Gli appartenenti alla destra cattolica, critici
dei sistemi statali e sociali nonché della storia delle potestà civili, non di
rado incorrono, coi loro giudizi e con le loro valutazioni, in incongrui
riferimenti ai corollari teoricamente ineccepibili.
Anzitutto, non va dimenticato un dato di fatto basilare e rivelato. Il
mondo sta sotto l'influsso più o meno grande del principe delle tenebre. A
questa realtà si collega l'imprescindibile occorrenza di addivenire a
compromessi accettabili, ossia a tolleranze giustificate dall'invincibile
potenza di fattori contingenti e dalla dichiarata adozione della tolleranza,
che assolve il compromesso qualora esso sia ineluttabile.
Beninteso: alla corretta regola ci si attiene sempre. Ma, una volta
appurato che occorre una deroga opportuna, a quel segno sovente si presenta
anche una scelta cruciale.
Prendiamo l'esempio storico. Nel medioevo, si dice, la potestà terrena
aveva il crisma dell'investitura religiosa. Essa riconosceva a sufficienza la
legge naturale, e doveva uniformarvisi per la debita soggezione alla Chiesa o
al volere di Dio. Inoltre la società vi fu ordinata gerarchicamente secondo i
ruoli spettanti ai nobili, che avevano il compito del governo e quello della
milizia per la difesa o per la guerra, e spettanti alla borghesia ed alla plebe
servile. Dunque uno stato organico, che, nell'età dei Comuni e delle
Repubbliche mutò a favore del ceto mercantile, tuttavia nobilitato, e d'un reggimento piuttosto indipendente, oligarchico;
mentre nell'età delle Signorie si instaurarono forme di cesarismo.
Ma il
feudalesimo non poteva eliminare le ingiustizie, che sono sempre origine di mali,
né l'Impero poteva risolvere abbastanza le guerre entro il suo territorio, le
sopraffazioni, e spesso si metteva contro la Chiesa. Poi, i comuni recarono in
sé la debolezza delle fazioni e delle lotte intestine. Poi, i signori autocrati
diedero esca ai moti che li rovesciavano. I vari interessi onesti o disonesti,
le questioni della salvaguardia della fede contro la peste dell'eresia, provocavano
conflitti e divisioni, in un contesto di genti accomunate da civiltà e
religione.
L'avvento degli stati nazionali e dei sovrani assoluti avrebbe avuto
perciò ampie giustificazioni. Essi garantivano la pace e l'unità all'interno,
la sinergia delle risorse, nonché una valida protezione verso l'esterno. È
innegabile che le autonomie regionali e particolari, se erano proficue quali
mantenimento di coesioni e di identità, la loro quota di libertà e
d'indipendenza generava sovente egoismi, spinte centrifughe, contrasti,
opposizioni armate, secondo l'innata peccaminosità della natura umana, che la
Chiesa, pur conservando l'autorevolezza, non riusciva a mitigare.
Viceversa, il sovrano accentratore, tenendo in pugno le molte redini
avrebbe avuto la facoltà di farlo da buon padre, esponendo la necessità del suo
compito. Purtroppo i re prevaricatori, che tralignarono sino a contaminarsi di
vizi e di criteri massonici e illuministi, finirono col prevalere. La stessa cattolica
monarchia di Spagna ebbe il suo declino.
Più
tardi gli Imperi centrali austriaco e tedesco, meno aggrediti dalla corruzione
del consorzio civile dovuta alla rivoluzione industriale, dovranno a loro volta
soccombere, essendo dai sudditi misconosciuta
la validità del loro Stato. L'Austria risentì della sua composizione di diverse
nazionalità. La Germania del protestantesimo.
Ma,
prima di giungere alla loro guerra perduta, torniamo alle conseguenze della
rivoluzione industriale limitatamente
alle condizioni di Francia e d'Italia, afflitte dalle lotte di classe, da
socialismo, comunismo e liberalismo, con l'infezione anticlericale, il
laicismo, la denigrazione della Chiesa, il modernismo.
I gridi
di allarme lanciati dai Pontefici, a partire da Gregorio XVI sino a San Pio X,
denunciarono il grave deterioramento dell'assetto sociale, quindi politico.
Mutatis mutandis, si ripeteva l'emergenza più volte manifestatasi nella Storia: i
particolarismi disgregatori, quelli conciliati dal celebre apologo di Menenio
Agrippa; le romane guerre civili, risolte con l'Impero, non immune da golpe e altre magagne. Sennonché non sarebbe
bastata una bella concione per mettere d'accordo comunisti e liberali, e tanto
meno per ridurli all'ossequio verso la Legge delle leggi. Né il regime
democratico avrebbe corretto il laicismo, i propositi faziosi e egoistici, le
inimicizie dei partiti, distruttive del bene comune, le gare fraudolente per
accattivarsi gli elettori, corrompendone i costumi; non avrebbe salvato la comunità
dalle rapine degli interessi segreti, nazionali e internazionali.
Dunque,
s'imponeva il ricorso a un potere forte che eliminasse le divisioni politiche,
che tenesse a bada le forze sociali e le obbligasse a conciliarsi, tuttavia con
mezzi giuridici. Il che comportava una certa limitazione delle libertà e delle
autonomie. Il rispetto dell'autorità della Chiesa, del suo magistero nondimeno
sociale, avrebbe potuto garantire che quell'autoritarismo fosse proficuo e legittimo.
- Ora, non mi soffermo sull'attuazione, effettiva o no, del piano delineato.
Qualcuno
obietterà che Francia e Gran Bretagna, allo stesso modo travagliate dalla crisi
imputabile alle ideologie incompatibili e alla corruzione liberal-socialista,
vi facessero fronte sino allo scoppio del Secondo Conflitto Mondiale.
Osserviamo che esse stavano andando incontro a una decadenza, particolarmente
visibile Oltralpe con la sconfitta patita nel 1940. Tuttavia il ritardo dello
scadimento politico ed etico in quei paesi, come anche in America, si dovette a
un moto di riscatto suscitato da un nemico disciplinato, con cui bisognava
confrontarsi e competere. L'orgoglio nazionale, rialzato, unito a un istinto di
sopravvivenza, suscitò la composizione di molti dissidi domestici e la stessa
adozione di misure proprie dell'odiato avversario. Soprattutto la frusta
bellica, indusse a raffrenare o a sopire i disordini costituzionali. Il seguito dei diritti e delle libertà devastanti
lo conosciamo. E il rimedio allo sfacelo starebbe soltanto nel ristabilimento
di una dura lex.
Piero Nicola
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