mercoledì 10 settembre 2014

L'omicidio di Gentile, l'eclissi dell'amor di Patria

La ghirlanda cosmopolita dei mandanti

L'omicidio di Gentile, l'eclissi dell'amor di Patria


 La lettura del ponderoso saggio di Luciano Mecacci, "La ghirlanda fiorentina e la morte di Giovanni Gentile", edito nel corrente anno da Adelphi in Milano, introduce alla conoscenza dei pensieri anti-italiani coltivati dagli intellettuali - comunisti fanatici, schizzinosi azionisti e cattolici deragliati - che istigarono e armarono gli assassini gappisti (Bruno Fanciullacci e Giuseppe Maritini) del filosofo, il cui pensiero aveva donato nobili ali al patriottismo.
 La finalità anti-italiana dell'omicidio appare evidente non appena si leggono gli inviti all'amor di Patria e alla moderazione indirizzati ai militanti nel partito fascista repubblicano, scritti da Gentile e pubblicati nel "Corriere della sera" e nella rivista fiorentina "Italia e civiltà" [1].
 E' peraltro probabile che Mussolini, durante l'incontro avvenuto a Gardone Riviera, il 17 novembre del 1943, abbia confidato a Gentile di aver aderito alla pressante richiesta di fondare una repubblica alleata della Germania, disarmato dalla minaccia, ventilata da Hitler, di polonizzare l'Italia in caso di un suo rifiuto.
 Sono infatti da escludere sia l'intenzione di Mussolini di continuare un'attività politica giudicata conclusa il 25 luglio (come risulta chiaramente dalle lettere indirizzate alla sorella Edvige) sia l'incondizionata adesione di Gentile a un progetto che contemplava la subordinazione dell'Italia alla Germania nazista.
 Certo è che Gentile, quasi per manifestare l'angoscia prodotta dalla rivelazione dell'oscuro retroscena, uscì in lacrime dalla sala in cui avvenne l'incontro con il duce e annunciò di aderire al progetto della Repubblica sociale inteso alla salvezza della Patria.
 Il nobile e forse irrealizzabile progetto, concepito da Gentile a seguito dell'incontro con Mussolini, era la pacificazione nazionale: "lo scopo scrive Renzo De Felice, opportunamente citato da Mecacci, era di non rompere il tessuto morale del paese e di evitare o contenere la guerra civile. Un obiettivo difficile, come è facile immaginare, che forse, per il filosofo fu la vera ragione della sua uccisione: l'eventualità che l'idea di una pacificazione nazionale potesse trovale terreno fertile fra i giovani, al Nord come al Sud, preoccupava sommamente una parte dei vertici della resistenza, soprattutto i comunisti".".
 Lo scrittore Enrico Sacchetti, che incontrò Gentile poco prima dell'attentato, rammenta che il sorriso di Gentile "aveva una grande forza: la forza che ha uno spirito indulgente e conciliativo o persuasivo: la grande forza di Gentile".
 La condanna a morte di Gentile, non per caso, fu decisa dai fautori della guerra civile, radunati nel fronte antitaliano, costituito dal partito comunista (internazionalista), dal partito d'azione (arnese al servizio della qualunque politica inglese) e dal partito democristiano, anomala fazione costituita da modernizzanti infatuati dalla cultura anticattolica.
 La sentenza che condannava Gentile fu sottoscritto dal comunista Girolamo Li Causi, che in calce a un articolo di Concetto Marchesi dichiarò: "Per i manutengoli del tedesco invasore e dei suoi scherani fascisti, senatore Gentile, la giustizia del popolo ha emesso la sentenza: Morte!"
 Se non che dietro il tribunale del popolo italiano si intravede il potere dello straniero. A proposito della pista inglese Mecacci cita opportunamente un testo di Renzo De Felice in cui si afferma risolutamente: "La morte di Gentile fu preceduta da una sequenza di furibondi attacchi del colonnello Stevens da Radio Londra. Che l'idea sia venuta fuori d'Italia? Benedetto Gentile, il figlio, fin da allora ha dato credito all'ipotesi che il delitto sia stato suggerito dai servizi segreti inglesi. Erano tempi in cui bastava una parolina ben detta..."
