giovedì 29 gennaio 2015

Tommaso Romano, intrinsecamente poeta

Solamente un cuore poietico può sfidare il potere che produce e governa il giro vizioso dell'umana fragilità intorno alla giostra degli sfinimenti e delle frustrazioni. Solamente una personalità poietica, passata indenne, quasi per miracolo, attraverso la rumorosa e vergognosa catastrofe della destra politicante, può compromettere la propria collaudata intelligenza associandola all'ardua avventura, che è ostinatamente suggerita dal pensiero forte.
 Tommaso Romano, autore dell'avvincente raccolta di saggi Il sismografo e la cometa, pubblicata in Palermo dall'Isspe, vive con felice ardimento il divorzio della speranza dall'estenuato, esangue e purtroppo imperante parolaio politichese, concerto di eccitazioni effimere e di umilianti manfrine, contro le quali è doveroso affermare il primato del bene comune sul bene della fazione plaudente.
 Il pensiero di Romano accende un'ipoteca sul futuro perché interpreta la cultura della speranza  albeggiante oltre il desolato presente. Una cultura politica che guarda oltre l'inautentico territorio della destra schizoide, comiziante, trafficante e perdente.
 La qualità del ragionamento e della cultura abilita Romano a interpretare autorevolmente l'esigenza di una profonda riflessione critica sul liberalismo, l'ideologia che ha contagiato, avvelenato e disintegrato la classe dirigente della destra italiana prima di trascinarla al ripudio chic della sua ragion d'essere.
 Il primo movimento nella direzione della rinascita nazionale è l'aperta sfida ai feticci venerati nel tempio dell'ateismo postmoderno. Romano si chiede: "E' possibile ancora rifiutare, in nome di un inconcludente relativismo, ogni metafisica come umana speranza di altezze non effimere, ogni educazione fondata su assunti certi e autorevoli, ogni autorità non in preda alle follie cangianti del demos?"
 Nascosta dal fumo delle chiacchiere, trasmesse dalla gang mediatica, la possibilità di un domani migliore appare condizionata "dal ribaltamento delle tendenze perverse che si sono imposte  nel tempo come autentiche egemonie, senza invocare come salvifiche le prediche, ma operando di conseguenza, alieni da paure per l'andare controcorrente e per suscitare un ritorno al reale".
 L'auspicio di Romano è la costituzione di una destra sociale, fedele ai suoi indeclinabili princìpi, che sono strutturalmente irriducibili alla mitologia liberalista.
 La descrizione dell'ideologia professata dagli avversari del bene comune è implacabile: "Dopo l'ubriacatura perversa dell'industrialismo non poteva che dominare la concentrazione in poche mani della ricchezza e lo strapotere (voluto dal nostro sistema statuale, asservito a questa Europa) del potere bancario intrinsecamente usuraio e senza patria e cioè senza legami e radicamenti collegati con gli interessi dei popoli".
 Bruxelles è un tetro paese dei balocchi, allestito per attuare la metamorfosi masochistica e thanatofila dell'aspirazione al bene comune. Di qui l'urgenza di rinegoziare, ossia "riprendere la sovranità nazionale, anche e sopra tutto monetaria, strappata vilmente ma con il consapevole ascarismo delle nostre classi di governo".
 La verità, nascosta dietro la cortina di menzogne alzate dai megafoni del potere iniziatico, manifesta l'impoverimento causato dalla globalizzazione, "che favorisce solo alcuni plutocrati e politici e poche nazioni, le solite peraltro". 
 Di qui la strenua opposizione all'utopia globalista, una sciagura cavalcata dai nemici della tranquillità nell'ordine, i quali hanno attuato "l'apertura delle frontiere senza contrappesi, senza programmati ed efficaci limiti all'immigrazione, che si espande senza prospettive, senza regole e senza controlli, favorendo l'ingresso di integralisti e terroristi. Bisogna anche in questo caso coraggiosamente invertire la rotta".
 Per uscire dal vicolo cieco in cui ci ha sospinti l'europeismo - infelice e stantia elucubrazione dell'utopista anti-italiano Altero Spinelli - occorrono riforme coraggiose "e tuttavia, ci rammenta Romano, la prima vera riforma non può essere che quella morale, interiore di ognuno".
  La politica della destra che (forse) sarà dopo l'obbligata pausa di riflessione in atto, deve anzi tutto fare i conti con il criminoso, ripugnante delirio abortista, "odio per la vita intesa come il generare la continuità della specie, che inesorabilmente si istilla, è l'odio per ciò che significa fedeltà agli Avi, al passato, alla Tradizione".
 La prima pagine della carta d'identità, che qualifica la politica della destra, è la difesa della vita attuata senza compromessi e senza i cedimenti, de quali si sono dimostrati capaci gli esponenti delle frange deboli (ma applaudite) del cattolicesimo castrato.
 Al proposito Romano sfoggia la sua sana intransigenza e scrive: "Il novismo, falsamente misericordioso, il presumere che le piazze piene e il consenso mondano riconducano alla Verità, ad un cosmico Cristo, è una falsa e terribile illusione, intesa al sincretismo. ... Vale il Decalogo, valgono i precetti o tutto si dissolve in un Amore che sa tanto di marmellata New Age".
 La politica combattere lo sterminio avviato dagli abortisti in nome di sinistre elucubrazioni malthusiane. E combatte senza paura dell'accusa che riduce gli avversari dell'aborto a improvvisati giudici, poiché la condanna dell'omicidio sta nel Decalogo e non nell'opinione mutevole degli uomini.
 Poste le solide basi del pensiero politico "bisogna auspicare e lavorare per far sorgere nuove élites dirigenti di servizio, per una aristocrazia aperta e che si rinnova, non mummificata in titoli altisonanti e però vuoti di valore, spirito di carità e di intrapresa al servizio del prossimo".
 Il movimento post-babelico, di cui si avverte la impellente necessità, non può costituirsi senza una preliminare formazione della sua classe dirigente.
 Ora in alcune città d'Italia, Roma, Palermo, Firenze, Napoli, Padova, Milano, Genova ecc., sono attivi ma non coordinati alcuni qualificati centri di formazione culturale. Importante è altresì il contributo prestato dalle case editrici d'area, dai torchi delle quali escono in continuazione testi utili al rinnovamento della cultura della destra.
 Su queste centrali incombe tuttavia il rischio, incombente dal basso soffitto dei mezzi economici oltre che dalle legittime gelosie, della riduzione dei centri vitali ad arcipelago di nobili nicchie non comunicanti a causa dell'assenza di finestre.
 Ci si augura pertanto che alcune personalità, dotate dell'autorità di Tommaso Romano (e di Roberto De Mattei, di Pucci Cipriani, di Roberto Dal Bosco, di Maria Guarini, di Elisabetta Frezza, di Alessandro Gnocchi, di Paolo Deotto ecc.), assumano un'iniziativa finalizzata al coordinamento delle attività propedeutiche alla fondazione di un movimento politico capace di uscire - finalmente - dalle lugubri e appiccicose ceneri della defunta destra.
 In questa prospettiva i saggi politologici di Romano sono da stimare quali preziosi, poietici incentivi al passo avanti che i centri della nuova cultura dovranno decidere in vista della rifondazione della politica.

Piero Vassallo

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