SOMMARIO: 1. Per Einstein il “miracolo” è in realtà il “mistero”
dell’armonia di una Natura increata. 2. Il deismo filosofico non rientra nei riconoscimenti
del Concilio Vaticano Primo alla ragione umana.
3. Il panteismo di Einstein
misconosciuto da Socci. 4. L’esplicito e sprezzante rifiuto einsteiniano
della religione rivelata, del “Dio personale”.
5. Le due pubbliche professioni
di fede nel “Dio di Spinoza” da parte di Einstein. 6. La singolare “religione cosmica” di
Einstein, che divinizza la scienza. 7. La
penetrante critica di Lydia Jaeger al panteismo di Einstein. 8. La “religione cosmica” di Einstein forma
di naturalismo che attenta sia alla religione che alla scienza – Una domanda di
chiarimento a proposito della nuova scoperta, sullo “spazio curvo”.
Sull’onda dell’emozione suscitata
dal recente annunzio della scoperta delle “onde gravitazionali”, che
dimostrerebbero la validità della teoria generale della relatività del grande
scienziato, cioè della sua teoria della gravitazione escludente la newtoniana nozione
di “forza attrattiva istantanea a distanza”, sostituita da quella di “curvatura
dello spazio pieno di materia-energia” ove la gravità sarebbe una semplice
modificazione della curvatura o variazione nella densità dell’universo,
rappresentata appunto da fenomeni fisici quali le c.d. “onde gravitazionali”,
onde di energia emananti per esempio (come ci hanno detto) dalla collisione apocalittica di due
“buchi neri”; sull’onda della giusta
emozione per la grande scoperta (per ora non ancora contestata da scienziato
alcuno), la quale grande scoperta ci fa apparire ancora una volta l’armonia
dell’universo e delle leggi della natura, Antonio Socci ha pubblicato
sul suo blog, Lo Straniero, il 14
febbraio scorso un articolo di tre pagine intitolato: “Einstein e la prova
razionale dell’esistenza di Dio (onde gravitazionali e dintorni)”.
Che da questa proclamata scoperta
si possa ricavare ulteriore conferma dell’ordine razionale della natura e
conseguentemente dell’esistenza di Dio, ciò è perfettamente legittimo. Meno legittimo appare, al contrario, il tentativo
di servirsene per riproporre ancora una volta, sia pure con le migliori intenzioni,
quello che altro non è se non un equivoco, sul quale si è costruito da
tempo un vero e proprio mito: la
supposta fede di Einstein in Dio, Einstein uomo di fede che vedeva Dio
dietro l’ordine razionale della natura. Nella
sua vita privata, Dio lo vedeva un po’ meno, visto che non ammetteva
l’esistenza di un Dio personale nè tantomeno riconosceva la validità di
un’etica basata sulla Rivelazione: e difatti fu un incorreggibile cacciatore di
gonnelle – come si diceva una volta – nonostante si fosse sposato due volte[1].
Ma procediamo con ordine.
Bisogna infatti chiedersi: nei passi nei quali si tratta di Dio,
riportati da Socci, Einstein a quale Dio si riferisce? Al Dio trascendente delle religioni rivelate? In nessun modo: il suo è sempre apparso un deismo di tipo
spinoziano, come tale da sempre considerato una forma più o meno consapevole
d’ateismo. Nell’articolo di Socci il
panteismo di Einstein viene negato in modo reciso, con il risultato che il
lettore potrebbe erroneamente pensare che il Dio nel quale avrebbe creduto
Einstein, se non il nostro Dio sarebbe comunque stato un Dio creatore dell’universo,
nella tradizione monoteistica dell’Ebraismo.
Ma seguiamo l’esposizione di Socci.
1. Per Einstein il “miracolo” è in realtà il
“mistero” dell’armonia della Natura increata
A proposito del fatto che il
cosmo risulti strutturato proprio come previsto nella matematica delle
equazioni dei fisici teorici (di quelli del calibro di un Einstein), Socci
ricorda che, per la scienza fisica, il cosmo, “è governato proprio da quella
stessa ferrea razionalità matematica che la nostra mente elabora in astratto”. E questo, sottolineava Einstein in una
celebre lettera del 1952 ad un suo amico, è un vero e proprio “miracolo” oltre
che un “eterno mistero”. Un “miracolo”
è anche l’esistenza di un universo ordinato al posto del caos. Sbagliano, pertanto, “positivisti e atei di
professione” che, oltre agli dèi, “hanno spogliato il mondo anche dei
miracoli”. In questa lettera, Einstein respingeva
dunque l’ateismo dei fanatici “professionisti dell’ateismo”. Tuttavia, la nozione di “miracolo” da lui
utilizzata non appare intesa nel senso del Cristianesimo, quale eccezione di
origine sovrannaturale alle leggi della natura stabilite dal Creatore, il
medesimo che opera il miracolo. Qui il
“miracolo” è tale in senso generico, vago, equivalente a “mistero”: è fatto degno di stupore, miracoloso,
inspiegabile, che esista un ordine naturale ordinato come lo conosciamo e che
la nostra mente sia capace di comprenderlo e di enuclearne le leggi. In una simile prospettiva, di religioso in
senso proprio a ben vedere non c’è nulla; essa esprime unicamente il senso di
infinita meraviglia che l’esistenza del cosmo ci procura, così come ce la
procurano le capacità della nostra mente di comprenderlo con lo strumento
matematico. (Che la speculazione sulla
natura delle cose nasca da un senso spontaneo di meraviglia e stupore di fronte
al creato, mi sembra l’abbia comunque già detto Platone).
2. Il deismo filosofico non rientra nei
riconoscimenti del Concilio Vaticano Primo alla ragione umana
Socci cita poi la testimonianza
di Anthony Flew, filosofo inglese contemporaneo, scomparso nel 2010, ateo
dichiarato convertitosi negli ultimi anni della sua lunga vita al deismo
filosofico, grazie (diceva) anche all’esempio di Einstein che, ricordava,
“credeva chiaramente in una fonte trascendente della razionalità del mondo, che
definì variamente: mente superiore,
spirito superiore illimitato, forza ragionante superiore, forza misteriosa che
muove le costellazioni”. Questa fede
einsteiniana, per Socci, “è la conferma di quanto la Chiesa ha affermato nel
Concilio Vaticano Primo: l’uomo con la
semplice intelligenza può arrivare alla certezza dell’esistenza di Dio”. Ovviamente, prosegue Socci, “la fede cristiana
è altra cosa: è la Rivelazione
dell’incarnazione del Figlio di Dio, Gesù.
