lunedì 19 gennaio 2015

OMOFOBO (di Piero Nicola)

 Passeggiando sul lungomare, ho incontrato un vecchio compagno di scuola che non vedevo da anni. Ha lavorato quasi sempre in Africa e in Persia nelle installazioni petrolifere. Di lui non do altri particolari che potrebbero farlo identificare.
 L’ho accompagnato nella direzione in cui stava andando, all’incirca a testa bassa. Dopo esserci scambiati ragguagli sulle nostre situazioni familiari e sulle nostre attività di pensionati, la conversazione si rarefaceva e gli vedevo un’ombra sugli occhi.
 “Sai” mi ha detto di punto in bianco, allungando il passo, “sono omofobo”.
 Conoscendolo abbastanza, ho voluto farglielo ripetere e me l’ha confermato.
 “Devo riconoscere che lo sono”.
 “E te ne preoccupi?”
 “Capisci” ha risposto, “si tratta della libertà di parola e… di coscienza, se non posso dire come la penso”.
 Avrebbe potuto fare a meno di chiarire che altro lo impensieriva più della sua personale costrizione.
 Vedendo il mia fonte corrugata su un’espressione un po’ ironica, ha soggiunto:
 “Lo so, a te delle libertà non importa… Non sei democratico”.
 “Non è esatto” ho preso a spiegargli. “Accetterei una diversa democrazia, che ti darebbe la libertà di confessarti omofobo”.
 In un misto di sorpresa e di sfida mi ha chiesto quale genere di democrazia m’immaginavo. E gli ho detto che, se nella Costituzione fosse scritto che tutti i cittadini devono rispettare la legge naturale, e se vi fossero elencati i suoi principi, la faccenda sarebbe risolta”.
 “La legge naturale?” domanda perplesso. “Ma quale?... E poi Croce, il filosofo, quando hanno fatto la Costituzione, trovò a ridire che era già troppo piena di norme e di vincoli…”
 “Certo, per lui liberale, nella società svincolata sarebbe spontaneamente emersa la miglior giustizia”.
 “Ma la giustizia non si trova già nella coscienza?” si ricorda, o trova, dove sta la chiave.
 “Però, come vedi, il tuo foro interiore contrasta con la legge democratica”.
 “Bisogna darle tempo…”
 Si ferma, come se il movimento corporeo disturbasse l’elaborazione cerebrale.
 “E dalla libera dialettica verrà fuori il meglio, non è vero?” osservo. “Ma non è così”.
 Ho argomentato che la ragione umana non arriva a discernere il bene e il male iscritti nel nostro cuore, che l’uomo è debole, una creatura decaduta, che nella lotta del bene e del male, la malizia prende il sopravvento, quando non interviene la divina Autorità, quando essa non viene rispettata.
 “Sei pessimista”.
 “Non sei cattolico?” gli ho obiettato.
 “Non mi sembra che la Chiesa parli come te. La morale cattolica…”
 “Questa finta morale cattolica è laicista”.
 Mi sono accorto che intendevo sfondare un muro troppo spesso, troppo sordo. Perciò gli ho chiesto come era arrivato a un sentimento omofobo.
 “Non credere che sia un sentimento” ha risposto quasi di malavoglia. Riprendendosi, comincia a ripercorrere il suo procedimento di verifica esatta, da ingegnere, in capo alla quale ha raggiunto la convinzione del cui peso si è liberato con me.
 La definizione di omofobia implicava ormai la condanna di qualsiasi manifesto rifiuto dell’omosessualità, di qualsiasi obiezione negativa intorno ad essa: una condanna assoluta e anche insultante perché suggeriva la menomazione. Invece egli non era colpevole, né prevenuto e neppure malato. Egli ragionava. All’omosessuale spettano tutti i medesimi diritti di ogni altro individuo, dunque l’omosessualità ha gli stessi diritti della sessualità che procrea: diritto al matrimonio, ad adottare e allevare figli. Il genere sessuale non è determinato dalla natura con gli organi genitali e con la psiche che vi corrisponde, ma è dato dalla libera scelta. Erano due affermazioni che non potevano stare in piedi. Il sesso, creato per essere fecondo, per perpetuare la specie, poteva essere destituito della sua funzione come niente fosse? La coppia formata da due uomini o da due donne poteva costituire la stessa famiglia della coppia eterosessuale? Era un assurdità. Egli non aveva nulla contro sodomiti e lesbiche, ma questo era un altro paio di maniche.
 Torno a dirgli che il legislatore resta un essere mortale, fallibile e, nel caso specifico, preso a calci dai millenni che lo sconfessano per le sue inedite trovate.
 L’amico sembra non badarci, persevera con la sua logica. Se fosse stata accolta come normale l’anomalia, se, per di più, l’ingiusto considerare uguali i disuguali induceva i normali poco stabili a farsi anormali, la disonestà subentrava all’onestà e dove si andava a finire? Essendo ritenuto degno dell’uomo qualsiasi impulso che abusasse della formazione maschile o femminile ricevuta dalla natura, anche nei diversi campi del comportamento le prevaricazioni sarebbero divenute lecite secondo ogni voglia. Nessun istinto o inclinazione comportava una colpa, tutto era permesso. Cosa grave: persino la scienza, i suoi famosi esponenti, i luminari della medicina, sostenevano la teoria della giusta istanza delle tendenze, della loro sana realizzazione. - Il suo pensiero è qui parafrasato, ma il succo era questo.
 Ho assentito. Ho ricordato Freud e la terapia che libera dalle censure morali. Sin dalla fine degli anni sessanta la rivoluzione dei costumi – ordita per atterrare il vecchio ordine, compiacendo ogni appetito – era diretta all’annullamento del peccato, e si dovette sudare per preservare l’ordine pubblico, le leggi e le costituzioni. Ma, essendo l’alfa un erroneo riconoscimento dell’innocenza, una discolpa della trasgressione, l’omega sarebbe stata l’anarchia.
 “Uhm!” ha ripreso a camminare.
 Ci siamo accorti che si era fatto tardi. Ci siamo salutati.
 Lì per lì, ero desolato d’avere accresciuto il suo rovello. Poi, ho considerato che era difficile prevedere che cosa in seguito ne sarebbe sortito.


Piero Nicola

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