mercoledì 29 giugno 2016

FRANCESCO MERCADANTE NON SBANDA SOLTANTO (di Piero Nicola)

Io non sono nessuno. Ma, come chiunque, possiedo la facoltà razionale elementare e, per dare certi giudizi storici, logici, religiosi, resi necessari dalla difesa della verità, non ho bisogno né di erudizione, né di titoli accademici, e tanto meno della diplomazia con cui assicurarsi uno stato sociale, appoggi, amicizie convenienti per non trovarsi isolati. L'isolamento non mi spaventa affatto. Essendo libero anzitutto interiormente, posso attaccare la libertà malintesa, la dignità umana artefatta, la morale e il diritto democratici o umanistici o dei cattolici da barzelletta.
 Premesso questo chiarimento, ho ascoltato il discorso del signor F. Mercadante, uomo ricolmo di benemerenze (chi ne ha tante, oggi è automaticamente squalificato) moderatore ad una presentazione di Una mitologia eroica del Fascismo, saggio recentemente pubblicato da G. A. Spadaro per i tipi di Solfanelli; il quale ascolto mi ha reso lieto di ignorare quasi tutto dell'esimio Mercadante. Ciò che ha detto è più che sufficiente per scacciarlo dalla ideale società degli uomini giusti e veri figli della Chiesa. Non interessa nemmeno conoscere il suo tasso di infedeltà all'ortodossia.
  Terminando gli interventi dal bancone dei relatori, Giuseppe A. Spadaro ha dovuto manifestare il suo sconcerto, rilevando le contraddizioni del presidente. Questi ha inteso mettere fuori gioco il fascismo per certi suoi barbari provvedimenti liberticidi, disumani, antistorici, attenuando la complessiva condanna di fatto con una stolta archiviazione della prova data dal Regime, e diluendo il veleno, sia dottrinale, sia del rinnegamento (egli fu giovinetto convinto mussoliniano), in lodi rivolte all'autore del saggio.
  Ciò che disgusta non è tanto l'aver tributato elogi a chi ha negato, nel libro, le sue conclusioni; disgusta la sicumera marcescente e la crassa erroneità delle sentenze. Non serve entrare nel merito dell'opera commentata, che lascio alla bella recensione, già qui comparsa, di Piero Vassallo. Per altro, dispiace che pensatori di vaglia cedano al compromesso affidandosi alla collaborazione, supposta autorevole, di caporioni intellettuali che li tradiscono tanto maldestramente quanto, purtroppo, efficacemente, davanti a un pubblico spesso suggestionabile.
  Che cosa ha decretato colui che troppo assomiglia ai soloni del dialogo impossibile (sia esso intrattenuto con presunti compagni di viaggio e sotto l'egida della grande cultura), fautori della società dei veritieri con gli erranti e coi menzogneri? Costui ha stabilito che all'Italietta giolittiana succedette un'altra Italietta, e che ci si deve licenziare in pace dal fascismo come ci si licenzia, per esempio, dal futurismo. Costui ha deplorato assolutamente che Gramsci fosse costretto a chiedere a Mussolini (il quale acconsentiva) di poter "leggere l'ideologia tedesca". Il Regime avrebbe così dimostrato la sua inciviltà, un "mostruoso paternalismo", in cui non è possibile vivere: "L'intellettuale (sic) deve chiedere il permesso" per esercitare la sua attività, la sua missione!
  Siamo in pieno delirio liberal-modernista. Il nemico dovrebbe avere diritto allo stesso trattamento dell'amico, per giunta quando è un nemico di Dio e della Verità.
  Il cattivo giudice parla di "cose orrende" attribuendo a Padre Agostino Gemelli la promozione del concetto di "razzismo spirituale". Osserva che l'ebreo Giorgio del Vecchio lasciò la cattedra piangendo, discriminato al di là del criterio dovuto al razzismo spirituale. Ma tale osservazione è sommaria, quasi venisse da un antifascista viscerale. Il suo storicismo gli impedisce di considerare le ragioni del ghetto, attuato o approvato dalla Chiesa. Per lui, i nefasti provvedimenti furono dettati da meri motivi politici.
  Inoltre il Mercadante colpisce il libro presentato, laddove approva la dottrina della rivista "Gerarchia". L'idea sacrosanta di ordine gerarchico (come vige nella Chiesa e nell'esercito, essa giova altrettanto alla società civile cui non è dato di restare in quiete) secondo lui "mette il piede sulla faccia della classe inferiore", dell'"uomo comune", del "gregge". Sarebbe "preistoria", "non ha attinenza con il vero slancio etico della civiltà occidentale". Egli se la prende con la definizione "paccottiglia egualitaria", che l'autore affibbia al mondo libero democratico, e chiede dove, con simile ideologia sarebbe andata "a finire l'emancipazione della donna nel Ventesimo Secolo". "Ai quindici anni del Ventunesimo Secolo, quale vitalità può avere questo passato?".
    Con le sue sintesi parziali, ingiuste e sconsiderate, nella migliore delle ipotesi il moderatore, omone delicato,  assomiglia a quegli intellettuali che non reggono e straparlano, trovando nell'opera una pecca che urta il loro pensiero orgoglioso e cristallizzato. Essi vogliono che l'opera sociale e politica  realizzata difettosamente, o condizionata da circostanze irripetibili, sia inservibile, un arnese da mettere in soffitta, tutt'al più in una bacheca, anziché preservarne i pregi per una costruzione attuale o successiva. Questi scienziati pretendono dalle realizzazioni storiche un'impeccabilità umanamente irraggiungibile, salvo il loro rifarsi da modelli assai meno che imperfetti, antichi e contemporanei, dimostrando d'essere scienziati naufragati nella propria miseria morale.


Piero Nicola

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