domenica 31 maggio 2015

LE QUASI INSENSIBILI INIEZIONI DI VELENO (di Piero Nicola)

Ricordate le persuasioni occulte, subliminali, inserite nelle svariate trasmissioni o registrazioni sonore e filmiche, senza che se ne avesse una percezione cosciente, e che avrebbero agito con subdola efficacia nella psiche?
  Qualcosa del genere avviene in chiaro con il reiterato impiego di questioni percepite generalmente come lecite, anzi benefiche, e che invece nascondono un abominevole abuso della benevolenza, del sentimento cristiano e del Vangelo. Tramite siffatta corruzione buonista, il suscitare intimi sensi di colpa volge al consolidamento d'una mentalità regredita nell'ignava e rea indulgenza, nell'amore d'una pace contraria alla pace di Cristo. L'invenzione del dialogo inaugurato dal Vaticano II ha aperto il varco dello stordito andiamo incontro a braccia tese verso chiunque si mostri disponibile e verso qualunque cosa abbia apparenza di bontà.
    Servi dell'operazione sono i giornalisti intervistatori, i quali agiscono all'incirca come automi valendosi d'un quesito d'effetto sperimentato, d'un mezzuccio che stuzzica la torbida curiosità del pubblico e arricchisce il servizio. La domanda divenuta di prammatica, avanzata a persone in lutto, vittime della perdita di cari congiunti uccisi da delinquenti, è se abbiano perdonato ai colpevoli, siano essi semplici negligenti o assassini matricolati.
  La domanda - spesso ripetuta, talvolta insistita - denuncia la corrente pessima educazione, risentita soltanto da pochi bennati. Non c'è dubbio che il quesito, indiscreto sollecitando la coscienza, crei imbarazzo in un essere ingiustamente afflitto e in ambascia, se non proprio in stato di disperazione. Ma il peggio sta nel giudizio implicito cui è soggetta la risposta, che si suppone felice, lodevole, equa essendo affermativa (io perdono, ho perdonato) e tutt'al più da compatirsi, quando sia negativa (non posso, non so se potrò o non desidero perdonare).
  L'impreparazione, l'ignoranza indotta nei cattolici da un clero incolto e latitante, producono il tacito consenso del grosso pubblico alla malefatta. I non cattolici tanto meno avvertono l'odore di zolfo.
  Dalla risposta, invece saggia e corretta, emerge il seme dell'errore piantato da un agente del maligno nella fede del fedele o nel buon senso del refrattario. Esagero? Credo di no. Essi non sono poveri malcapitati, aventi di che riprendersi dal colpo basso: hanno assimilato una caterva di menzogne presentate come oro fino, e viene loro affibbiato un'ulteriore imbroglio.
  Dunque, il povero interrogato dovrebbe rispondere che il quesito assomiglia a quello posto a Gesù dai farisei, che lo tentarono per sapere se egli stava dalla parte del Popolo eletto oppure con Cesare. Ed ecco la moneta da mostrare all'impertinente: su di essa figura la Giustizia (allo Stato, per volere di Dio, ne incombe l'attuazione). Sicché, rispettando la Giustizia, che punisce e non può assolvere, il cittadino nega il perdono al colpevole. Quanto al perdono personale e religioso, è faccenda privata, da risolversi con i mezzi della grazia e in confessione.
  In una comunità che ha perduto il significato di giudizio e di pena da scontare: dove la pena non si considera, come dovrebbe essere, espiazione della colpa, dove si crede che il ravvedimento, anche provato, possa sollevare il condannato dalla pena, ivi è facile confondere i peccatori e menarli all'eresia o all'apostasia rendendo loro ancor più inservibile la strada della ragione, cui si sostituisce un surrogato imbottito di errori melati e patetici.


Piero Nicola

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