mercoledì 23 luglio 2014

Maria Guarini, la continuità della tradizione cattolica

 Insidiosa e mutilante novità, surrettiziamente introdotta nella cultura cattolica dallo spirito del Concilio, l'oblio del pensiero di San Tommaso d'Aquino attiva un sentimentalismo, che trasforma i fedeli in frequentatori di cerimonie socializzanti, e i preti in  delicati conversatori, cuochi sociali e fervidi perdonisti.
 L'oblio del tomismo indebolisce anche le difese immunitarie degli studiosi cattolici e li rende incapaci di comprendere e  fronteggiare l'insidia costituita dal rovesciamento del pensiero moderno nelle antiche suggestioni dello gnosticismo.
 In ambiente cattolico, peraltro, circola indisturbata e talora approvata da esponenti del clero, la gioconda convinzione che il Concilio abbia elevato l'amore puro e spensante al di sopra dei princìpi conosciuti dalla ragione e definiti dai dogmi.
 Inutilmente Romano Amerio ha confutato l'illusoria opinione: "No, non c'è l'amore, perché sopra l'amore c'è un pensiero che afferma Sopra tutto c'è l'amore e che esclude con la sua affermazione che sopra tutto ci sia un sentimento impensato".
 Il primato del pensiero sul sentimento, lo sostiene anche un discepolo di Amerio, Enrico Maria Radaelli, è stabilito dal magistero affinché "il moto più santo e deiforme, l'amore, non si muti in mera materialità incosciente: se non è pensato neanche l'amore può esistere".
 Nella Chiesa cattolica, società che ha radice e fondamento nella rivelazione del Logos increato, rammentare l'ovvia tesi sul primato del pensiero, sarebbe superfluo e quasi imbarazzante, se non fosse continua la gridata esternazione di teorie sentimentali da parte di fedeli e sacerdoti emozionati e confusi, ultimamente inclini a festeggiare l'avvenuto transito della carità verso la tolleranza o addirittura la gaudiosa condivisione dell'errore.
 La sagace scrittrice Maria Guarini al proposito afferma: "Il problema è che il cristianesimo ha abbandonato la philosophia perennis anche per un'inedita via: quella dei movimenti. E si è persa la consapevolezza che, in mancanza di un serio impianto teoretico-dottrinale si cade in un sentimentalismo e devozionismo che non portano da nessuna parte perché mettono in secondo piano sia la ragione, massificata da slogan e atteggiamenti e comportamenti indotti, che la volontà, scaduta in volontarismo sostenuto da metodi accattivanti e coinvolgenti l'emozione". 
 Alterata dal movimentismo, l'amicizia cattolica si rovescia nella smanceria e nel suono sgradevole delle chitarre ecclesiali, che accompagnano insulse rime. Di qui la caduta delle difese immunitarie dall'antropocentrismo, che, infatti, diluvia dai pulpiti della teologia modernizzante ed erompe nelle liturgie canterine, messe in scena per procurare deliziose vertigini agli ecumenisti senza rete.
 Per contrastare la diffusione della teologia debole e della sciatta  liturgia, Maria Guarini ha pubblicato, nella collana delle Diffusioni Editoriali Umbilicus Italiae, "La Chiesa e la sua continuità Ermeneutica e istanza dopo il Vaticano II", un volume che raccoglie suoi scritti insieme con puntuali interventi di autorevoli pensatori quali Brunero Gherardini, Antonio Livi, Francesco Colafemmina, Enrico Maria Radaelli, Gianni Battistini e Curzio Nitoglia. 
 I testi scritti o proposti da Guarini costituiscono un puntuale commento alle parole dettate dalla caritatevole intransigenza al cardinale Giacomo Biffi: "La prima misericordia di cui abbiamo bisogno è la luce impietosa della verità".
 Il sequestro della verità negli ambulacri del buonismo vieta purtroppo di cogliere il profondo significato dell'ermeneutica della continuità predicata da Benedetto XVI.
 Causa dell'incomprensione diffusa è l'oblio o il rifiuto del principio secondo cui "non è il dogma che muta o si evolve, ma la capacità della Chiesa e in essa del singolo credente di approfondirlo, estrarne come lo Scriba del Regno le inesauribili ricchezza: nova et vetera".
 Ora è un fatto incontestabile il baluginio, cenni fra le righe, nei documenti redatti dai padri del Vaticano II, di pensieri aperti a una teologia inquinata dallo hegelismo.
 Il ricorso all'espressione cenni fra le righe poiché, è suggerito dalle indicazioni di Romano Amerio e di Antonio Livi, autori la presenza dei quali, dimostra che il tentativo degli eversori teologici, grazie a Dio, non è riuscito.
 Non si può negare tuttavia che la presenza in alcuni testi conciliari di formule imprecise o confuse genera legittime perplessità e giustifica richieste di autorevoli chiarimenti sulle definizioni oscillanti.
 Valga ad esempio Gaudiun et spes 24. Il testo latino afferma che l'uomo "in terris sola creatura est quam Deus propter seipsam voluerit". Se non che la traduzione ufficiale recita:  "l'uomo è stato voluto da Dio per Se stesso".
 In quale fra le due contrarie definizioni deve credere il fedele? Chi è nell'errore, l'estensore del testo antropocentrico scritto in latino o il traduttore teocentrico? In quale corno del dilemma risiede la rivendicata infallibilità del Concilio Vaticano II?
 Chiedere il chiarimento, pertanto, non è un atto irriguardoso, tantomeno un attentato all'autorità  che incoraggia e benedice l'escursione di Scalfari nei pii anfratti del relativismo.
 Si chiede il chiarimento perché si desidera la chiusura della parentesi confusa aperta dalla nuova teologia, quella che Pio XII ha severamente condannato nell'Enciclica Humani generis e che Paolo VI ha definito "fumo di satana".
 Solamente una rumorosa fazione di novatori irriducibili nega l'urgenza del chiarimento. L'irritata e superciliosa reazione dei teologi progressisti alle osservazioni critiche dei difensori della tradizione, e severamente contrastata da Antonio Livi, che scrive: "Si potrebbe osservare sconsolatamente che la critica da sinistra, ossia da parte dei progressisti, è recepita come lecita e sempre utile al progresso della comunione ecclesiale, mentre la critica da destra, ossia da parte dei conservatori è recepita come illecita e sempre dannosa per l'unità della Chiesa". 

