sabato 26 maggio 2018

GIORNALISMO SCREDITATO (di Piero Nicola)


Si è prodotto un evento storico fenomenale: il discredito del giornalismo. Lo prova il successo dei partiti populisti, privi di tv e di quotidiani. Se al M5s può aver dato una mano la rete di internet, la Lega è emersa attraverso i mezzi di comunicazione, loro malgrado. Fino a ieri, le cose stavano come descritto nel sottostante articolo di Domenico Giuliotti. Per chi nutrisse qualche dubbio, gli basterebbe osservare il velenoso grido di bestia ferita uscito dalle viscere di tutto il giornalismo, di stampa, di tivù e di internet. Perciò vale la pena gustarci questo pezzo del 1919, mai smentito prima.

Il Giornale
  È la peste, il recipiente della peste e il veicolo della peste.
  È l'opinione pubblica, la sputacchiera dell'opinione pubblica e la manifattura dell'opinione pubblica.
  È, nello stesso tempo, la scuola elementare e l'università dell'ignominia.
  È il punto medio nel quale s'incontrano l'alfabeto elevato fino ai fastigi della sesta classe e il frutto marcio universitario che vi cade sopra e vi si spappola.
  Tutte le fungosità, le muffe, i veleni, gli scracchi, gli stracci, i rigurgiti, i cancri, le feci e le schiume della vorticosa babilonia contemporanea, sfognano nel giornale che rappresenta la caldaia satanica nella quale fermentano e ribollono e dalla quale traboccano, in eclettiche fiumane di lordura, sull'ebete grifo del mondo.
  Questa vivanda, fatta d'oppio e di cantaridi, è schifata e desiderata, comprata e masticata, inghiottita e rivomitata dalla moltitudine che avvelena.
  Il giornale, dopo aver ripulito ogni mattina l'appestante orifizio anale della società borghese, incarta il mondo.
  I governi hanno bisogno dei giornali, come i giornali dei governi. I governi influiscono sui giornali, come i giornali sui governi. È un'altalena sguazzante dal fango al fango. Ora il governo è il padrone del giornale, ora il giornale è il padrone del governo. Ora governo e giornale sono schiavi l'uno dell'altro, e la moltitudine di tutti e due.
  Da quando i re on discesi sul marciapiede e gli avvocati hanno occupato la seggiola che ha preso il posto del trono, i governi sono stati sorretti o abbattuti da un foglio di carta infetta.
  Ecco il principale trionfo della democrazia trionfante.
  Il giornale è la misteriosa divinità degli analfabeti che oltraggiano Gesù Cristo. Dicono: "L'ha detto il giornale", e adorano.
  Il giornale che, talvolta, si dà l'aria d'un paladino dell'onestà, ha per illibata sorella la Scuola Laica. Ma di questa clarissa parlerò a parte.
  Nel giornale, il lupanare dell'intelligenza comunica col lupanare del basso ventre. Da porta a porta, è un andirivieni di quadrupedi.
 Vi passa l'artista, il professore, il banchiere, l'onorevole, la diva, il ministro, il prete, l'ebreo, la cocotte, il poeta, il tenore, l'organizzatore, lo scienziato, l'avvocato, il ruffiano, il massone, il saltimbanco, l'impresario, il traditore, l'impostore, l'imbecille, il delinquente, il pazzo.
  Odori e fetori, sprigionati dalla confricazione di questa fauna in caldo, vi si mescolan dentro e vi sgorgano.
  Talvolta gli odori puzzan più dei fetori.
  Vi aleggiano il muschio della mondanità, il benzoino dello spiritualismo, il cinnamomo dell'estetismo, la mirra del misticismo, la cipria della tolleranza, il patchouli dell'eclettismo, l'incenso denaturato del cristiano dei suoi tempi, il pot-pourri del cattolico liberale e democratico, l'essenza di rose dell'illuminato conservatore che accetta la rivoluzione purché si fermi alla prova generale e spari a salve, ecc.
  Il "Giornale d'Italia", per esempio, raccoglie in un foglio a parte tutte queste eiaculazioni profumate e le diffonde, fra mezzo giorno e il tocco, per la terza Roma che ne fragra.
  Quando i giornalisti profumieri si strizzan la vescica dell'Ideale, bisogna, per neutralizzare l'olezzo, buttarsi a capo fitto in un pozzo nero.
  Ancora ho nei buchi del naso tutti i trafiletti cristiano-patriottici-cattolici che un molto piacevole moscardino spruzzava, nel 1916, sugli eroici fetori del "grande" Giornale di Piazza Sciarra.
  Se un uomo intelligente, nel significato etimologico della parola, s'infogna nel giornalismo, diventa contemporaneamente melmoso e superficiale; e se si tratta, mettiamo, d'un uomo addirittura di fede, o trasforma il giornale in una mitragliatrice come il cattolico Veuillot, o diventa, suo malgrado, tollerante, accomodante e scettico, e, infine, irrimediabilmente, anch'egli, farabutto e bruto.
