Il succo del Sinodo sulla famiglia l'aveva già
anticipato Bergoglio, ora alcune eccellenze disinvolte, che sono membri di tale
assemblea, ripetono il concetto bergogliano, ed è prevedibile che il concetto
sovvertitore riceverà l'approvazione. Ecco qua il mostro: la dottrina non cambia, la prassi invece deve adeguarsi alla realtà dei
casi concreti, secondo misericordia e verità.
Gli
studentelli delle medie, che imparano la matematica e i rudimenti della logica,
forse anche gli scolari primi della classe alle elementari, forzati
all'elementare razionalità, ascoltando questa proposizione si troverebbero in
imbarazzo, ma i più studiosi avvertirebbero che si tratta di un imbroglio.
Che
dottrina è mai quella che non contempla tutta la concretezza su cui verte? Se
detta una legge, questa prevede l'infrazione e la sanzione corrispondente. Ora
la legge in questione è chiara e semplice: chi si separa o divorzia unendosi a
una terza persona, sia che il soggetto formi con lei una famiglia, sia che si
risposi in forza di un diritto stabilito da uomini, sia che abbia figli o no,
commette adulterio. Il rimedio è dato pure da un articolo della dottrina
riguardante il peccato che reca danno, ed è uno solo: ritornare allo stato precedente
di coniuge nel matrimonio primitivo, indissolubile, oppure, stanti le giuste
ragioni, nella mera condizione di separato o di separata.
In tutto
ciò non c'è niente di nuovo. Ci sono sempre stati cattolici concubini, adulteri
e divorziati in quegli stati dove il divorzio era legale. Quindi il caso di
divorziati risposati, anche con prole avuta dopo il secondo o un ulteriore
matrimonio, non è affatto inedito. La novità dei casi complicati e pietosi riguardo all'esclusione dai
sacramenti, la straordinaria difficoltà del rientro nell'Ovile, sono un pura e
deprecabile invenzione.
La
Chiesa seppe sempre come trattare i battezzati pubblici peccatori, che fossero
divorziati risposati o concubini. Perciò si è detto più volte che il Sinodo
costituiva una violazione della dottrina dogmatica, perché poneva un falso
problema in questa materia.
Invece,
a sentire i prelati bergogliani, l'Enciclopedia Cattolica (per citare un solo
documento probante) andrebbe inviata al macero. Essa dice, alle voci
Indissolubilità e Matrimonio:
"L'indissolubilità è una delle proprietà essenziali del Matrimonio,
che trova la sua sanzione più piena nel Matrimonio-Sacramento".
"All'indissolubilità del vincolo matrimoniale si oppone invece
[...] il divorzio civile".
"Can. 1110: Dal matrimonio valido nasce tra i coniugi un vincolo di
natura sua perpetuo ed esclusivo".
"Can. 1118: Il matrimonio valido rato e consumato non si può
sciogliere [...] da nessuna umana autorità".
"La
tolleranza o, peggio, il consenso del coniuge offeso non fa venir meno
l'adulterio, perché il debito della fedeltà acquisito all'atto stesso del
matrimonio è per sua natura inalienabile e imperscrittibile".
"Il
laico che si sia reso responsabile di adulterio pubblico [...] incorre nella
esclusione dagli atti legittimi ecclesiastici".
"Non si può certo accusare la Chiesa di essersi contraddetta nel
predicare l'assoluta indissolubilità del matrimonio rato e consumato o di non aver interpretato il pensiero di
Gesù".
Eccetera.
Ci sono
eccezioni alla regola data? Le uniche riguardano i motivi di invalidità dello
sposalizio contratto dai suoi attori. Quando esso è valevole, circa la colpa e
il peccato non sussiste ignoranza che tenga. Quand'anche questa ci fosse stata,
la Chiesa non ammette il danno morale e religioso causato dal sussistente
adulterio.
Ma nel
bel mezzo delle sedute dei prelati sinodali, la stampa ci informa che mons.
