lunedì 21 luglio 2014

"Julius Evola, antimoderno o ultramoderno?" Un intrigante saggio di Paolo Rizza

 Primo Siena, uno fra i più autorevoli protagonisti e interpreti della vicenda culturale a destra, nella presentazione del magistrale saggio "Julius Evola. Antimoderno o ultramoderno?", scritto da Paolo Rizza,  e pubblicato in Chieti da Marco Solfanelli, afferma che l'autore, scavando nella concezione metastorica di Evola "incontra le contraddizioni moderne dell'antimoderno nel magismo, che accoglie ed esalta i risvolti più ambigui della modernità ultima".
 Il saggio di Rizza conduce a felice e perfetto esito i numerosi precedenti tentativi, compiuti da critici d'ispirazione cattolica, quali, ad esempio, Pier Vittorio Barbiellini Amidei, Fausto Belfiori, Ennio Innocenti, Francisco Elias de Tejada, Giovanni Torti, Pino Tosca, intesi a dimostrare la presenza nell'opera evoliana, dell'abbagliante confusione di estrema modernità e pseudo tradizione. Tale analisi era ed è finalizzata a liberare la cultura della destra italiana dall'infestante/incapacitante sincretismo di stampo magico/eleusino. 
 Il saggio di Rizza rivela, infatti, la non celata presenza, nella evoliana "Metafisica del sesso", di un inequivocabile segnale del cedimento all'arroventata immoralità del mondo moderno.
 La frenesia sessuale, in corsa disordinata e talora grottesca nell'opera evoliana, imprime l'inconfondibile sigillo del disordine libertino sull'esoterismo e ne rivela "una prossimità speculare alle tendenze pansessualistiche di Herbert Marcuse" (un autore anarcoide, la cui ideologia, negli anni convulsi seguiti al Sessantotto, fu paragonata e non senza motivo a quella di Evola).  
 Lettore scrupoloso ed esegeta dotato di una solidissima base filosofica, oltre che elegante padrone della lingua italiana, Rizza approfondisce e sviluppa le tesi di Roberto Melchionda, evoliano estraneo ai venerati abbagli della scolastica esoterica e autore di fedeli ricostruzioni del cammino di Evola, dal tumultuoso esordio nella corrente dadaista, scoppiettante motore della rivolta contro il senso comune, alla parodia gnostica della tradizione, messa in scena sul canovaccio proposto dai massoni René Guénon e Arturo Reghini - gli ispiratori di una simulata/finta rivolta contro il mondo moderno, ossia della controrivoluzione apparente e perciò destinata a fluire nelle pubblicazioni ultramoderne degli adelphi della dissoluzione.   
 Rivisitata, corretta e aggiornata da Rizza, la spirale evoliana, disegnata da Melchionda, svela "il nodo cruciale e irrisolto di un pensiero costantemente percorso da una viva tensione tra la critica rigorosa della modernità e la riproposizione del suo fondo più intimo [e tenebroso]".
 Nel saggio in questione Rizza dimostra che "la concezione di una storia risolta nell'insensatezza di una processualità variamente interpretata e sottratta alla verità dell'Incarnazione redentrice del Verbo, rivela una singolare specularità tra le posizioni di Evola e il pensiero moderno". 
 Tale specularità è ben visibile nell'avversione al realismo metafisico, "che rappresenta il cardine della philosophia perennis", una refrattarietà che avvicina lo stato d'animo evoliano a quello dei modernisti e dei battisti (che Evola frequentò nel periodo della sua collaborazione, negli anni 1924-1926, con la rivista Bilychnis) oltre che al furore californiano di Marcuse, che nella filosofia aristotelico-tomista vedeva l'origine del male fascista.
 Le schegge rivoluzionarie vaganti/nascoste nell'opera evoliana hanno persuaso Rizza a formulare un giudizio severo sull'indirizzo ultimo dell'esoterismo infiltrato a destra: "Occorre rilevare che gli esiti catastrofici generati dalla progressiva accelerazione del moto turbinoso che accompagna il corso della modernità, appaiono ad Evola suscettibili di una considerazione positiva: benché non si possano rigorosamente prevedere le attuazioni dei loro concreti e particolari sviluppi, in essi sono riconoscibili le prospettive anticipatrici della rinascita"
 Da tale dichiarazione Rizza deduce, senza ombra di dubbio "la connotazione gnostica [marcionita] e moderna di siffatto orientamento, che riconduce alla dissoluzione i prodromi della ricostruzione di un ordine politico, pur sempre condizionato dalle degenerazioni relative al dramma della temporalità".
