SOMMARIO : 1. Un uso
distorto del concetto di “diritti civili”. 2. Il “diritto” al libero aborto è
uno pseudo-diritto, un “diritto incivile”. 3. Le “unioni civili” sono in realtà
“incivili”. 4. Le “unioni civili” omosessuali sono doppiamente “incivili”. 5. Il c.d. “orientamento sessuale” omosessuale
non esiste in natura. 6. Anche la “transessualità” è un’invenzione. 7. Approvare
il ddl Cirinnà significa legittimare l’impostura e tradire l’insegnamento di
Cristo.
I
vocianti sostenitori dell’infesto ddl proposto dalla senatrice del Partito
Democratico (post-comunista) Monica Cirinnà, che vuole riconoscere le coppie di
fatto, anche quelle omosessuali, equiparandole in sostanza al matrimonio, presentano
sempre la loro posizione come quella di chi si batte “per i diritti civili”. Si
sente anche dire che si tratterebbe del riconoscimento di “un diritto umano”,
di “eliminare una ingiusta discriminazione” e quindi di “una questione di
civiltà”. Negare tali “diritti” sarebbe “roba da terzo mondo”.
Il
supposto diritto dei conviventi di fatto anche omosessuali ad esser
riconosciuti dalla legge dello Stato come equivalenti alle coppie regolarmente
sposate secondo natura, sarebbe dunque un diritto civile. In
quanto diritto civile, lo Stato avrebbe allora il dovere di riconoscerlo
con le sue leggi. Il “diritto civile”, nell’accezione della quale stiamo
parlando, è un diritto che viene prima di quello dello Stato e ad esso
superiore. Rappresenta un valore che inerisce all’individuo in quanto
tale, attinente alla sfera della sua libertà personale. Oggi si ritiene che lo
Stato debba realizzare tutte le pretese di questa libertà, con l’unica
limitazione, peraltro teorica, di non danneggiare i terzi. Si ritiene, infatti,
che compito essenziale dello Stato sia quello di garantire ai singoli il
conseguimento della loro felicità individuale, comunque intesa dai
singoli stessi. Idea sbagliatissima, affetta da inguaribile edonismo e cecità
intellettuale: il compito dello Stato (e quindi dello Statista e uomo di
governo) è quello di realizzare il bene comune. Per ciò che riguarda la
felicità individuale, si tratta di trovare il giusto compromesso tra di essa e
il bene comune, tra i fini che l’individuo vuole darsi e quelli che lo Stato
può riconoscergli come legittimi, in quanto non lesivi del bene comune.
Poiché
le pretese degli individui professanti l’esercizio della loro libertà
individuale si considerano oggi sacre, il “diritto civile” che le attui viene
presentato dunque quale manifestazione di civiltà oltre che di progresso. Pertanto,
chi si opponga al suo riconoscimento nel caso specifico, viene dipinto come un
nemico della civiltà, un fautore di barbarie.
Si
tratta, ovviamente, di pura retorica, tipica dei sostenitori
dell’idea estrema di democrazia oggi imperante, la quale non vuole accettare
l’idea che la libertà individuale deve esser necessariamente sottoposta a
limiti, entro le leggi o le giuste consuetudini, perché una libertà illimitata
trapassa sempre nella licenza e nell’anarchia, distruggendo alla fine ogni
vivere civile degno di questo nome.
Nel
caso dei diritti “civili” rappresentati dal riconoscimento delle coppie di
fatto, in particolare di quelle omosessuali, si vede chiaramente che la civiltà
non ha qui niente a che fare. Anzi, tale riconoscimento, oltre che immorale e
negativo per il bene comune, sarebbe di per sé incivile perché contrario
alle norme più elementari della civiltà.
1.
Un uso distorto del concetto di “diritti civili
In
passato, con “diritti civili” si intendevano in genere quelli connessi
all’attività del soggetto titolare dei diritti politici nella comunità, nella civitas.
