Beatissimo Santo
Padre,
Sono uno dei 790.190 cattolici che hanno
sottoscritto da tutto il mondo la Supplica rivoltaLe agli inizi di
ottobre 2015, impetrante da Vostra Santità “una parola chiarificatrice”, che
cioè dissipasse la grave confusione diffusasi nella Chiesa intorno a certi
fondamentali insegnamenti, dopo le “aperture” avanzate nel Sinodo provvisorio
dei Vescovi sulla famiglia, tenutosi nell’autunno del 2014. Quelle “aperture” implicavano addirittura la
legittimazione di fatto dell’adulterio e del peccato poiché miravano, tra altre
cose, ad ammettere alla Santa Comunione i cattolici divorziati risposatisi civilmente. Non solo: avrebbero potuto portare anche
all’accettazione delle convivenze omosessuali, sempre categoricamente
condannate dalla Chiesa in quanto espressamente contrarie alla legge divina e
naturale.
Ma quella parola magisteriale, la parola
del Sommo Pontefice, Vicario di Cristo Nostro Signore in terra, non si è
sentita. La Supplica è rimasta
inascoltata. È venuta invece, il 12
settembre 2015, la Lettera Apostolica, motu proprio data, Mitis Iudex
Dominus Iesus, “sulla riforma del processo canonico per le cause di
dichiarazione di nullità del matrimonio nel Codice di Diritto Canonico”. Al titolo V questo motu proprio istituisce
“il processo matrimoniale più breve davanti al Vescovo”, una novità assoluta
per la Chiesa, che molto ha fatto discutere, attuata con esplicito riferimento
allo spirito del Vaticano II.
Il motu proprio abolisce l’istituto della
“doppia sentenza conforme” (sempre difeso dai migliori canonisti) al fine di
snellire le procedure volte ad ottenere una dichiarazione di nullità;
snellimento che tuttavia non appare in armonia con la secolare tradizione della
presunzione di validità del matrimonio, da difendersi con tutti gli strumenti
del diritto.
In aggiunta, la nuova procedura “più
breve”, oltre ad attribuire ai Vescovi una inusitata competenza, presenta
(all’art. 14 § 1) una elenco di “circostanze che possono
consentire la trattazione della causa di nullità del matrimonio per mezzo del
processo più breve”. L’elenco di tali circostanze è ampio: tra di esse spiccano “la mancanza di fede
degli sposi” all’atto del matrimonio e la “brevità della convivenza”. L’ammissione di siffatte “circostanze” ha
creato notevole sconcerto inducendo qualcuno a parlare di “divorzio cattolico” di
fatto, garantito appunto da questa procedura “più breve”; tanto più che la
lista delle suddette “circostanze” si chiude restando aperta, trovandovisi
apposto un finale “etc.”, come se una lista di questo tipo potesse esser
integrata all’infinito. Modo di produrre
il diritto, questo, alquanto singolare, tantopiù per il diritto canonico, in
passato faro di vera e propria civiltà giuridica anche per il mondo laico.
Questo informale modo di procedere viene da
Vostra Santità giustificato con il ricorso al principio della misericordia. Essa non può fermarsi alla lettera, deve
cogliere e attuare lo spirito delle norme, delle leggi, dei Comandamenti divini. Chi oggi difende tenacemente principi
fondamentali della dottrina, viene da Vostra Santità bollato come un ipocrita,
uno che vuole “indottrinare il Vangelo in pietre morte da scagliare contro gli
altri”. Certamente, come ricordato da
Vostra Santità, “il primo dovere della Chiesa non è quello di distribuire
condanne o anatemi, ma è quello di proclamare la misericordia di Dio, di
chiamare alla conversione e di condurre tutti gli uomini alla salvezza del
Signore (cfr. Gv 12, 44-50)”.
Ma per l’appunto, mi permetto di osservare,
ci deve essere “la conversione” per poter conseguire la salvezza. Sappiamo bene cosa ciò significhi. “Conversione” del cuore a Cristo con l’aiuto
della Grazia e quindi pentimento e mutamento di vita in modo da poter diventare
suo discepolo in fede e opere; in modo da diventare quell’uomo nuovo,
rinato in Cristo, al quale solamente sarà concesso di “vedere il Regno di Dio”
(Gv 3, 3). Vivere in Cristo (e quindi
secondo gli insegnamenti tradizionali della Chiesa) nelle opere della propria
santificazione quotidiana non significa forse dover prendere la propria croce ad
imitazione di Cristo? È vero che la
Chiesa ha la missione di condurre “tutti gli uomini alla salvezza del
Signore”. Tuttavia sappiamo che non
tutti, anzi molti non si salveranno. L’ha detto il Verbo
incarnato stesso: “Entrate per la porta
stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione,
e molti sono quelli che entrano per essa.
Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita e pochi
son quelli che la trovano!” (Mt 7,13-14).
Tutti quelli che preferiscono “la via spaziosa”
dei figli del Secolo ateo e miscredente hanno rifiutato la misericordia divina.
Perseverando nel rifiuto, verranno dannati dalla divina giustizia, senza che
ciò rappresenti contraddizione alcuna con la sua misericordia. L’art. 55 della Relazione finale del recente Sinodo
dei Vescovi sulla famiglia, ricorda una frase cara a Vostra Santità, della quale
l’articolo stesso costituisce in pratica l’esegesi: “La misericordia è il centro della
rivelazione di Gesù Cristo”. In effetti, con il sacrificio della sua morte in
Croce, Nostro Signore non ci ha ottenuto misericordia (propitiatio) per
i nostri peccati? E Vostra Santità cita
anche san Tommaso il quale, nella Summa, ha scritto: “È proprio nella sua misericordia che Dio
manifesta la sua onnipotenza” (IIa-IIae, q. 30, art.