 A conferma della sua opinione, Rizza cita una lapidaria sentenza di Gennaro Malgieri, "secondo Evola il nichilismo non lo si può superare che assecondandolo" e una tagliente definizione di Marcello Veneziani, "una teologia senza Dio, una Tradizione senza tradizioni viventi".
 Il movimento della storia in direzione del nichilismo, secondo il pensiero evoliano, è il risultato "di una trama di principi arbitrariamente sottratti  alla loro costitutiva e originaria dipendenza dal primato della verità": i fatti storici sono considerati il risultato di una inesorabile necessità, "che si rivela contrapposta al Verbo di verità e di salvezza". 
 La lettura dei febbrili saggi dello svizzero Jean Jacques Bachofen aveva destato in Evola un'insensata avversione al diritto naturale, uno stato d'animo che prorompeva da quei furori anti-platonici e anti-cristiani, che avevano turbato e oscurato la mente di Nietzsche.
 Puntualmente Rizza cita un testo in cui sono condensati i fulminanti abbagli, che colpirono Evola, sedicente e fittizio erede e continuatore della filosofia della storia di Giambattista Vico: "Il diritto naturale non è per nulla il diritto al singolare, valido ed evidente dovunque e per chiunque, ma è solamente un diritto, la speciale concezione che del diritto ebbero un determinato tipo di civiltà e un determinato tipo umano".
 Lanciato il sasso della superstizione antropologica contro la filosofia vichiana del diritto, Evola si avventa contro gli ordinamenti conformi al realismo tradizionale e perciò sostiene che "l'esercizio della vera sovranità politica risulterebbe gravemente pregiudicato da un potere che avvertisse l'esigenza di uniformarsi al rispetto di un ordine ontologico, estraneo ad ogni arbitraria opzione soggettivistica".
 Di qui il suggerimento, rivolto alla giovane destra italiana, "di cavalcare la tigre del caos e della dissoluzione spirituale", una soluzione che nasce dall'illusione di preparare la rinascita inseguendo il disordine praticato dai rivoluzionari ultimi. Opportunamente Rizza afferma che nell'opera evoliana è leggibile "una considerazione tendenzialmente positiva di fenomeni inseparabili da una forte pregnanza nichilistica".
 A questo punto Rizza pone la questione del reale rapporto di Evola con gli autentici valori tradizionali attivi nella cultura del movimento fascista in special modo nella scuola milanese di mistica fascista, nella quale (lo ammette Tomas Carini, nel saggio sulla Scuola di mistica fascista) prevaleva l'idea del fascismo motore della rinascita della tradizione romana e cattolica. Un indirizzo culturale, quello impresso dal regime alla scuola milanese, che Evola contestò duramente, affermando che il fascismo, quanto ai valori spirituali, "rimase sul piano di rinvii vaghi e conformistici alla religione dominante".
 L'analisi di Rizza sviluppa sagacemente un giudizio formulato dallo storico Enzo Erra, secondo cui la dottrina evoliana contribuì a irrigidire l'area umana che l'aveva assunta, insinuando il sospetto che l'azione politica fosse un'insidiosa palude, da evitare per non sprofondarvi: "Veniva così a cadere anche se a quel tempo era difficile rendersene conto, proprio la natura peculiare del fascismo, che si era identificato fin dalla sua prima origine nell'interventismo, nell'impulso cioè ad aggredire il reale per modificarlo, per ribaltarne le regole, per dirottarne il corso".
 Evola ha destato nei giovani militanti nel Msi uno stato d'animo refrattario all'azione politica e ultimamente incline alla rassegnata sequela del lugubre corteo sessantottino.
 Assunto il giudizio di Erra quale motore d'avvio alla ricerca, Rizza dimostra che il tradizionalismo evoliano fu irriducibile all'attivismo fascista: "Evola ha valutato in termini assai critici il peso che negli anni del regime rivestì la preoccupazione per la piccola morale al posto della grande morale, specie nei riguardi sessuali, con relative misure di censura e di interdizione statale".  
 Al seguito di Evola la giovane destra italiana si è trasformata in uno stormo di farfalle, destinate a spegnersi nella rete dell'almirantismo e a subire l'egemonia dell'avventizio filosofo Armando Plebe. 

 Dal saggio di Rizza, in definitiva, si deduce la convinzione che l'eventuale, oggi problematica rifondazione di una destra italiana può cominciare solamente dalla preventiva/tassativa rinuncia all'uso delle ottenebranti suggestioni proposte da un abile seminatore di malintesi, quale fu Evola.

Piero Vassallo

Nessun commento:

Posta un commento