Ma alla certezza razionale dell’esistenza di Dio si può arrivare con la semplice ragione. Infatti
c’è arrivata la più alta mente dell’antichità – Aristotele – e la più alta
mente della modernità: Einstein”.
A prescindere dall’elevazione di
Einstein a “più alta mente della modernità”, iperbole che fa sorridere, bisogna
osservare quanto segue a proposito degli esempi addotti da Socci. L’ex-ateo Flew rifiuta tutte le religioni
rivelate e in particolare il Cristianesimo (non ammette – al pari di Einstein –
un Dio che condanna all’Inferno e per sempre i malvagi), non crede a un Dio
creatore dell’universo dal nulla né all’immortalità dell’anima, né ad una vita
ultraterrena dopo la morte. Questa sua
fede in Dio non si capisce, pertanto, a quale Dio si riferisca. In ogni caso non ha nulla di religioso: il suo Dio è come quello di certi filosofi
antichi, per i quali gli dèi non partecipavano in nessun modo alle vicende
umane, se ne stavano in beata solitudine al di là delle sfere celesti. Questo Dio è un’entità astratta, un ente di
ragione. Se è così separato dalle
vicende umane e dallo stesso universo (che non ha creato dal nulla), a cosa
serve allora, perché averne bisogno come idea? Un Dio puro ente di ragione viene
tirato in ballo come unica spiegazione possibile dell’ordine (chiamato Disegno
intelligente) che si vede nella natura tutta e che ad un certo punto si
impone al nostro ragionamento: esso
rinvia ad una Mente ordinatrice. Ma
l’ex-ateo, rimasto razionalista, non va oltre:
il suo Dio regna ma non governa[2].
Considerare incapace di “governare” gli uomini una Mente che ha ordinato
l’intero universo, non è assurdo? Ma
tant’è… E a un Dio simile crede in
realtà anche Einstein, che ha fatto anche aperta professione di
spinoziano panteismo, per quanto Socci cerchi di dimostrare che
panteista non era.
Circa il richiamo di Socci al
dettato del dogmatico Vaticano Primo, osservo: l’esistenza di Dio che la
ragione è capace di stabilire, quando pensa rettamente, è (per il Concilio) pur
sempre quella del vero Dio, cioè del Dio creatore, che ha fatto tutte le cose
dal nulla. Le credenze di tipo
panteistico, quali il deismo professato in seguito anche dagli Einstein e dai
Flew, per il Vaticano Primo rappresentano “un baratro”, quello nel quale ci
spingono la “falsa scienza” che la Chiesa ha il dovere di denunciare e
combattere[3].
3. Il panteismo di Einstein misconosciuto da
Socci
Le citazioni di Einstein
riportate in via conclusiva da Socci fanno comunque vedere in che cosa effettivamente
consista la “religiosità” di Einstein e la sua idea di Dio. La scienza autentica, scriveva il grande
scienziato, deve procedere in base al “convincimento, simile al sentimento
religioso, della razionalità ed intelligibilità del mondo […] Tale fermo
convincimento, legato al sentimento profondo dell’esistenza di una mente
superiore che si manifesta nel mondo dell’esperienza, costituisce per me l’idea
di Dio”. Le leggi della natura “manifestano
l’esistenza di uno spirito immensamente superiore a quello dell’uomo”. L’”umile ammirazione” nei confronti di questo
“spirito”, costituiva, sottolineava egli, “la mia religiosità”. Einstein si è sempre mantenuto fedele ai
concetti qui riportati, dai quali, conclude tuttavia Socci “ è evidente come
non possa esser considerato ateo o spinoziano, cioè panteista. Lui stesso lo smentì esplicitamente. “Non sono ateo e non credo di potermi
definire panteista. Siamo nella stessa posizione di un bambino che entra in
un’enorme biblioteca piena di libri in molte lingue. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto
quei libri. Non si sa come. Non si comprendono le lingue in cui sono
scritti. Il bambino sospetta vagamente
un ordine misterioso nella collocazione dei libri, ma non sa quale sia. Questo, mi pare, è l’atteggiamento anche del
più intelligente degli esseri umani nei confronti di Dio”.
Socci non cita le sue fonti. Da dove proviene l’affermazione con la quale
Einstein nega di essere panteista? Ho
ritrovato il passo nel quale Socci la inserisce in una delle più recenti
biografie di Einstein, che credo tradotta anche in italiano. Nella versione inglese originale il
riferimento al panteismo tuttavia non c’è: “Credi in Dio? -- Non sono ateo. Il problema di cui stiamo parlando è troppo
vasto per le nostre limitate menti. Siamo nella posizione di un bambino che
entra in un’enorme biblioteca etc.”[4]. È vero che Einstein ha riformulato più volte
gli stessi concetti su questo tema in molteplici interventi e dichiarazioni. Tuttavia, non sono riuscito, forse per mio
demerito, a reperire alcuna sua ripulsa del panteismo. Al contrario, egli ne ha fatto due volte
espressa professione, con riferimento esplicito al pensiero di Spinoza quale
modello dello stesso. Nel prosieguo
dell’intervista citata, Einstein, dopo aver dichiarato che non credeva
nell’esistenza del libero arbitrio, affermava: “Sono affascinato dal panteismo di Spinoza.
Ammiro inoltre il suo contributo al pensiero moderno per esser stato egli il
primo filosofo ad aver compreso in unità anima e corpo, non più due cose separate”[5].
Il famoso storico della scienza
Max Jammer, anche lui ebreo, noto in Italia soprattutto per un importante libro
sulla storia del concetto dello spazio, amico personale di Einstein, ha
dedicato nel 1999 un libro alla religione del celebre scienziato: Einstein and Religion. Physics and Theology,
Princeton University Press. Di esso ho
letto solo un’accurata recensione e una argomentata confutazione. Che la “religiosità” di Einstein fosse di
tipo panteistico-spinoziano, Jammer non sembra comunque metterlo affatto in
dubbio. Egli professava una “religione
cosmica” che Jammer cerca di riannodare
in qualche modo alla tradizione giudaica[6]. Einstein ha preso le distanze dagli “atei di
professione” (nell’America del tempo era sgradevole anche dichiararsi “agnostico”,
qualifica che Einstein si è a volte attribuita in lettere private, considerata
l’anticamera dell’ateismo). Ora, chi
professa di credere nel Dio di Spinoza (Deus sive Natura) non è sempre
stato considerato ateo, a prescindere dalla sua convinzione di credere
effettivamente in Dio? Se Dio è solo la
razionalità immanente nella Natura, allora di Dio in senso proprio,
trascendente, non si può più parlare. E se al di là della Natura non c’è niente,
non siamo di fatto all’ateismo?
