giovedì 10 luglio 2014

Riflessioni non buoniste sulla nobiltà della fuga dal mondo

Monaci e pellegrini nell'Europa medievale

Riflessioni non buoniste sulla nobiltà della fuga dal mondo

Voci ultimamente alzate dal delirio, gridato da teologi posseduti dal furore pragmatico, annunciano la fine della filosofia dell'essere e la conseguente liquidazione dell'ascetismo, cuore di una religione, il Cattolicesimo, indirizzata alla fuga dall'universo mondano e dalle sue vane agitazioni.
Se non che il fruscio della pura azione sociale è attenuato dalla presenza (sgradita ma invincibile) di religiosi fedeli alla tradizione (i francescani dell'Immacolata, ad esempio) e contrastato dalla splendida memoria (consegnata alle pagine di un volume edito in Firenze da Polistampa) dei cristiani che vissero nella contemplazione durante il Medioevo.
Nel corso degli anni ottanta, peraltro, i fedeli genovesi non appiattiti sulle tesi ecumeniche di Karl Rahner, assistendo alla Santa Messa nella Chiesa dei carmelitani di Sant'Anna, godevano talora del privilegio di ascoltare le omelie di padre Domenico, monaco esemplare la cui misericordia era passata indenne attraverso le suggestioni del buonismo.
Asceta di altri tempi (così lo classifica la vulgata dei modernizzatori) padre Domenico, finché le sue forze non declinarono, era solito percorrere a piedi la distanza dal convento di Genova ai conventi della Liguria, dove era di volta in volta destinato dal capitolo del suo ordine.
Per recarsi al convento di Arenzano, ad esempio, padre Domenico partiva da Genova alle quattro del mattino, percorreva un lungo tratto della via Aurelia occidentale per giungere a destinazione nella tarda sera. Portava con sé soltanto un tozzo di pane raffermo e la borraccia dell'acqua.
La sua fatica cercava il diletto ineffabile, che compete ai fedeli che si allontanano dalle vane ombre del mondo: "peregrinus pertransiit viam et vitam istam, quantum minus potuit de mundi rebus accipiens, utpote sciens quia non erat de hoc mundo".
Alcuni anziani rammentano il potere emanato delle parole di conforto, che padre Domenico rivolgeva ai peccatori pentiti e alle vittime dell'ingiustizia. E le rammentano come parole impastate di celeste grazia.
Purtroppo i suoi confratelli, forse rapiti dalle sirene cantanti nell'incessante coro del Vaticano II, non coltivano la sua santa memoria, alla quale antepongono la stima del card. Anastasio Balestrero, il teologo che, ingannato da sentenze scaturite da esperimenti maldestri e forse truffaldini, negò l'origine miracolosa della Sacra Sindone.
Il saggio sui monaci medievali, edito da Polistampa a cura di Francesco Silvestrini, svela, invece, le profonde ragioni dell'ascetismo, che sopravvive nella splendida refrattarietà ai progetti dei modernisti al lavoro nel vuoto generato dalla religione orizzontale.
Opportunamente Francesco Vermigli, forse il più acuto fra gli autori del citato volume su monaci e pellegrini, rammenta che "Agli occhi di San Bernardo e agli occhi del monachesimo di cui Bernardo si fa erede, la vita del chiostro è vita che non rivolge il proprio sguardo alle cose di questo mondo, ma vive e pensa se stessa come se questo mondo non esistesse, perché altro, totalmente altro da questo mondo e ciò che davvero conta".
Il mondo non è l'oggetto di una illusoria/precaria riforma sociale, ma il luogo da cui ci si allontana, sperando di separarsene "una volta che si sia presa coscienza della parzialità delle cose di quaggiù": il monachesimo esprime "la tensione di tutta l'anima, di tutte le forze e di tutta la mente nella meta-storia".
Quando si riflette sull'insegnamento di San Bernardo si può capire l'illusorietà degli alibi buonisti, consigliati da una fede contaminata dalle suggestioni della filosofia immanentistica e della sociologia immaginifica.
Va da sé che i monaci non sono esentati dall'obbligo di compiere opere di misericordia spirituale e corporale. Ma le opere di misericordia testimoniano il primato della contemplazione non l'attenuazione (tipicamente modernistica) della volontà consacrata all'allontanamento dal mondo.
Allo sguardo del cristiano, il mondo è un luogo in cui si pellegrina: "da questo luogo si anela separarsi, una volta che si sia presa coscienza della parzialità delle cose di quaggiù".
Nel monastero si deve pellegrinare spiritualmente, "perché se non si pellegrina si testimonia di aderire inordinatamente a questo mondo: ardua et angusta est via, et non hic sed in domo Patris mansiones sunt multae. Mansio indica la stabilità, tanto più se in contrapposizione con via. Mansio dice la sicurezza, la pace, il riposo, mansio si applica a un Altrove, non a questo luogo".
La sapienza monastica, tuttavia, si può e si deve riversare in qualche modo nell'animo di quanti lavorano o combattono per il bene comune.
Il significato del Liber de laude novae militiae "è di esortare ad un nuovo genere di milizia cristiana, che vesta i panni del soldato - e sotto di essi serva alla difesa dei Luoghi Santi - ma abbia comportamenti mutuati dal chiostro. ... ai templari viene richiesto progressivamente di affinare la loro conoscenza del divino, progressivamente abbandonare quella che si nutre delle immagini sensibili, in favore della conoscenza che pensa solo le cose che sono nell'alto".
La fede armata è lontana dalla proposta dei pannicelli caldi applicati ai poveri all'ascolto della teologia intesa a liberare la Cristianità dalla Cresima, sacramento che, prima del Concilio ecumenico Vaticano II promuoveva i giovani alla dignità di soldati di Cristo.

Il mistico rumore delle armi impugnate dai cristiani in allontanamento dal conformismo è tuttavia un balsamo per le anime turbate dal fracasso dei nuovi teologi dei pastori di pecore matte.

Piero Vassallo
 

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