Applicazione a un
personaggio laico dei metodi critici
usati dalla critica storica
laica quando si tratta di Gesù
La schiatta dei Garibaldi, di probabili
quanto oscure origini longobarde, pare fosse insediata nella mitica città di
Nizza che, a detta di taluni archeologi, si troverebbe da qualche parte sulla
costa mediterranea, mentre secondo altri sarebbe nell’interno, forse nel
Monferrato. Pare che, verso gli inizi del secolo diciannovesimo, diversi
Garibaldi fossero battezzati col nome Giuseppe, che forse era il nome del nonno
paterno, o di quello materno, o di tutti e due, o di nessuno dei due.
Non vi è accordo fra i garibaldologi
circa la questione se il mitico Garibaldi, che pare abbia combattuto nel
Sudamerica, forse per l’Uruguay contro il Brasile o per il Paraguay contro
l’Argentina, sia o meno il medesimo Garibaldi che era partito dalla mitica
Nizza per commerciare in Sudamerica. I detrattori antigaribaldisti affermano
che sotto la Croce del Sud costui si sarebbe dedicato soprattutto a promuovere
nel continente sudamericano gli interessi degli imperialisti e sfruttatori
britannici, oltre a dedicarsi alla tratta dei cinesi per le miniere di guano,
dove i malcapitati morivano come le mosche, e al furto di cavalli, reato per il
quale gli tagliarono le orecchie. Se l’avesse fatto nell’America del Nord la
cura sarebbe stata più radicale, ma purtroppo in quella del Sud erano di cuore
tenero.
I garibaldologi ortodossi e politicamente
corretti sostengono, invece, che il Garibaldi del Sudamerica si sarebbe
comportato da eroe, pugnando per la libertà. Gli studiosi più avvertiti,
tuttavia, opinano che tali voci non siano che sterili sviolinate, spiegabili
con l’appartenenza del soggetto ad una società segreta nata in Gran Bretagna,
dedita all’erezione di muri, muretti ed altre opere muratorie. Detta società
avrebbe una certa tendenza a gonfiare le gesta dei suoi affiliati e, in fatto
di controllo su cattedre, giornali, radio, televisione e cinema, avrebbe le
mani lunghissime ed un’elevata capacità di manipolare i cretini che formano
l’opinione pubblica.
Pare che, successivamente, l’individuo (o
un suo omonimo) sia apparso in Italia e sia entrato in contatto con un altro
Giuseppe, più Giuseppe di lui, nativo di Mezastrassa, e anch’egli affiliato
alla società dei muretti. La debole mente di Garibaldi ne sarebbe uscita
infiammata contro la Chiesa e il Papa, che sembra egli chiamasse “un metro cubo
di letame”.
Quando scoppiò il Quarantotto, con
l’Europa in subbuglio per la metastasi giacobina iniziata nel secolo
precedente, la società dei muretti, soprattutto britannica, ritenne giunto il
momento di infliggere il colpo decisivo alla Chiesa, murandola viva, col
privarla del potere temporale. A questo scopo si rivelarono particolarmente
utili gli affiliati italiani, fra i quali si distinse un certo conte
piemontese, il quale, oltre che muratore, pare fosse anche abile tessitore.
Fuggito il Papa da Roma di fronte
all’incalzare della plebaglia assassina aizzata dai costruttori di muretti,
venne costituita la Repubblica Romana, nella quale la cura dei malati negli
ospedali venne affidata alle donne di malaffare, dopo che le suore ne erano
state cacciate in malo modo per affermare la sana laicità dello Stato
repubblicano. Con poche idee, ma tutte accuratamente confuse, giunse, a
dirigere il bailamme romano, il Giuseppe nativo di Mezastrassa.
Secondo la tradizione agiografica
garibaldica, nella difesa della Repubblica Romana si sarebbe distinto un certo
Garibaldi, che taluni considerano identico a quello che pare avesse fatto il
ladro di cavalli e il mercante di schiavi cinesi nel Nuovo Mondo. Non vi sono
tuttavia documenti storici inoppugnabili che dimostrino la continuità storica
del personaggio. Infatti, il mitico “difensore” della Roma “repubblicana”
dall’offensiva austriaca viene presentato dai suoi agiografi come abile,
impavido ed eroico, ma una simile versione contrasta con il modo incompetente,
dilettantesco e ridicolo con il quale venne condotta la difesa, ciò che rende
lecito ogni dubbio non solo sulle capacità del mitico “condottiero”, ma anche
sulla sua stessa esistenza.