4). Concetto esattissimo. Tuttavia san Tommaso, mi permetto di aggiungere,
dopo aver citato sant’Agostino, per il quale la misericordia è una virtù che deve
sempre esser conforme a ragione e quindi
“conservare la giustizia”, ha anche scritto che “la misericordia, intesa
invece come passione sottratta alla ragione, ostacola la deliberazione
[razionale], facendo venir meno la giustizia” (ivi, art. 3 ad 1).
Come a dire: una misericordia male intesa (anche se mossa
dalle migliori intenzioni) conduce al latitudinarismo e al lassismo, istradando
molti sulla “via larga” della perdizione.
E coloro che si servono del principio della misericordia propugnato da
Vostra Santità per voler amministrare la Santa Comunione a persone che vivono
nel peccato e continuano a viverci o per accettare le convivenze di fatto e di
ogni tipo; presso costoro la “misericordia” non è diventata un principio
irrazionale che li porta ad una “deliberazione” non conforme a ragione,
violando in tal modo la giustizia? Che qui è in primo luogo la giustizia
divina. Per questo san Paolo ci insegna,
a proposito di una Santa Comunione sacrilega:
“Perciò chiunque mangia questo pane o beve il calice del Signore
indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore” (1 Cr 11, 27),
cadendo quindi sotto la scure della sua giustizia.
L’ideale di misericordia cristiana
ispirante il motu proprio ha ovviamente influenzato (vedi art. 55 cit.) la
Relazione finale del già ricordato XV Sinodo dei Vescovi, tenutosi a Roma dal 5
al 25 ottobre c.a. sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella
Chiesa e nel mondo contemporaneo”. In questa Relazione, se le “aperture”
all’omosessualità sono state nettamente respinte (vedi art. 76), agli artt. 84, 85, 86, invece, che pur hanno
avuto numerosi voti contrari, si stabiliscono i criteri per “il discernimento e
l’integrazione” nella Chiesa dei divorziati risposati civilmente, anche
nella liturgia. Questi criteri sono
esposti con un linguaggio elusivo che tuttavia, al Vescovo che lo voglia, permette
di trovare spunti sufficienti ad inaugurare la “via larga” ossia ad “integrare”
i divorziati risposati anche in quella parte della liturgia rappresentata dalla
Santa Comunione. Questa è
l’interpretazione del criptico testo sostenuta da autorevoli cardinali e
vescovi, sia tra la fazione che spinge per le “aperture”, sia tra il ceto di
quelli rimasti fedeli al Magistero perenne.
Il motu proprio Mitis Iudex diventerà
operante l’8 dicembre, festa dell’Immacolata, giorno di apertura del Giubileo
indetto da Vostra Santità. Per quel
giorno, ci si aspetta anche che il Papa faccia o non faccia proprie diverse
istanze di “apertura” individuabili nel Sinodo sulla famiglia, in particolare
quelle racchiuse negli artt. 84, 85, 86 citati.
Lo scopo di questa Lettera, che mi
sono preso la libertà di scrivere nella mia qualità di semplice fedele, è
pertanto il seguente:
imploro la Santità Vostra di respingere le
avanzate istanze di “apertura”, comprese quelle ai divorziati risposati, e di
soprassedere all’entrata in vigore del motu proprio sulla riforma delle
procedure per ottenere la nullità del matrimonio: di sospendere quel motu proprio o addirittura
ritirarlo.
Tale richiesta al Papa da parte di un
semplice fedele può apparire del tutto
irrituale, per non dire di un’audacia temeraria. Posso assicurare Vostra Santità che non c’è
nessuna particolare audacia o temerità da parte mia, ma solo l’ardente
desiderio di difendere la vera dottrina e pastorale cattoliche in questi tempi
di grave confusione, desiderio condiviso da tantissimi fedeli, a nome dei quali
(pur non conoscendoli) credo di poter parlare, senza per questo dover esser
accusato di superbia.
Se quelle eterodosse istanze venissero
accolte e se diventasse legge la riforma del processo nelle causa di nullità,
il giorno dell’imminente Festa dell’Immacolata, l’8 dicembre 2015, inizio ufficiale
dell’Anno Santo, sarebbe un giorno veramente infausto nella storia della
Chiesa. Infatti, si introdurrebbe una
procedura per ottenere la nullità del matrimonio che di fatto può qualificarsi
come “divorzio cattolico”, grazie anche alla straordinaria e atipica novità del
“processo più breve”; si permetterebbero cosiddetti “percorsi di discernimento
pastorale” a favore dell’integrazione nella Chiesa (liturgia compresa) dei
divorziati risposati, “percorsi” che oggettivamente sfociano in una
legittimazione del peccato, qui (per esprimerci nei termini espliciti della
bimillenaria dottrina della Chiesa) manifestantesi in triplice forma:
adulterio, fornicazione, concubinato, ai quali possiamo anche aggiungere, in
certi casi, il pubblico scandalo.
Dixi et salvavi animam meam.
Prego la Santità Vostra di credere ai sensi
della mia più filiale devozione. Che lo Spirito Santo La illumini, La sorregga,
sempre La protegga,
Paolo Pasqualucci
30 novembre 2015