Nel '68 vengono ad incontrarsi due correnti
moderne: quella del soggettivismo individualistico (che, attraverso il
romanticismo, giunge al nichilismo anarchico ) e quella del ribaltamento soggettivistico
del marxismo, che, attraverso il leninismo, giunge al conato comunista. Le due
correnti si intrecciano e dalla loro miscela si verifica lo scoppio".
Don
Ennio Innocenti
Il
norvegese Erik Ibsen, nel dramma Un nemico del popolo, ha narrato la
vicenda di un difensore del bene comune, contro il quale insorge la folla
ingannata, accecata e fanatizzata da avidi profittatori in guanti gialli.
Amorevolmente
raccolte da don Ennio Innocenti e pubblicate nel robusto volume Luigi
Calabresi: il santo il martire, edito in questi giorni dalla Sacra
Fraternitas Aurigarum Urbis, le notizie e le autorevoli testimonianze sulla
virtù eroica del commissario Luigi Calabresi (Roma 1937-Milano 1972) superano
la fantasia ibseniana rievocando la storia di un uomo che consacrò e sacrificò
la propria esistenza per affermare il diritto dei suoi compatrioti alla
tranquillità nell'ordine.
Teatro
del martirio di Calabresi, la più nera pagina della infame storia
sessantottina, fu la sciagurata rivolta, che insanguinò Milano negli anni
tormentati dal delirio sudicio e violento, promosso dagli immoralisti,
elucubranti nella scuola ultramarxiana di Francoforte e nella gaia
succursale californiana.
Al
riguardo scrive don Ennio Innocenti: "La gioventù studentesca
statunitense - sconcertata dalle vicende indocinesi - era evangelizzata a
rovescio, oltre che da guru della droga, da pseudo-scienziati freudiani e
soprattutto da un filosofo ebreo discepolo di Heidegger: Marcuse. Il terremoto
marcusiano rimbalzò presto in Francia - altro mercato aperto alla droga
indocinese - dove l'ebreo Cohn-Bendit trovò l'ambiente studentesco già lavorato
dall'esistenzialismo sartriano ... Tale ambiente ereditato da Sartre rende
ragione dell'accoglienza franciosa di vari terroristi italiani degli anni di
piombo".
In
Italia, motori della squallida e feroce rivoluzione porno-libertaria, sfociata
negli anni di piombo, furono le fantasiose interpretazioni della strage
compiuta (da terroristi impuniti) nella sede milanese della Banca nazionale
dell'agricoltura e l'organizzata diffamazione del commissario Calabresi, le cui
indagini erano risalite agli anarchici milanesi.
A
sostegno delle indagini condotte da Calabresi stava la testimonianza del
tassista Cornelio Rolandi, un insospettabile iscritto al Pci, che aveva
dichiarato, sotto giuramento, di aver accompagnato Pietro Valpreda, un noto
ballerino, militante anarchico estremo, sul luogo della strage. Rolandi
aveva dichiarato, sotto giuramento, che Valpreda era sceso dal suo taxi
reggendo una voluminosa borsa ed era risalito a mani vuote.
Disgraziatamente
le indagini a carico dell'anarchico furono oscurate e azzerate da tre
disgraziati infortuni: la mancata presenza del difensore dell'anarchico alla
deposizione del tassista Rolandi, la morte del medesimo a breve giro, e il
suicidio di un indagato, l'anarchico non violento Giuseppe Pinelli, il quale,
conosciuta la notizia sulla responsabilità di Valpreda, si getto da una
finestra al quarto piano della questura di Milano, gridando "l'anarchia
è finita".
Intellettuali
e giornalisti di sinistra approfittarono del suicidio di Pinelli per
accreditare una demenziale teoria: "la polizia ha messo la bomba nella
banca e vuole farne ricadere la colpa su Feltrinelli. Pinelli smaschera il
diabolico piano e Calabresi lo uccide". Teoria che fu apprezzata e
condivisa dalla crema (o schiuma) della cultura progressista.
Il suicidio di Pinelli diventò il pretesto di una furiosa
campagna di calunnie intese a istigare i suoi potenziali assassini di
Calabresi.
Motore mobile
dell'accanimento anarchico verso Calabresi fu l'ateismo/nichilismo professato
dagli scolarchi francofortesi (ultimo della seria Jacob Taubes), una tetra
farneticazione rovesciata sui giovani italiani in forma di suggestivo invito
alla felicità, simboleggiata dalle mani libertarie delle femministe, unite
nella celebrazione della morte degli innocenti per aborto.
Calunniato
da una laida folla di eversori e di pennaruli, inginocchiati davanti
all'idolo della menzogna francofortese, Luigi Calabresi fu abbandonato da
politicanti senza ritegni e senza onore, e infine assassinato da sicari,
istruiti, istigati e prezzolati dai frequentatori di quell'esclusivo salotto
ideologico, che fu progettato da miliardari iniziati a torbidi misteri,
contemplanti la scientifica, radicale inversione/rivoluzione della verità e
della morale.
Padre
Virginio Rotondi s. j., che fu assistente spirituale di Calabresi, ha
paragonato gli assassini del commissario "a una legione del tipo di
quella che Cristo cacciò via dall'indemoniato per trasferirla in una branco di
porci che andarono a precipitarsi nel mare", nell'acqua oscura della
follia, cui è indirizzata la rivoluzionaria corsa della malvagità.
La
drammatica vicenda di Calabresi dimostra la puntuale coincidenza della santità
cristiana con la virtù civile vissuta eroicamente.
Ora le
testimonianze raccolte nel volume in oggetto dimostrano che Calabresi stabilì
una perfetta armonia tra la sua professione di difensore dell'ordine pubblico e
i princìpi del Cattolicesimo.
Di qui
la puntuale conclusione di don Ennio Innocenti: "Il giudizio sulla
santità di Luigi Calabresi emerse immediatamente dopo la sua morte, sia da
parte di sacerdoti - come, ad esempio, Padre Rotondi - sia da parte di laici -
come, ad esempio, il direttore della Scuola Romana di Polizia. Si tratta di una
santità semplice e quotidiana, ma inserita in un quadro complesso (sociologico
e culturale, politico e professionale. Le prime biografie, superando difficoltà
e riserve non sempre giustificate, sono già riuscite a mettere in luce il
segreto spirituale di Luigi Calabresi e centinaia di persone di varie città
d'Italia hanno così potuto rendersi conto della dimensione cristiana del suo
vivere e del suo eroismo".
Piero Vassallo
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