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 Nessuno ha mai pensato seriamente di denunciare l'esistenza di eresie nei testi del Vaticano II. Da parte dei tradizionisti (opportunamente Maria Guarini propone l'uso di questo termine, che esclude la discendenza da un termine abusato e inquinato - dai seguaci di De Maistre - quale tradizionalismo) è avanzata la legittima proposta di chiarimento sui testi nei quali è evidente una certa ambiguità o anfibologia, derivata dall'influsso dei teologi neo modernisti, costituiti in fazione rumorosa nei corridoi del Concilio Vaticano II e intesi a sovvertire la tradizione.
 Antonio Livi scrive: "La posizione di Amerio non è un rifiuto degli insegnamenti del Concilio, anzi corrisponde sostanzialmente a quello che Benedetto XVI avrebbe poi denominato ermeneutica della continuità; infatti la denuncia del presunto tentativo di rottura e di discontinuità che sembra risultare dalla lettura di alcuni testi del Vaticano II va unito alla certezza che tale tentativo è di per sé irrealizzabile e che quindi il sensus fidei della comunità cristiana può sempre interpretare le novità dottrinali alla luce di ciò che è sempre stata, nella sua essenza, la fede della Chiesa".
 Nella dichiarazione di monsignor Livi è impossibile cogliere l'intenzione di giustificare la rivolta all'autorità del Concilio, specialmente quando si considerano le ammissioni di un onesto progressista quale è padre Giovanni Cavalcoli o. p. sugli errori riscontrati nelle istruzioni pastorali contenute nei documenti del Vaticano II.
 Per ristabilire la pace intorno alle verità cattolica, sarà quindi necessario (giusta l'osservazione formulata da Roberto De Mattei in una nota pubblicata nel sito Corrispondenza Romana) intraprendere un difficile e spinoso cammino indirizzato a stabilire quali sono i testi dogmatici del Vaticano II (e se esistono, dal momento che il Vaticano II è stato ufficialmente definito concilio pastorale).
 La cultura cattolica pertanto deve essere finalizzata alla chiusura di una stagione infelice e tormentata, ossia al pacifico riconoscimento che i testi del Concilio pastorale Vaticano II  non alterano il depositum fidei e. ad ogni modo, non esigono il consenso dei fedeli. 
 Sembra che si possa sostenere in conclusione l'utilità del lavoro amorevolmente compiuto da Maria Guarini in ideale continuità con le opere di Romano Amerio, di Antonio Livi, di Paolo Pasqualucci e di Roberto De Mattei.

 E' dunque condivisibile il giudizio dell'autorevole Brunero Gherardini, che definisce l'autrice "apis argumentosa, che lancia ai quattro venti, con la costanza dei forti, i frutti della sua intelligenza, del suo studio, del suo impegno per la sana dottrina e la Santa Madre Chiesa".

Piero Vassallo

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