Questo
libro-intervista al grande economista Ettore Gotti Tedeschi tocca numerosi
punti di fondamentale importanza, non solo economica, in quanto pone l’economia
nella sua giusta prospettiva di semplice strumento, e quindi destinata a porsi
al servizio di fini moralmente sani, quali solo la dottrina cattolica è in
grado di offrire. Se ciò non avviene, se l’economia è presa come valore a sé,
il disastro sia morale sia economico è alle porte, e ciò lo si vede ogni
giorno. Il mondo e il suo principe, il diavolo, non tollerano che all’economia
venga dato un indirizzo moralmente sano, così come non tollerano che una grande
banca venga diretta da un autentico cristiano, e questo spiega l’ignobile
persecuzione contro Ettore Gotti Tedeschi.
Il
diavolo, argomenta con arguzia Gotti Tedeschi, è “in pensione” perché il suo
lavoro lo fanno altri, anche cattolici. La mentalità cattolica ha ceduto alla
mentalità diabolica. Il Cardinale Joseph Ratzinger, in Introduzione al
Cristianesimo, scrisse che “la Chiesa è diventata per molti ostacolo alla
fede”. Ma Gotti Tedeschi si dice certo che solo la Chiesa potrà salvare l’uomo
(p. 24). Osserva Paolo Gambi: “Colpisce la sua fiducia nella Chiesa, il suo
amore così spesso dichiarato, nonostante tutto il male che da dentro le è stato
inflitto, che è stato permesso e per il quale nessuno si è sognato neppure di
scusarsi. Anzi, non mi risulta che qualcuno si sia impegnato a indagare ciò che
è successo, nonostante le sue denunce. Per non parlare del fatto che hanno
persino disobbedito alla volontà ultima di Papa Benedetto di riabilitarla
ufficialmente.” (p. 176).
Tenuto
conto anche di ciò, il quadro politico, economico, morale appare, a dir poco,
allucinante. È in corso, con successo, il tentativo di distruggere le radici
cristiane. L’immigrazione forzata ha come vero obiettivo il “ridimensionamento”
(o meglio la distruzione) delle radici cristiane dell’Europa e in particolare
dell’Italia, grazie a una classe politica che probabilmente non sa neppure cosa
siano tali radici. “È troppo tardi ormai: troppi gnostici, persino inconsapevoli,
soggetti al potere e alle proprie debolezze, guidano il mondo. Troppe persone
che non sanno dare senso alle proprie azioni, perché mancano del senso della
vita, governano le architetture della società. Troppe persone che hanno
capacità, visione, senso della vita sono invece rassegnate, impotenti.” (pp.
38-39).
Di
conseguenza, inevitabilmente, siamo in una profonda crisi morale che “provoca
confusione tra fini e mezzi, la perdita del senso della vita e delle azioni. Fa
scindere, separare, fede e opere, idee e comportamenti e, infine, genera un
effetto che io definirei ‘cessazione dell’alimentazione integrale dell’uomo’.
Quest’ultimo è fatto di corpo, intelletto e anima; per vivere in modo
equilibrato deve quindi nutrire il corpo, l’intelletto e l’anima. Se gli viene
tolto il nutrimento corporale muore di fame. Se gli viene tolto il nutrimento
intellettuale non capisce ciò che fa. Se gli viene tolto il nutrimento
spirituale, nella migliore delle ipotesi diventa un razionale consumista
materialista. Come è stato negli ultimi tempi.” (pp. 40-41).
L’unico
rimedio a tanto male sarebbe la morale cattolica, ma chi la difende si sente
tacciare di oscurantista, retrogrado, medievale. Ma la morale cattolica non può
sussistere senza la fede, la quale però, di fronte all’arrogante avanzata del
laicismo, ha perduto tutte le battaglie, anzitutto quella filosofica,
soccombendo al relativismo imposto dalla modernità.
Eppure,
mi permetto di notare, il relativismo è segno di sconfitta del “pensiero”
anticristiano. Il fallimento delle ricette laiciste e materialiste è palese,
per il crollo dell’ateismo di Stato, il dilagare di droga e suicidi tanto
maggiore quanto più avanzata è la secolarizzazione della società. È proprio
perché non possono dimostrare la superiorità delle loro elucubrazioni, che gli
illuministi al lumicino hanno inventato il relativismo. Vogliono persuaderci
che se non sono riusciti loro a trovare la verità e a creare il paradiso in
terra, vuol dire che nessuno può riuscirvi. Vogliono coinvolgerci nel loro fallimento.
