giovedì 6 ottobre 2016

Continuità nella metamorfosi di un avanguardista nero

La crisi del capitalismo come sistema mette in luce la componente
 neocapitalistica del regime che fronteggia tale crisi operando in una
 ottica sostanzialmente antiborghese: il giovane Dossetti era
 rimasto più coinvolto in questa mentalità di quanto non abbia
 voluto ammettere in seguito.
 Pier Paolo Saleri

 Alla dimissione della cultura nera dalle prigioni e dai manicomi democratici, nei quali è segregata l'indicibile e detestata verità storica, contribuisce la diffusione di un ingente saggio del politologo Pier Paolo Saleri, L'influsso del democristiano Dossetti nell'elaborazione costituzionale, edito in questi giorni, a cura di don Ennio Innocenti, per le infaticabili edizioni della Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe.
 Saleri confuta la tesi dossettiana finalizzata alla minimizzazione della adesione al fascismo: “Dossetti era stato riconosciuto come un oratore tra i più efficaci e venne più volte incaricato di intervenire per sviluppare temi in linea con le parole d'ordine e gli obbiettivi del regime: temi come Originalità del Fascismo o Esperimento bolscevico e rinnovamento fascista”.
 Al proposito Salera rammenta che “come padre Gemelli, Dossetti ed i suoi amici, condividevano alcune posizioni del Fascismo più radicale. Credevano che lo stato individualista liberale fosse fallito, accettavano i princìpi dell'economia corporativa, ritenevano che il regime potesse venire scavato dall'interno e cristianizzato”.
 L'antifascismo di Dossetti ebbe (cauta) origine dall'avversione all'alleanza italiana con la Germania nazista e dal rifiuto delle leggi razziali.
 I segni premonitori della sconfitta italiana accrebbero la distanza di Dossetti dal Fascismo e l'otto settembre del 1943 lo indussero ad aderire alla comunità dei resistenti.
 Al proposito Dossetti scriveva: “Prima di tutto bisogna capire come sono entrato nella Resistenza. Ci sono entrato scivolando su un gradino dopo l'altro … Ho cominciato in paese. Ho ritrovato gli amici delle elementari – fatte a Cavriago – che erano nella Resistenza attiva, appartenenti al Partito comunista … Con quelli ho preso il mio contatto clandestino”.
 Nelle bande partigiane, Dossetti assume funzioni di comando e matura “decisioni molto gravi che potevano riguardare arresti di persone, pattuglie, colpi di mano”. Comanda squadre incaricate di eseguire omicidi e tuttavia si vanta (con sublime ipocrisia) di non aver mai fatto uso delle armi.
 Non è lontano dal vero l'opinione degli storici secondo i quali il partigiano Dossetti condivise e applicò la spietata legge sovietica intorno alla guerra civile.
 Saleri dimostra che “la fratellanza d'armi nella Resistenza segna e caratterizza in maniera determinante l'atteggiamento di Dossetti nei confronti dei comunisti. Sullo sfondo dei suoi rapporti con il Pci resta, infatti, sempre l'indimenticata esperienza comune della Resistenza, che Dossetti interpretava come il riconoscimento almeno implicito del valore supremo della persona umana, un valore che rendeva pur sempre in qualche modo possibile il dialogo, anche nei momenti più cupi dell'ultimo stalinismo”.
 Nel parlamento eletto per scrivere la costituzione repubblicana, Dossetti obbedisce a una logica, di stampo progressista, secondo cui “lo Stato non deve limitarsi ad amministrare e governare la società ma deve, piuttosto, darle forma, educarla, indurne ed informarne la crescita”. Salera sostiene pertanto che nelle intenzioni di Dossetti “riecheggia in qualche misura, depurato dell'aspetto militarista e totalitario, il mito della Grande proletaria capace di proporre una terza via alternativa tra capitalismo e comunismo, tra collettivismo e individualismo. Prende forma uno stato pedagogo che, in qualche misura, non può non assumere affinità con la concezione di Stato autoritario”.
 Un autorevole storico, Giorgio Campanini, opportunamente citato da Salera, ha dimostrato che l'ammirazione e la stima e la stima nutrite da Dossetti nei confronti dei comunisti resistette alla dura contrapposizione in atto tra Pci e Dc nel 1948. Una tale ostinazione, secondo Salera, manifesta la stretta dipendenza di Dossetti dalla filosofia di Jacques Maritain: “come in Humanisme Intégral il marxismo era giudicato un riconoscimento esatto della realtà storica, viziato da una falsa metafisica”.
 Dossetti e al suo seguito gli esponenti della sinistra democristiana, traevano alle conseguenze estreme – strutturalmente antitradizionali - le obiezioni al pensiero della borghesia illuminata, e perciò postulavano un nuovo, progressivo ordine sociale e politico.
 La più aspra critica che Salera indirizza al dossettismo e ai suo derivati democristiani, riguarda la curiosa pretesa di stabile quale evento fondante della Nazione italiana la Costituzione, “un duro colpo all'essenza stessa dell'identità popolare italiana. Identità che non nasce con la Costituzione ma si è invece costruita nei secoli. … La teoria dossettiana sulla Costituzione evento fondante porta infatti, come esito inevitabile, ad una concezione massificata della società, che riduce il popolo a massa e la persona ad individuo”.
 Si può affermare, in conclusione che, giusta l'analisi puntuale di Salera, la politica dei cattolici può uscire dalla cattività modernizzante/insignificante/alienante, riallacciando il nodo con la tradizione ossia spezzando il nodo avventizio, che vincola la cultura politica degli italiani ai pensieri esportati dai vincitori della seconda guerra mondiale. Il futuro della Patria inizia dall'uscita dalla fossa scavata in cui pullulano i bifidi errori del mondo moderno.

Piero Vassallo



il saggio di Pier Paolo Saleri può essere ordinato a fraternitasaurigarum@gmail.com

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