Rientravano tra i diritti del cittadino e concernevano soprattutto la
dimensione politica. Ricomprendevano tradizionalmente la libertà d’espressione,
di libera associazione, di voto. In un secondo tempo, la cosiddetta contestazione
giovanile, femminista, rivoluzionaria si impadronì di questo termine, per
indicare le rivendicazioni di minoranze in sé eterogenee ma cui si
attribuiva il diritto di strappare al potere costituito per l’appunto una serie
di diritti, veri e propri “diritti civili” che lo Stato aveva il dovere di
riconoscere. Così nei cortei del Movimento Studentesco degli anni Sessanta e
Settanta del XX secolo, risuonava quasi sempre lo slogan che invocava i diritti
(civili) “dei giovani, dei Neri, delle donne”. La citazione dei Neri era
corretta nel senso che le loro rivendicazioni erano effettivamente quelle di
una razza sottoposta ancora a diverse ineguaglianze e discriminazioni formali. Ma
la rivendicazione dei diritti “dei giovani” era in realtà la pretesa del
Movimento a governare imponendo in qualche modo le sue anarchiche e libertarie
ideologie. Quella delle femministe, si concentrava sulla cosiddetta “emancipazione
della donna” dai suoi ruoli tradizionali, ossia sulla “rivoluzione sessuale”. Il
caposaldo delle richieste femministe, in società nelle quali già si
diffondevano gli anticoncezionali, entrati sul mercato nordamericano all’inizio
degli anni Sessanta, era rappresentato dall’ottenere il diritto di abortire liberamente,
come affermazione di potere assoluta e indipendente, contro Dio, l’uomo,
l’istituto del matrimonio e della famiglia; diritto ottenuto come sappiamo in
quasi tutto l’Occidente, e presentato appunto come conquista di un “diritto
civile” quando ne era invece un’evidente perversione. Alla rivendicazione dei
supposti “diritti civili” delle donne in quanto donne, tenuta in piedi
soprattutto dalle organizzazioni femministe e dai loro amici, si è aggiunta
rapidamente la rivendicazione dei “diritti dei gay”, da intendersi anch’essi
come “diritti civili” (l’omosessualità e l’omofilia delle femministe comportava
la scesa in campo anche degli omosessuali).
2.
Il “diritto” al libero aborto è uno pseudo-diritto, un “diritto incivile”
Il
diritto ad abortire liberamente per autonoma ed insindacabile scelta della
donna (“il corpo è mio e lo gestisco io”), rappresenta chiaramente una
perversione del concetto del diritto. La retorica femminista lo vuol
considerare un diritto civile e organizzazioni quali Amnesty International
(che sarebbe da sciogliere senza indugio) tentano addirittura di presentarlo
come un “diritto umano”, categoria che si vuole ancor più ampia di quella dei
“diritti civili”. Il diritto ad abortire è invece un classico esempio di
“diritto incivile” e quindi sinistra caricatura del diritto, primo passo verso
la distruzione dell’intera nostra civiltà.
Infatti,
cosa dobbiamo intendere con diritto? Si sta parlando qui del diritto
inerente all’individuo, prima ancora del suo riconoscimento da parte del
diritto posto dallo Stato. Ora, nell'accezione comune, quando si dice che uno
ha diritto di fare una certa cosa si intende che ce l’ha, questo diritto,
perché una legge glielo riconosce o perché la cosa da fare è giusta di per sé. Nel
primo caso, il diritto ad agire è legittimato dalla norma dello Stato o da
quella non scritta della consuetudine. Nel secondo, si legittima da se stesso
perché l’azione che si vuol fare è giusta. Lo stesso dicasi per il
diritto a non fare una certa cosa, ad omettere un certo comportamente
senza dover essere sanzionati, come nel caso dell’obiezione di coscienza, che
consiste nel rifiutarsi all’esecuzione di una direttiva manifestamente
ingiusta.
E
perché è giusta l’azione o l’omissione? Perché la pretesa che in
essa si manifesta appare intrinsecamente giusta dal punto di vista del senso
comune e della recta ratio. Per esempio: avere la mercede pattuita per il
lavoro svolto; esser proprietario dei frutti del proprio lavoro; ottenere dal
debitore l’adempimento dell’obbligazione da lui liberamente assunta; rifiutarsi
di praticare un aborto volontario o di esserne complice da parte del medico e/o
dell’ostetrica. Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Qui abbiamo una serie di
diritti inerenti al soggetto (diritti soggettivi) che risultano dalla
natura stessa della cosa, prima ancora che da una norma statale che la
riconosca.
Secondo
la tradizionale definizione di scuola, il diritto soggettivo è un potere
riconosciuto al soggetto di perseguire un interesse o uno scopo. Riconosciuto
da chi? Dall’ordinamento giuridico, nel nostro caso da quello dello Stato, con
le sue leggi e i suoi codici. Ma su quale base l’ordinamento giuridico riconosce
al soggetto un “diritto soggettivo” costituito da tutta una serie di poteri di
agire; nel modo di esprimersi usuale: da tutta una serie di diritti? Evidentemente
sul presupposto che i fini perseguiti dal soggetto (che è suo cittadino)
siano in se stessi legittimi e non invece criminali o comunque disonesti;
che siano, in altre parole, giusti e in quanto tali meritevoli di
tutela.
Se
quindi il diritto soggettivo (del soggetto umano in quanto tale,
inerente alla sua sfera d’azione) si può rappresentare come la giusta
pretesa di un soggetto nei confronti dei terzi ed anche in certi casi dello
Stato – soggetti che sono quindi tenuti a soddisfare quella pretesa; giusta,
altrimenti l’ordinamento giuridico non la prenderebbe in considerazione o la
contemplerebbe solo per punirla; bisogna allora chiedersi: dov’ è la giustizia
nella pretesa delle donne di vedersi riconosciuto il “diritto”
incondizionato di abortire liberamente, come se tale diritto rientrasse nel
nòvero dei “diritti civili” o addirittura di quelli “umani”?
