L'opera di Aristotele, divisa in 10 libri, tratta il fine
della vita dell'uomo e i mezzi per raggiungerlo (350 a . C.). Nel testo non
compare mai una sola norma intesa come legge ma piuttosto un invito a
percorrere la strada della virtù.
L'indagine aristotelica chiarisce che il fine della vita non
è altro che il bene e la scienza di cui si serve l'uomo è la politica, che il
filosofo chiama scienza architettonica, cioè di comando, essa ha come obiettivo
il bene più perfetto, quello della città (in greco polis da cui deriva
il termine politica) che deve coincidere con quello dell'individuo.
Possiamo dire che l'etica è un'istanza superiore che conduce
la politica al bene, ovvero “ciò cui ogni cosa tende” (Libro I 1094a). Tema che
verrà ripreso anche da San Tommaso.
Aristotele però non si illude che le ragioni dell'etica
possano bastare da sole a far sorgere nell'uomo comune la virtù. Tuttavia
saranno assai utili almeno a quei pochi che hanno un'indole naturalmente
predisposta ad accoglierla e a metterla in pratica. Ma un solido sapere morale
è sicuramente necessario all'uomo politico, visto che il suo scopo è quello di
ordinare lo Stato in modo da creare condizioni favorevoli alla nascita e all'esercizio
della virtù. Mettere in pratica le virtù risulta per i giovani difficile perché
considerati da Aristotele incapaci nel compimento di azioni concrete, essendo
ancora inesperti della vita e incapaci di sottrarsi al dominio delle passioni.
Poi però lo Stagirita cade in una 'felice incoerenza' quando afferma che
giovani o non giovani tutti coloro che sono inclini a comportamenti razionali,
cioè già abituati dalla legge a compiere azioni oggettivamente virtuose,
possono avvalersi dell'etica.
Dal momento che i beni sono molteplici e legati a diversi
generi di vita è necessario raggiungere l'equilibrio tra fini particolari e
bene, e conseguire la felicità mediante l'esercizio della virtù. Quindi l'uomo
non può appiattirsi sugli istinti al cui apice c'è il piacere altrimenti non
sarebbe nient'altro che animale o per dirla come Aristotele schiavo perché
obbedisce a degli impulsi di cui non è padrone. A questo proposito è importante
ricordare che la responsabilità morale viene prima dell'atto. Pensiamo per
esempio al drogato che sotto l'effetto della cocaina compie una rapina. Anche
se in quel momento non era in sé nel preciso istante in cui ha assunto la
sostanza stupefacente si è assunto la responsabilità morale della terribile
azione.
Il compimento del trattato sull'etica dello Stagirita è la
contemplazione come scopo ultimo dell'uomo, la perenne tensione al divino. Da
qui si ha la virtù che sfocia nella saggezza e nella sapienza, quelle attività
intellettive che, occupandosi della scienza suprema dell'essere in quanto
essere, mettono in contatto gli uomini con la parte divina della loro anima.
Felicità e bene dell'uomo si trovano nella riflessione su quel Motore Immobile
al quale tutto il creato rivolge lo sguardo e che costituisce il fine ultimo e
supremo di ogni cosa.
Passando alla trattazione dell'amicizia, il filosofo (le
dedica ben due libri VIII e IX) la considera “una cosa non soltanto
necessaria ma anche bella” (Libro VIII 1155a 30), in quanto “nessuno
sceglierebbe di vivere senza amici, anche se fosse provvisto in abbondanza di
tutti gli altri beni” (Op. Cit. 1055a 5). La definisce una virtù o qualcosa
di strettamente correlato alla virtù: “assolutamente necessaria”. Senza
amici – continua lo Stagirita – ricchezza e potere né si possono conservare né
si possono adoperare bene. Precisa poi che le amicizie fondate sull'utile e sul
piacere sono destinate a finire una volta che si ottiene lo scopo e si
esaurisce il godimento. In questo caso l'amico è un mero strumento. L'amicizia
destinata a durare è quella fondata sul bene quando cioè “l'amico è un altro
se stesso”.
Nel libro IX dell'amicizia si approfondiscono i temi
trattati nel libro precedente a cui strettamente si connettono. Ma che cos'è
l'amicizia?
E' qualcosa di affine ma ben distinta dall'amore e dalla
benevolenza. All'amore infatti si accompagnano eccitazione e desiderio, esso è
generato dalla vista della bellezza (IX 5, 1157 b 30). La benevolenza invece si
può provare anche verso gli sconosciuti, il filosofo fa l'esempio degli atleti.
