venerdì 25 ottobre 2013

Giuseppe Bottai e lo spezzato filo della destra

 In questi giorni Daniela Pasqualini, giovane e brillante pedagogista toscana, ha pubblicato, nella collana "faretra", dell'editore Solfanelli in Chieti, "Giuseppe Bottai e la Carta della scuola", un saggio,  che rievoca fatti e idee che eclissano i giudizi degli storici liberali e conformisti sulla cultura del ventennio fascista.
 Imprigionati e coatti dalle dogmatiche parentesi di Benedetto Croce, gli storici di regime hanno prodotto e imposto l'immagine di un politica ventennale impegnata in una feroce guerra   contro la cultura e la storia italiana. 
 La puntuale revisione della Pasqualini, invece, dimostra che la pedagogia di Bottai, rappresentò il tentativo di costruire un ponte tra il passato e il futuro della patria italiana, coniugando le aspirazione dell'emergente e impaziente proletariato con i diritti inalienabili della tradizione cattolica.
 L'arduo progetto di Bottai, fascista anomalo e geniale, intendeva di stabilire una continuità tra l'Italia del passato e l'Italia delle avanguardie, e perciò fu demonizzato dai seguaci dell'affossatore Croce.
 Il filosofo di Pescasseroli fu un passatista, autore  del battesimo liberale dell'Italia  e promotore dello spaccio di quella filosofia a due, equivoche piste, che è consegnata al saggio "Perché non possiamo non dirci cristiani".
 La predicazione di Croce causerà l'inciampo dell'abbagliata Democrazia cristiana, prima di rovesciarsi nelle disgraziate e scellerate riforme libertine: legalizzazione di pornografia, divorzio e aborto. Conquiste incivili, che hanno infangato la repubblica italiana e spianato il cammino  all'alluvione tossica, sodomitica, gomorrita e thanatofila.
 Sul versante opposto a quello del guru a due teste, Bottai, dopo aver accertato che il liberalismo non aveva funzionato, affermava che le cicliche crisi dell'economia "si potevano risolvere attraverso l'unione di capitale e lavoro, unione che è diretta conseguenza del principio corporativo pienamente applicato".
 Nell'ultimo numero della rivista "Primato", in edicola il 15 luglio del 1943, Bottai, vinta ogni remora, scriveva: "Rivendichiamo una responsabilità storica fondamentale: quella di aver fatto venire alla luce, con il corporativismo, una profonda revisione etico-organizzativa del sistema capitalistico nell'interno degli Stati e nella società internazionale. ... La corporazione, proposta nel 1931 alla Società delle Nazioni come modello di collaborazione tra le classi e le nazioni, era ed è la leva per spingere l'ordine capitalistico verso gli inevitabili nuovi orizzonti, intravisti sia dall'economia che  dall'etica".
 Conforme alla dottrina corporativa, la riforma della scuola ebbe un indirizzo popolare e perciò divenne  l'oggetto di una profonda intesa tra regime fascista e Chiesa cattolica.
 Lo rammenta Pasqualini: "Bottai  intende riportare in primo piano l'educazione scolastica, rispetto a quella politica, e rivalutare la politica della famiglia, intenzione ampiamente condivisa dalla Chiesa".