L’aborto
del feto si può giustificare – se del caso – solo quando la madre versi in
grave pericolo di vita e ci si trovi effettivamene costretti a scegliere tra
due vite, madre o figlio; giustificare quindi solo nel caso d’eccezione, oggi
piuttosto raro. Altrimenti, esso è e resta la soppressione deliberata di una
vita innocente, una forma di omicidio, un reato, sentito sempre nei secoli come
tale presso tutti i popoli. È pertanto evidente che trasformare per legge un
atto ex sese criminoso in un diritto del soggetto, dell’individuo, rappresenta
un traviamento del vero concetto del diritto soggettivo (comunque
lo si voglia oggi chiamare, civile o umano); traviamento al quale
si adatta perfettamente la dizione inconsueta di diritto i n c i v i l e .
Diritto di un ordinamento giuridico di segno capovolto, in realtà un
anti-ordinamento, il sistema di un contro-diritto, se così posso dire;
espressione di quella che Marcel De Corte chiamava società dai valori capovolti
o dissociété.
Il
carattere “incivile” di questo supposto “diritto” risulta anche da ulteriori
considerazioni. Oltre a travestire da diritto un comportamento che costituisce
un male ed un torto in sé , negando così in modo elementare le esigenze
della giustizia, tale pseudo-diritto attenta in modo clamoroso al bene comune,
provocando il gran numero degli aborti da esso autorizzati il depauperamento ed
infine la dissoluzione biologica, etnica del popolo che li subisca. Ed infatti,
vediamo tutti nella spaventosa denatalità diffusasi nell’intero
Occidente e dovunque l’aborto volontario sia stato e sia legale (e quindi anche
nei Paesi dell’Est europeo post-comunista), gli effetti perversi dell’esercizio
di questo pseudo-diritto o contro-diritto. E la denatalità dovuta ad una causa
del genere, come la vogliamo definire: fenomeno di civiltà o di inciviltà? Di
progresso o di decadenza? Se è segno di progresso il lasciar sparire i popoli
sotto il peso del libertinaggio più spinto, vera causa dei tanti aborti, allora
anche il “diritto” ad abortire è un “diritto civile”.
3.
Le “unioni civili” sono in realtà “incivili”
Lo
stesso dicasi per il riconoscimento delle unioni di fatto come unioni civili,
regolate cioè dalla legge dello Stato come fac-simile del matrimonio civile. Anche
qui il termine “civile” non viene inteso solo in senso descrittivo, ovvero di
istituto regolato da una legge dello Stato e quindi dal Codice Civile. Si
proclama, del pari, che si tratta di riconoscere un “diritto civile”, che si è
impegnati in una “battaglia civile” contro l’oscurantismo dei retrogradi, chierici
o laici che siano, una battaglia per “i diritti civili”, anzi “per diventare
finalmente un popolo civile”.
Ma
valga il vero. Il diritto invocato per il riconoscimento delle convivenze di
fatto non è meno incivile del “diritto” al libero aborto volontario. Lo
è poi doppiamente nel caso del programmato riconoscimento delle coppie
di fatto omosessuali, di gay e lesbiche, come si dice oggi.
Nel
caso delle convivenze di fatto secondo natura, tra un uomo e una donna, si
tratta di quelle situazioni che in passato si esprimevano soprattutto nel
concetto di “ragazza madre”, dizione oggi caduta in disuso a favore di quella
di “madre singola”, che meglio rappresenta le nuove e più ampie dimensioni del
fenomeno. Le convivenze di fatto, con i loro figli nati fuori del matrimonio,
non dovrebbero esser riconosciute da parte dello Stato, innanzitutto perché
contrarie al bene comune.
Il
bene comune non consiste solo di un aspetto materiale, c’è anche quello
morale, etico. La sopravvivenza fisica del popolo organizzato in società con un
determinato tipo di governo, il suo benessere materiale, l’equa distribuzione
dei pesi comuni e insomma tutti gli aspetti materiali dell’esistenza nostra,
dei quali deve occuparsi una classe dirigente nel governare uno Stato,
costituiscono il bene comune nella sua accezione materiale, fisica, sottoposta
alle regole della giustizia distributiva, nella quale l’interesse pubblico e il
privato devono saggiamente integrarsi.
Ma
anche il bene comune nella sua accezione morale o etica rientra
pure nei compiti dello Stato. Come diceva Aristotele, il governante non può
disinteressarsi della virtù dei cittadini o sudditi, se non vuole che l’intera
civitas si corrompa e crolli. Ora, se è vero, com’è vero, che la famiglia è il
fondamento della società, compito dello Stato è anche quello di garantire, per
quanto spetta ad esso, la moralità necessaria alla crescita sana e virtuosa
delle famiglie. Da qui la necessità di un istituto come il matrimonio, riconosciuto
e protetto dal legislatore, monogamico presso i popoli civili; tutelato, oltre
che negli aspetti patrimoniali e giuridici in senso stretto, anche in quelli
morali, p.e. con la punizione dell’adulterio.