Veniamo adesso alle testimonianze
dello stesso Einstein.
4. L’esplicito e sprezzante rifiuto
einsteiniano della religione rivelata, del “Dio personale”
Nel 1947, sette anni prima della
morte, nel tratteggiare uno schizzo autobiografico, ricordò come da ragazzo avesse svoltato nel “libero
pensiero”.
“Fin da quando ero un giovane abbastanza
precoce, la vanità delle speranze e degli sforzi che travolgono incessantemente
la maggior parte degli uomini in una corsa affannosa attraverso la vita, mi
aveva colpito profondamente […] La prima via d’uscita era offerta dalla
religione, che viene inculcata in ogni bambino attraverso la macchina educativa
tradizionale. Così io – benché figlio di
genitori (ebrei) completamente irreligiosi – divenni religiosissimo; ma cessai
improvvisamente di esserlo all’età di 12 anni.
Attraverso la lettura di libri di scienza popolare mi ero convinto ben
presto che molte delle storie che raccontava la Bibbia non potevano esser
vere. La conseguenza fu che divenni un accesissimo
sostenitore del libero pensiero, accomunando alla mia nuova fede l’impressione
che i giovani fossero coscientemente ingannati dallo Stato con insegnamenti
bugiardi; e fu un’impressione sconvolgente.
Da questa esperienza trassi un atteggiamento di sospetto contro ogni
genere di autorità, e di scetticismo verso le convinzioni particolari dei
diversi ambienti sociali”[7].
Nel 1931, nello spiegare “come io
vedo il mondo”, ribadì di “non credere affatto alla libertà dell’uomo, intesa
in senso filosofico. Ciascuno di noi agisce sotto l’impulso di una forza
esterna, ma anche secondo una necessità interiore. Il detto di Schopenhauer: “Un uomo può fare ciò che vuole, ma non può
volere ciò che vuole”, mi ha vivamente ispirato fin dalla giovinezza”[8].
A questo determinismo Einstein si è mantenuto fedele per tutta la vita. Esso
è perfettamente compatibile con la filosofia di Spinoza, autore la cui Ethica
egli lesse tra il 1915 e il 1917, come risulta da una lettera alla seconda
moglie. L’opera lo riempì di ammirazione[9].
Nello scritto del 1931 Einstein spiegò
chiaramente il suo rifiuto esplicito e convinto della religione rivelata.
“L’esperienza più bella che ci è
dato avere è il mistero della vita; il sentimento profondo che troviamo alla
radice della vera arte e della vera scienza.
Ignorarlo, perdere il senso dello stupore e della meraviglia, significa
quasi morire, cessare di vedere”.
Da questo tema, ricorrente in
lui, del “mistero della vita” che appare nel mistero della natura,
instillandoci la meraviglia che fa nascere il desiderio di indagare questo
mistero - tema del quale, come si è visto, si nutre la “religiosità” di
Einstein - il genio di Ulm passava tuttavia, come per logica conseguenza, ad attaccare
la religione rivelata. Più esattamente: risultando il contenuto della sua “religione”
dalla percezione del mistero che regna nella natura, a sua volta espressione di
un’intelligenza profonda, Einstein
imbastiva su di esso un attacco in piena regola alla religione rivelata.
“È il senso del mistero – misto
anche alla paura – che ha generato la religione. Sapere che esiste qualcosa che ci è impenetrabile,
conoscere le manifestazioni dell’intelligenza più profonda e della bellezza più
sublime, accessibili alla nostra ragione solo nelle loro forme più primitive,
questo forma il contenuto della religiosità.
In questo senso, e soltanto in questo senso, io sono un uomo
profondamente religioso. Io non posso concepire un Dio che ricompensa e
punisce le sue creature e che esercita una volontà simile a quella che noi sperimentiamo
in noi stessi. Né so immaginarmi e
desiderare un individuo che sopravviva alla propria morte fisica: lasciate che di tali idee si nutrano, per
paura o per egoismo, le anime fiacche. A
me basta il mistero dell’eternità della vita, la coscienza e il presentimento
della mirabile struttura del mondo in cui viviamo, insieme con lo sforzo
incessante per comprendere una particella, per piccola che sia, della Ragione
che si manifesta nella natura”[10].
In che senso si considerava
dunque “profondamente religioso” Einstein?
Nel senso già visto: stupore per
il mistero della natura e consapevolezza che l’umana intelligenza può
penetrarne l’ordine solo “nella sua forma più primitiva”. In questa “religiosità” non c’è posto per la
religione rivelata, che crede in un Dio trascendente e creatore, che per di più
ha parlato agli uomini, dettando loro le regole della morale e addirittura
incarnandosi nell’individuo storico Gesù di Nazareth. Questa fede in un “Dio personale”, in un altro famoso intervento, di taglio
nettamente anticattolico, Einstein esortò addirittura ad abbandonarla.
Intervenendo nel 1940 ad un
Simposio americano su “Scienza, filosofia e religione nella loro relazione con
il modo di vivere democratico”, dopo aver ribadito la sua nozione di una
religiosità come senso del mistero di fronte all’ordine che regna nella Natura e
allo Spirito che la pervade, nonché la sua recisa negazione del libero arbitrio
nell’uomo (cioè il suo radicale determinismo), aggiungeva: “Nella loro lotta per il bene in senso etico,
coloro che insegnano la religione devono avere il coraggio di rinunciare alla
dottrina dell’esistenza di un Dio personale; vale a dire, di rinunciare a
quella sorgente di speranza e di timore che in passato ha messo tanto potere
nelle mani dei preti”[11].