E ci riescono per il controllo arrogante dei mezzi di comunicazione e per la
timidezza della gerarchia che cerca di andar d’accordo col mondo e trascura gli
avvertimenti celesti (Fatima, Tre Fontane, Valtorta, Medjugorje).
Ne
consegue la disfatta in tutte le altre battaglie: antropologica (con l’uomo
ridotto frutto di evoluzione da un bacillo), scientifica (col cristianesimo
sotto accusa solo perché chiede alle scienze di avere un fine), economica (con
l’assurda pretesa che i vizi dell’uomo, come avidità, egoismo e indifferenza,
siano conseguenze della povertà e non invece le cause della povertà stessa);
sociale (col dilagare del neomalthusianesimo ambientalista persino all’interno
del pensiero cattolico), sessuale (col vizio contro natura praticamente
santificato).
Non
trovando oppositori decisi, la filosofia anticristiana si propone di
“correggere” i presunti “errori” della creazione. In realtà la natura è
“creazione di Dio, perfetta in quanto opera Sua. Ma la natura è un mezzo a
disposizione di un’altra creazione di Dio, l’uomo: ecco ciò che gli
ambientalistici gnostici non tollerano, che la natura sia sottomessa all’uomo!”
(p. 67). È la sfida satanica della gnosi che, “con visione naturalista e
panteista, considera l’uomo il cancro della natura, quello che la danneggia con
i suoi consumi smodati e la sua indifferenza all’inquinamento prodotto da lui
stesso, soprattutto se si sposa (con una donna) e fa figli. E più figli fa più
produce danno ambientale. Questa cultura ambientalista è ben accoppiata con la
cultura neomalthusiana che negli anni ’75-80 produsse quel sentimento di
antinatalità le cui conseguenze oggi sopportiamo.” (pp. 64-65), col risultato
che “per non inquinare facendo figli, si è maggiormente inquinato aumentando i
consumi per compensare il crollo della natalità.” (p. 65). In tal modo
“l’accelerazione del problema ambientale è assimilabile all’accelerazione del
problema finanziario, entrambi dovuti alle scellerate scelte neomalthusiane
degli anni ’75-80, che hanno fatto crollare la crescita equilibrata della
popolazione, bilanciandola con la crescita dei consumi individuali.” (pp.
74-75).
Ma
crescita, sviluppo, benessere sociale e ricchezza economica si hanno solo
grazie alla famiglia. “Il Pil cresce stabilmente solo se cresce la popolazione,
senza questa crescita si può pensare di aumentare le esportazioni, la
produttività, ma queste sono illusioni, per molti motivi, che nel mondo globale
privilegiano altre aree economiche. Altrimenti il Pil aumenta solo accrescendo
i consumi individuali, e ciò a scapito del risparmio trasformato in consumo,
attraverso la delocalizzazione produttiva in altri Paesi, al fine di abbassare
i prezzi e far crescere il potere di acquisto (per consumare di più). Ma se la
popolazione non aumenta, se resta stabile o persino diminuisce, essa invecchia,
comportando la crescita dei costi fissi della vecchiaia (pensioni e sanità),
che vengono coperti dall’incremento delle tasse. Ed ecco che qui nasce la tentazione
dell’eutanasia come presunta liberazione da una vita considerata indegna di
esser vissuta (per mancanza di cure e attenzioni). Così si risanerebbero anche
i bilanci degli Stati...” (p. 76, corsivo nel testo).
L’eutanasia,
prospettata come necessaria dato l’“eccessivo invecchiamento della popolazione,
costoso e insostenibile per i bilanci degli Stati”, è un vero capolavoro
satanico. Tutto ciò sarà ovviamente presentato in un’aura di buonismo:
“Verranno proposte politiche per rendere la vecchiaia meno sopportabile, molto
costosa e piena di preoccupazioni per l’anziano, tanto da fargli considerare la
vita indegna di esser vissuta; ricorrerà quindi all’eutanasia, cioè al
suicidio, e gli inferi dovranno espandersi enormemente”. (p. 114). Ossia, prima
il demonio e i suoi lacché annidati a Wall Street e a Washington, hanno
promosso la compressione e l’invecchiamento della popolazione, ed ora vogliono
assassinare i vecchi.
