“Rolando Rivi è una delle tante stelle
luminose del firmamento affollato dei martiri specie del xx secolo, che hanno
testimoniato con il loro sangue la fede in Cristo seguendolo lungo il calvario”.
Antonio
Borrelli
La casa editrice Mariana, attiva in Frigento
(Avellino), propone una pregevole e commovente biografia del beato Rolando Rivi
(1931-1945), il seminarista di Castellarano (Reggio Emilia) che fu bestialmente
torturato e assassinato in odio alla fede, (al pari di ottanta sacerdoti
massacrati nel triangolo della morte) da criminali sanguinari, cani
sciolti trionfanti nella radiosa (Palmiro Togliatti dixit) primavera del
1945.
Paolo Risso, l'autore della avvincente
biografia del Beato Rolando, scrive della infanzia del Beato: “ha un cuore
grande e buono: non sopporta ingiustizie e protesta ad alta voce quando ne vede
attorno a sé. E' di una tenerezza incantevole con i suoi cari e assai generoso
con i compagni di gioco”.
La scuola che Rolando frequentò con profitto
non era intossicata dal laicismo. La religione non era censurata e messa al
margine dal potere esercitato oggi dai miscredenti e dai cialtroni travestiti da
pedagoghi.
L'infezione laicista/ateista non aveva ancora
infettato e alterato la pedagogia: “A scuola, Rolando sente che la maestra
parla spesso di Gesù, come dell'unico della sua vita. Tutti i giorni, prima
della scuola, la vede uscire dalla chiesa, dove ha partecipato alla Messa e ha
ricevuto Gesù nella Comunione. ... La maestra Clotilde lo aiuta a crescere con
una vera mentalità di fede, presentando Gesù come Maestro e Salvatore”.
Benché tormentata dalla guerra la società
italiana era rimasta fedele alla tradizione millenaria. L'eresia modernista era
era stata debellata. Il cancro relativista era stato allontanato dal cuore
della dottrina cristiana. La metamorfosi laica, confusionaria e conformista
dell'ecumenismo non era all'orizzonte.
Un sacerdote esemplare, don Olindo
Marzocchini, parroco di Castellarano, insegnò al giovane Rolando che il
cristiano deve essere fiero di appartenere al Divino Maestro e che “deve
essere disposto a soffrire per Gesù ogni affronto e ogni pena”.
La
sapienza preconciliare suggeriva al buon prete di sostenere che l'esempio da
imitare era quello dei cristiani martirizzati dal fanatismo imperversante nella
Roma pagana, nel regno di Enrico VIII, nella Francia giacobina, nella Russia
comunista, nel Messico massonico, nella Spagna anarchica, nella Germania
neopagana.
Due
fratelli del padre di Rolando, intanto, chiamati alle armi, muoiono combattendo
nei fronti della tragedia italiana, che si consuma in Africa Settentrionale e
in Russia.
Rolando consola la anziana madre dei caduti
ricordandole che le porte del cielo sono aperte agli eroi: la vita sacrificata
per amor di Patria (secondo l'indeclinabile dottrina cattolica) è
implicitamente offerta al Signore.
Ai poveri che bussano alla porta di casa,
Rolando riserva una speciale cura. “Riserva a sé questo servizio come un
onore. … Qualcuno gli fa notare che è troppo generoso, Risponde che la carità
non impoverisce nessuno!”.
Nella fede e nella misericordia matura la
decisione di Rolando di farsi prete: “ne parla con papà e mamma, i quali gli
rispondono che sono contenti della sua scelta”.
Il
26 ottobre del 1942 entra nel seminario minore di Marola (Reggio Emilia): “quello
stesso giorno veste con grande gioia l'abito talare”.
In seminario Rolando si distingue per la rara
capacità di vivere in felice equilibrio tra la letizia nello svago onesto e il
profondo raccoglimento nella preghiera. Un suo compagno di studi dirà di lui: “Era
l'immagine perfetta del ragazzo santo, ricco di ogni virtù, portata nella vita
quotidiana all'eroismo”.
Nel giugno del 1944 i soldati tedeschi
occuparono il seminario di Marola, costringendo gli studenti a far ritorno alle
loro famiglie. Congedandoli il rettore del seminario li esortò a condurre una
vita virtuosa e a vestire la talare per rendere manifesta la loro appartenenza
a Gesù.
Il forzato ritorno alla casa paterna non
alterò la vita del giovane seminarista. Rolando infatti portò con sé i libri
per continuare lo studio della sacra dottrina e frequentò assiduamente la
parrocchia: “La casa parrocchiale era il suo luogo prediletto. Si estasia a
suonare l'armonium. Soffre ma si dimostra sereno e allegro. Non abbandona mai
un istante la sua veste da prete”.
Nella
primavera del 1945 la guerra civile stava premiando i partigiani comunisti. A
Rolando i genitori e gli amici consigliavano di non mostrarsi con le vesta da
seminarista, invisa ai vincitori. Ai prudenti consiglieri Rolando rispondeva
obiettando che la sua veste non era indossata per portare offesa. La pensavano
diversamente i partigiani che lo sequestrarono e, dopo averlo sottoposto a
torture per la durata di tre giorni, lo uccisero con un “classico” colpo alla
nuca. Accecati dall'odio, pensavano che il risultato della morte di Rolando
fosse “un prete di meno. Non compresero che il loro folle gesto generava
un santo, un testimone della verità splendente nel sangue del giovane martire.
L'arcivescovo di Modena Benito Cocchi a
commento della biografia di Rolando ha citato un testo del profeta Isaia: “Maltrattato,
si lasciò umiliare e non aprì' la sua bocca, era come un agnello condotto al
macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca”.
Piero Vassallo
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