  Ho avuto dei quasi amici non ignobili, che il giornale, in poco tempo, ha trasformati in qualche cosa di livido, di freddo, d'appiccicoso e di smorto.
  Alcuni, passando a sguazzo per il giornale, vi perdono al tempo stesso l'onestà e la grammatica.
  Il giornalista è, in fondo, la parodia della potenza, il servitore vestito da padrone, il feto dell'intelligenza che non si sviluppa né muore.
  Quando questo falso dominatore si vanta di tirare i fili a una infinità di burattini e di divertirsi al giuoco, è un bugiardo.
  Vi sono dei burattini ai quali serve, ai quali s'inchina, ai quali lecca i piedi e dai quali è fatto ballare e cantare.
  Il cenciaiuolo analfabeta di prima della guerra, è già diventato i nuovo padrone milionario del giornalista del dopo guerra. La lavandaia, sciaguattata nel rigurgito sociale e promossa a diva del cinematografo, impone al poeta mancato o al critico accapponato, che si spollina sul giornale, l'articolo-réclame che dovrà trasportarla definitivamente dalla conca alla gloria.
  La borghesia plutocratica e tutti i suoi istrioni, mettono in moto, come vogliono, l'istrione giornalista.
  Questi non ha più l'istinto della ribellione né la libertà di scelta. Pagato per difendere, a un dato momento, la causa di qualche bruto che s'addormenta, dopo un'orgia, sopra un saccone di fogli di banca, ordinariamente (nonostante lo stipendio, che varia dalle seicento alle mille lire al mese) la sua vera funzione nel giornale è quella di non far nulla o di fare il furbo e lo scemo.
  Tutto gli passa, come una melma grigia, sullo stesso piano; tutto gli scola indifferentemente dalla penna, che loda tutto ciò che è piatto e detestabile e finge d'ignorare tutto ciò che è nobile e alto.
  Chi non paga, chi non gli è amico e complice, chi non è amico di chi lo paga, il giornalista lo seppellisce nel silenzio. La mediocrità in corso, i ciarlatani politici, i vitelli d'oro, i preti apostati, le ninfomani letterarie, i tenutari di postriboli cinematografici e i maschi e le femmine che vi fanno la vita, son l'oggetto dei suoi panegirici, dei suoi inni e delle sue lodi più sperticate e stomachevoli.
  Per questo, è alternativamente accarezzato, temuto e disprezzato da quello stesso borghese, baston da pollaio, che lo comanda e lo paga e che, nonostante tutto, talvolta, gli sta perfino al disotto.
  Ma se il borghese, in certi momenti, può disprezzare il giornalista, non può disprezzare in alcun modo né in alcun momento il giornale. Il giornalista è una cosa, il giornale è un'altra. Per il borghese, il foglio che tiene spiegato fra le mani, è la divinità impersonale, l'enciclopedia perenne, il pensatoio universale, l'imbuto che lo riempie, l'atmosfera che respira, l'ipse dixit.
  Anche se dice che il giornale è bugiardo, il borghese è convinto del contrario e, nel momento stesso che lo dice, lo compra.
  Non ho mai visto, per esempio, un considerevole droghiere che sorridesse ironicamente di ciò che leggeva nel giornale.
  Ma se quello stesso droghiere ti vedrà fare pubblicamente il segno della croce davanti a un'immagine sacra, si sbellicherà dalle risa e ti piglierà per pazzo.
  Viceversa, se leggerà nel giornale che il prof. Demiporcoff ha scientificamente dimostrato che Gesù Cristo non spirò sulla croce, ma rese l'anima per un subitaneo raffreddore dovuto a un brusco squilibrio di temperatura, correrà subito a raccontarlo al ciabattino, al parrucchiere o al tabaccaio di faccia e si feliciteranno insieme d'esser nati nei tempi della Libertà, del Progresso, della Democrazia e della Scienza.
  Il giornale è come una nebbia pestifera che s'insinua in tutti i pori, che sconvolge e sfarina tutti i cervelli, che abbassa e deforma tutte le anime, che abbassa ancor più chi è già basso e che si spande più volte al giorno, insatirendo o ammoscendo le moltitudini su tutti i punti della terra.
  Quand'escono i giornali, tutta la strada è loro. Non è lo strillone che porta i giornali, ma sono i giornali che portano lo strillone e lo fanno strillare.
  Il giornale t'entra in tasca, t'apre la borsa, ti ruba i due soldi, ti sporca le mani e il resto e scappa.
  Nessuno si salva. Nello stesso giorno, t'assalta quattro o cinque volte e ti sconfigge sempre.
  Le tipografie dei giornali puzzano e strepitano sempre.
