La
tragica vicenda dei fascisti repubblicani e la parabola dei loro ideali,
destinati a cadere nella malinconica baraonda del partito missino, fu narrata
senza rancore e con elegante stile dal conte Vanni Teodorani, uno dei più
onesti, intelligenti e colti protagonisti dell'ultima, sfortunata pagina della grande storia italiana.
Sulla
vicenda e sul pensiero di Teodorani era disceso un colpevole silenzio,
emanazione della sordità/refrattarietà alla cultura agente in un partito, il
Msi degli eredi di Almirante, indirizzato a naufragare nelle acque torbide e
infide, sulle quali navigò ultimamente il debole progetto di costituire
un'atipica e improbabile destra di conio laico, liberale e americanoide.
Silenzio
ingiustificato, dal momento che la
personale vicenda di Teodorani appartiene a buon diritto alla nobile
storia del fascismo italiano, inteso, nella sua ultima, drammatica ora, al
ripensamento di una lontana origine socialista, rettificata e nobilitata dal viaggio
nella cultura corporativa del cattolicesimo.
Teodorani
tentò di salvare Mussolini sconsigliando il trasferimento nella improbabile
ridotta della Valtellina e cercando di raggiungerlo nella via della fuga senza
sbocchi. Nell'esecuzione del disperato piano fu messo al muro dai partigiani e
salvato dal miracolo della Madre di Dio. che è rappresentato nel dipinto,
riprodotto nella copertina del libro. La sua testimonianza, quantunque scritta
a caldo, non poteva rimanere inedita e sconosciuta agli storici che tentano
l'onesta ricostruzione della tragedia italiana.
I figli
di Vanni Teodorani, Anna e Pio Luigi, hanno finalmente provveduto a far uscire
dal silenzio e a pubblicare le pagine del diario 1945-1946 del loro padre.
Si
tratta di un'antologia delle idee professate dai fascisti repubblicani e del
racconto - doloroso ma non rancoroso - delle drammatiche e feroci giornate
nelle quali fu affondato nel sangue dei fascisti (il bilancio ufficiale contempla oltre quarantamila vittime, per lo
più giovani e giovanissimi assassinati senza processo o a seguito di una
indegna farsa giuridica) il sogno di elevare la nazione italiana e il progetto
della rivoluzione sociale promossa da Benito Mussolini e condivisa e sostenuta
dall'ex avversario Nicola Bombacci.
Una
fine, la morte della Patria, che Teodorani definisce con parole bagnate dalle
lacrime: "Noi fummo disfatti con la Patria e le sue ferite furono le
nostre piaghe, gli altri vinsero come fazioni o come individui, non dico contro
la Patria, ma almeno senza la Patria che lacera e dolente piangeva in un canto
lontana dal loro gaudio, così come noi piangevamo". Teodorani rammenta
che, nei giorni di quella tragica primavera, a Milano, tutti cantavano una
canzone detta dell'insurrezione, "una canzone strana, non un canto di
vittoria per la libertà conquistata, ma piuttosto il pianto per Patria
disfatta. Si chiamava Perduto amore".
Edito
in Cesena da Styilgraf, il pregevole volume delle memorie di Vanni
Teodorani è presentato da una breve e puntuale nota dei figli, i quali
sottolineano l'appartenenza del loro padre "a quella corrente di
patrioti che - fin dal Risorgimento - avevano sofferto la separazione fra
Italia e Fede, ... protrattasi come una piaga dolente lungo tutto il primo
settantennio della nostra storia unitaria. Generazioni di uomini e donne che,
l'11 febbraio del 1929, salutarono la Conciliazione come l'avvento di una nuova
erra che restituiva tranquillità alle loro coscienze di buoni cattolici, buoni
cittadini, buoni italiani".
Nell'ampia e puntuale
introduzione, Giuseppe Parlato approfondisce il tema dell'appartenenza di
Teodorani alla corrente dei cattolici nazionali e al proposito ricorda
l'ingente contributo della Rivista romana, pubblicata dal 1954 al
1964, alla quale collaborarono autorevoli esponenti del cattolicesimo
tradizionale, quali mons. Roberto Ronca e Luigi Gedda: "L'idea di fondo
[di Teodorani] era quella conciliatorista, realizzare cioè una sintesi tra
spiritualità religiosa e spiritualità della nazione, nella convinzione che i
valori tradizionali cristiani e la dottrina sociale della Chiesa potessero
essere quelli di un certo fascismo e di un certo corporativismo".