Fa impressione il sostanziale disprezzo con il quale Einstein parla di chi
crede nella vita eterna e in un Dio personale “che ricompensa e punisce”. Einstein, cresciuto nell’ambiente scettico e
razionalista della colta borghesia ebraica tedesca di fine Ottocento, in gran
parte allineata alla mentalità positivistica allora dominante in Europa,
manifestò sempre nei confronti della religione in senso proprio un
atteggiamento di superiorità, da intellettuale emancipato e libero
pensatore. Nel passo ora visto, simile
ad altri suoi, colpisce anche la vera e propria professione di fede nei
confronti della “Ragione che si manifesta
nella natura”, dall’interno della “struttura del mondo”. Questa Ragione è il vero Dio, il “Vecchio che
non gioca a dadi” della celebre sua battuta contro i sostenitori del principio
di indeterminazione: la razionalità deterministica
che costituisce e mantiene tutto l’ordine della natura, eterna e increata. Pertanto, nella Natura non “si manifesta” la
potenza di Dio ma “la Ragione”, come ordine intrinseco ad un Tutto eterno,
increato e chiuso in se stesso. È di
fatto la posizione di tanti atei, quella di Einstein, al di là di occasionali
quanto generici riferimenti a Dio[12].
5. Le due note professioni di fede “nel Dio
di Spinoza” da parte di Einstein
Ma come avvennero le einsteiniane
professioni di fede nel Dio di Spinoza? Nell’anno 1929, le sue note dichiarazioni
sulla religione o meglio sulla religiosità da intendersi soprattutto come
“spirito che si manifesta nelle leggi dell’Universo”, in modo impersonale, che
spetta soprattutto alla scienza cogliere e spiegare, ragion per cui non abbiamo
bisogno di un “Dio personale” che ci governi, provocarono ad un certo punto una
nota polemica da parte del cardinale di Boston, Henry O’Connell, che disse di
vedere nelle esternazioni di Einstein
sulla religione (e anche nelle sue teorie scientifiche) “l’apparizione sinistra
dell’ateismo”.
Allora un rabbino ortodosso di New York, Herbert Goldstein, preoccupato
della tempesta che si addensava sul capo del più famoso ebreo vivente, gli
mandò un telegramma con una risposta pagata di 50 parole, nel quale era scritto
solamente: “Credete in Dio?”. La celebre risposta dello scienziato fu: “Credo nel Dio di Spinoza che si
rivela nell’ordine armonioso di ciò che esiste, non in un Dio che si occupi del
destino e delle azioni degli uomini”. Con
tale risposta, pur insoddisfacente per i credenti, sia cristiani che ebrei, non
si poteva comunque accusarlo di ateismo, almeno formalmente[13].
Sempre nel 1929, rispondendo su
di una rivista tedesca ad uno studioso giapponese che gli aveva chiesto la sua
opinione in materia di “verità scientifica”, dopo aver precisato che il termine
“verità religiosa” non gli indicava nel modo più assoluto “nulla di chiaro”(conveys
nothing clear to me at all) e che il suo “sentimento religioso” consisteva
semplicemente nella “razionalità o intelligibilità del mondo”, dichiarò: “Questa ferma credenza, profondamente sentita,
in una mente superiore che si rivela nel mondo dell’esperienza, costituisce la
mia concezione di Dio. Nel modo di
esprimersi comune la si potrebbe descrivere come “panteistica”(Spinoza)”[14].
Si nota dunque una continuità
nelle professioni di spinozistico panteismo da parte di Einstein. Nel testo del 1929 appena citato appare già
ben in evidenza il nesso scienza-religione così come sarà esposto in molteplici
interventi successivi: “La ricerca
scientifica può ridurre la superstizione con l’incoraggiare la gente a pensare
e a osservare la realtà in termini di rapporti di causa ed effetto. È sicuro che, a fondamento della ricerca
scientifica di alto livello, c’è la convinzione – simile ad un sentimento
religioso – della razionalità o intelligibilità del mondo”[15].
Va ricordato anche il seguente
dettaglio. Negli ultimi anni della sua
vita Einstein fu membro onorario della celebre Rationalist Association,
fondata nel 1885 nell’Inghilterra vittoriana, che raccogliava famosi liberi
pensatori e in sostanza atei più o meno dichiarati, tra i quali Bertrand
Russell e G.H. Wells. Quest’Associazione
stampò per molti anni una collana intitolata The Thinkers Library includente classici antichi e moderni del
libero pensiero. Nel 1936 pubblicò, con
il n. 79 della collana, il libro di Einstein, The World as I See It , ovvero:
Il mondo come lo vedo io, raccolta di suoi articoli, saggi, interventi
su argomenti di vario tipo, scritti negli anni Venti e Trenta del secolo scorso[16].
Gli “umanisti” e “razionalisti”, tutti atei più o meno mascherati,
consideravano Einstein uno dei loro.
6. La singolare “religione cosmica” di
Einstein, che divinizza la scienza
Per avere un quadro completo
della “religiosità” di Einstein, è necessaria una breve esposizione della
“religione cosmica” della quale Einstein si è fatto paladino, i cui tratti
si intuiscono già da quello che si è detto.
Egli l’espose sinteticamente in un suo scritto degli anni Trenta,
intitolato anch’esso Religion and Science, ricompreso poi in The
World as I See It, appena citato.
Si davano per Einstein tre tipi
di religione o forme della religiosità. La
“religione della paura”, quella dei popoli primitivi, basata sul timore delle
forze della natura e su sentimenti elementari, di terrore di fronte alla
malattia, alla morte, alle bestie feroci.
Tale religione si fabbricava entità “dalle cui volontà e azioni
dipendono i temuti eventi nocivi”[17].
In questa religione appaiono le “caste sacerdotali” quali mediatrici tra
l’uomo e le temute forze dell’ignoto. Seguì
poi la “religione morale”, provocata dall’umano desiderio di protezione, ricompensa,
aiuto nelle vicende di questo mondo. Si
ha qui una “concezione sociale o morale di Dio”. Dio è visto come colui che conforta, premia,
punisce, “conserva le anime dopo la morte”. Le Scritture ebraiche, delle quali il Nuovo
Testamento è una continuazione, fanno vedere in modo mirabile il passaggio
dalla religione dei primitivi a quella “morale”, più evoluta[18].
Queste due forme di religione,
sempre create dall’uomo, concepiscono Dio in forma antropomorfica, secondo
Einstein. Ma si ha poi il passaggio ad
una terza forma di religione, per Einstein quella autentica, che egli chiama “religione
cosmica”, il cui vate sarebbe lo scienziato, nella misura in cui prova “un sentimento
religioso cosmico”[19].
