Ammessa la prosperità e la felicità
dell'Italia pre unitaria, venerato e incensato l'antico frazionamento del
nostro territorio, lodata l'occupazione straniera, riconosciute le inespiabili
colpe del risorgimento, ridimensionate
le ragioni della Grande Guerra, disprezzato l'eroismo dei seicentomila caduti,
squalificato il patriottismo, maledetti i fascisti (in obbedienza al giudizio
anglofilo di un noto tradizionalista brasiliano), censurato e squalificato Pio XI firmatario del Concordato con l'Italia
unita, concesso infine che la disunità degli animi sia un bene prezioso, oggi
attingibile e godibile, si pone una domanda forse intrepida e irriguardosa: è
ragionevole sognare il viaggio nel passato? Ha senso far correre la cultura
tradizionalista in direzione opposta alla storia? E' seriamente desiderabile
un'Italia disunita e felice di soggiacere (in sogno) alle defunte natiche
dell'imperatore austriaco?
E di seguito: è ragionevole progettare, nel
corso di oniriche sedute, la restaurazione dell'Italia disegnata dall'ostile,
imparruccato e puntiglioso Congresso di Vienna? E' realistica, dignitosa e
attuale la storiografia d'impronta pseudo tradizionalista, che contempla e
ammira un'italianità austriacante? E' sensato, infine, tollerare e sopportare –
in un'ottica supinamente anti nazionale - l'attuale soggiacenza del governo
italiano ai voleri dell'Europa colonizzata dalla cancelliera tedesca Angela
Merkel?
Lo storico ha la facoltà di esaminare
criticamente gli autori dell'unità nazionale e di diminuire il giudizio eroico
sulle loro imprese – la facoltà, ad esempio, di catalogare le facilitazioni godute dai garibaldini in
Sicilia - non il diritto di desiderare e
sognare il surreale capovolgimento e/o la calunnia globale delle conquiste
ottenute dai combattenti italiani.
Lo storico non ha il diritto di alterare la
verità per ridurre il Risorgimento italiano all'ideologia massonica, professata
da Giuseppe Garibaldi. Tanto meno ha il
diritto di indirizzare la storiografia a quel disprezzo imperiale
dell'amor di patria, che animava gli autori (in maggioranza cortigiani iniziati
ai misteri massonici) dell'unità nazionale.
Del resto gli storici sconfessano le roventi
opinioni dei pensatori disunita rii. E' significativo il fatto che, nella
rivista Storia contemporanea, si rammenta che un illustre
studioso americano, William Hunt, “delineava il declino della Penisola come
dovuto all'invasione francese e alla conquista spagnola che seguirono il
Rinascimento e distrussero la libertà italiana per tre secoli. … tre secoli di
governo straniero avevano indebolito il carattere del popolo italiano”.
Il potere esercitato dall'imperatore
d'Austria a danno del carattere degli italiani, peraltro, ha aspetti
sconcertanti e vergognosi.
Lo storico William Roscoe Thayer scriveva al
proposito: “il sovraintendente dello Spielberg poteva ricevere da Sua Maestà
Imperiale messaggi di questo tipo: diminuite la razione di fagioli del
prigioniero numero dieci oppure il numero Sette ha diritto di avere
caffè una volta al mese”.
Ha senso opporre la spregevole e meschina
figura dell'imperatore austriaco ai patrioti italiani? E' possibile non
riconoscere la miseria della politica imperiale e l'assurdità delle opinioni
nutrite dagli italiani austriacanti? E' seriamente pensabile una cultura di
destra fondata sull'ammirazione dei tradizionali nemici dell'Italia?
Infatti la destra anti nazionale, che sta in ginocchioni al cospetto del
defunto impero asburgico è ridicola e surreale prima che indecente.
La stima dell'impero che opprimeva gli
italiani riduce la cultura della destra anti moderna all'astratto e ridicolo
gioco di società di nicchia contro cui era insorto un geniale interprete della
genuina tradizione italiana, quale fu Francisco Elias de Tejada y Spinola.
Dalla paura del ridicolo dovrebbe avere
origine la coscienza dell'obbligo di ricondurre la cultura della destra alla intenzione di esaminare,
capire e rinnovare le ragioni dell'unità d'Italia. Una tale scelta farebbe
destare i prigionieri dell'incapacitante sogno passatista e, quel che più
conta, darebbe vita a una critica italiana della soffocante e per noi italiani
penalizzante egemonia tedesca sulla politica europea. Infine farebbe vedere la
somiglianza analogica del soffocante potere esercitato dalla cancelliera
di Berlino con l'oppressione esercitata dall'imperatore di Vienna.
Piero Vassallo
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