Purtroppo
Giorgio Almirante, paradossale personificazione di una intelligenza in conflitto
con gli intelligenti attivi nell'avanguardia nazionale e cattolica, fu
caparbiamente ostile a Teodorani e al suo progetto politico. Di qui lo scontro
tra le due incompatibili personalità e l'avviamento della politica missina a un
perpetuo, insolubile conflitto di correnti e alla irruzione degli estremisti
(del calibro intellettuale di Saccucci) nel cammino dei moderati in doppio
petto. Una scelta contraddittoria e rovinosa, destinata a vanificare l'ascesa
del Msi.
Infine
la contrarietà agli ideali di Teodorani suggerì la promozione almirantiana del
fedelissimo asino, che
sproloquierà/raglierà sul fascismo male assoluto - scempiaggine e
oltraggio al senso comune, ché al male, menomazione dell'essere creato,
non può essere attribuita l'assolutezza che appartiene solo all'Essere increato
e perfettissimo - prima di esibirsi nella desolante/umiliante comica
finale intorno all'appartamento di
Montecarlo.
r
La lettura del Quaderno di Vanni Teodorani è una
buona occasione per allontanare la memoria dalla sgradevole vicenda della
destra smarrita/svanita nel delirio liberal-numismatico e per riabilitare le
buone intenzioni e gli onesti pensieri
che illuminarono la tragedia vissuta dagli ultimi fascisti.
Teodorani,
uomo che comprese la strutturale convergenza della dottrina fascista e
dell'istanza del progresso sociale,
formulò un principio che, applicato alla situazione attuale, potrebbe
sciogliere il nodo scorsoio che la finanza mondiale/patibolare e l'Europa delle
banche affamatrici, hanno stretto intorno alla nazione italiana: "un
paese povero, arrivato per ultimo, se deve tendere all'elevazione delle sue
masse salvando i criteri della più saggia scienza finanziaria non riuscirà a
nulla. I grandi economisti fan proprio ridere con la loro pretesa di far della
moneta un feticcio cui sacrificare progresso e benessere. Io penso che l'oro
deve servire all'uomo e non l'uomo all'oro".
Importante è anche la
ricostruzione della tragedia consumata alla luce dei malintesi intorno al
processo di Verona. Scrive al proposito Teodorani: "Si può dire che
tutti furono ingannati. Si ingannò prima di tutto Galeazzo, riparando in
Germania, [ossia affidandosi alla proverbiale infedeltà dei tedeschi]; peggio
la moglie sollecitando il rimpatrio e poi molta altra gente in buona fede, che
credeva che il processo servisse a qualcosa. E più di ogni altro fu
ingannato lo stesso Duce, il quale ritenne sino all'ultimo che i fucilabili
fossero tutti latitanti e quando volle far macchina indietro non poté più, pressato
da quelli che gli dicevano chiaro e forte che con la sua debolezza aveva
rovinato l'Italia, primi i tedeschi cui non pareva vero ... di far la pelle a
Galeazzo e che a buon conto la mattina dell'esecuzione mandarono a anche un
loro plotone che avrebbe fatto fuoco in ogni caso".
L'autorevole
testimonianza di Teodorani costituisce un nuovo e importante contributo alla
conquista della verità sulla dibattuta storia del processo di Verona, una
tragedia che Mussolini avrebbe evitato se avesse potuto aggirare la volontà implacabile
dell'alleato tedesco.
La
puntuale interpretazione di Teodorani coincide peraltro con la nota del diario
di Goebbels (citato da Renzo De Felice) in cui si legge il disprezzo dei
tedeschi nei confronti del Duce, che non dava segno di desiderare la vendetta a
danno dei fascisti autori del voto
contrario nella seduta del Gran Consiglio.
E'
dunque auspicabile che le memorie di Vanni Teodorani diventino oggetto della
riflessione dei ricercatori (Giampaolo Pansa, ad esempio) che sono seriamente
impegnati a sottrarre la vicenda della Rsi ai falsari che portano acqua al
mulino di una storiografia prima antitaliana che antifascista.
Piero Vassallo
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