Mentre il nichilismo di Gorgia nel V secolo a. C. era
chiaro quello dei nostri contemporanei si compiace di nuvole retoriche, si
circonda di allusioni ed ammette implicitamente tesi contraddittorie.
Nicola
Petruzzellis
Dalla filosofia, una volta dentro, non si può più
uscirne; e negata una metafisica, si
diventa subito membri di un'altra congrega che della metafisica non vuole avere
le sembianze, ma che nella sostanza ne ha parimenti tutti i caratteri.
Giovanni
Chimirri
Chimirri
sostiene, infatti, che ove la vita dell'umanità non fosse segnata dalla
faticosa ricerca della verità e della tranquillità nell'ordine “non sarebbe
diversa da quella che conduce l'animale e il vegetale”.
Di conseguenza
Chimirri dimostra che l'ateismo si aggira intorno ad una negazione di stampo
nichilistico - “nessun senso c'è nella realtà”
- ossia di un rifiuto preconcetto “che fa il cane da guardia contro ogni
pretesa umana di possedere la verità, affossandola nell'abisso del nulla”.
L'essenza del nichilismo, sostiene Chimirri, “è la
persuasione che qualcosa che è possa diventare un nulla e che quindi
l'assoluto, l'origine, la verità, sia proprio il Divenire (=negazione
dell'essere eterno in tutte le sue forme e in ogni momento)”.
Al proposito è citato Emanuele Severino, il pensatore girotondista,
che ha definito il nichilismo come “la fede che gli essenti escano dal nulla
e vi ritornino”.
Chimirri dimostra che Severino ripropone
la dottrina dello gnostico Basilide, autore di una complicata teoria
emanazionistica, quasi una filastrocca, che pone il nulla all'origine del
cosmo, inteso quale non ente: “il non ente Dio creò
dal non ente un non ente mondo”.
Dall'imprigionante
e paradossale circolo del nichilismo la ragione può tuttavia uscire contemplando
nella realtà la radicale sconfessione dell'ipotesi nichilistica: “Nel mondo
il nulla non c'è, perché ovunque c'è qualcosa. Ecco una verità minima iniziale
dalla quale risalire poi alla fondazione del qualcosa e alla scoperta
dell'assoluto (=qualcosa che non può non essere, qualcosa che c'è sempre stato
e sempre sarà).
Il primo movimento che la ragione deve compiere per
attingere la verità è indirizzato al riconoscimento della coesistenza dell'uno
e del molteplice: “I molti non possono stare senza l'uno, ma lo
presuppongono, lo includono e ne derivano. … Il mondo è sì fatto di cose
molteplici, ma insieme partecipa dell'unità dell'essere, dell'essere in quanto
Uno, dell'Uno-Unico che è ciò da cui e per cui ogni cosa assolutamente è”.
L'indubitabile contingenza del mondo indirizza
il pensiero alla metafisica: “Se ci fermiamo al divenire del mondo senza
cercare un principio fuori del mondo, non potremo mai risolvere le sue
contraddizioni: e se tutto e proprio tutto fosse qualcosa di solamente mondano
e contingente, allora tutto sarebbe in divenire e per questo tutto sarebbe
sarebbe davvero contraddittorio perché compromesso radicalmente col nulla”.
Di qui la
confutazione dal nichilismo trionfante fra le righe disperate del pensiero
laico e di qui la necessità di riabilitare la metafisica e la fede nell'al di
là quali efficaci alternative alla notte del non senso: “Aveva ragione
Aristotele nel momento in cui identificava l'essere con la verità e il
non-essere con la falsità e la vuotezza di pensiero: oggi niente ha più (tanta)
verità, appunto perché tutto è svuotato di forza, necessità, sostanzialità,
essere. … Fra tutte le bestialità che l'uomo può dire, quella più stolta e
dannosa è la credenza che dopo questa vita non ve ne sia un'altra”.
L'uscita dall'incubo nichilista, strisciante fra i
piaceri, le dissipazioni e gli stordimenti offerti dal mercato moderno
dipende, infatti, dall'attitudine a riconoscere il fine eterno della vita
umana.
Piero Vassallo
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