Sembra tuttavia probabile che, tra i
falliti rivoluzionari fuggiti dopo la sonora sconfitta, vi fosse un individuo
di nome Garibaldi, che pare fosse accompagnato da un altro individuo di
“sesso”, o meglio “genere”, femminile, per il quale la leggenda tramanda il
nome di “Anita”. Ora, questa donna sembra fosse di origine sudamericana, e ciò
potrebbe sostanziare l’ipotesi di un’identità del presunto agente
dell’imperialismo britannico chiamato Garibaldi, che, come abbiamo visto, nel
Nuovo Mondo avrebbe trafficato in cavalli rubati e in cinesi deportati, e il
fuggitivo dalla disfatta romana.
Se non che l’insistito aspetto romantico
della fuga, la malattia della donna, la sua morte in circostanze fortemente
tragiche, in ambiente paludoso e inospitale, durante l’inseguimento di soldati
e sbirri austriaci e papalini, fanno dubitare della veridicità dell’intero
episodio, di colore nettamente agiografico, drammatizzato fino all’abbandono
del cadavere insepolto.
Una versione più attendibile, e in
carattere con un simile avventuriero, se mai è veramente esistito, asserisce
che sì, qualcuno fuggì da Roma accompagnato da una femmina, probabilmente di
malaffare, visto che le puttane avevano entusiasticamente collaborato alla
rivoluzione sostituendo, come abbiamo osservato, le suore cacciate dagli
ospedali. Ad un certo punto, essendosi la donna sentita male per qualche
malattia connessa al suo mestiere, e forse anche per gli strapazzi sofferti, il
suo compagno l’avrebbe ammazzata perché gli rallentava la fuga, e nel timore
che, se fosse caduta viva nelle mani della polizia, avrebbe potuto parlare,
dando informazioni pericolose sull’occasionale compagno. Tale era infatti la
versione accreditata dal medico dello Stato Pontificio che esaminò il cadavere,
trovandovi evidenti tracce di strangolamento: versione peraltro vivacemente
contestata dalla società dei muretti, secondo la quale si tratterebbe di un
tentativo reazionario per screditare il presunto “grande eroe risorgimentale”.
Dopo una decina d’anni o poco più, la
società dei fabbricanti di muretti aveva messo a punto un piano molto meglio
organizzato per murare viva la Chiesa, facendo della religione una questione
puramente “privata”, ossia morta per asfissia, mentre la sola “kul-tura”
laicista doveva essere pubblica e brutalmente imposta a tutti. Parte
fondamentale di questo piano fu la bestiale aggressione al cattolicissimo Regno
delle Due Sicilie, compiuta corrompendone i capi militari, grazie alle enormi
somme donate a tal fine, con mirabile generosità, da diverse logge muratorie,
ed in special modo da quelle di Edimburgo. Generosità veramente mirabile, dato
che i generosi anglosassoni pretesero poi il rimborso con gli interessi
nell’arco di soli cinquant’anni, che il felicemente costituito Regno sabaudo
d’Italia pagò, o meglio fece pagare ai felici sudditi, inventando perfino la
felice tassa sul macinato.
Occorreva che questa aggressione
anglo-sabaudo-muratoria sembrasse uno spontaneo moto popolare, e per questo,
con due vapori scortati e gelosamente protetti dalla marina britannica, fu
inviato un migliaio di borghesucci e arrivisti di varia estrazione, che
sbarcarono in Sicilia, dove l’“intelligence” britannica aveva spianato in tutti
i modi la via all’invasione. I mille furono ben presto rafforzati da mafiosi,
da avventurieri di mezza Europa e da numerosissimi soldati professionisti del
regime sabaudo-muratorio del Nord, mandati stranamente “in licenza”.
Mafia, ‘ndrangheta e camorra, fino ad
allora organizzazioni di piccolo cabotaggio criminale, vennero enormemente
potenziate dall’alleanza con gli invasori e dal saccheggio delle ben fornite
casse statali del Regno borbonico, così che crebbero a dismisura e acquisirono
il controllo di ampi territori. Le terre comuni, che permettevano di vivere a
tutti, anche poveri, furono ingoiate da profittatori senza scrupoli, ponendo le
basi per la disperata insorgenza dei cosiddetti “briganti” e alla biblica
emigrazione dal Sud. Questo, che era ricco, ben governato e altamente civile,
ma odioso ai soloni britannici e ai loro italici burattini risorgimentali
perché profondamente cattolico, andava saccheggiato, castigato ed “educato”:
nacque così il “problema Mezzogiorno”.
