mercoledì 19 aprile 2017

APOLOGO (di Piero Nicola)

  C'era una volta Insula, un paese di antica civiltà, il cui popolo si era stancato delle tradizioni per amore di innovazione e di progresso. Alcuni gruppi di differenti benefattori, deposto il re Arturo, avevano unanimemente proposto ai cittadini insuliti la corona regale. Entusiasti di cingersene, essi avevano applaudito all'evoluta istituzione. E siccome la sovranità collettiva era materialmente impossibile da esercitare, si convenne di delegarne le funzioni legislative e governative - secondo democrazia - a gruppi di eletti dalla maggioranza dei sovrani. Gli eletti, riconoscenti, fecero leggi liberali e magnanime, che davano le più ampie libertà, i più larghi diritti agli elettori. Acconsentendo alla liberalità già attuata dagli altri paesi amici, si mise la benevolenza al primo posto, attribuendo a tutti gli uomini bisognosi il diritto d'essere soccorsi e accolti a braccia aperte, a prescindere dai loro usi e costumi. Infatti il consesso delle nazioni onorava al più alto grado il pacifico e generoso principio di uguaglianza delle genti.
  Non c'era quasi abitante di Insulia che non fosse sensibile alla universale solidarietà. Regioni, città e villaggi insuliti erano gelosi della loro storia e perfino campanilisti. Essi vantavano coloro che avevano dato lustro alle loro terre, rivaleggiavano tra loro e con ogni contrada del mondo gloriandosi dei monumenti posseduti, soprattutto non avrebbero mai rinunciato alla salvaguardia dei piatti prelibati della cucina locale. Ma tutto questo non impediva che amassero lo straniero avente preso dimora presso di loro. E se talvolta un cattivo impulso li faceva disprezzare certi africani o asiatici, che per qualche motivo davano noia, la loro coscienza li ammoniva tormentandoli finché si fossero pentiti. Dunque gli insuliti finivano per compiacersi dell'ospitalità fornita a turbe d'ogni provenienza, le quali intendevano rifarsi una vita in Insula; benché tale sacra accoglienza costasse denaro pubblico e sacrifici.
  Il venerato Capo della religione predicava il merito e il dovere di accogliere i poveretti; diceva che erano profughi in fuga da guerre e carestie, e che  nessuno doveva guardare per il sottile discriminando gli abusivi e cercando parassiti da espellere, perché simile egoismo era contrario tanto alla religiosità quanto all'umana giustizia, soprattutto offendeva il dio universale, il dio d'amore.
  Gli emigranti, che apparivano in cerca d'un paese dove stare meglio, si dirigevano verso le rive di Insula, dove sembrava avrebbero trovato il loro sollievo. Si ammassavano sulla sponda del mare dirimpetto a quella dell'approdo desiderato. Le altre nazioni, ugualmente umanitarie, opponevano legali difficoltà all'ingresso degli emigranti o si giustificavano con la loro posizione lontana per non riceverli. Essi si imbarcavano su zattere in balia degli elementi, sicché molti perivano già vicino al luogo di partenza. Le autorità mondiali, preoccupate della loro sorte, avevano allestito un sistema di soccorsi, sostenuto anzitutto da Insula. La flotta militare insulita si prodigava andando a prendere i naufraghi e quelli in procinto di naufragare, sino alle coste da cui prendevano il largo. Anche le navi mercantili di passaggio raccoglievano i disperati, poi trasferiti nei soliti approdi di destinazione.
  Ma non solo i paesi restii ed egoisti ubbidivano al germe del male, non ancora debellato nell'uomo della felice era dell'amore, circolavano sulle croste terrestri dei soggetti malefici che si davano a nascondere le realtà: dei malnati compivano nequizie e altri si ingrassavano coi traffici attinenti alle nefandezze.
  I governanti di Insula non potevano ignorare le malefatte, ma avendo una coscienza democratica evitavano di turbare la felicità dei loro sovrani e il loro buon cuore. Nondimeno il sacrosanto Capo del Tempio dei templi tralasciava le vecchie norme della legge morale, che aveva mortificato lo spirito; egli faceva appello all'idealismo del divino bene, che non s'impaccia di regole di legulei. Perciò non si curava di conoscere i crimini dei trafficanti d'uomini e il mezzo con cui si sarebbero evitati le loro morti per stenti e annegamenti. Egli e il suo dio erano superiori al fatto che bande di negrieri facessero la tratta di moltitudini con percentuali di poveri, di temerari, di malviventi, irretiti sfruttandone le mire più o meno oneste e fantasiose, o maliziose. Il grande uomo pio per il suo dio evitava di indagare chi pagasse le spese dei viaggi e di considerare gli illeciti guadagni delle società addette alla cura degli arrivati sul suolo insulita. Egli non badava al fatto che incoraggiare le traversate significava contribuire alla morte e alle pene dei trasportati sulle zattere, mentre il dichiarato rifiuto di riceverli avrebbe fatto cessare lo scempio, nonché lo sfruttamento, da tempo in atto, dei nuovi arrivati da parte di individui senza scrupoli. Egli e il suo dio confidavano giustamente che il miscuglio di genti ancora da mettere in pari con la religione evoluta e purificata non creassero dissidi e perdite, ma meritassero la concordia e la collaborazione più augurabile.
  Alcuni insuliti, i più retrogradi e attaccati ai formalismi, erano irrispettosi increduli del buon fine. Nutrivano diffidenza verso l'ineffabile spiritualismo predicato, la cui amorevolezza annullava la legge, pur dovendo sussistere leggi per la pratica della vita sociale. I retrivi sospettavano che quella dottrina servisse ai furfanti dando loro libero campo, e che un dio d'amore soltanto, andasse bene per costruzioni eteree, non aventi nulla a che fare con l'umana creatura. Sulle loro labbra blasfeme spuntava il termine di "dio nichilista".
  Alla fine, i minuti re insuliti si persero nell'amalgama dell'eterogeneo mondo cosmopolita, venutosi a creare sotto le sue torri vetuste, tra i palazzi dei padri e degli antenati. Con loro grande meraviglia, i superstiti autoctoni godettero della stupefacente sensazione d'essere stranieri in patria, avendo ceduto la corona e le avite opere pubbliche ai sopravvenuti che, simili alle fazioni politiche, erano ben poco cambiati, ben poco uniti dalla concordia. I residui insuliti furono liberi da qualsiasi responsabilità. I migliori credenti, generosi e serafici, si affrancarono dal tetto e dalla cucina. L'abbandonata mensa degli stranieri indigenti, i loro ricoveri dismessi, divennero la loro mensa, i loro ricoveri. Ma un angelo messaggero si presentò sulle soglie dei molto buoni, e li sorprese mostrando un bando del Signore dei cieli, che diceva: "I vostri vizietti non saranno perdonati. Scrutate i vostri cuori e fate penitenza, altrimenti la porta del Paradiso sarà chiusa per voi".

  L'ultimo Capo del Tempio dei templi, fedele al suo dio, affacciandosi dalla santa dimora rimodernata, proseguiva a rilasciare sermoni per tutti edificanti, ineccepibili.

Piero Nicola 

1 commento:

  1. eccellente, tagliente e (purtroppo) veritiero scritto di Piero Nicola. a volte mi chiedo da quale parte è schierato il potere vaticanista
    il rispetto che si deve ai capi di stato mi impedisce di esprimere il giudizio su Bergoglio
    in sede storica oso dire (tuttavia) che la storia contempla pontefici migliori

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