lunedì 24 ottobre 2016

Un saggio di Giovanni Chimirri: Teologia del nichilismo

Mentre il nichilismo di Gorgia nel V secolo a. C. era chiaro quello dei nostri contemporanei si compiace di nuvole retoriche, si circonda di allusioni ed ammette implicitamente tesi  contraddittorie.
 Nicola Petruzzellis

Dalla filosofia, una volta dentro, non si può più uscirne;  e negata una metafisica, si diventa subito membri di un'altra congrega che della metafisica non vuole avere le sembianze, ma che nella sostanza ne ha parimenti tutti i caratteri.
 Giovanni Chimirri




La casa editrice Mimesi, attiva in Milano, propone Teologia del nichilismo, ampio e pregevole saggio di Giovanni Chimirri, un autore strenuamente impegnato nella interpretazione e nell'aggiornamento, scevro di oscurità ed ambiguità, delle verità filosofiche, che rafforzano l'argine elevato dal senso comune in vista della tranquillità nell'ordine.
 Chimirri sostiene, infatti, che ove la vita dell'umanità non fosse segnata dalla faticosa ricerca della verità e della tranquillità nell'ordine “non sarebbe diversa da quella che conduce l'animale e il vegetale”.
 Di conseguenza Chimirri dimostra che l'ateismo si aggira intorno ad una negazione di stampo nichilistico - “nessun senso c'è nella realtà” - ossia di un rifiuto preconcetto “che fa il cane da guardia contro ogni pretesa umana di possedere la verità, affossandola nell'abisso del nulla”.
 L'essenza del nichilismo, sostiene Chimirri, “è la persuasione che qualcosa che è possa diventare un nulla e che quindi l'assoluto, l'origine, la verità, sia proprio il Divenire (=negazione dell'essere eterno in tutte le sue forme e in ogni momento)”.
 Al proposito è citato Emanuele Severino, il pensatore girotondista, che ha definito il nichilismo come “la fede che gli essenti escano dal nulla e vi ritornino”.
 Chimirri dimostra che Severino ripropone la dottrina dello gnostico Basilide, autore di una complicata teoria emanazionistica, quasi una filastrocca, che pone il nulla all'origine del cosmo, inteso quale non ente: “il non ente Dio creò dal non ente un non ente mondo”.
 Dall'imprigionante e paradossale circolo del nichilismo la ragione può tuttavia uscire contemplando nella realtà la radicale sconfessione dell'ipotesi nichilistica: “Nel mondo il nulla non c'è, perché ovunque c'è qualcosa. Ecco una verità minima iniziale dalla quale risalire poi alla fondazione del qualcosa e alla scoperta dell'assoluto (=qualcosa che non può non essere, qualcosa che c'è sempre stato e sempre sarà).
 Il primo movimento che la ragione deve compiere per attingere la verità è indirizzato al riconoscimento della coesistenza dell'uno e del molteplice: “I molti non possono stare senza l'uno, ma lo presuppongono, lo includono e ne derivano. … Il mondo è sì fatto di cose molteplici, ma insieme partecipa dell'unità dell'essere, dell'essere in quanto Uno, dell'Uno-Unico che è ciò da cui e per cui ogni cosa assolutamente è”.
 L'indubitabile contingenza del mondo indirizza il pensiero alla metafisica: “Se ci fermiamo al divenire del mondo senza cercare un principio fuori del mondo, non potremo mai risolvere le sue contraddizioni: e se tutto e proprio tutto fosse qualcosa di solamente mondano e contingente, allora tutto sarebbe in divenire e per questo tutto sarebbe sarebbe davvero contraddittorio perché compromesso radicalmente col nulla”.
 Di qui la confutazione dal nichilismo trionfante fra le righe disperate del pensiero laico e di qui la necessità di riabilitare la metafisica e la fede nell'al di là quali efficaci alternative alla notte del non senso: “Aveva ragione Aristotele nel momento in cui identificava l'essere con la verità e il non-essere con la falsità e la vuotezza di pensiero: oggi niente ha più (tanta) verità, appunto perché tutto è svuotato di forza, necessità, sostanzialità, essere. … Fra tutte le bestialità che l'uomo può dire, quella più stolta e dannosa è la credenza che dopo questa vita non ve ne sia un'altra”.

 L'uscita dall'incubo nichilista, strisciante fra i piaceri, le dissipazioni e gli stordimenti offerti dal mercato moderno dipende, infatti, dall'attitudine a riconoscere il fine eterno della vita umana.

Piero Vassallo

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