Fu
Marx autore del paradosso secondo cui solamente l’apostasia dal monoteismo,
cioè la soppressione dell’identità religiosa, poteva garantire agli ebrei della
diaspora la pacifica convivenza e l’integrazione con gli alti popoli.
Freud,
avanzando nella direzione indicata da Marx e anticipando Simone Weil, arrivò al
punto di affermare che il monoteismo ebbe origine dall’intrusione della
teologia professata dall’egiziano Mosé nell’universo di un popolo di consolidata
tradizione politeista.
Al
seguito di Freud, alcuni esponenti della più rovente eterodossia ebraica,
Walter Benjamin, Ernst Bloch, Simone Weil, Herbert Marcuse, Jacob Taubes,
facendosi interpreti dell’avanguardia ultracomunista e precursori dell’anarchismo
sessantottino, proposero addirittura il rovesciamento della teologia monoteista
in un politeismo conforme al pensiero di Nietzsche (il filosofo nel quale Freud
riconosceva il proprio ispiratore).
La
nuova ateologia contemplava l’avversione alla divinità onnipotente e malvagia
(identificata con il Dio dell’alienante
religione di Mosé) e nutriva la speranza (vaga) nell’idea della bontà del
ribelle (ora identificato con il Gesù immoralista delle eresie gnostiche ora
con il Dioniso nietzschiano, simbolo della trasgressione coribantica).
L’avversione
di Benjamin, Bloch, Weil, Marcuse, Adorno e Taubes alla tradizione monoteista
non vacillò neppure davanti alla conclamata uguaglianza della loro teologia con
i princìpi del cristianesimo tedesco,
quel furente delirio che i neopagani di Germania usavano al fine di
giustificare la persecuzione e lo sterminio degli ebrei.
La
radice politeista del neopaganesimo tedesco è un’ovvia verità. D’altra parte è
accertato che, alla luce di un chiuso ed esasperato monoteismo, la fede nel Dio
uno e trino dei cristiani fu giudicata politeista.
Probabilmente
gli autori dell’apostasia ebraica s’illudevano di disarmare l’antisemitismo di
radice politeista appropriandosi degli argomenti ultimamente lanciati dai
nazisti contro il monoteismo.
Sennonché,
dopo la sconfitta del persecutore nazista, agli ebrei si oppose un
imprevedibile nemico: l’alleanza islamica, che professava un’intransigente fede
monoteista.
In
Palestina, infatti, gli ebrei furono coinvolti nella guerra inedita che fu
avviata, nel 1948, da antisemiti monoteisti. Guerra assolutamente anomala e
imprevedibile: perfino l’accorto Ben Gurion nutriva un’idea sbagliata intorno
agli arabi di fede musulmana, un giudizio che nascondeva la radice fanatica
della loro incombente ostilità e alimentava una disarmata fiducia nella buona
disposizione del presunto sangue fraterno
(cfr. “Perché Stalin creò Israele”,
prefazione di Luciano Canfora, introduzione di Enrico Mentana, Sandro Teti
editore, Roma 2008).
La
guerra islamica per un verso smentiva gli argomenti di Marx, di Freud e dei
loro continuatori postmoderni sull’ispirazione politeista dell’antisemitismo,
per l’altro verso poneva il problema di una nuova e diversa riflessione “sull’identità ebraica legata alla non
accettazione di Gesù come il Messia di Israele”.
Ora
la nuova situazione del problema ebraico è oggetto di un avvincente saggio, “Gli Ebrei messianici Un segno dei tempi”, edito in Verona dall’animosa Casa
editrice Fede k Cultura scritto dal
gesuita Carlo Colonna per rivelare l’orizzonte cristiano dell’ebraismo e la
radice ebraica della cristianità. Infine per promuovere il vero ecumenismo.
Il
ritorno degli ebrei nella patria assegnata a Mosé, infatti, impone di
continuare la riflessione (avviata nel 1967 dal cardinale Giuseppe Siri) sulla
profezia del Vangelo di San Luca, che annuncia la fine delle persecuzioni e
dell’esilio: “Gerusalemme sarà calpestata
dai pagani finché i tempi dei pagani siano compiuti” (Lc. 21, 24).
Non per caso, proprio alla fine della
guerra conclusa con il ritorno degli ebrei a Gerusalemme, i fratelli Ruben e
Benjamin Berger, fondarono la comunità di ebrei messianici, che professano la
fede in Gesù Cristo e celebrano l’Eucarestia dichiarando di credere nella
presenza reale del Signore.
E’
lecito affermare pertanto che gli ebrei messianici “sentono che sta per venire il tempo in cui si sanerà la prima e più
fondamentale divisione della Chiesa di Cristo, quella avvenuta fin dall’inizio
della predicazione del Vangelo, quando ebrei increduli e cristiani credenti in
Gesù si scomunicarono a vicenda”.
Padre
Colonna, che segue con passione illuminata dalla fede il cammino degli ebrei
cristiani, afferma che la loro splendida avventura, oltre che a facilitare la
comprensione della radice ebraica della fede cattolica, incoraggia “a
pensare gli attuali ebrei che credono in Gesù, come i continuatori dei primi
giudei credenti in Gesù e quindi nostri veri fratelli nella fede non li fa
confluire nelle Chiese tradizionali d’Occidente e d’Oriente, ma viene vissuta
in comunità, che praticano le osservanze ebraiche tradizionali”.
Il
nuovo resto d’Israele, costituito per manifestare la fede in
Gesù vero Dio e vero uomo, diffonde la luce necessaria a lacerare la cortina
fumosa sollevata dalla considerazione pessimistica del successo planetario
ottenuto dagli ebrei sessantottini, che hanno interpretato la gnosi spuria,
abbandonando la fede di Mosé.
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