sabato 1 aprile 2017

Dalla destra "strangosciata" al partito in guerra contro l'insignificanza

Strangosciata si lascia ivi cadere”.
Clemente Pucciarini citato da Giovanni Testori


Alla fine degli anni Ottanta, durante un convegno di studi organizzato a Casa Mastella (in provincia di Lecce), dall'autorevole Adriana Poli Bortone, Giano Accame intervenne per denunciare la strutturale insignificanza del Msi di stampo almirantiano e prevedere l'indirizzo al fallimento della segreteria dell'erede Gian Franco Fini.
Promosso da Donna Assunta, il delfino di Giorgio Almirante, secondo la lucida previsione di Giano Accame, era destinato ad attuare la banalizzazione della retorica sussurrata teatralmente dal c. d. capocomico, politico marginalizzato ma oratore instancabile.
Parlatore alluvionale, Almirante respingeva tuttavia la tentazione di emanare il vaniloquio inoffensivo e servile, usato da Fini quale lasciapassare richiesto ai candidati all'entrata nel palazzo del potere antifascista, trionfante intorno all'innaturale e labile alleanza catto-comunista.
Refrattario al comiziale gemito almirantiano, Accame, in sintonia con il senatore Carlo Costamagna, suo maestro, sosteneva, con solidi e persuasivi argomenti, la urgente necessità di vitalizzare, ringiovanire e aggiornare la cultura nostalgica, in vana e sterile circolazione nell'ambiente missino
Il lucido progetto di Accame contemplava il risultato che si sarebbe potuto ottenere promuovendo una seria e pacata riflessione sui ragionamenti a futura memoria, circolanti negli ambulacri del fascismo repubblicano, assediato dalla soverchiante potenza nemica e tuttavia capace di proporre riforme sociali rese inattuabili, non confutate, da una guerra indirizzata all'epilogo infelice e sanguinario dell'aprile del 1945.
Purtroppo le corte radici della cultura finiana si rovesciarono e si rinsecchirono nel progetto di attuare l'unione ipostatica del vaniloquio fascistottardo con l'apertura ai pensieri di ruvido stampo antifascista.
La ristrettezza – l'angustia - mentale di Fini è stata, peraltro, confermata dall'uso bizzarro e catastrofico del biglietto d'ingresso nella politica propriamente detta, biglietto, che gli era stato (incautamente) consegnato da Silvio Berlusconi.
La desistenza capriolesca di Fini ha causato la retrocessione della destra italiana e la sua caduta – a dir meglio meglio il suo bizzarro e indecoroso scivolamento – nel carnasciale politico, messo in scena dal pittoresco e chiacchierato club dei Tulliani.
All'intrepida Carla Meloni, erede (si spera) dissenziente da Fini e soci, adesso compete l'arduo compito di restaurare il rottamato edificio di un partito, che è disceso nella terza, denutrita e quasi insignificante fila della affannata e diseguale destra italiana.
L'onorevole Meloni potrebbe continuare, in uno scenario del tutto inedito, la politica realistica attuata felicemente, negli anni Cinquanta, dall'allora segretario del Movimento sociale italiano, il sagace e intrepido onorevole Arturo Michelini e dai suoi dotti consiglieri, l'onorevole Ernesto De Marzio e il senatore Carlo Costamagna.
Un compito arduo, dal momento che la pur brava e animosa Meloni non può far conto sul sostegno di una classe dirigente di profilo alto, ossia paragonabile a quella (in larga misura ereditata dal ventennio fascista) che sostenne il segretario Michelini.

E' certo, ad ogni modo, che l'esistenza di un centro destra, finalmente indenne dall'incapacitante contagio liberalista, dipende dal potere che (si spera) sarà conferito dagli elettori alla combattiva onorevole Meloni.

Piero Vassallo
   

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