Questa forma di religione sarebbe migliore delle altre già per il fatto
di non ammettere alcun antropomorfismo. Da
cosa scaturisce un “sentimento religioso cosmico”? Le sue componenti le abbiamo in sostanza già
viste. Qui le ritroviamo: il senso della “nullità dei desideri umani e
dei loro obiettivi” nonché “l’ordine sublime e meraviglioso che si rivela sia
nella natura che nel nostro pensiero”. L’aspirazione
ad uscire dalla “prigione della propria esistenza individuale per comprendere
l’universo come un tutto il cui significato è unitario”. Questa “religiosità cosmica” la si ritrova
in modo inconsapevole “in molti Salmi di Davide e in alcuni dei Profeti. Il Buddismo, specialmente come inteso da
Schopenhauer nei suoi meravigliosi scritti, ne mostra una componente ancora più
intensa”. L’hanno sentita, questa “religiosità”,
continua audacemente Einstein, “i geni religiosi di ogni epoca”. È una religiosità “che non conosce dogma e
non contiene immagini antropomorfiche di Dio, in modo da non produrre alcuna
Chiesa che possa fondare la sua autorità esclusiva su di essa”. Tale religiosità si trova “tra gli eretici di
ogni epoca”, uomini considerati dai loro contemporanei ora come atei ora come
santi. “Visti in questa prospettiva,
uomini come Democrito, Francesco d’Assisi e Spinoza, sono strettamente affini
tra di loro”[20].
Che Einstein avesse le idee chiare
in fatto di religione, in particolare in relazione al Cristianesimo, non mi
sentirei di affermarlo, visto che riteneva di poter equiparare san Francesco
d’Assisi a Spinoza e Democrito! Per
tacere del suo singolare concetto di “genio religioso”, cui ascrive una religiosità senza dogmi e
senza immagini, simile alla sua! Ma il
punto essenziale di questa sua singolare e bizzarra “religione cosmica” appare
quando Einstein attribuisce all’arte e alla scienza la missione
“di risvegliare il sentimento religioso cosmico e di mantenerlo vivo in coloro
che sono capaci di provarlo”[21].
Qual è, allora, il giusto modo di intendere il rapporto tra scienza e
religione? Quello da lui proposto, che
deve assumere come suo proprio postulato il determinismo più assoluto. Lo scienziato deve vedere solo rapporti di
causa ed effetto, rigidamente determinati, sui quali non può interferire un
Ente (sovrannaturale). Ciò distruggerebbe
il principio di causalità. Pertanto lo
scienziato non sa che farsene delle prime due forme di religione.
“Un Dio che ricompensa e punisce
è per lui inconcepibile per il semplice motivo che le azioni dell’uomo sono
determinate dalla necessità, sia interna che esterna, ragion per cui non può
esser ritenuto responsabile agli occhi di Dio, non più di quanto un oggetto
inanimato sia responsabile dei movimenti che gli vengono impressi. So bene che la scienza è stata accusata di
minare l’etica, ma quest’accusa è ingiusta.
Il comportamento morale di un uomo dovrebbe nei fatti basarsi sulla
simpatia, l’educazione e gli obblighi sociali:
non occorre una base religiosa. La
condizione umana sarebbe veramente indigente se l’uomo dovesse esser tenuto a
bada con la paura e le sanzioni e la speranza di una ricompensa dopo la morte”[22].
Dunque, la scienza, secondo
Einstein, dimostra che il libero arbitrio non esiste. Ma come si concilia il determinismo da essa
affermato con la “religiosità cosmica” che dovrebbe contraddistinguerla? Il
“sentimento” di tale religiosità, secondo il Nostro, “costituisce il pungolo
più forte e più nobile della ricerca scientifica”. E perché?
Perché esso ci consente di aprire la mente “alla razionalità
dell’universo”, stimolando quella “brama di conoscere” che ritroviamo nei
grandi spiriti, come ad esempio Keplero e Newton, che “hanno speso anni di dura
e solitaria fatica per elaborare i principi della meccanica celeste”[23].
La forza morale che animava giganti quali Keplero e Newton, i quali
hanno dovuto lottare da soli contro i pregiudizi del loro tempo, sarebbe un prodotto della loro religiosità
cosmica: “È il sentimento religioso
cosmico che dà ad un uomo una forza di questo genere”[24].
Conclusione finale: “Un contemporaneo ha detto, non ingiustamente, che
nella nostra materialistica epoca, gli scienziati seri sono le uniche persone
profondamente religiose”[25].
7. La penetrante critica di Lydia Jaeger al
panteismo di Einstein
Come ha notato la filosofa Lydia
Jaeger a proposito di questa singolare “religione cosmica” di Einstein, abbiamo
qui a che fare con un panteismo del tutto particolare dal momento che “la
ricerca scientifica vi diventa in quanto tale un’attività religiosa”,
assumendo con ciò una “posizione
predominante” nell’interpretazione della realtà [26].
In particolare, aggiungo, il fisico viene elevato a Vate di una nuova religione,
“cosmica”. Ma il panteismo di Einstein
pone poi dei problemi che non riesce a risolvere per ciò che riguarda il soggetto
conoscente e il soggetto agente, nota acutamente Jaeger .
Infatti, dal punto di vista del soggetto
conoscente, il panteismo implica l’unità di tutto il vivente e pertanto
Einstein deve vedere una “analogia tra le leggi della natura e quelle del
pensiero umano”. A questo proposito,
egli utilizzò anche l’immagine leibniziana della “armonia prestabilita” da Dio,
al fine di spiegare la “coincidenza tra il pensiero e i fatti della
natura”. Tuttavia, Einstein insistette
sempre anche sulla intrinseca creatività del pensiero umano: lo scienziato
scopre le leggi della natura non in base alla sola osservazione empirica ma
“grazie ad un’intuizione che lo immedesima nell’esperienza” sensibile; che gli
fa cioè penetrare creativamente il “mistero” della natura. Einstein ribadì sempre che “la conoscenza non
può scaturire dalla pura osservazione empirica, essa nasce dal confronto tra
ciò che si prefigura e ciò che si osserva”[27].
Ma proprio qui emerge il limite
del panteismo, osserva Jaeger. Dal momento
che esso “si fonda sull’unità di natura e pensiero non è possibile [dal suo
punto di vista] che la ragione umana si ordini con leggi diverse da quelle
della natura che essa cerca di conoscere”.
