio. Ha raccolto dalle labbra dell'agonizzante il nome del suo uccisore, ma, approfittando della sua scarsa conoscenza del dialetto, gli inquirenti smontano la comprensione di quel nome, ritenuta scorretta. I sospetti gravanti sull'interrogato sarebbero avvalorati dalla sua denunciata scoperta d'un mulino clandestino, allestito provvisoriamente in aperta campagna, di cui però non si rinvenne traccia. Il caso accredita l'accusa di invenzioni fantasiose, come quella del ritrovamento del prete nella boscaglia, del quale pure non si è vista ombra di cadavere.
  L'azzeccagarbugli al servizio del capoccia ha fatto trasportare la salma in casa dell'ispettore. Questi, dopo essere svenuto per il trauma causatogli dall'arresto, eseguito per i gravi indizi raccolti a suo carico, viene rianimato somministrandogli nel contempo un barbiturico. Rimesso in libertà provvisoria, giunge nella sua abitazione del tutto stordito, incapace di reagire di fronte all'incontro col morto. Si trarrà successivamente d'impaccio dimostrando che la giacca, da lui stesa sul ferito a morte, si è macchiata di sangue, mentre, se avesse compiuto l'omicidio fra le pareti domestiche, non avrebbe coperto il defunto con l'indumento.
  Inoltre, l'aver i malfattori messo nell'alloggio dell'accusato le cose pregiate del prete, ricevute dalla vedovella in cambio dei suoi favori accordatigli, e l'aver dovuto togliere perciò quest'ultima dalla circolazione, appaiono manovre sproporzionate, poco verosimili. Il gioco non valeva la candela, ossia tanto daffare e rischio al fine di creare una debole prova a carico, un movente malamente spiegato dal fatto che la poco di buono era proprietaria della casa presa in affitto dall'imputato, sicché i due avrebbero dovuto intendersela ed essere stati complici. La prova decisiva dell'innocenza verrà con l'eliminazione del cugino che ha accoppato il parente ecclesiastico e che, messo alle strette, avrebbe potuto cantare.
  La macchinosità è quasi necessaria a ogni trama gialla. Si può riconoscere che sceneggiatura, regia e attori abbiano ovviato abbastanza ai difetti, essendo non poco aiutati dal mezzo cinematografico. Con la sua realistica ripresa, esso rende spesso credibile l'inverosimile.
  Ma la pecca maggiore è costituita dalla mancanza di un personaggio piuttosto buono o redento nella società siciliana di fine Ottocento. Le pie donne, in chiesa e affacciate alla sacrestia, hanno un'aria equivoca di beghine. Si direbbe normale, benché assuefatta all'ambiente anomalo, soltanto la famiglia del barbiere, cugino primo dell'ispettore, stranamente da lui ignorato prima del suo arrivo nell'isola e casualmente incontrato nella barbieria.
    Facendo ritorno in ufficio, dopo essersi destreggiato (mossa del cavallo) secondo gli accorgimenti d'uso locale, il giovanotto abbraccia il suo aiutante, di cui all'inizio rifiutò il comportamento omertoso e retrogrado. Ma a parte lui, in conclusione, l'orizzonte tutto fosco della Trinacria resta privo d'un solo, possibile, soggetto che si distingua per rettitudine e coraggio.

Piero Nicola