La
fedeltà, e non solo matrimoniale, è un valore che non può non esser
riverito dal vero Legislatore, proprio per il suo significato etico, accanto a
quello pratico. L’istituto del matrimonio legalmente riconosciuto permette la
certezza della paternità, la protezione della donna come sposa e madre di
famiglia, l’assunzione delle proprie responsabilità nello stringere
pubblicamente un vincolo di fedeltà ed assistenza reciproca, con il quale si
limita volontariamente la propria libertà in funzione del bene superiore della
famiglia e dei figli. Tutti questi aspetti hanno una grande importanza etica
anche per la vita in comune. Senso di responsabilità, senso del dovere,
fedeltà, spirito di sacrificio, disciplina della concupiscenza e in generale
delle passioni: virtù indispensabili, che si nutrono anzitutto nella
famiglia e concorrono alla prosperità spirituale e materiale della società. Esse
valgono anche nella vita pubblica e sono quindi di grande importanza per il
corretto e giusto esercizio dei “diritti civili” tradizionali, sopra menzionati.
Il
figlio nato fuori del matrimonio godeva pertanto di minori tutele giuridiche
anche se non doveva esserne privato del tutto, per spirito di carità cristiana
o comunque di umanità.
Ora,
si assiste da tempo nelle nostre società ad una messa da parte o reiezione
del matrimonio, nonostante l’esistenza del divorzio, istituto peraltro del
tutto negativo, che favorisce la dissoluzione delle famiglie e l’immoralità. C’è
un discreto numero di coppie di fatto. Vivono assieme ma non vogliono assumersi
la responsabilità di formali obblighi reciproci. Vogliono mantenere la propria
libertà, anche solo potenziale (quando resta potenziale). Ciò è eticamente
negativo e non può avere un effetto benefico sui figli. Rappresenta un
movimento retrogrado, verso l’imbarbarimento dei costumi. Come ricordava
Salvatore Satta, grande giurista del secolo scorso, citando Vico, le donne
fanno i figli come madri, in un regolare matrimonio, non accoppiandosi
liberamente come gli animali (la “Venere bestiale” di Vico, cioè quella del
puro istinto animale). Invece oggi si accetta come cosa normale che tante
donne, senza esser sposate, si facciano mettere in cinta come “madri singole”,
restando tali o in una relazione di fatto con un c.d. partner. E che
persino si vantino di questo loro comportamento, come se il metter al mondo i
figli in questo modo fosse cosa lodevole e degna di imitazione e non l’
appagamento in modo sbagliato dell’istinto materno, sacrificato allo “stile di
vita” che privilegia su tutto la ricerca dell’egoistica e materiale felicità
individuale, all’insegna dell’indipendenza più assoluta da obblighi e doveri. Uno
stile di vita che, ci informano le cronache, viene praticato già dai tempi del
Liceo, essendosi diffusa la prassi delle “convivenze” di una notte o del fine
settimana tra compagni e compagne di scuola, con la colpevole tolleranza dei
genitori.
Tra gli optionals dei quali si adorna
la libertà delle donne “liberate dai tabù”, appare ad un certo punto (quando
appare) il desiderio di avere un figlio, restando però nubili: e perché non può
esser soddisfatto, in ogni caso non c’è lo Stato assistenziale che vede e
provvede? Altrimenti, il debito pubblico che cosa ci sta a fare? E non
soddisfarlo, questo desiderio, non vorrebbe dire discriminare?
C’è
oggi il terrore (giustificato) di esser accusati di voler discriminare,
se non si dà via libera alle istanze di ciascuno. Ma tale principio è usato in
modo sbagliato, cioè per trattare allo stesso modo situazioni non solo diverse
ma persino insanabilmente irriducibili, quali un matrimonio legittimo e
una convivenza, che non è legittima proprio perché non è un matrimonio; o,
peggio, il convivere legittimo nel matrimonio di un uomo e una donna e il
convivere illegittimo di una coppia omosessuale. La mala applicazione
sistematica del principio della discriminazione viola quel principio elementare
di giustizia secondo il quale bisogna dare a ciascuno il suo, secondo le sue
opere. Questo principio, secondo la Rivelazione, sarà applicato dal Cristo
Giudice, quando tornerà sulla terra alla fine dei tempi, per giudicare i vivi e
i morti. Quel giorno, non vi saranno né sconti né compensazioni, per nessuno.
Il
diffondersi delle convivenze di fatto deriva dunque in primo luogo dal concetto
di libertà oggi dominante, del tutto errato perché individualistico all’estremo,
insofferente di ogni limite, sia esso posto dalla legge positiva o da quella
divina e naturale; contrario pertanto al bene comune e alla morale, in
particolare a quella cristiana. E anche le coppie di fatto fanno pochi figli,
visto il permanere e anzi l’aggravarsi della denatalità: il loro diffondersi
non fa affatto nascere più bambini.