 Senza ombra di dubbio, gli esecutori dell'attentato a Gentile furono proletari militanti del partito comunista. Ma il disegno criminale fu concepito da intellettuali appartenenti alla borghesia illuminata e alla Firenze filo-inglese.
 Sergio Romano al proposito ha affermato "che si trattò di un affare tra intellettuali. Credevo che il Gap di Fanciullacci avesse colpito Gentile per una sorta di frenetico attivismo rivoluzionario e scopro invece che alla preparazione dell'attentato collaborarono, direttamente o indirettamente, un esponente della borghesia industriale [Sanguinetti], una studentessa di filosofia [Mattei] e uno dei maggiori studiosi dell'antichità classica [Bianche Bandinelli"].
 Di qui il tagliente giudizio di Mecacci sui mandanti del delitto: "Salta all'occhio la differenza di classe e di stile tra Fanciullacci rispetto agli intellettuali di quell'esecuzione furono i mandanti: umile il primo ma audace fino alla morte; raffinati i secondi, ma pavidi al punto di non osare mai accennare pubblicamente al ruolo svolto in quell'aprile del 1944".
 Peraltro Mecacci non esclude che, per gli inglesi, la conseguenza dell'assassinio di Gentile costituisse un vantaggio per la futura sfera d'influenza politica ed economica della Gran Bretagna sull'Italia. A sostegno di una tale ipotesi, nel suo libro, sono citati numerosi indizi a carico della borghesia illuminata. La storia del musicista ucraino Igor Markevitch (1912-1983) ad esempio: frequentatore e ospite di influenti ed eletti protagonisti del movimenti anti-italiano, quali Sir Harold Acton e Bernard Berenson, era in contatto con i servizi segreti anglo-americani e con autorevoli esponenti della resistenza fiorentina, quali Cesare Luporini, Romano Bilenchi, e Ranuccio Bianchi Bandinelli.
 Inquietante è la complicità con gli autori del delitto di Teresa Mattei, una studentessa di filosofia, figlia di un antifascista fiorentino amico di Ferruccio Parri e di Piero Calamandrei.
 La Mattei, in quel tempo confidente del partigiano & omosessuale Aldo Braibanti, confesserà senza ritegno la sua parte nel delitto: "Per fare in modo che i gappisti incaricati dell'agguato potessero riconoscere Gentile, alcuni giorni prima li accompagnai presso l'Accademia d'Italia, che lui dirigeva. Mentre usciva lo indicai ai partigiani, poi lui mi scorse e mi salutò... Poco dopo procurai a Fanciullacci anche delle fotografie del filosofo. Le ottenni con una scusa da Lavinia Mazzucchetti, che era collaboratrice della casa editrice Sansoni ed era amica del figlio di Gentile ... Lei non me lo perdonò: dopo l'attentato mi disse: siete voi che l'avete ammazzato".
 Il libro di Mecacci offre l'opportunità di riflettere su una pagina di storia diventata oggetto della manipolazione intesa a perpetuare la divisione fra gli italiani buoni (i virtuosi eredi dei liberatori) e i cattivi promotori della pacificazione nazionale. Una discriminazione da cui discende l'immaginaria autorità morale attribuita ai comunisti e ai loro sciocchi caudatari.

Piero Vassallo







[1]             Al settimanale "Italia e Civiltà" pubblicato in Firenze tra il gennaio e il giugno del 1944, collaborarono Giotto Dainelli, Roberto Paribeni, Arrigo Serpieri, Ardengo Soffici e Giovanni Spadolini. Nel 1971 l'editore Giovanni Volpe pubblicò un'antologia degli scritti pubblicati nella rivista fiorentina.

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