lunedì 8 giugno 2015

LA CHIESA NELLA STORIA CONTEMPORANEA (di Costantino Marco)

Spesso ci chiediamo quale possa ancora essere la funzione della Chiesa nel mondo contemporaneo. Domanda apparentemente inutile in una prospettiva di fede escatologica. Ma in un mondo che va perdendo del tutto consapevolezza dei fondamenti religiosi della vita,anche la Chiesa pare adattarsi a un ruolo di contenimento della decadenza epocale, senza sapersi porre al centro di una pur necessaria rinascita spirituale. Perché questo ruolo dimesso?
Tra le tante possibili ragioni, a noi pare si possano indicare almeno tre di pregnante significatività.
La prima, riguarda la presa di coscienza dell’apocalissi che si va profilando della nostra civiltà tecnologica. Vi è infatti un doppio registro intellettuale che per un verso reclamizza la speranza ineludibile di un mondo migliore per tutti, a condizione di che esso adotti lo stile di vita occidentale, e per l’altro verso denuncia i limiti strutturali di una società in crisi culturale. La Chiesa, dopo il Sillabo di Pio IX, non ha preso una posizione di chiara rottura col mondo contemporaneo, limitandosi a combattere il modernismo ovvero a volerlo addomesticare entro le sue categorie teologiche, ma senza riuscire a screditarlo moralmente nei suoi fondamenti di vita in quanto consapevole di essere stato generato dalla sua teologia. Sarebbe penoso per la Chiesa riconoscere che tutte le devianze culturali del mondo moderno è stata lei a covarle. Eppure questo sarebbe il compito di una Chiesa profetica non abbandonata alla gloria e alla nequizia del mondo. Ciò che Gesù predicò contro i Farisei e Lutero contro la corruzione ecclesiastica, la Chiesa oggi dovrebbe predicare contro una società senza valori fondamentali e in balia delle lusinghe edonistiche. Il che equivarrebbe a scontrarsi contro le potenze terrene e gli utili compromessi di una comoda mondanità. La Chiesa infatti destina la sua predicazione radicale alle zone del mondo non ancora culturalmente ateistiche e socialmente strutturate in senso capitalistico, ma mostra una ingiustificabile timidezza a sostenere i suoi temi morali nelle società capitalisticamente avanzate e di cultura secolarizzata.
Questo non si può spiegare se non riscontrando nella Chiesa una profonda quanto inconfessata dipendenza culturale dalle ideologie correnti, sostanzialmente materialistiche e scientistiche, derivatele da ciò che possiamo chiamare la “sindrome galileiana”, ossia la paura di poter ancora essere clamorosamente smentita scientificamente in merito alle sue posizioni teologiche e sociologiche, che l’ha indotta a una prudente ridotta intellettuale in cui si è rifugiata nel vago proposito di suggerire senza troppo alzare la voce per non urtare la suscettibilità dei sapienti secolari e dei politici. Aveva ben visto Ortega quando vedeva nella auto-referenzialità della cultura religiosa contemporanea una sorta di enclave antropologico-culturale, vivace all’interno della riserva ecclesiale ma del tutto incomprensibile fuori. Lo spirito settario, infatti, nasce dalla consapevolezza di non comunicare con lo stesso linguaggio del mondo, sicché quella che doveva essere la forza morale del Cristianesimo ne è diventato il limite culturale. In tal senso, senza un profondo ripensamento della tradizione teologica che ha formato le categorie di pensiero moderne, la Chiesa non potrà uscire dalla sua crisi né tampoco contribuire a risolvere la crisi generale del tempo.
La seconda ragione attiene all’organizzazione ecclesiastica e il reclutamento del clero. La tradizionale differenza tra alto e basso clero è di fatto scomparsa con la massificazione della società democratica, per cui le alte gerarchie ecclesiastiche sono spesso composte della stessa pasta culturale e sociale della pletora parrocchiana. L’incuria della Chiesa alla formazione intellettuale del clero è doppiamente colpevole in un tempo di complessivo sbandamento morale e culturale, facendo di esso una copia sbiadita dell’ intellettualità della scuola laica di massa. La formazione del clero, di contro, è essenziale per più ragioni. A partire dalla necessità di proporre modelli culturali non solo formalmente alternativi a quelli scientistici correnti e dominanti ma in grado di interpretare con maggiore consapevolezza la complessità del nostro tempo. In tal senso, la teologia non può essere considerata una scienza fra tante, un sapere semplicemente metodizzato, ma deve costituire il fondamento sapienziale di ogni sapere. Un fondamento che, per essere alternativo a quello scientifico corrente, non può più essere filosofico in senso greco e razionalistico, ma prettamente anti-filosofico e post-metafisico.