Ma la creatività dello scienziato, giustamente rivendicata da
Einstein, come viene a ricomprendersi in quest’unità? Questa creatività, che lo stesso
Einstein ha notoriamente dimostrato di possedere in notevole misura, come si
inquadra nel determinismo a sfondo panteistico professato dal grande fisico,
nel rigido rapporto unitario (spinoziano, appunto, monistico) da lui stabilito
tra natura e pensiero? Non sembra,
prosegue l’Autrice, che Einstein abbia risolto il problema della necessaria separazione
tra soggetto e oggetto, indispensabile all’esatta rappresentazione del nostro
rapporto con la realtà. Einstein
respinge sia la posizione idealistica, poiché ammette la natura come
ordinamento indipendente dal nostro pensiero, sia quella materialistica, con la
sua fede nella libera capacità creativa dello spirito umano che indaga la
natura. Tuttavia, non è affatto chiaro
come riesca a conciliare questa libera creatività con il determinismo[28].
Per il soggetto agente, invece, si deve dire che il determinismo
einsteiniano non permette di fondarne in modo soddisfacente la responsabilità morale[29].
Tanto più se si pensa che Einstein ha dichiarato di privilegiare
“l’ideale democratico”, che egli rappresenta come “rispetto per ognuno come
persona” poiché ognuno deve esser visto come “individuo sensibile e
creativo”. Ma come si concilia l’ideale democratico di una
libertà responsabile e nello stesso tempo creativa da riconoscersi
all’individuo, con il rigido determinismo che nega l’esistenza obiettiva di una
legge morale e della possibilità stessa della libertà per l’uomo? Queste critiche sono sempre state fatte ad
Einstein, in particolare, come ricorda l’Autrice, dal suo amico Max Born,
anch’egli premio Nobel per la fisica, e dalla di lui moglie, che ebbe
interessanti scambi epistolari con Einstein sul tema[30].
Ma uno degli scopi di Einstein, aggiungo,
sembra proprio quello di poter affermare l’indipendenza assoluta del soggetto
da Dio proprio per quanto riguarda la responsabilità morale delle proprie
azioni. Sentenziò: “ Nella morale non c’è nulla di divino, è un
affare puramente umano”[31].
Questa concezione puramente “umana” della morale, che lascia a tutti la
libertà di agire senza sentirsi giudicati né dalla legge di natura né da Dio, è
tipica di deisti e panteisti. La
dimostrazione della sua validità la darebbe la scienza, spiegando in termini
rigorosamente deterministici la causalità universale che regge l’ordine della
Natura. Se ogni nostra azione è di fatto
predeterminata dalla ferrea concatenazione della causalità universale, non
possiamo evidentemente esser incolpati che male che facciamo. Ma questo modo di
ragionare non apre la porta al naturalismo e al nichilismo?
8. La “religione cosmica” di
Einstein forma di naturalismo che
attenta sia alla religione che alla scienza – Una domanda di chiarimento a
proposito della nuova scoperta, sullo “spazio curvo”
Nella visione einsteiniana della
religione non c’è niente di particolarmente originale, a parte la singolare
prospettiva inaugurata dalla sua “religione cosmica”. Le riflessioni sui due stadi dello sviluppo
delle religioni, da quella fondata sulla paura a quella morale, riflettono le
interpretazioni sociologiche e psicologistiche del fenomeno religioso che si
erano affermate in America e in Europa a cavallo del Secolo, largamente nutrite
di studi etnologici e antropologici. Troviamo
riflesso nel pensiero di Einstein il criterio di fondo che ispirava quegli
studi: la religione è un fenomeno
esclusivamente umano, essa proviene dall’uomo non da Dio, esprime esigenze
solamente umane nella forma di sentimenti che si fabbricano le figure degli dèi
o di una Divinità assolutamente trascendente.
Questo criterio, come ognun può vedere, è estremamente superficiale. Esso viene applicato come se avesse
dimostrato il proprio oggetto prima ancora di dimostrarlo, e cioè che non può
esistere una religione rivelata poiché il contenuto di ciò che chiamiamo fede
o credenza religiosa verrebbe solo dal basso, dal sentimento dell’uomo in
fuga dalla Natura e desideroso di protezione e di garanzie. L’esistenza della divinità trascendente viene
pertanto esclusa a priori. Si tratta di
un atteggiamento irrazionale che sfocia poi nel panteismo e nel determinismo
(con le loro suesposte contraddizioni) e provoca una filosofia della vita in
sostanza naturalistica. Infatti,
con l’alibi dell’inesistenza di un libero arbitrio che ci renda responsabili
delle nostre azioni, lascia poi l’individuo libero di seguire tutti i
suoi impulsi, in quanto provenienti (in apparenza) esclusivamente dalla natura,
con l’unico limite esteriore dei vincoli sociali o di convenienza da
rispettare.
Questo tipo di Weltanschauung
mi sembra evidente in Einstein, rilevabile anche dal modo nel quale ha vissuto,
se lo consideriamo prescindendo dal mito che gli si è costruito addosso e nel
quale egli ha sguazzato sino alla fine dei suoi giorni. La sua “religiosità cosmica” rientra
anch’essa in questa visione del mondo poiché il Vate che ne è il Fisico
dovrebbe in primo luogo rivelare la supposta verità rappresentata dal
determinismo universale, liberando così gli uomini dalla schiavitù della
religione rivelata, con le sue difficili verità sulla caduta, il peccato, la
redenzione, la santificazione quotidiana, il Giudizio finale. Dovrebbe, quindi, liberare gli uomini
dall’idea dell’esistenza di un Dio creatore, assolutamente trascendente, Padre
e nello stesso tempo Giudice in eterno. Appare
qui, a mio avviso, una hybris distruttiva non solo di ogni vera
religione ma anche, alla fine, della vera natura della scienza, poiché l’umiltà
di fronte al “mistero” dell’ordine impressionante della Natura scomparirà dal
modo di pensare dello scienziato, una volta innalzatosi a sacerdote che ha
elevato la sua scienza al rango di vera e propria religione, le cui verità
devono valere come dogmi, in sostituzione di quelli della religione rivelata,
la religione del “Dio personale”.