L’altra
tentazione è quella del capitalismo di Stato. Il fallimento delle economie
pianificate dei Paesi comunisti non ha insegnato nulla, anche perché l’invidia
è un vizio estremamente diffuso, che rende ciechi di fronte alla realtà, per
cui “quasi all’unanimità si accusa il capitalismo di aver provocato con i suoi
eccessi egoistici la crisi in corso, il degrado ambientale e così via, mentre
il capitalismo di Stato viene proposto come alternativa per risolvere i
problemi creati dal primo. È facile capire il perché: facendo il capitalista,
lo Stato può dettare le regole del mercato, regolando la libertà dell’individuo
sempre in modo ingiusto, nella distribuzione della solidarietà forzata. Ma
nell’affrontare una crisi come quella attuale – crisi le cui origini non sono
affatto capitalistiche, bensì morali e politiche – forse si comincia ad intuire
che quando il capitalismo viene deformato dalle scelte istituzionali nasce un
qualcosa che non è più né capitalismo né dirigismo, bensì un mostro con più
volti, corpi e anime non definibili. Come è facile immaginare, chi è destinato
a sopravvivere, cioè lo Stato, attribuirà sempre ad altri la responsabilità degli
errori commessi. La colpa normalmente ricade sul privato arido ed egoista,
mentre il burocrate-tecnocrate è altruista, disinteressato, e al massimo
guadagna troppo...” (pp. 80-81).
La
diagnosi di Ettore Gotti Tedeschi è puntuale, perfettamente documentata e
argomentata: “A livello globale quello che succede è questo: per venticinque
anni (dal 1975 al 2000) ci si è rifiutati di riflettere sulla insostenibilità
di una crescita economica consumistica (e sempre più a debito), con crescita
della natalità pari a zero, delocalizzazione produttiva, crescita dei costi
fissi di invecchiamento della popolazione, assorbiti dalla crescita delle
tasse... Dopo il 2001 ci si è rifiutati di pensare che il debito subprime,
prodotto per far crescere l’economia Usa al fine di fronteggiare l’aumento
delle spese di difesa per contrastare il terrorismo (post 11 settembre) fosse
insostenibile.” (p. 84).
A
questo punto è bene precisare, per i profani (come il sottoscritto) che prime
significa “ottimo, eccellente, della miglior qualità”, così che subprime
vuol dire “al di sotto dell’ottimo, subottimale”. Per le banche il prestito subprime
è un prestito concesso a un tasso di interesse più alto di quelli stabiliti dal
mercato, a un soggetto che, a causa del basso reddito o di insolvenze
pregresse, non offre sufficienti garanzie di restituzione del capitale.
Insomma, anche un profano si rende conto che si tratta di strozzinaggio e di un
pericolosissimo equilibrismo finanziario. E infatti…
Ecco
come Ettore Gotti Tedeschi illustra le gravi conseguenze che ne sono derivate:
“Quando è scoppiata la bolla finanziaria del debito, a fine 2007, ci si è
rifiutati di accettare che bisognava sgonfiarla mettendo intorno ad un tavolo i
grandi, cioè i responsabili delle nazioni coinvolte. Sgonfiare un debito
così imponente, accumulato in decine di anni per compensare la mancata crescita
della popolazione in Occidente con stratagemmi sempre peggiorativi, significava
scegliere fra cinque opzioni:
-
fare default e non pagare il debito (quel che di fatto fa la Grecia);
-
fare inflazione (impossibile, è crollata la domanda);
-
fare nuove bolle speculative (per cercare di rivalutare i valori immobiliari e
azionari);
-
fare austerità (si è tentato con risultati disastrosi);
-
fare sviluppo economico (piuttosto difficile nel nostro Paese, in questa
Europa).” (pp. 85-86).
Chi
prende le decisioni? “(...) le decisioni le prendono alcune persone illuminate
che stanno tra New York e Washington – e qualcuna a Berlino. A Bruxelles
mandano le conclusioni con su scritto ‘to do’ (compito da fare). A Roma
non c’è nessuno.” (p. 89). Ossia, in pratica l’Italia si trova in mano di
burattini che prendono gli ordini dal burattinaio di Bruxelles, il quale è a
sua volta un burattino di pochi personaggi gnostici e decisamente anticristici.