Un tale progetto teoretico, se da un lato costruisce in termini non meramente polemici e ideologici una alternativa culturale al corso catastrofico corrente del mondo, dall’altro consente all’intera tradizione cristologica occidentale di ritrovare la sua perduta unità nel progetto profetico di una assiologia spiritualistica non più gravata dell’ipoteca esegetica greco-alessandrina ma aperta a un nuovo orizzonte ermeneutico al quale sono chiamati a collaborare cattolicamente tutti i pensatori e i mistici cristiani.
La dipendenza intellettuale alla cultura scientistica dominante in Occidente si manifesta anche nella supina e rassegata accettazione delle istituzioni politiche e del sistema di mercato capitalistico, conseguente al timore che la critica a quei sistemi possa agevolare indirettamente le varie teologie della liberazione, improntate a una lettura marxistica della storia e della società moderna. Lo stesso equivoco di un marxismo anti-capitalistico, si è manifestato per lungo tempo nella falsa credenza che il socialismo rappresentasse l’unica alternativa politico-culturale al sistema liberal-democratico, mentre di esso costituiva solo una variante concorrente all’interno dello stesso generico orizzonte democratico, di cui l’altra espressione storica è stato il fascismo.
La lotta ideologico-politica tra liberalismo, socialismo e fascismo non inficia la comune natura democratica dei loro sistemi, improntati alla legittimazione popolare del Potere sovrano, né la loro comune cultura tecnocratica, misurabile dal grado di industrializzazione dell’economia e dal livelli di benessere sociale dei produttori-consumatori. Per sortire da questo orizzonte epocale, non a caso universalizzabile in quanto i regimi speciali possono convertirsi nel modello storicamente dominante, è necessario non soltanto ammettere la possibilità ontologica della trasformazione di un modello socio-economico storicamente altro in uno simile al modello ideale, senza comprometterne la struttura fondamentale della comune appartenenza alla stessa Weltanschauung di genere democratico e tecnocratico, comprendendo che l’universalizzazione del modello socialista o comunista o fascista di società è comunque legato, al di là delle rispettive specificità particolari, a una stessa matrice ideologica, ma occorre soprattutto e decisivamente ripensare l’esistenza storica dell’uomo moderno attraverso categorie diverse da quelle razionalistiche della tradizione teologico-politica sviluppatasi sul terreno greco-occidentale, al fine di pervenire a una nuova concezione antropologica di tipo spiritualistico cristiano che riconosca l’apostasia idolatrica della sovranità popolare assisa in luogo della regalità di Dio. Senza una nuova concezione spiritualistica della storia, basata su una rinnovata esegesi della predicazione evangelica e della esperienza del Cristo, che riconosca nei tempi presenti “l’apocalisse dell’uomo dell’anomia” (Paolo, 2 Ts, 2, 4), l’intera tradizione cristologica delle varie chiese cristiane apparirà sempre più inevitabilmente storicizzata e consegnata perciò a versioni locali culturalmente superate dallo sviluppo del sapere custodito da quella stessa tradizione.
Finora la Chiesa cattolica si è limitata a dialogare con i prodotti secolari della modernità, confutando teorie, sottoscrivendo concordati con alcuni regimi politici, lottando apertamente contro altri. In tutti i casi, però, il successo storico contro i singoli regimi ideologici ha lasciato aperto il problema fondamentale del superamento, non dialettico ma ontologico, dei fondamenti di sapere che sono all’origine dei processi politico-culturali che li hanno generati. Fondamenti che sono fideistici, e quindi in senso lato religiosi. A questo proposito, formare un alto clero in grado di promuovere o guidare la formazione di una rinnovata visione spiritualistica del mondo, equivale nello stesso tempo a sostenere, con lo sviluppo del sapere, anche la formazione di una nuova classe dirigente in grado di socialmente interpretarlo. In questo progetto la Chiesa unificata può trovare la sua ragion d’essere storica e spirituale.
