Oggidì il fascismo non è un pericolo. Mi
auguro che non sia necessario rammentare che al presente sono inesistenti e per
la maggioranza degli italiani perfino incomprensibili le circostanze storiche,
le idee e gli stati d'animo, che hanno suscitato e in qualche modo incoraggiato
e giustificato la vincente azione del partito di Benito Mussolini. A cauti
passi – peraltro – gli storici che hanno appreso la lezione della realtà
avviano la revisione.
Il fascismo appartiene interamente al passato
e pertanto l'antifascismo oggidì ha tanta attualità quanta ne potrebbe vantare
l'attività di un partito ghibellino intitolato (regnante il guelfo mons.
Bergoglio) alla germanica cancelliera Angelica Merkel.
Robustissima e mutante (trans politica) la
signora dei tedeschi che (pur avendone i requisiti fisici e mentali) non potrà
far ridere (a crepapelle) il trapassato imperatore ghibellino Federico
Barbarossa.
E' pertanto lecito sostenere che sarebbe utile
vedere i mutamenti avvenuti nella scena filosofica postmoderna, dunque
preservare la politologia dalle ottenebranti suggestioni dell'anacronismo,
ossia dalla tentazione di usare, quali parametri dell'attualità spensante
intorno alle salme delle ideologie, idee e fatti inattuali, in ultima analisi
appartenenti a un passato, che è – per obbligante e categorica
definizione - irrevocabile.
La ventennale storia del fascismo dunque
appartiene all'irripetibile passato e come tale va letta sine ira et studio.
Di qui l'esigenza di uscire da una lettura polemica e irosa di fatti storici,
che la scolastica, generata dal progressismo retroattivo, consegna e
affida al partito dei passatisti militanti (a sinistra e al centro
liberale).
La storia del ventennio fascista deve
incominciare dall'espulsione della pretesa – strutturalmente irrazionale - di
trascinare nel presente idee e fatti appratenti al passato. Si pensi alla
polemica antifascista che, sotto l'impulso dell'irrealtà, ha proiettato nel
passato – facendone quasi il temibile e agguerrito erede del duce di Predappio
– una foglia al vento quale è stato il politicamente (auto) emarginato
Gianfranco Fini.
Dopo le indispensabili messe a punto è
forse possibile proporre una lettura storica e non più politica del ventennio
di Mussolini, delle sue felici imprese, dei suoi errori e della sua tragica
fine.
Non si può negare seriamente che Mussolini
riuscì nell'impresa di trasformare l'Italietta dei liberali in una nazione
capace di condurre splendide imprese: la pacificazione nazionale, il concordato
con la Chiesa cattolica (non è certo per un caso che la giovane classe
dirigente democristiana – Moro e Fanfani, ad esempio - ebbe un passato in
camicia nera), la gigantesca impresa della bonifica pontina, l'attivazione di
un sistema sociale (che il regime degli
antifascisti non ha osato demolire, prima che su di esso precipitasse,
dall'estero, la sciagura del liberalismo assoluto), il rinnovamento
della scuola e la sua apertura alle c. d. classi subalterne, l'attivazione di
una grandiosa campagna contro le malattie sociali, la civilizzazione della
Libia (sulla cui memoria i libici – se potessero conoscere la storia –
dovrebbero esercitare le ragioni del loro rimpianto), l'avveniristica
progettazione e costruzione di autostrade, e infine la proiezione del mondo di
una splendida immagine dell'Italia.
Errori capitali furono la promulgazione delle
leggi razziali, l'abolizione del sistema elettorale (da cui il fascismo avrebbe
ottenuto streptiosi consensi) e l'alleanza con gli alieni tedeschi, una
decisione contraria per diametrum, ai giudizi beffardi e devastanti che
Mussolini aveva espresso su Adolf Hitler, sul suo partito e sul suo popolo (lo
ha rammentato, sviluppando un tema di Renzo De Felice, Fabio Andriola autore di
un fondamentale saggio su Mussolini nemico di Hitler).
Ad attenuazione del capitale/fatale errore
commesso da Mussolini alleato di Hitler, è doveroso rammentare
l'ostilità delle democrazie massoniche e antitaliane, che nell'inseguimento
corsaro all'odio (antfascita e anti italiano) superarono (in larga misura)
l'Unione Sovietica.
Al seguito dello storico (antifascista) De
Felice, è ora necessario uscire dalla senteza che, nel fascismo, contempla una
malattia morale cioè ristabilire la verità che - nel fascismo - riconosce la
dura negazione italiana della mefitica cultura illuministica e della sozza
cialtroneria massonica. Negazioni che – caso mai – devono essere iscritte nella
colonna dei meriti di Mussolini.
Piero Vassallo
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