Ad esempio (Sauron)-Soros (di recente smascherato dagli hackers che hanno
portato alla luce ben 2500 sue direttive segrete a favore dell’immigrazione
forzata e simili attentati all’identità cristiana) e Rockefeller (che proclama
la sua ribellione a Dio e al bene esibendo la statua del satanico ribelle
Prometeo proprio davanti al Rockefeller Center; e se Nomen Omen, non è
forse un caso che Rockefeller significhi “colui che abbatte la Roccia”; ma
quella è una Roccia sulla quale si sono sempre infranti e sempre si
infrangeranno i nemici).
Nella
loro frenesia anticristica, gli illuminati gnostici riescono purtroppo a
controllare una gran parte dell’umanità. Infatti non è difficile controllare
l’uomo: “basta allontanarlo da Dio, magari confondendolo su cosa gli è
necessario per essere felice, soddisfatto – nello specifico facendogli
scegliere solo soddisfazioni materiali, confondendo e gestendo quelle
intellettuali e privandolo di quelle spirituali. Per controllare l’uomo è
sufficiente fargli credere che la sua libertà viene prima di ogni verità di
riferimento, soprattutto se questa verità gli viene imposta dalla Chiesa quale
autorità morale” (p. 195).
Infatti
non è certo difficile diventare seguaci della diabolica gnosi, “quando l’uomo
si limita a consumare, comprare, mangiare, guardare la TV, magari anche andare
in chiesa, ma per fare due chiacchiere anziché pregare. Questo tipo d’uomo
perde il senso soprannaturale della vita e vive ‘animalescamente’ (...), magari
pensando soprattutto a farsi un lifting, un tatuaggio, un abbronzante, un
abbonamento in palestra, a preparare le vacanze... L’uomo che dice ‘in fondo si
vive una volta sola’ è già preda della gnosi, senza saperlo.” (p. 115). Un uomo
siffatto non pensa più al Creatore e non lo riconosce: l’interesse della sua
vita si materializza, spostando su ciò che è materiale, pragmatico, tangibile,
privo di fini. “Ma – ammonisce Gotti Tedeschi – non si creda che questo non
abbia conseguenze gravissime sulla stessa vita umana: mi pare che stiamo
vedendone i risultati proprio in questi ultimi tempi in cui il relativismo ha
trionfato in tutti i campi, convertendosi persino in nichilismo assoluto. Quasi
una nuova fede, una fede in nulla, per cui si lavora per nulla, ci si accoppia
per nulla, si vive per nulla, si muore per nulla...” (pp. 125-126).
Il
lavorio del nemico all’interno della Chiesa mira a far credere che le dubbie
innovazioni nella prassi, come ad esempio la spinta alla collegialità (che ha
un effetto disgregante), servano a “modernizzare” la Chiesa. Ma in tal modo si
riesce “soltanto a relativizzare il comportamento, distaccandolo dai principi
cui deve ispirarsi e arrivando pertanto a modificare tali principi dottrinali
(...). Questa strategia ‘illuminata’ ha portato non solo alla tiepidezza nella
fede individuale, ma anche alla disgregazione dell’unità politica cristiana in
Europa, alla confusione sulla credibilità dell’autorità morale della Chiesa, e
soprattutto alla convinzione sempre più forte che la Chiesa consenziente debba
sottostare alle nuove costituzioni degli Stati sempre più laici, adattando la
morale alle loro leggi. È evidente che se tutto è convenzione umana, nessun
principio avrà più valore assoluto; anzi, i principi contro le convenzioni
umane saranno persino illeciti e punibili. La decisione della Chiesa di
secolarizzarsi e proporsi sempre più come esperta di miseria materiale
piuttosto che di miseria morale porterà all’umanizzazione del cattolicesimo,
all’umanizzazione del divino, alla relativizzazione del soprannaturale, alla
fine del naturale (...) o la natura umana è originata dal caos – e quindi tutto
è giustificato –, oppure è creata e frutto della volontà del Creatore, in
questo secondo caso, se si distacca dal disegno del Creatore muore, in tutti i
sensi. Dicono i Papi che è compito primario della Chiesa sostenere questo
principio, ma ho perplessità che tutti siano d’accordo a fare ciò. Una della
cause di questa mia perplessità è il modo in cui si è tollerato il cambiamento
nel sacrificio della santa Messa. Questa è il termometro della fede della
Chiesa. Spiega San Paolo che chi mangia il pane eucaristico in modo indegno
pecca e si danna.” (pp. 238-239).