All’interno
di questa malsana idea di libertà si può individuare un’istanza
utilitaristica. I benefici che in molti Paesi dell’Occidente lo Stato
assistenziale offre alla “madri singole” (dai robusti sussidi mensili,
all’appartamento gratis, alla macchina, e così via), invogliano molte donne a non
sposarsi mai pur facendo qualche figlio, cosa che garantisce loro una comoda
esistenza a spese della comunità. La maternità “singola” è in tal modo
diventata una forma di parassitismo sociale di nuovo tipo.
Sulla
denatalità influisce anche la forma assurda e abnorme assunta dal sistema
economico, che impone anche alle donne di lavorare, come se fossero uomini.
E se ogni coppia deve lavorare tutto il giorno, ed in più affrontare una
situazione economica quasi sempre difficile, dove lo trova il tempo e la voglia
di far figli? E quando ci sono, chi se ne prende cura, mentre i genitori lavorano?
Gli asili nido, il collettivo rappresentato dalle anonime strutture
assistenziali, che in tanti Stati lasciano entrare anche omosessuali e lesbiche!
Uno scenario mostruoso, che tuttavia non può nascondere il fatto che la
presente decadenza è in primo luogo il risultato di un rovesciamento di valori
avvenuto nelle menti, a cominciare da quelle di tante e troppe donne succubi
del femminismo, ben prima della presente involuzione del sistema economico in
quella sua forma aberrante che è il c.d. “mercato globale” dominato dalla
finanza internazionale.
4.
Le “unioni civili” omosessuali sono doppiamente “incivili”
Doppiamente
incivili: perché convivenze di fatto e perché omosessuali, cioè contronatura,
perverse.
Chi
osa oggi criticare l’omosessualità in quanto tale, viene accusato di
essere omofobo, di provare cioè una paura irrazionale nei confronti di
gay e lesbiche e, in conseguenza di ciò, addirittura di odiarli come persone. Un’accusa
del genere sembra pensata per criminalizzare chi dissente dalla subcultura gay.
Il carattere perverso che l’omosessualità ha sempre avuto agli occhi
delle persone normali, non esprime né paura nei loro confronti né tantomeno
odio bensì la salutare, istintiva avversione che il 95% e passa
dell’umanità prova nei confronti di questo comportamento intrinsecamente contronatura,
anche dal punto di vista esteriore o estetico. Come ha sottolineato il dr. van
den Aardweg, non esiste una “omofobia” nel senso di odio o avversione nei
confronti dell’omosessuale in quanto tale, che la mentalità comune
considera più che altro un malato; esiste una “avversione” istintiva delle
persone normali per il carattere intrinsecamente sozzo e bestiale degli
amplessi sessuali omosessuali, maschili o femminili che siano[1].
L’accusa
di “omofobia” fabbricata dai gay e colpevolmente accolta dalla sciagurata
legislazione di molti Paesi occidentali, è del tutto priva di senso. Oltre a
terrorizzare l’opponente, essa mira ad occultare il vero motivo dell’istintiva avversione
popolare nei confronti di questa deviazione.
La
campagna mediatica che da anni insiste per il riconoscimento del “matrimonio”
omosessuale ha diffuso una serie di menzogne sull’omosessualità,
speculando sull’ignoranza e la passività del pubblico, nonché sulla sua
tendenza al sentimentalismo. La menzogna fondamentale è quella sul supposto
carattere innato dell’omosessualità, come se si trattasse di una tendenza
naturale, solamente di segno opposto a quella “eterosessuale”, inclinante
cioè verso l’altro sesso, come natura comanda (da héteros, che in greco
vuol dire altro, mentre homoîos vuol dire simile e stesso).
L’errata pretesa, condensata nei noti slogan “sono nato/a così”, “se sono nato/a
così, perché non devo potermi ‘sposare’ anch’io?”, afferma ovviamente di
fondarsi sull’esistenza di una prova biologica che la scienza avrebbe da tempo
trovato. Ma la scienza non ha trovato proprio un bel nulla. Durante gli
ultimi cinquant’anni scienziati a loro volta omosessuali hanno cercato di
dimostrare in tutti i modi che esiste un “gene gay” o “un cervello gay”: un
“cromosoma dell’omosessualità” o comunque una conformazione cerebrale per
natura “diversa”, ricavabile dall’analisi del cervello di alcuni gay morti di
Aids. Ma gli studi sperimentali fatti da questi ricercatori gay hanno dato
sempre risultati negativi, una volta ripetuti da altri scienziati e con
diversa metodologia, come richiede la vera scienza. Il fatto è che la ricerca
per trovare il “cervello gay” non è scienza ma “attivismo gay mascherato da
scienza”, come ha detto giustamente qualcuno.
Persino
il British Royal College of Psychiatrists, per quanto succube da anni
(al pari di tante altre importanti istituzioni scientifiche e culturali) del temibile
politicamente corretto gay, nell’emanare nel 2014 una Presa di posizione
ufficiale sul tema, ha dovuto affermare che, allo stato attuale, per quanto
riguarda la scienza, “l’omosessualità non è una variante innata della
sessualità”. Il che significa, in parole povere, che non esiste in natura un
“orientamento sessuale” omosessuale[2].
