Ricordate le persuasioni occulte, subliminali,
inserite nelle svariate trasmissioni o registrazioni sonore e filmiche, senza
che se ne avesse una percezione cosciente, e che avrebbero agito con subdola
efficacia nella psiche?
Qualcosa
del genere avviene in chiaro con il
reiterato impiego di questioni percepite generalmente come lecite, anzi
benefiche, e che invece nascondono un abominevole abuso della benevolenza, del sentimento
cristiano e del Vangelo. Tramite siffatta corruzione buonista, il suscitare intimi
sensi di colpa volge al consolidamento d'una mentalità regredita nell'ignava e
rea indulgenza, nell'amore d'una pace contraria alla pace di Cristo.
L'invenzione del dialogo inaugurato
dal Vaticano II ha aperto il varco dello stordito andiamo incontro a braccia
tese verso chiunque si mostri disponibile e verso qualunque cosa abbia
apparenza di bontà.
Servi
dell'operazione sono i giornalisti intervistatori, i quali agiscono all'incirca
come automi valendosi d'un quesito d'effetto sperimentato, d'un mezzuccio che stuzzica
la torbida curiosità del pubblico e arricchisce il servizio. La domanda divenuta di prammatica, avanzata a persone in
lutto, vittime della perdita di cari congiunti uccisi da delinquenti, è se
abbiano perdonato ai colpevoli, siano essi semplici negligenti o assassini
matricolati.
La
domanda - spesso ripetuta, talvolta insistita - denuncia la corrente pessima
educazione, risentita soltanto da pochi bennati. Non c'è dubbio che il quesito,
indiscreto sollecitando la coscienza, crei imbarazzo in un essere ingiustamente
afflitto e in ambascia, se non proprio in stato di disperazione. Ma il peggio
sta nel giudizio implicito cui è soggetta la risposta, che si suppone felice,
lodevole, equa essendo affermativa (io
perdono, ho perdonato) e tutt'al
più da compatirsi, quando sia negativa (non
posso, non so se potrò o non desidero perdonare).
L'impreparazione,
l'ignoranza indotta nei cattolici da un clero incolto e latitante, producono il
tacito consenso del grosso pubblico alla malefatta. I non cattolici tanto meno
avvertono l'odore di zolfo.
Dalla
risposta, invece saggia e corretta, emerge il seme dell'errore piantato da un
agente del maligno nella fede del fedele o nel buon senso del refrattario. Esagero?
Credo di no. Essi non sono poveri malcapitati, aventi di che riprendersi dal
colpo basso: hanno assimilato una caterva di menzogne presentate come oro fino,
e viene loro affibbiato un'ulteriore imbroglio.
Dunque,
il povero interrogato dovrebbe rispondere che il quesito assomiglia a quello
posto a Gesù dai farisei, che lo tentarono per sapere se egli stava dalla parte
del Popolo eletto oppure con Cesare. Ed ecco la moneta da mostrare
all'impertinente: su di essa figura
la Giustizia (allo Stato, per volere di Dio, ne incombe l'attuazione). Sicché, rispettando
la Giustizia, che punisce e non può assolvere, il cittadino nega il perdono al
colpevole. Quanto al perdono personale e religioso, è faccenda privata, da
risolversi con i mezzi della grazia e in confessione.
In una
comunità che ha perduto il significato di giudizio e di pena da scontare: dove
la pena non si considera, come dovrebbe essere, espiazione della colpa, dove si
crede che il ravvedimento, anche provato, possa sollevare il condannato dalla
pena, ivi è facile confondere i peccatori e menarli all'eresia o all'apostasia
rendendo loro ancor più inservibile la strada della ragione, cui si sostituisce
un surrogato imbottito di errori melati e patetici.
Piero Nicola
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