A questa preminenza della scienza
sulla religione, divenuta la scienza essa stessa la nuova “cosmica” religione,
lo spinoziano Einstein doveva giungere per via indiretta. Non occupandosi ovviamente di religione in
senso specifico ma costruendo un’immagine del mondo fisico che mostrasse
l’inutilità, la non-necessità dell’idea di un Dio creatore. La teoria einsteiniana dell’universo come spazio
curvo, in ogni suo punto provvisto di una densità di materia-energia
superiore allo Zero – teoria che sarebbe stata confermata dall’attuale scoperta
delle “onde gravitazionali” – corrisponde anche all’esigenza di soddisfare la
teologia panteistica di Einstein.
Sia chiaro: essa è nata e si è mantenuta come teoria
puramente fisica, sviluppando la scoperta dell’elettromagnetismo e del campo
elettromagnetico fatta da Faraday e Maxwell.
Essi vedevano lo spazio ricoperto da onde elettromagnetiche che vi si
disponevano come se fossero curve geodetiche, costituendo in tal modo un campo
di energia nello spazio, interposto tra le fonti generatrici del campo
stesso e tuttavia con le sue proprie leggi, esprimibili in “equazioni di
campo”. Al fine di risolvere i problemi
posti dalla concezione newtoniana della gravità come forza attrattiva operante
istantaneamente, cosa che appare più divina che naturale, Einstein ebbe l’idea
di estendere la realtà curvilinea del campo elettromagnetico all’intero
universo, ossia allo spazio stesso, da concepirsi tutt’intero come
un cosmico campo di onde curvilinee, intersecantisi in numero infinito in ogni
suo punto. Identificando spazio e campo
e quindi universo e campo, si ottiene l’immagine di uno spazio curvo che
altro non è che l’intero universo, in quanto tale. Allora l’universo, essendo curvilineo a causa
della disposizione della materia-energia in esso presente, avrebbe la forma di
uno sferoide, che sarebbe la stessa dello spazio in quanto tale: sferoide illimitato, perché sulla superficie
di una sfera non vi sono limiti, e tuttavia finito, perché una sfera non può
essere infinita. Finito in quanto spazio
ma non nel tempo. Ed increato
perché l’ipotesi di una creazione dal nulla non è necessaria per spiegare un
universo di questo tipo. Così l’immagine
dello “spazio curvo” trapassa in quella dell’universo “curvo” ossia chiuso e
finito, esistente ab aeterno senza bisogno di esser stato creato. E la gravità non sarebbe più una forza ma una
semplice variazione di densità nella “fabbrica dell’universo” ossia nella
geometria del “campo” costituente l’universo.
Ma le famose e difficilissime
“equazioni di campo” elaborate da Einstein, né lui né altri erano riusciti a
risolverle, applicandole alla realtà. Ora
ci dicono che l’applicazione è stata dimostrata con la scoperta dell’esistenza
delle “onde gravitazionali”, onde di energia cosmica che dimostrerebbero la
curvilineità dello spazio che le trasmette e la natura continua della forza di
gravità, per successione di onde di energia e non più per attrazione a distanza
nello spazio vuoto, mediante una forza che opera istantaneamente.
Noi populares non possiamo certo discutere con gli
scienziati, a proposito delle loro scoperte.
Avranno fatto per bene i loro calcoli.
Ricordo che già due anni fa fu annunziata la scoperta di queste famose
“onde”, con sperimentazioni diverse dalle attuali, ma poi la cosa finì nel
nulla. Noi del popolo ignorante,
tuttavia, qualche domanda la possiamo porre, per capire meglio, anche prima che
esposizioni divulgative ad hoc, che sicuramente non mancheranno, ci facciano
comprendere, per lo meno nelle linee generali, in che modo sia avvenuta la
scoperta. Tra le possibili domande
pongo la seguente, relativa alla determinazione dello spazio curvo:
“All’alba del nuovo millennio un
gruppetto di fisici sperimentali annunciò di aver verificato che i punti più
caldi e più freddi della radiazione fossile avevano effettivamente dimensioni
angolari di circa un grado e che, di conseguenza, la geometria dello spazio
doveva ritenersi piana”[32].
Essa appariva di un vuoto euclideo o piatta (flat) a tutte le
misurazioni cosmiche che venivano fatte su scala “più larga”. Ora, se l’esistenza delle “onde
gravitazionali” dimostra che lo spazio non è più euclideo ossia piano, e quindi
vuoto e infinito, bensì “curvo” e pieno e chiuso su se stesso, che ne è di
quelle misurazioni cosmiche correlate alla “radiazione fossile”? Si devono ritenere errate? Naturalmente, nella scienza è accaduto e può
sempre accadere che nuove misurazioni facciano decadere quelle precedenti,
comportanti diversi risultati. Tuttavia,
credo sia lecito aspettarsi una risposta al quesito da me posto, che resta
nell’ambito dei problemi sollevati dalla teoria fisica stessa.
Contro l’immagine dello “spazio
curvo” inteso come realtà strutturale del cosmo, resta sempre valido, a mio avviso,
l’argomento di tipo geometrico: non
esiste una forma geometrica che coincida con tutto lo spazio. Qualcosa resta sempre fuori: ogni sfera può sempre esser inscritta in un
quadrato o in un poligono e questi a loro volta in un’altra sfera e così via,
all’infinito. E tutte queste forme
geometriche possono incastrarsi l’una nell’altra all’infinito
nell’immaginazione proprio perché al di fuori dell’incastro c’è sempre
spazio. Pertanto, al di là di uno spazio
supposto “curvo” ci sarà sempre altro spazio poiché una forma geometrica è tale
solo nello spazio, che la trascende e supera da ogni lato. La forma dello spazio è in realtà sempre
il luogo, occupato da qualcosa, sia esso materia od energia, e questo qualcosa
è sempre una forma nello spazio tridimensionale.
Paolo
Pasqualucci
[1] Walter
Isaacson, Einstein. His Life and Universe,
Pocket Books, London , Sydney ,
New York , Toronto , 2008, p. 154, p. 442.
[2] My Pilgrimage from Atheism to Theism. An Exclusive Interview with Former British
Atheist Professor Antony Flew, di pp. 17, www.deism.com, apparsa
nel 2005 nella rivista Philosophia Christi della Evangelical Philosophical
Society (www.biola.edu/philchristi).
[3] Vedi la Costituzione dogmatica De Fide
Catholica, del 24 aprile 1870, DS
1782/3001 ss. Non si può ritenere che
il Concilio approvasse qualsiasi idea dell’esistenza di Dio, anche quella che
ne fa un semplice quanto astratto ente di ragione, avulso da tutto, né creatore
né Padre misericordioso né giudice, il
contrario esatto del “Dio vivente”. Per
il testo in italiano, vedi: Giuseppe
Alberigo (a cura di), Decisioni dei Concili Ecumenici, tr. it. di R.