L’idea sbagliata che l’omosessualità sia una tendenza innata ed immutabile si è
poi tradotta nel concetto di “orientamento sessuale”, adottato purtroppo anche
da parecchie legislazioni, compresa quella dell’Unione Europea, per vietare le
supposte “discriminazioni” dei cosiddetti “diversi”. Secondo tale concetto, in
ciascun individuo vi sarebbe un “orientamento sessuale” innato, la cui
tendenza, se omo o eterosessuale, sta all’individuo determinare o scoprire.
Va
messo in rilievo, innanzitutto, che il concetto di “eterosessuale” contrapposto
a “omosessuale”, entrato nel linguaggio scientifico e in quello comune, è
tuttavia un’elaborazione della subcultura gay. Si tratta di una
contrapposizione del tutto falsa. In natura esiste solo “l’eterosessualità”
cioè l’attrazione normale tra il maschio e la femmina, sempre connessa
all’esigenza della riproduzione della specie. Ogni altra forma di “sessualità”
rappresenta una deviazione dalla norma, una patologia che può aver luogo per le
cause più diverse. La contrapposizione “etero” e “omo”, come di due tendenze naturali
aventi pari dignità, è del tutto artificiosa e non corrisponde alla
natura delle cose.
5.
Il c.d. “orientamento sessuale” omosessuale non esiste in natura
La
conferma di quanto detto si ha nel fatto che il concetto di “orientamento
sessuale”, entrato nell’uso grazie ai media e che si vuol credere come vero e
proprio dogma, è in realtà del tutto privo di qualsiasi valore scientifico.
Non lo dicono solo la recta ratio e il senso comune: l’ha riaffermato di
recente un luminare della scienza, il prof. Paul McHugh, statunitense, emerito
di psichiatria della Facoltà di Medicina della Johns Hopkins University. È
privo di qualsiasi valore scientifico per il semplice motivo che la scienza non
è riuscita e non riesce in alcun modo a darne una definizione valida e
coerente. Da tutti gli studi scientifici più seri risulta che il c.d. “orientamento
sessuale” non è affatto immutabile bensì fluido e mutevole. Se muta, allora non
è nemmeno innato, ragion per cui la tesi gay di un “orientamento omosessuale” innato
e immodificabile crolla completamente.
Scrive
il prof. McHugh: “l’individualizzabilità necessaria a costituire una classe ben
definita richiede come minimo che un gruppo o un tratto sia chiaramente
definito. Ciò non è possibile per l’orientamento sessuale. Una rassegna degli
studi scientifici sul tema dimostra che non vi è consenso tra gli studiosi su
come definire l’orientamento sessuale, sicché le varie definizioni proposte
dagli esperti danno in sostanza vita a classi diverse. Mentre la razza e il
sesso sono ben definiti e capiti come tali, nonostante la credenza popolare in
contrario l’orientamento sessuale rimane una classificazione contestata e
indeterminata”. Ragion per cui “checché ne pensi la credenza popolare, non c’è
studio confermato che dimostri esser l’orientamento sessuale determinato dalla
nascita. Gli studi giungono invece alla conclusione che tale orientamento è
influenzato da fattori complessi e imprevedibili”. In conclusione: “gli
studiosi non ne sanno abbastanza per stabilire cos’è l’orientamento sessuale,
che cosa lo produce e come e perché a volte muti”[3].
E
perché non ne sanno abbastanza? Il fatto è che le tre categorie unanimemente
accettate come indispensabili per individuare l’orientamento sessuale
omosessuale “sembrano raramente presenti in un’unica persona”. Esse sono: “chi
pratica un comportamento omosessuale (comportamento); chi ha fantasie
erotiche di questo tipo (attrazione); chi si identifica come gay o
lesbica (identità)”. Ora, la Chicago Sex Survey, “considerata una
delle più serie sul comportamento sessuale degli Americani, stabilisce che,
nella porzione della popolazione esibente almeno uno dei tre tratti sopra
elencati, solo il 15% delle donne e il 24% degli uomini li mostrava tutti e
tre”[4].
Questa incertezza nell’individuazione della
supposta categoria “orientamento sessuale” deriva evidentemente anche dal fatto
che tale “orientamento” non può considerarsi in nessun modo immutabile dalla
nascita. Infatti, continua la Lettera, diversi studiosi sono giunti
alla conclusione che “i fattori genetici hanno un’influenza piccola o del tutto
nulla sull’orientamento sessuale”; anzi, “ci sono sostanziali prove indirette
sull’influenza di un modello sociale [è il “fattore ambientale” di cui sopra]
nei riguardi degli individui coinvolti”, essendo state “rilevate forti
correlazioni tra l’orientamento sessuale e fattori esterni quali la situazione
familiare, l’ambiente, le condizioni sociali, elementi tutti l’azione dei quali
è impossibile a spiegarsi solo con le teorie dell’origine biologica”[5].