 Pasqualini sottolinea altresì la profondità dell'analisi compiuta da Bottai della realtà familiare nella società industrializzata e rammenta che le organizzazioni giovanili fasciste, a differenza di quelle fondate dai sovietici e dai nazisti, "erano pensate non per prendere il sopravvento sulla famiglia ma per integrarsi con il lavoro educativo compiuto dalle famiglie operaie nel momento in cui queste fossero impegnate nel lavoro. ... La posizione assunta dal fascismo, infatti, è proprio quella di rafforzare la conoscenza del cattolicesimo attraverso lo studio"".
 Con inusuale audacia, Pasqualini viola la legge che definisce "infrequentabili" gli archivi, il contenuto dei quali smentisce e ridicolizza l'imperiosa dottrina crociana, che rappresentava un'incivile e vuota parentesi incivile della durata di vent'anni.
 La faticosa ricerca compiuta dalla sagace studiosa toscana rivela una notizia, che giustifica la storiografia proibita dai poteri forti e incoraggia la revisione del giudizio formulato dagli intellettuali immobilizzati dal vieto pregiudizio storicistico: "La Carta della scuola è il frutto di numerosi scambi segreti con il Vaticano per tramite del Cardinale Tardini, perché Bottai sa che per riformare in senso gerarchico e sistematico il mondo dell'istruzione è necessario l'appoggio delle istituzioni ecclesiastiche, che storicamente detengono un importante ruolo in campo educativo".
 Inoltre Bottai introdusse nella scuola l'ora di lavoro manuale, allo scopo di far comprendere agli scolari la difficoltà e la nobiltà della fatica finalizzata alla trasformazione delle materie prime e di far sperimentare la simultanea edificazione e nobilitazione del lavoratore.
 La coraggiosa impostazione della riforma scolastica, puntualmente ricostruita da Pasqualini, aiuta a comprendere le ragioni dell'intesa stabilita, nel dopoguerra, da Bottai con il movimento dei cattolici, critici della Dc e insofferenti dell'ideologia liberale infiltrata nella cultura cattolica.  
 I protagonisti dell'opposizione al liberal-progressismo si incontravano nella sede di Civiltà italica, la rivista di  Mons. Roberto Ronca e di Luigi Gedda, nella cui pagine pubblicavano articoli di altri illustri epurati, Camillo Pelizzi, Guido Manacorda, Edmondo Cione e Vanni Teodorani.
 Gli studiosi attivi nella sede di Civiltà italica e in seguito nella rivista di Bottai, Abc, disegnavano le figure di un partito di autentici moderati e di un movimento di convinti post-fascisti, due organizzazioni concordemente indirizzate al futuro in quanto capaci di stabilire un'alleanza patriottica finalizzata a riannodare quel filo della tradizione italiana, che l'errore liberale aveva spezzato.
 Il disegno politico, concepito da Bottai e dai redattori di Civiltà italica e condiviso (nel 1954) da Amintore Fanfani, fallì a causa dell'ostinata e miope opposizione dei nostalgici scalpitanti nel Msi.
 L'improvvido rifiuto degli estremisti Almirante e Rauti avviò  la politica italiana spianò la strada all'anacronismo storicista e laicista. E liquidò il progetto di sostegno alla famiglia, nucleo vitale della società, sostegno concepito e avviato dalla riforma della scuola secondo Bottai