Come
molti credenti, Ettore Gotti Tedeschi non sembra ritenere che il Novus Ordo
Missae del Concilio Vaticano II, mirante a ottenere maggior partecipazione
dei fedeli alla Santa Messa, abbia aumentato la devozione, ma dichiara pure:
“non sono sicuro che prima la devozione dei sacerdoti fosse così superiore:
forse erano solo obbligati a formule rituali (…), così come oggi la celebrazione
della Messa, anche senza il rito tridentino, continua ad essere confidata alla
santità del sacerdote – che certo non è cambiata con il Concilio, se c’era
realmente.” (p. 240).
Il
dubbio è lecito di fronte allo scarso zelo di molti consacrati nel combattere
le insidie laiciste, una della quali è la bioetica, “definita da Stanley Jaki,
benedettino, un’espressione confondente: ci si domanda infatti come possa
essere non etico ciò che si riferisce alla vita (bios). Si tratta di
un’espressione forzata, quindi, e il perché potrebbe trovarsi nel fatto che
l’etica in questione consiste nel manipolare la vita con soddisfazione per
l’uomo. Bioetica significa allora soddisfare i bisogni dell’uomo di
essere biologicamente diverso, separando chi ha creato da chi ha modificato, e
supponendo che chi vuole modificare sia migliore e più capace di chi ha creato?
Pazzesco.” (p. 236). (...) se Dio non c’è, non c’è stata creazione, non c’è
creatura sacra, ci sono solo cavie di laboratorio per la gnosi; e la cavia
preferita è la creatura umana, che deve essere rimodellata e perfezionata.” (p.
237). Se l’uomo è una semplice cavia in mano agli autonominatisi, sedicenti
“illuminati”, l’idea di peccato diviene una nozione fuori moda.
Nel
suo tentativo di distruggere l’idea di peccato, il demonio ha percorso una
lunga strada, prima con le eresie medievali, poi con la funesta “riforma”
protestante. “Mentre l’eresia valdese è stata una ribellione anarchica alla
Chiesa, quella albigese è stata ben più grave e significativa: potremmo considerarla
un’eresia protomalthusiana, con tutti i suoi effetti anche economici sulla
crescita. Si è trattato di una dottrina che pretendeva di estinguere l’uomo (la
santità vera stava nel suicidio, ma anche lasciarsi morir di fame era
apprezzabile), la famiglia e il matrimonio: per riuscirci non ci si doveva
accoppiare. (...) queste idee non sono poi così estinte: aborto ed eutanasia,
attacco alla famiglia e al matrimonio fra uomo e donna mi dicono qualcosa
ancora oggi.” (p. 248).
Ed
ecco entrare in scena Martin Lutero. Il peccato per lui “era qualcosa di utile
per potersi pentire e rafforzare la fede, confidando in Dio. Il male allora,
paradossalmente, diventa bene. In realtà il peccato è ciò che il ‘grande
pensionato’ riesce a far amare a chi cerca di corrompere.” (p. 104).
“La
Riforma, di fatto, promuove il comportamento affrettato, slegato da
considerazioni di carattere morale, per prendere decisioni, fare e decidere,
tanto l’uomo è affetto dal peccato originale e la salvezza mediante le opere è
(per Lutero) impossibile. In più l’uomo, essendo predestinato, arriva a
concepire la ricchezza come un dono di Dio (per Calvino). Weber, in un colpo di
genio, ha riconosciuto in questi due elementi la base del capitalismo tedesco,
che non si pone problemi morali, lascia peccare e pentirsi: così Dio aiuta il
tedesco a diventare ricco. Ora, Weber non aveva sufficiente conoscenza né di
economia né di storia, e non immaginava che il capitalismo fosse già nato
secoli prima in casa cattolica, né sapeva che le stessi leggi di economia
moderna vi erano già state formulate tempo addietro. Ma con Weber si è riusciti
a scrivere nella storia che il cattolicesimo non sa combinare nulla, e che per
promuovere il progresso c’è voluta la Riforma protestante. È invece vero che il
capitalismo egoistico che separa capitale e lavoro (quello che Marx ha
condannato) nasce in quel momento, e cambia lo scenario di potere in Europa; ma
questo non perché i protestanti fossero più geniali, bensì solo perché avevano
deciso di peccare più che potevano, e pentirsi poi.” (pp. 249-250).