  Le rotative e le linotype, scintillanti e unte, rumoreggianti e sporche, rimacinan tutta la spazzatura della vita e la ributtan fuori a tonnellate. Tutta la città la riassorbe e se ne sfama; e il di più lo esporta.
  Nell'ore della partenza dei treni, l'automobili dei giornali (questi dèi metallici mostruosamente gastro-intestinali), correndo vertiginosamente in ogni senso, s'apron la strada a correggie e a rutti; e quando la loro peste tipografica è stata scaricata nel "bello e orribile mostro", questo la semina, come le budella d'una bestiaccia sventrata, per tutte le stazioni del percorso, perché da ognuna, con altri treni, con altre automobili, con superstiti diligenze e, in ultimo, per mezzo di malinconici postumi rurali, sia trasportata e diffusa nei paesi, nei villaggi, nei casolari e perfino nei campi e nei boschi.
  Alla Verna, sotto il Sasso Spicco, mi ricordo d'aver trovato un pezzo di "Giornale d'Italia", con una cronaca mondana di Diego Angeli.
  Nel più folto della macchia maremmana o nel cuore della Sila, accanto a un escremento umano, ci sarà infallibilmente un giornale.
  Prima, come è noto, i boscaioli e i carbonai, per certe faccende adopravano un sasso possibilmente rotondeggiante e granuloso; ma oggi, beneficati anch'essi dalla civiltà onnipenetrante, preferiscon per quella funzione, e non a torto, l'articolo di Rastignac o la primizia critica di Benedetto Croce.
  Il giornale è un cancro che figlia. Il nucleo velenoso centrale si allarga, si moltiplica e si suddivide in innumerevoli pustole. La sua natura è quella di diffondersi attaccando ogni fibra sana dell'organismo. Il grande quotidiano politico partorisce il settimanale sportivo, letterario, agricolo, cinematografico, il giornale illustrato della Domenica, il giornale pei ragazzi, per gl'industriali, pei proprietari, per l'affittacamere, ecc.
  In tal modo tutte le porcherie son raccolte, riparate, ricoperte e involtate in fogli di carta stampata. Ciò che non è ancora putrido, cadendo nel recipiente che gli viene preparato ed offerto, imputridisce.
  Il "Corriere dei piccoli" (per esempio), mostriciattolo velenoso in gran voga, generato ogni sette giorni dal "Corriere" dei grandi, si tira su a midolline di pane, strofinate nel tegamaccio borghese, i futuri lettori dell'organo delle gomme Pirelli ecc.
  Il giornale è, dunque, il cuore stesso dell'attuale civiltà plutocratico-democratico-laica, e fa circolare il suo sangue infetto in ogni membro del mostro. Se battesse stentatamente o cessasse di battere, la Bestia Apocalittica boccheggerebbe e morrebbe.
  Se non ci fossero i giornali diminuirebbero gli omicidi, i suicidi, gli adulteri, la vendita della cocaina, le truffe all'americana, i poeti onanistici e blenorragici, i romanzieri manipolafetori, i commercianti di patriottismo, d'umanitarismo, di "films", ecc.
  Tutte queste porcherie e questi porci si reggono sulla "réclame" dei giornali: e tutti i giornali, in apparenza variopinti, in sostanza verniciati di sudicio, si reggon sull'immondezza e sulle setole di queste porcherie e di questi porci.
  Se sparisse il giornale, la vertigine ritornerebbe moto, la cacofonia armonia.
  Più che dalla forza elettrica e dal carbone gli opifici e l'officine d'ogni genere, con tutta la brutalità meccanica e proletaria che se ne sprigiona, sono alimentate dai giornali.
  Forse la vita, scomparendo il giornale, ritornerebbe semplice: cesserebbero di fumare le ciminiere, di strepitare le macchine, di dissolversi le famiglie, di scardinarsi le nazioni, di delirare le folle.
  Cessata la illegittima funzione dei bastardi del pensiero, questa sarebbe ripresa dei sapienti.
  Allora si vedrebbero restaurati i troni, rialzati gli altari, ricostruito l'edificio sociale, e calcata finalmente sotto il piede della giustizia, quella bagascia rosso-sporca che i liberti, storcendo il significato d'una parola divina, chiamano libertà.
  Bisogna screditare il giornale, colpire il cuore del mostro, farne vedere tutta la potenza malefica, tutta la bassezza morale, tutta la miseria mentale, tutta la mediocrità, tutte le menzogne, tutto il grottesco, tutto il ridicolo, tutti i pus.
  E, soprattutto, non comprarlo.
  Questo demoniaco mondo moderno, in apparenza invincibile, si regge, forse, alla fin fine, sopra un puntello di carta.
  Se qualcuno lo spuntellasse, la Torre di Babele cadrebbe.
  E l'allegrezza, in alto, sarebbe grande.
  Capitolo estratto da L'ora di Barabba, 1922.

Piero Nicola

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