Mark Benedict Coleridge, arcivescovo di Brisbane (Australia), dice ai
giornalisti che i divorziati risposati non devono essere chiamati adulteri. Oh,
bella! Chi sono allora gli adulteri? Nessuno gli ha fatto questa domanda
impertinente, ma sono certo che il monsignore risponderebbe di non essersi mai
sognato di negare l'esistenza, piuttosto teorica, di tali cocciuti. Però, siccome
ci sono i ben disposti al pentimento e anche gli altri sono chiamati alla retta
via secondo il volere del Signore, la parola adulterio deve essere bandita. Essa è contraria alla pastorale
misericordia, alla divina volontà che opera per la salvezza di tutti.
Ciò, in
parole povere, significa che la Chiesa tradizionale, antecedente la scoperta
della vera pastorale misericorde, era scema e cattiva. Infatti, giova
ripeterlo, la questione da essa risolta usando il termine adulteri e negando loro i sacramenti, finché non avessero
confessato il peccato e non avessero sanato la loro situazione peccaminosa e
scandalosa, tale questione, dico, si poneva esattamente nei modi in cui oggi si
pone.
Invero,
il Coleridge risponde a iosa, sebbene per vie traverse, al quesito essenziale:
come si trattano coloro i quali venivano considerati adulteri? "Occorre
discernimento e dialogo pastorale" egli raccomanda. "Bisogna
ascoltare e valutare le storie". "La chiesa sinodale è chiesa di
ascolto" deduce il giornalista. "Le situazioni non sono bianche o
nere [come sta scritto nei polverosi manuali teologici], esse sono
sfumate".
Intanto,
per questi prelati il tempo non esiste, può essere sospeso, sospeso il
giudizio, sospesa la sentenza. Nel frattempo il caro assistito, che pertanto
non viene considerato fuori della comunione ecclesiale, può ancora peccare e
far peccare l'altro che sta con lui, è libero di dare ulteriore scandalo. O
anche la parola scandalo deve scomparire? Così sembra, salvo ricuperarla in
altre occasioni che fanno comodo, come l'adopera Bergoglio contro certi
corrotti.
Poi,
dev'esserci una conclusione di tale procedimento caritatevole. È inutile
sfuggire con vaghe allusioni contraddittorie e con penose ambiguità. Abbiamo
visto che la risoluzione non manca: sta
nella prassi predicata, nella pratica che, abolendo condanne ed
esclusioni, deve ammettere l'inammissibile: la piena accoglienza nella
comunione del Corpo Mistico di peccatori pubblici, il cui eventuale pentimento
non elimina (almeno non ancora) la causa del male di cui essi sono affetti e
che trasmettono al prossimo.
Dalla
stessa fonte apprendiamo che il vescovo di Parma mons. Enrico Solmi, ex capo
commissione Cei sulla Famiglia, dichiara doversi "considerare una
situazione di vita" di persone battezzate (come se la legge naturale non
riguardasse tutti, e i battezzati non potessero perdere colpevolmente la grazia
del Battesimo), "nuclei familiari ormai assodati" e con figli (come
se la solidità dell'adulterio e i suoi figli potessero diminuirlo o avviarlo
all'assoluzione). Il rimedio starebbe nel mettersi accanto agli adulteri e
dialogare con loro, nel vedere la prospettiva per il futuro (come se non
esistessero regole nette su questo punto).
Il
monsignore parla con la stessa inconcepibile vaghezza di "cammino di
riconciliazione" e di "richiesta di perdono". Donde, la formula:
prassi pastorale = misericordia + verità (una verità già calpestata). Donde,
non ragionare in termini astratti (i.e. la dottrina è astratta).
Nell'inferno forse gli antichi sofisti possono nutrire la mala speranza
di non restar soli, ma in invidiabile compagnia, giacché a loro non toccò di
confrontarsi con Gesù Cristo.
Piero Nicola
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