In realtà è un sentimento che può rimanere nascosto e diversamente
dall'amicizia manca di reciprocità (Op. Cit. 1167 a 10).
Quest'analisi aristotelica è – secondo lo studioso Nicola
Abbagnano – la più compiuta e bella che la filosofia abbia mai dato al fenomeno
dell'amicizia. Si incardina sui seguenti punti: 1° l'amicizia è una comunità
che condivide atteggiamenti e valori; 2° è collegata con l'amore e ne segue le
forme ma non si identifica con l'amore; 3° si avvicina piuttosto alla
benevolenza ed è perciò collegata con gli affetti positivi, cioè quelli che
implicano sollecitudine, cura, pietà. La benevolenza infatti può trasformarsi
in amicizia se il rapporto, perdurando nel tempo, diventa tra le persone di
frequentazione. Nel caso dell'amore invece l'amicizia è più estesa di esso dal
momento che è limitato e condizionato dal godimento della bellezza. L'amore
spiega Aristotele è un'affezione (può modificare) mentre l'amicizia è un abito
(habitus, disposizione ad agire bene).
Con l'avvento del cristianesimo la massima aristotelica
dell'amicizia “comportarsi verso l'amico come verso se stesso” (IX, 9, 1170 b
5) si estende a tutto il prossimo. L'amico infatti per Aristotele se commette
qualche piccolo errore va compreso e corretto ma se rimane indietro
nell'evoluzione spirituale (potrebbe accadere con gli amici di infanzia) o si
corrompe irrimediabilmente va abbandonato al suo destino. In questo caso è in
aperta contraddizione con l'insegnamento evangelico. In Gv 15, 13 troviamo un
versetto che oltrepassa per la sua assoluta radicalità la trattazione
dell'amicizia nell'Etica Nicomachea: “Nessuno – si legge - ha un
amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”.
Il valore di scambio della amicizie
Quando c'è diversità nei rapporti d'amicizia il rapporto si
interrompe nel momento in cui uno dei due non può più dare all'altro ciò di cui
ha bisogno, e perciò non si mantiene più la proporzione nel reciproco scambio.
Spetta a chi riceve il beneficio stabile il valore del contraccambio, chi dà è
portato a valutare molto il proprio dono. I sofisti si fanno pagare prima
perché consapevoli di non essere in grado di portare a termine il lavoro per
cui si impegnano. Dal canto suo chi riceve deve dare secondo le sue possibilità
con la consapevolezza che certi doni sono impagabili: per esempio quelli
ricevuti dagli dei ( vedi parabola dei talenti Mt 25-14,30), la vita che danno
i genitori e la filosofia che ci è insegnata dal sapiente.
Il dovere nei vari tipi di amicizia
Nell'amicizia ci può essere un conflitto di dovere.
Aristotele specifica che quando si tratta di donare, restituire o
contraccambiare bisogna distinguere tra padre, madre, fratelli, colleghi,
anziani, concittadini e dare a ciascuno secondo il suo merito. Bisogna agire
sempre secondo giustizia. Uno dei problemi che il filosofo pone è se si debba
restituire un servizio ricevuto o piuttosto fare un dono ad un amico. Come
regola generale vale sempre la restituzione di ciò di cui si è debitori ma ci
possono essere alcune eccezioni. Per esempio se si è prigionieri dei
sequestratori e lo è anche nostro padre, al dovere di restituire la somma a chi
ci ha riscattati va anteposto il dovere di riscattare nostro padre. Un'altra
possibilità di venire meno al dovere della restituzione si presenta quando una
persone giusta ha avuto un prestito da un individuo poco raccomandabile e
glielo abbia regolarmente restituito se poi quest'ultimo a sua volta richiede
la cortesia, l'onesto non deve concedergliela. Il disonesto infatti ha prestato
con l'assoluta certezza che il denaro gli sarebbe stato restituito.
Nemmeno al padre dice lo Stagirita si deve concedere tutto
ma soltanto ciò che è adeguato in termini di onore, di sostentamento o di altri
benefici alla figura di padre.
Rottura dell'amicizia
Come già abbiamo visto nel Libro VIII l'amicizia si fonda su
tre livelli: sul piacere, sull'utile e sul bene. Nei primi due casi sappiamo
che l'amicizia finisce quando uno non riesce più a dare all'altro quei piaceri
o quell'utilità per cui avevano instaurato il rapporto sodale. Aristotele
precisa che se siamo stati noi ad illuderci con la nostra ostinatezza che
l'amico era diverso da quello che si palesava è solo colpa nostra. Invece se è
stato lui a fingere di essere quello che non era abbiamo ragione di
volergliene.