La
verità è che una molteplicità di studi ha dimostrato che l’orientamento
sessuale muta. Infatti, precisa il prof. McHugh, “si nota nella società la
presenza di un “bisessualismo” sempre più diffuso. Si è potuto dimostrare che
il 50% di appartenenti ad una “minoranza sessuale” come gli omosessuali (che
sarebbero il 3.5 % della popolazione statunitense, ma l.8% di loro si considera
“bisessuale”), “una volta abbandonata la loro identità eterosessuale, abbiano
cambiato l’etichetta della loro identità più di una volta. Tale elasticità si
nota soprattutto nelle donne”[6]. Quest’affermazione si basa sui risultati di una
ricerca compiuta su un campione di trenta donne di mezz’età, “che avevano speso
metà della loro vita come eterosessuali, si erano sposate, avevano avuto figli,
per poi darsi al lesbismo una volta raggiunta la mezz’età. Alcune di loro
spiegarono il loro lesbismo come risultato di un processo di scoperta di se stesse.
Ma un altro gruppo considerava la loro mutazione più che altro come una
semplice scelta tra l’esser lesbica o bisessuale, casta o eterosessuale”[7]. Tutto lo stesso, a quanto pare, dal punto di
vista della libera scelta!
Tutto questo variegato putridume dimostra comunque
l’assenza di una componente “biologica”, innata, nell’omosessualità. Da dove
provenivano la c.d. “bisessualità” di tutte queste donne ed anche la loro
tardiva “scoperta” del culto di Saffo, se non dal “modello sociale”
rappresentato dalla generale corruzione dei costumi ovvero dall’influenza del
modo sempre più depravato di vivere (bisogna pur chiamar le cose con il loro
nome) che caratterizza ormai da troppo tempo le nostre società, nelle quali
sembra essersi completamente smarrito il senso del peccato e si mette tutto
sullo stesso piano?
6. Anche la “transessualità” è
un’invenzione
Oggi non si parla solo di “diritti” degli
omosessuali, di ambo i sessi, cioè gay e lesbiche, ma anche di quelli dei
“bisessuali”, per i quali “l’orientamento”, come si è visto, sarebbe – vedi un
po’ - indifferentemente secondo natura e contro natura, e senza escludere i
c.d. “transessuali”, ultima lettera dell’ormai sinistramente famosa sigla LGBT.
I “diritti” garantiti ai primi due si sono estesi, in tutto o in parte, o
dovrebbero ovviamente estendersi anche ai secondi due. Credo che la gente
comune non riesca a comprendere bene che cosa voglia dire “transessuale”. In effetti
si tratta di una mistificazione. Si ha a che fare con persone che dicono di
sentirsi psicologicamente non a proprio agio nel sesso nel quale madre
natura li ha posti facendoli venire in questo mondo: maschi che si sentono
femmine e viceversa. Ragion per cui vogliono cambiare la natura del proprio
corpo con l’aiuto della chirurgia e passare nel sesso opposto. Così anche il
corpo si adeguerebbe all’immagine che essi hanno di sé. Invece di esser
liquidata con qualche urlaccio, tale pazzesca pretesa ha trovato la complicità iniziale
di medici non degni di questo nome e oggi il “transessualismo” si è diffuso a
macchia d’olio nelle nostre società, soprattutto nell’America del Nord,
alimentando, com’era da aspettarsi, un business miliardario. Ma, come ho detto,
si tratta dell’ennesima mistificazione: l’individuo transgender
non esiste e nessuno può effettivamente cambiare sesso. Il transgenderism è una forma di depravazione a sfondo omosessuale,
che dimostra ulteriormente come l’omosessualità non abbia un’origine nella
natura umana in quanto tale ma sia il frutto di un sentire malato e/o vizioso.
Lascio ancora la parola alla prosa chiara ed
illuminante del prof. Paul McHugh. Oltre che professore universitario per
quarant’anni egli è stato per ventisei Primario del reparto psichiatrico
dell’Ospedale della Johns Hopkins University, cosa che gli ha permesso di
“osservare scientificamente persone che affermavano di essere dei
transessuali”. All’inizio erano solo uomini, sia omosessuali che eterosessuali,
alcuni dei quali volevano esser operati perché “si eccitavano eroticamente
all’immagine di se stessi come donne”. Il fenomeno ha poi cominciato a
coinvolgere le donne. Negli ultimi quindici anni “è cresciuto in modo
esponenziale” tanto che adolescenti maschi e femmine “hanno cominciato a
presentarsi come appartenenti al sesso opposto” rispetto a quello nel quale
erano nati. Per questi adolescenti la motivazione non sarebbe erotica;
sarebbero al contrario “spinti da una varietà di conflitti e preoccupazioni
giovanili di natura psicosociale”[8].
Ha dunque preso piede l’idea bislacca secondo la
quale il sesso sarebbe appunto “una scelta”, dipendente dall’individuo, “una
disposizione o un modo di sentire più che un fatto naturale [a fact of nature]. In tal modo, lo si concepisce come una realtà
fluttuante, che può cambiare ogni momento per qualsivoglia ragione”[9]. Ora, afferma con estrema chiarezza e decisione il
prof. McHugh, “l’idea che sia possibile cambiare sesso è del tutto falsa. Gli
uomini transessuali non diventano donne né le donne transessuali diventano
uomini. Diventano tutti uomini femminizzati [feminized]
o donne mascolinizzate [masculinized]. La loro è una contraffazione poiché in realtà
essi non fanno altro che imitare il sesso nel quale ‘si identificano’”[10].