Galligani, UTET, Torino, 1978, p. 759, p. 767.
Si tratta della costituzione dogmatica De fide catholica, sulla
fede cattolica.
[4] Walter
Isaacson, Einstein. His Life and
Universe, cit., p. 386 - capitolo XVII:
Einstein’s God, pp. 384-393.
L’Autore riporta un'intervista
fatta ad Einstein nel 1929. Anche per
Isaacson, tutte le dichiarazioni di Einstein sulla religione fanno vedere come
egli professasse “un concetto impersonale, deistico di Dio” (op. cit., p. 385). Il passo da me riportato nel testo,
recita: - Do you believe in God? “I’m not an atheist. The problem involved is too vast for our
limited minds. We are in the position of
a little child entering a huge library filled with books in many languages
etc.”(op. cit., p. 386). Nell’intervista, Einstein affermava anche di esser
affascinato dalla personalità di Gesù, della cui esistenza storica non dubitava,
ma di non credere in una vita dopo la morte: “una vita mi basta” (op. cit., pp.
386-387).
[6] Sarojini
Henri, Review of Max Jammer’s “Einstein and Religion: Physics and Theology”, October 11, 2004,
sul sito: www.metanexus.net/book review/
review-max-jammers-einstein-and-religion etc., di 4 pp. Fortemente
polemico, ma con buoni argomenti, contro la tesi di Jammer l’intervento: Einstein the atheist on religion and God,
sul blog: coelsblog. Defending
Scientism, di pp. 21, coelblog.wordpress.com./2013/04/08/einstein-the-atheist-on-religion-and-god/
[7] Silvio Bergia (a cura di), Einstein e la relatività, Laterza, Bari,
19802, p. 160. Si tratta di
un’antologia di scritti einsteiniani preceduta da un ampio saggio introduttivo
del curatore: op. cit., pp. 3-155.
[8] Op. cit., p. 161. Secondo Issacson,
il detto attribuito a Schopenhauer non è letterale (op. cit., p. 618).
[11] Albert Einstein, Ideas and Opinions, based on Mein
Weltbild, edited by C. Seelig and other sources, new translations and
revisions by S. Bargmann, Bonanza Books, New York, s.d., p. 48. Si tratta dello scritto: Science and Religion, pp. 41-49.
[12] Pascual Jordan , Der
Naturwissenchaftler vor der religiösen Frage, Stalling, Oldenburg/Hamburg,
19726, p. 133.
[13] Vedi: coelsblog, Einstein the atheist on
religion and God, cit., p. 18.
L’originale recita: “I believe in Spinoza’s God who reveals
himself in the orderly harmony of what exists, not in a God who concerns
himself with fates and actions of human beings”. Lo stesso Spinoza si considerava il vero credente: accusava i Cristiani di ateismo perché a suo
dire concepivano Dio in modo antropomorfico, rendendolo simile all’uomo. Sulla vicenda della risposta di Einstein,
vedi anche: Isaacson, op. cit., pp. 388-389
e relative note. Egli sostiene che la visione panteistica di Einstein era
diffusa negli Stati Uniti tra le persone colte sin dal tempo dei Padri
Fondatori, condivisa per esempio da Jefferson e Franklin (proveniente però,
aggiungo, più dall’unitarianesimo che dallo spinozismo, cioè dall’eresia
antitrinitaria di origine protestante, per l’esattezza sociniana).
[14] Albert
Einstein, Ideas and Opinions, cit., pp. 261-262. Parentesi
nell’originale. L’intervento di Einstein si intitolava appunto: On Scientific Truth, sulla “verità
scientifica”.
[16] Vedi: New
Humanist Magazine / Blog. 6 March
2012: From the Rationalist
Archive: What Albert Einstein really
believed, di pp. 3. Secondo l’articolo Einstein era già membro
dell’Associazione nel 1936. La rivista New
Humanist è un bimestrale tuttora abbastanza diffuso nel mondo anglosassone
[17] Albert
Einstein, Religion and Science, in:
ID., The World As I See It – Out of My Later Years, translated by
A. Harris, Quality Paperback Books, New York, pp. 24-28; p. 24. Si
tratta di un articolo apparso nel Berliner Tageblatt dell’11 novembre 1930. L’inglese “cosmic religion” è nell’originale
“kosmische Religiosität”(il passo con il termine originale l’ho trovato
nell’articolo citato alla nota n. 26 qui
di seguito).
[24] Op. cit., ivi.
[26] Dr. Lydia
Jaeger, Einstein und die kosmische Religion, in ‘Philosophia Naturalis’.
XLIII, 2006, pp. 313-327; ripreso dal
sito: ljaeger.ibnogent.org/uploads/articles/0607 ae.deutsch.pdt; di pp.
14. Rilievi alle pp. 5-6.
[30] Op. cit., ivi, con le fonti ivi indicate, per Einstein e Born. Hedwig Born rimproverava giustamente ad Einstein che il suo determinismo, oltre che
astratto rispetto ai casi concreti della vita di tutti i giorni, distruggeva il
fondamento stesso di ogni etica (vedi: Isaacson, op. cit., pp. 391-392).
[32] P.G. Ferreira, La teoria perfetta.
La relatività generale:
un’avventura lunga un secolo, tr. it. di C. Capararo e A. Zucchetti,
Rizzoli, Milano, 2014, p. 246. Con
“radiazione fossile” si indica la radiazione di fondo presente in tutto lo
spazio, percepibile come costante disturbo radio di fonte extragalattica, che
costituirebbe la traccia sonora del Big Bang, l’esplosione che avrebbe dato
origine all’universo quasi 14 miliardi di anni fa. Che l’universo negli ultimi tempi lo si
ritenesse “flat” ossia piano-piatto e aperto e non curvo su se stesso,
risultava anche dal pluridecennale studio della sua densità, che risultava “inferiore
a quella considerata minima per un universo chiuso” e quindi incurvato su se
stesso, come quello ipotizzato da Einstein (vedi: S. Weinberg, The First Three Minutes. A Modern View of the Origin of the Universe, updated edition, Basic Books,
1993, p. 116). Ora, anche queste comprovate rilevazioni sulla
densità dell’universo devono ritenersi invalide?