La terza ragione, infine, inerisce alla credibilità morale della Chiesa attuale nel promuover un nuovo corso storico dell’umanità. Il ritiro di Papa Ratzinger dalla missione apostolica non è stato un segnale incoraggiante in senso positivo. Il nuovo pontefice, pur animato di tanta buona volontà, non pare all’altezza dei compiti ecclesiali, prima fra tutti tamponare le falle lasciate dall’improvvido Concilio Vaticano II, che ha segnato la fine della attempata Chiesa tridentina ma non l’esordio della nuova. In questa terra di mezzo, Bergoglio annaspa come può, ma la sua pastorale da sommo parroco della Chiesa universale rattoppa qualche strappo ma non può ricucire il vestito. I Gesuiti possono difendere l’esistente ma non si sono costituiti per guidare un esodo di massa attraverso il deserto spirituale contemporaneo. Alla bisogna occorrono i profeti, e non se ne vedono tanti tra le fila dei caramellosi prelati di curia romana. I profeti sorgono nelle epoche tragiche, dai contrasti che sembrano irriducibili e si rivelano provvidenziali.
Oggi la Chiesa punta ad intercettare le istanze di progresso dei popoli delle società in via di sviluppo, contando sugli ultimi per derimere i primi e accreditando così indirettamente le culture democraticistiche della sovranità popolare, in cui vanno a confluire le buone intenzioni dei santi predicatori missionari. Bergoglio stesso, con i suoi atteggiamenti camerateschi, accredita la supposizione che le greggi umane non abbiano bisogno di pastori per vivere e moltiplicarsi, e che sappiano autogestirsi senz’altro, e che lo stesso Papa in fin dei conti sia uno di loro, un primus inter pares, magari onnipotente in Vaticano ma che poi, pour épater le bourgiois, accetta di telefonare e dialogare amichevolmente con un giornalista sulle grandi questioni teologiche, di cui probabilmente entrambi ignorano la vera portata e perciò serenamente pascendosi in amene disquisizioni a uso redazionale. Contenti loro, contenti noi.  Mala tempora currunt!
Indubbiamente, era difficile succedere a Woytila. Ma anche inevitabile perseguire sulla sua strada una volta imboccato quel percorso, che esonerava, dopo la chiesa italiana, anche quella europea dalla direzione della Chiesa universale. Mossa gravida di conseguenze, dando l’impressione della impraticabilità evangelica del Vecchio continente e quindi accreditando il suo declino a favore degli eredi americani della civiltà occidentale e la sua irredimibile perdita alla fede cristiana, allorquando gli Stati Uniti, fallendo la loro politica in Medioriente, nel Mediterraneo e verso la Russia, dimostrano di non meritare la leadership mondiale, mentre si profila anche all’orizzonte continentale la prospettiva di una massiccia espansione islamica. Ma anche errore gravissimo, in quanto le comunità ecclesiali più antiche sono anche quelle dove la spiritualità è più sedimentata e consapevole, in grado di esprimere in forme nuove e rinnovate valori antichi. L’esperienza di Woytila ne è stata l’ulteriore dimostrazione, anche se confondere la santità con il governo della Chiesa è come consentire a Cincinnato di diventare re di Roma. Infatti, l’eroismo che serve in battaglia non vale nelle virtù prudenziali. Per ispirare la Chiesa occorrono santi e profeti, ma per guidarla ci vogliono papi sapienti e coraggiosi. Il ritiro di Ratzinger ha dimostrato che l’apparato burocratico curiale era assai carente e mediocre, infrenando l’efficacia dell’azione pastorale. Ma un papa anche coraggioso avrebbe fatto un repulisti generale, anziché lasciare il campo, chiamando a collaborare al governo della Chiesa prelati di fiducia provenienti da ogni parte della cristianità, e nel caso soprattutto tedeschi. La Germania, infatti, è dai tempi di Lutero l’avanguardia spirituale del mondo, il crogiuolo intellettuale più potente dell’umanità, e da essa c’è da attendersi una prova morale non comune che può rivelarsi provvidenziale.
L’altro “polmone” culturale della cristianità è la Russia, senza il cui apporto spirituale l’Europa rimarrà zoppa, acconsentendo a suo discapito e a quello della intera civiltà cristiana che i destini del mondo siano nelle mani improvvide degli americani.

Costantino Marco

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