Un secolo fa, si iniziava in
questo giorno la nostra IV Guerra d’Indipendenza, conclusasi il 4 novembre 1918
con la nostra vittoria e la scomparsa del nostro secolare nemico. L’Asburgo tronfio, superbo e prevaricatore,
nemico da sempre del nome italiano, si riteneva in diritto di disporre delle
nostre terre tenendoci in servitù da tre secoli e mezzo, da quando la Spagna
asburgica si era impadronita con la forza di gran parte dell’Italia. Tutti ci disprezzavano perché il Risorgimento
aveva realizzato la quasi-unità d’Italia grazie all’aiuto straniero più che per
forza propria. Era stata “fortuna” non
“virtù”. Nella Grande Guerra dimostrammo
che gli italiani sapevano battersi alla pari con gli altri popoli e reagire
validamente con le proprie forze anche dopo pesanti sconfitte, come quella di
Caporetto.
Il sacrificio sanguinoso di
un’intera generazione - contro un nemico implacabile, che mai ci ha
riconosciuto dignità di popolo e diritto ad uno Stato - ha permesso di
completare finalmente l’unità nazionale, estendendola ai confini naturali. L’unità territoriale della Patria è un valore
che non si può discutere né negoziare, un valore assoluto. Chi, oggi, in quest’epoca di grave decadenza
e smarrimento, la mette di fatto in discussione aprendola all’invasione
indiscriminata delle masse islamiche, travestita da emergenza umanitaria; o,
all’opposto, per tornare sotto camuffamenti federalistici al particolarismo
dell’Italia preunitaria, misera, miserabile e calpestata da tutti, si dimostra
accecato dall’ignoranza e dal pregiudizio antiitaliano. Si comporta di fatto da traditore della
Patria e da nemico.
In questo angoscioso momento
storico, nel quale le forze del Male si stanno organizzando in modo sempre più
spavaldo all’interno e all’esterno delle nazioni per distruggerle dalle
fondamenta, dobbiamo prepararci ad affrontare gravi prove, anche sanguinose, se
vogliamo sperare di sopravvivere, come nazione e come popolo.
Ci sia di valido sprone il
ricordo del sacrificio della generazione che ha fatto la Grande Guerra, di
coloro che nel fiore degli anni sono morti per un dovere e un ideale per i
quali valeva certamente la pena di combattere.
A loro la nostra
perenne gratitudine.
Paolo
Pasqualucci
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