“Il
modello protestante esportato poi negli Stati Uniti, e tradottosi in mille
sette che competevano fra loro, ha concorso a esasperare il pensiero
morale-economico americano, liberale, soggettivista, deista. Forse è da questo
pensiero che deriva l’attitudine a sganciar bombe e missili, per poi pentirsi
istituendo fondazioni dedicate a orfani e vedove. Probabilmente per tale motivo
a Wall Street, da un po’ di tempo, si pensa che insider trading,
speculazione, bolle, ecc. siano frutto di un cattivo modo di agire legato
all’educazione protestante made in Usa. Le sette protestanti americane
sono molto varie: i quaccheri sono “ragione e ispirazione” (Dio parla all’anima
e l’uomo presta fede); i mormoni sono neorivelazionisti corretti; i metodisti
traducono la religione in sentimentalismo naturalistico. Ecco dove nasce il
filantropismo americano, quello delle fondazioni per vedove e orfani.” (p.
255).
All’altro
estremo del protestantesimo (ma gli estremi si toccano) vi è la teoria eretica
che nega l’esistenza del peccato e in particolare di quello originale. La
natura umana sarebbe di per sé buona, secondo le farneticazioni di Jean-Jacques
Rousseau. “Alcune eresie anticipano (...) vere e proprie rivoluzioni di
pensiero e di fede; mal interpretando la Bibbia e scoprendo che Dio è ovunque,
si diffonde il panteismo che a poco a poco porta l’uomo a idrolatrare
l’ambiente in cui vive.” (p. 247). Peggio, se l’uomo è intrinsecamente buono,
il male deriva dall’oppressione di qualcun altro: la porta è così spalancata
all’odio di classe. Non per nulla Rousseau con la sua melensa idea di bontà
universale ha aperto la strada al livido odio marxista.
Così
il demonio, in molti modi e con attacchi da più lati, ha avuto un successo
straordinario nel corrompere l’umanità, anzitutto con la superbia e poi con
tutti gli altri vizi capitali. “È riuscito persino a convincere gli
ambientalisti gnostici di essersi incarnato nella madre terra,
sacralizzandola... È stato talmente bravo che ora si è messo persino in
pensione, tanto che gli esorcisti non ci sono praticamente più, visto che
l’inferno probabilmente non c’è (almeno nella prassi) e il demonio neppure
(sempre nella prassi). E poiché l’uomo relativista vive di prassi e non di
Dottrina, il “grande pensionato” è disoccupato: non c’è quasi più nessuno da
corrompere. Anzi, pare che lo stesso “disoccupato” se ne stia lontano da taluni
perché ne è invidioso, teme che gli portino via il posto e la pensione, tanto
sono diventati bravi...” (p. 105). Come si vede, Ettore Gotti Tedeschi sa
presentare anche i fatti più gravi con levità ironica che rendono così
accattivanti e persuasivi i suoi libri.
Tuttavia, che la
“disoccupazione” del grande nemico non sia una semplice battuta, lo dimostra
l’Apocalisse e l’importante rivelazione privata alla grande veggente Maria
Valtorta: il Giuda dei tempi ultimi aprirà il pozzo d’abisso (Apocalisse 9,
1-12). L’Anticristo sarà un astro di una sfera soprannaturale, il quale,
cedendo alla lusinga del Nemico, conoscerà la superbia dopo l’umiltà, l’ateismo
dopo la fede, la lussuria dopo la castità, la fame dell’oro dopo l’evangelica
povertà, la sete degli onori dopo il nascondimento. Sarà “un astro” dell’esercito di Dio:
un’espressione che sembra indicare un altissimo prelato della Chiesa.
“A premio della sua
abiura, che scrollerà i cieli sotto un brivido di orrore e farà tremare le
colonne della mia Chiesa – sono le parole dettate alla Valtorta dal Divino
Maestro – nello sgomento che susciterà il suo precipitare, otterrà l’aiuto completo
di Satana, il quale darà ad esso le chiavi del pozzo dell’abisso perché lo
apra”. Ed ecco come il nemico si ritira “in pensione”.
Anche
in questa sua esternazione, Ettore Gotti Tedeschi si rivela non è solo un uomo
di vastissima cultura ma un vero sapiente, capace di illuminare le menti e le
coscienze sui più cruciali problemi che assillano l’umanità. Tutte le sue opere
andrebbero studiate non solo nelle università ma specialmente nei seminari,
onde formare meglio i futuri pastori.
Emilio Biagini
UN MESTIERE DEL DIAVOLO
Paolo Gambi intervista Ettore Gotti Tedeschi
Prefazione di Mons. Luigi Negri, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio e Abate di Pomposa
Editrice Giubilei Regnani, Cesena (2015)
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