Quando l'amicizia è fondata sulla virtù la rottura è
legittima se uno degli amici cessa di essere virtuoso e si è accertato che non
può essere più recuperabile. E' legittima anche nel caso in cui il tempo abbia
aumentato notevolmente le differenze tra gli amici e l'uno sia rimasto indietro
rispetto all'altro nella virtù.
Sembrerebbe poi che Aristotele faccia una specie di apertura
al perdono quando afferma che chi è stato amico non va trattato completamente
da estraneo in nome della vecchia amicizia soprattutto se la rottura non è
stata causata da un cambiamento notevole nella direzione del vizio.
I sentimenti dell'uomo verso se stesso e verso gli amici
L'essenza dell'amicizia si ritrova nei sentimenti che l'uomo
virtuoso ha verso se stesso. Se non vogliamo bene a noi stessi non possiamo
volerne agli altri. L'uomo virtuoso ama la propria vita e la difende, gli piace
stare con se stesso, cioè con i propri ricordi e le proprie aspettative.
Aristotele poi definisce i sentimenti d'amicizia nei seguenti modi: fare bene
all'amico, augurargli lunga vita, trascorrere la vita insieme con lui,
condividere le stesse opinioni e gli stessi gusti, partecipare delle sue gioie
e dei suoi dolori. In pratica avere un sentimento di empatia nei confronti
dell'altra persona. L'uomo vizioso invece si trova in situazione completamente
opposta per questo oltre a non essere amico di se stesso non può essere amico
di nessun altro.
La benevolenza
Aristotele parla della benevolenza come di qualcosa molto
simile all'amicizia, il principio è lo stesso. Nasce dall'ammirazione per la
nobiltà o la virtù di un altro uomo che però non si conosce, perciò non è
accompagnata da un desiderio di vita con lui. Si tratta di un sentimento che
può sorgere all'improvviso e può rimanere superficiale e per giunta ignoto a
chi l'ha suscitato. Pensiamo agli sportivi. Può però trasformarsi in amicizia
se, perdurando nel tempo, inizia una abituale frequentazione tra le persone.
La concordia
La concordia non è semplicemente avere la stessa opinione,
cosa che ci può essere anche tra sconosciuti, ma avere le stesse vedute sugli
interessi comuni della città. Così la concordia si realizza nel prendere
insieme le medesime decisioni e nell'attuarle. Aristotele la definisce amicizia
politica.
E' un sentimento che provano i virtuosi, coloro cioè che
vogliono ciò che è giusto e si trovano d'accordo con se stessi e tra di loro. I
malvagi invece possono essere concordi solo in minima parte dal momento che
ciascuno insegue solo il proprio interesse a discapito della città. Per questo le
città sono destinate ad andare in rovina prede di ribellioni.
Benefattori e beneficiati
Aristotele dimostra che i benefattori amino di più i loro
beneficiati di quanto i secondi amino i primi. Per il filosofo risulta
inadeguato il paragone tra creditore e debitore (il creditore infatti prega la
saluta al debitore), cioè che si possa creare una sorta di rapporto psicologico
simile tra beneficiato e benefattore. Invece non c'è nulla in comune, il
donatore ha un rapporto di puro affetto verso il beneficiato. E' – spiega
Aristotele – come un artista, un poeta che ama la propria opera più di quanto
questa la amerebbe se fosse animata.
Nel beneficiare si trova una bellezza morale, nel ricevere
benefici invece si trova solo utilità. Il bene si fa con disinteresse, viene in
mente Matteo (6-1) "Guardatevi dal praticare le vostre buone opere
davanti agli uomini per essere da loro ammirati". Il bello (bene) è
più amabile dell'utile. Ama ed ha sentimenti d'amicizia chi agisce, non chi è
passivo. Si ama di più ciò che costa più fatica. Fare del bene richiede sforzo,
riceverlo no.
L'amore per se stessi
Viene affrontato il problema dell'egoismo. Poiché si deve
amare chi più di tutti è amico: “si deve essere prima di tutto amici di se
stessi”. Se dà una parte l'egoismo è vizioso e condannabile, dall'altra è
proprio l'uomo virtuoso che ama se stesso in misura maggiore rispetto a ogni
altro tipo di uomo. Per Aristotele la parola egoista nasconde un equivoco.
