giovedì 9 luglio 2015

La memoria condivisa

 Severo/austero come conviene a un  discepolo del piissimo don Giuseppe Dossetti ma amabile come i buoni del libro Cuore, il presidente Sergio Mattarella ha concepito un disegno di unità patriottica fondata sulla memoria condivisa.
 Nel venerante rispetto, che si deve al rigore di una personalità integerrima, si pone tuttavia la impertinente domanda:  memoria condivisa da chi e su che cosa?
 La sfrontatezza è tentata di sospettare che il signor Presidente alluda alla metamorfosi delle otto tessere del Partito nazionale fascista (1936-1943)  intestate allo studente quindi dottore, onorevole e infine don Giuseppe Dossetti e trasformate grazie ad una ratta illuminazione nel glorioso certificato di immarcescibile fede antifascista.
 La miracolosa memoria di Giuseppe Dossetti e di tantissimi altri italiani mutati e convertiti dalla sconfitta militare,  nella tragica estate siciliana del 1943, è una solida fonte di patriottica e condivisa memoria? Mah, diceva Giovanni Volpe.
 Una canzone politica del dopoguerra recitava: siamo figli di un cupo tramonto. Quindi la condivisibile memoria contempla un cupo tramonto e la democratica conversione dei tramontati? Dossetti e la falange degli ideologicamente mutanti e ravveduti sono i preziosi oggetti della  memoria condivisibile?
 Espulso dalla memoria è il totalitarismo, ossia la faticosa ma pacifica ascesa delle plebi fascistizzate, la correzione della antica piramide sociale, gelosamente conservata dal liberalismo ottocentesco, il faticoso accesso del popolino alla cultura dei signori.
 Emblema della rivoluzione sociale attuata senza spargimento di sangue dal regime di Mussolini è il film Il signor Max, felice rappresentazione del confronto tra la vitalità della rinnovata, ascendente  cultura popolare e l'estenuata, grigia, crepuscolare sciccheria degli aristocratici slombati.
 E' obbligatorio credere tuttavia che gli italiani erano illusi e trascinati dall'oratoria di un duce urlante, e che la provvidenziale sconfitta militare li ha illuminati e redenti.
 Nell'evidenza della guerra perduta si seppe che gli alleati, anglo-americani e sovietici, erano i nostri liberatori e salvatori. Preambolo alla condivisione della memoria italiana è pertanto l'inappellabile giudizio sulle buone e sacrosante ragioni pedagogiche di Winston Churchill, di Giuseppe Stalin e di Franklin Delano Roosevelt.
 Sulla malvagità delle dittature di stampo fascista il moralismo non consente il minimo dubbio. Da tale punto di vista la sentenza è indeclinabile: siamo stati stregati da una retorica fatua e trascinati in una guerra assurda.
 Se non che nel nascosto e censurato margine della memoria giacciono alcune verità non  facilmente compatibili con la pia e indiscussa leggenda dei redentori democratici e comunisti.
 Nell'agosto del 1939, ad esempio, mons. Valerio Valeri, nunzio  cattolico nella democratica Francia, chiese ed ottenne udienza dal ministro degli esteri Georges Bonnet, al quale manifestò la preoccupazione destata in Pio XII dai rumori di guerra. Nel primo volume degli Atti della Santa Sede durante la seconda guerra mondiale (pubblicati per volontà di Paolo VI) si legge che il nunzio domandò al ministro degli esteri francesi quali provvedimenti il suo governo pensava di attuare per scongiurare il pericolo di una seconda guerra mondiale. E che Bonnet rispose: Abbiamo affidato alla buona volontà dei polacchi la difesa della pace. Nella relazione alla Santa Sede, Valeri scrisse: ho detto al ministro che una tale scelta tradisce la volontà francese di scatenare una guerra e dal suo imbarazzato silenzio ho capito che tale è l'intenzione dei francesi.
 La conoscenza e il senno del poi dicono che la Germania di Hitler, durante la guerra, commise orrendi delitti. La malvagità della Germania hitleriana è quindi fuori discussione. Ma la guerra francese era giusta? Non si può negare seriamente che i francesi, convinti di godere di una schiacciante superiorità militare, desideravano arrivare a una resa dei conti con la Germania.
 Vero  è che il generale Maurice Gamelin, nel dicembre del 1939, dichiarava che avrebbe pagato un miliardo pur di ottenere un attacco tedesco. Il fatto nascosto alla memoria condivisa è che nel 1939 la riforma fascista dell'economia (e non l'efficiente e feroce esercito germanico) riscuoteva l'ammirazione dei popoli europei e di molte nazioni extra europee. Solamente una guerra poteva impedire il successo internazionale del modello italiano.
 L'infelice variante nazista e la rozza gestione della controversia su Danzica furono occasioni offerte alle democrazie occidentali altrimenti spiazzate da una pace sfavorevole al loro sistema.
 L'intenzione dei governi democratici di Francia e Inghilterra era trascinare la Germania in una guerra fatale. Un grande storico inglese, Alan John Percival Taylor (1906-1990) nel saggio intitolato Le origini della seconda guerra mondiale, edito in Italia da La Terza nel 1961, ha dimostrato, che la richiesta tedesca di un corridoio per Danzica era legittima e per nulla sconveniente ai polacchi.  
 D'altra parte sono misteriosi i comportamenti dei governi democratici durante la sciagurata aggressione tedesca della Polonia: Francia e Inghilterra dichiararono guerra alla Germania ma evitarono con cura di intervenire a difesa dei polacchi.
 Singolare e altamente sospetta è anche la mancata dichiarazione di guerra all'Urss, alleata della Germania di Hitler, che invase la Polonia da est e occupò, in base a un accordo con i tedeschi, le repubbliche baltiche. 
 La memoria condivisa dovrebbe contemplare un Mussolini titubante. Renzo De Felice ha rammentato, ad esempio, che il duce consigliò a Hitler di tentare la via della pace al fine di evitare il probabile, fatale intervento dell'America a sostegno di Francia e Inghilterra.
 Finora sconosciuto è il motivo che decise Mussolini al disgraziato intervento nella seconda guerra mondiale. Certo è che la infelice decisione di dichiarare guerra ai franco-inglesi non fu un colpo di testa del duce, ma una decisione maturata durante un consiglio della corona, al quale, insieme con Vittorio Emanuele III, partecipavano Mussolini, il maresciallo Pietro Badoglio e i capi di stato maggiore di esercito, marina e aviazione.
 Poteva l'Italia imitare la Spagna franchista e scegliere la neutralità, seguendo il consiglio di Pio XII?
 E' stata divulgato il testo della accorata, affettuosa lettera indirizzata da papa Pacelli a Mussolini per invocare la neutralità dell'Italia, sconosciuta è la risposta di Mussolini.
 Ad ogni modo è probabile che in futuro i documenti sequestrati a Mussolini a Dongo svelino le ragioni ultime dell'intervento italiano nella seconda guerra mondiale.
 A tutt'oggi si conosce tuttavia la relazione sulle attività vessatorie compiute da inglesi e francesi per recare grave danno all'Italia, documento redatto nel febbraio del 1940 dell'ambasciatore Luca Pietromarchi
 Si dovrebbe pertanto riconoscere che la memoria condivisa è altro da memoria conforme alla vulgata dei vincitori e dei loro collaboratori. Una memoria appiattita sull'opinione degli alleati e dei loro tardivi partigiani potrebbe essere condivisa solamente quando fosse giustificata la perfetta ignoranza o la rigida censura delle gravi responsabilità dei franco-britannici.


Piero Vassallo

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