A capo di una mascalzonata così complessa
e ben organizzata, occorreva una figura di avventuriero che accendesse
l’immaginazione del popolo bue, e per questo fu estratto dalla naftalina il
mito garibaldesco. Approfittando del generale casino da loro stessi provocato
nella penisola, i fabbricanti di muretti piemontesi e di altre regioni, avendo
le spalle ben coperte dalla muretteria internazionale, e specialmente da quella
britannica, dapprima ingoiarono Parma, Modena e la Toscana, grazie a
pseudorivoluzioni pseudopatriottiche inscenate da delinquenti prezzolati. Poi
invasero, senza dichiarazione di guerra e senza un’ombra di giustificazione, lo
Stato della Chiesa, annettendone la maggior parte.
Poiché un pezzo dello Stato Pontificio
sussisteva ancora, i medesimi poteri occulti, ma non troppo, ritornarono alla
carica pochi anni dopo, dapprima agitando il fantasma del “grande condottiero”
Garibaldi, con la scusa di oscure sparatorie fra banditi e forze dell’ordine,
verificatesi in Aspromonte e a Mentana, e poi aggredendo sfacciatamente il Papa
con i bersaglieri del regime muratorio sabaudo, per strappargli l’ultimo pezzo
di terra.
Non potendo distruggere il Cristianesimo
tutto in un colpo, tentarono di diffondere, come prima fase della
secolarizzazione, il protestantesimo. Infatti, il primo civile ad entrare in
Roma, dopo lo sfondamento di Porta Pia, fu il “colportore”, ossia il venditore
di Bibbie protestanti: figura dell’aggressione alla Chiesa assai più
emblematica e significativa dell’evanescente “condottiero” Garibaldi.
In quest’ultima e decisiva fase dello
stupro del Cristianesimo, il Garibaldi, o chiunque si nascondesse sotto questo
nome, non ebbe alcuna parte, ciò che avvalora l’ipotesi che si tratti di un
semplice prestanome, utilizzato a scopi propagandistici, ma non più necessario,
una volta che la società dei costruttori di muretti ebbe reso il regime
muratorio sabaudo abbastanza forte da aggredire il Papa senza bisogno di
complicate menzogne propagandistiche, precisamente come avvenne in una certa
favola avente a protagonisti un lupo e un agnello.
L’ultima fase della leggenda ha per
scenario l’isola di Caprera, dove, in effetti, visse un laido vecchiaccio che
affermava di chiamarsi Garibaldi e si vantava di aver fatto l’“eroe” in “due
mondi”, e pretendeva addirittura di aver combattuto quaranta battaglie,
perdendone solo tre, quindi con un’incredibile percentuale di successo del
92,5%, mai raggiunta neppure dai generali che non perdono mai, cioè quelli che
compilano i bollettini di guerra. Aveva conquistato mezza Italia, diceva lui, e
l’aveva graziosamente regalata, senza pretendere niente in cambio, ad una
cucurbita coronata (affiliata a sua volta alla società dei costruttori di
muretti) che si trovava per caso a passare in quel di Teano. Ma, a parte
l’assurdità di simili vanterie senili, il vegliardo era talmente malconcio e
paralizzato dall’artrite (a causa del frequente dormire all’aria aperta, diceva
lui) che le sue smargiassate appaiono semplicemente ridicole.
L’intera operazione di massacro e
distruzione del Cattolicesimo in Italia, che va sotto il nome improprio di
“risorgimento”, è un fatto indubbio, ma di certo non può essere avvenuta che
sotto la sapiente regìa di poteri forti e dotati di enormi risorse, fra i quali
spiccava al massimo grado il servizio segreto britannico-massonico.
Simili poteri forti, che, allora come
oggi, avevano il totale controllo dei giornali, erano perfettamente in grado di
inscenare enormi montature propagandistiche su inesistenti, o almeno
selvaggiamente gonfiate, figure carismatiche per impressionare la plebe e
menarla per il naso. Tutto ciò giustifica i più seri dubbi sulla reale
esistenza del presunto “eroe” rispondente al nome di Giuseppe Garibaldi.
Emilio Biagini
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