Bisogna distinguere chi attribuisce a se stesso la parte più cospicua dei beni
che sono oggetto delle passioni e delle brame e chi ama la parte razionale
della sua anima. I secondi sono gli uomini, che strutturati come una città, si
identificano con la loro parte direttiva, cioè la loro parte razionale. E
poiché la parte razionale dell'anima persegue ciò che è moralmente bello,
egoista in questo senso è colui, che, amando soprattutto questa parte ed
operando secondo i suoi dettami, si dedica soprattutto alla bellezza morale. Ne
consegue che il virtuoso debba essere egoista mentre il vizioso no.
Anche l'uomo felice ha bisogno di amicizia
Se l'uomo felice ha già tutto non ha bisogno di amici che
gli allietino la vita. In verità non ha bisogno di amici piacevoli e utili ma
dal momento che l'uomo è per sua natura socievole gode nel vedere negli altri
la virtù perché la sente come propria. Quindi anche l'uomo felice ha bisogno di
amici virtuosi. L'amicizia è strutturalmente connessa con la felicità, per
questo il bisogno di amici deriva dalla natura stessa di quest'ultima.
Il numero degli amici
“I miei amici non sono certo
parecchi, sono come i denti in bocca a certi vecchi ma proprio perché pochi
sono buoni fino in fondo sempre pronti a masticare il mondo”. (F. Guccini). Il
numero degli amici non deve essere elevato allo stesso modo del numero degli
ospiti. Questo vale sia per gli amici utili perché sarebbe troppo faticoso
ricambiare l'utilità a molti, sia per gli amici piacevoli perché come il cibo
non bisogna eccedere.
Ma anche per gli amici virtuosi (il cui numero non può
ovviamente misurarsi aritmeticamente, potrebbe però essere stimato in coloro
con i quali si può intrattenere un rapporto di intimità).
1)Lo prova il fatto che il numero corretto dei cittadini di
una polis debba essere né poco né troppo.
2) Non è possibile vivere una vita di intimità con molti, e
l'intimità è il fattore essenziale dell'amicizia.
3) Avere troppi amici implica che siano tutti amici anche
tra di loro ed è impossibile.
4) Un sentimento intenso è necessariamente esclusivo come
dimostra l'amore.
Le dimostrazioni per Aristotele sono
diverse come per esempio le amicizie cantate dai poeti che sono sempre due. Chi
si lega con tutti non è amico di nessuno ma solo un compiacente. Infine con
molti si può avere una relazione come quella che lega tra di loro i
concittadini, senza essere compiacenti, ma non è una relazione motivata dalla
virtù.
Gli amici sono desiderabili in tutte le circostanze
In questo paragrafo si affronta il discorso se si abbia più
bisogno degli amici nella buona o nella cattiva sorte. Si ha più bisogno – per
lo Stagirita – degli amici nella cattiva sorte perché è allora che sono
particolarmente utili, ma è più bello averli nella buona sorte. In una
condizione favorevole si ricercano amici virtuosi per poterli beneficiare. Per
quanto riguarda la piacevolezza la presenza dell'amico è piacevole in entrambi
i casi.
Nella cattiva sorte dal momento che l'amico allevia la
sofferenza. Allo stesso modo però non vuole dare troppo pensiero all'amico con
la sua sofferenza e non vuole essere compatito. La sua natura virile non glielo
permette.
Nella buona sorte la presenza degli amici dà solo piacere.
Per questo bisogna farli partecipi mentre non bisogna chiamarli a partecipare
delle proprie pene. Poi bisogna essere solleciti nell'andare in aiuto degli
amici che versano nella sfortuna, senza aspettare che ci chiamino. Mentre si
può andare con calma da amici cui la fortuna arride.
L'amicizia è comunione di vita
Il rapporto d'intimità costituisce il fattore essenziale
dell'amicizia come la vista dell'amato è la sensazione preferita dagli amanti.
Qualunque sia l'ideale di vita e di felicità che unisce due amici ciò che più
di tutto essi desiderano è vivere insieme, in una concreta intimità di vita, in
cui si attui la loro profonda comunione affettiva e spirituale.
La conclusione del filosofo è che se l'amicizia in cui hanno
intimità uomini perversi è necessariamente perversa. L'amicizia invece in cui
hanno intimità uomini virtuosi è necessariamente virtuosa.
Andando oltre Aristotele, possiamo concludere dicendo che la
vita buona, cioè virtuosa, è la vita felice. Se agiamo bene troveremo la
felicità.
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