 Il saggio di Pasqualini, pubblicato in una stagione politica segnata dalla perfetta estinzione del partito neofascista e dall'affondamento democristiano nelle acque dell'internazionalismo cravattaro, costituisce un invito alla riapertura dei coraggiosi ragionamenti avviati da Bottai intorno alla politica intitolata alla moderazione, virtù che ha una stretta parentela con la classica prudentia.

Piero Vassallo


martedì 1 ottobre 2013

La storia dell'evo cristiano, tra reale e artificiale

Un intrigante saggio di Tommaso Romano

La storia dell'evo cristiano, tra reale e artificiale

 Qualificato studioso e impavido testimone della tradizione cattolica, il palermitano Tommaso Romano è apprezzato, oltre che per l'eleganza della scrittura, per l'equilibrio delle sue analisi e per l'originalità delle sue proposte.
 La sua più recente fatica, il saggio "La radicale antitesi tra reale e artificiale", pubblicato nel numero 79 (gennaio-agosto 2013) della rivista "Spiritualità e letteratura", ad esempio, solleva contro il pensiero post-moderno obiezioni indenni dalla pretesa, avanzata dai banditori di un ozioso e imparruccato passatismo, "di difendere acriticamente l'intero Ancien Régime" e di nascondere "la mondanizzazione del potere o degli stessi singoli esponenti della Chiesa Cattolica".
 Romano è consapevole che il mondo moderno, il cui inizio era, per astratta convenzione, stabilito nel giorno della scoperta dell'America, è finito nel 1989, sotto le macerie del muro di Berlino.
 Di conseguenza Romano afferma la necessità di riconoscere la svolta epocale e di aggiornare il giudizio sul mondo moderno, che si è intanto ridotto alle ultime e crepuscolari suggestioni, che trasmettono cascami e frattaglie delle ideologie ai fautori della depressione relativista, che colora di grigio l'età contemporanea.
 Dissolta la minaccia delle rivoluzioni concentrazionarie, nel nuovo orizzonte si profila la minaccia delle utopie negative, "miti senza relazione, incapacitanti simboli posti a rappresentare l'astratto e l'irreale, elaborazioni umane con pretesa di assolutezza, filosofica e antropologica, che hanno generato (e non certo soltanto dalla fine del Medio Evo) irreali sogni di potenza, domini antiumani, autoritarismi senza fondamento nell'autorità legittima, anarchia teorica e nichilismo pratico, ateismo diffuso, relativismo, indifferenza".
 Ora non è pensabile affrontare l'emergenza causata dalle utopie negative e dal loro codazzo di sciagure senza un progetto indirizzato a rinnovare le regole dell'indagine sulle cause profonde dell'eversione. 
 Romano, pertanto, propone, quale chiave di la lettura della storia inclinata alla catastrofe post-moderna, un detto del cristiano libertario Valerio Pignatta - "Il Cristianesimo di Gesù non ha niente a che vedere con il cristianesimo della chiesa".
 Secondo Romano la tendenza libertaria a interpretare il Vangelo secondo i personali desideri, inclinazione già presente quando Cristo era nel mondo, "è un fiume carsico che in nome della purezza evangelica, ha rifiutato costantemente il concetto stesso di tradizione, sacralità, autorità, obbedienza e di gerarchia, promuovendo una lunga incubazione che ha prodotto tanto le piccole chiese e comunità religiose medievali, quanto taluni sintomi che hanno poi generato ai grandi scismi della Chiesa Cattolica, a cominciare dall'Ortodossia dopo il primo millennio e con l'affermarsi dei profeti dell'utopia del mondo nuovo e i loro predicatori sempre però connotati dallo spirito rivoluzionario, a volte con caratteristiche spiccatamente politiche, non sempre di matrice gnostica, anche se l'approdo alla logica di capovolgimento della realtà naturale è stato, comunque, convergente".
 Gli storici delle eresia e i compilatori dei tossici effetti dell'errore, pertanto, non devono limitarsi all'elenco delle contaminazioni pagane, che, lo ha dimostrato un discepolo di San Policarpo, Sant'Ireneo da Lione (130-202 d. C.), hanno ispirato i banditori dello gnosticismo, ma indagare seriamente le fantasie ispirate da una lettura ribellistica e anarcoide del Vangelo.
 Quale esempio di interpretazione erronea della Sacra Scrittura, Romano cita due testi di Tertulliano, il De corona e il De idolatria, nei quali si afferma (in aperto contrasto con la sentenza paolina, Non est potestas nisi a Deo) che le leggi civili "sono esclusiva opera degli uomini e che nessun fondamento ha il diritto divino invocato dai governanti".
 E' evidente che, a differenza della suggestione gnostica, il libertarismo, circolante in ambienti clericali antichi e moderni, non ha origine dal pensiero pagano ma dalla incontrollata fantasia dei fedeli. 
 Di qui la puntuale analisi degli errori generati dalla superficialità clericale e l'impietosa denuncia dell'alluvione progressista, che ha avvelenato la stagione del post-concilio.
 La lettura del testo di Romano costringe a riflettere sulla fragilità dei giudizi improvvisati dai fedeli, dai sacerdoti e dai teologi che desiderano piacere al mondo piuttosto che obbedire allo Spirito Santo.
 A conferma della fragilità degli uomini di Chiesa, Paolo Pasqualucci ha rammentato che sono state giudicate eretiche e ritrattate perfino le opinioni personali di alcuni pontefici romani.
 La resistenza all'errore post-moderno, di conseguenza, deve conoscere e contrastare, insieme con le ricorrenti suggestioni gnostiche, anche i cedimenti  autarchici dei pensatori cattolici, laici (ad esempio Jacques Maritain) e clericali (ad esempio Karl Rahner).
 Senza una tale estensione dello sguardo critico il contrasto cattolico all'errore post-moderno arretrerebbe sulle linee di un trionfalismo senza altro fondamento che l'attribuzione dell'infallibilità alla chiacchiera dei teologi di giornata.  


 Piero Vassallo