In Isvezia, a quanto pare finora il paese più
accogliente al mondo per i transessuali, si è scoperto che la percentuale di
suicidi fra di essi, in genere tra i dieci-quindici anni dopo la
“ristrutturazione chirurgica” del loro corpo, è “superiore di venti volte a
quella dei loro coetanei [non transessuali]”[11]. L’unico modo corretto di affrontare questa
deviazione, conclude il prof. McHugh, è costituito dalla psicoterapia, anche
“di gruppo”, non dalla chirurgia. Bisogna convincere i transessuali, guarirli
dal loro grave errore, quello di credere che il sesso non sia un fatto
biologico ma solo un modo di sentire individuale, a piacere. “Il
transessualismo – o gender
dysphoria in termini tecnici – è un
fatto psicologico non biologico”. Con gli adolescenti, “il metodo migliore
sarebbe quello di una cura nell’ambito della famiglia [family therapy]”[12].
Bisogna lottare contro questo tragico fenomeno,
costruitosi su “un’opinione priva di qualsiasi fondamento”, afferma l’illustre
e coraggioso accademico, precisando tuttavia che si tratta comunque di un
“compito improbo”, richiedente un coraggio prossimo all’eroismo. Per due
motivi. Il “transessualismo” è diventato un vero e proprio feticcio che gode
ormai di un culto di massa, nutrito dai media e fonte di un pingue business,
nell’indifferenza più totale per i gravi danni che provoca a chi ne soffre, a
cominciare da adolescenti e famiglie. Inoltre, molti Governi si oppongono a
qualsiasi forma di cura di questo disturbo della mente. Particolarmente grave è
la situazione negli Stati Uniti, dove singoli Stati e il Governo Federali ostacolano
le c.d. conversion
therapies[13]. Quest’ultime sono appunto quelle della
psicologia, della psichiatria, della psicoanalisi (intesa come scienza non come
freudismo più o meno d’accatto), impiegate con successo – annoto – anche dal
dr. van den Aardweg nella cura dell’omosessualità. E difatti, dopo che i gruppi
di pressione gay sono riusciti a farla togliere dall’elenco ufficiale delle
patologie, tante Autorità osteggiano anche la cura dell’omosessualità.
7. Approvare
il ddl Cirinnà significa legittimare l’impostura e tradire l’insegnamento di
Cristo
Dalla verità sull’omosessualità inequivocabilmente
illustrata dall’autentica scienza, cosa risulta per ciò che riguarda il
“disegno di legge Cirinnà”? Una sola cosa, risulta: che deve esser ritirato
immediatamente o fatto naufragare in Parlamento, anche a costo di una crisi di
governo. È in ballo la sopravvivenza stessa della nostra società, del popolo
italiano, dell’intera nostra tradizione e civiltà, già ferite e lesionate in
molti modi dalla corruzione dei costumi dilagante, della quale l’omosessualismo
sembra diventato la punta di lancia. Approvare quel “disegno”, anche in una
forma edulcorata, significherebbe accettare le menzogne sulle quali è
costruito, ripetutamente demolite dalla scienza, quella vera, non quella
fabbricata dai media e dalla subcultura gay. E favorire l’assalto scatenato
dall’attivismo gay contro l’istituzione del matrimonio in quanto tale, che si vuole distruggere. Come ha detto un loro
noto attivista nordamericano, di nome Michelangelo Signorile: “Combattere per
il matrimonio tra persone dello stesso sesso e per i suoi privilegi e poi, una
volta che esso sia stato concesso, ridefinire completamente l’istituzione del
matrimonio, rivendicare il diritto di sposarsi non come mezzo per aderire ai
codici morali della società bensì per sfatare un mito e alterare radicalmente
un’istituzione arcaica”[14].
A chi, poi, si dice cattolico, bisogna ricordare l’insegnamento
esplicito di Nostro Signore. Non è vero quello che si sente
ripetere da un po’ di tempo, e che costituisce l’ennesima menzogna propalata
dai nemici di Cristo e della nostra civiltà, che, nonostante la presente
distretta, resta ancora fondata sul cristianesimo: e cioè che il Signore non
avrebbe mai parlato dell’omosessualità e pertanto non l’avrebbe mai condannata.
La condanna della stessa si troverebbe “solo” nelle Lettere degli Apostoli: Rm
1, 24-32; 1 Cr 6, 9-11; 2 Pt
2, 6-11. Nostro Signore ha fatto esplicito riferimento per ben tre volte in
modo diretto alla condanna di Sodoma e
Gomorra come condanna
esemplare del peccato, che Egli evidentemente
condivideva. Nel riferirsi al rigetto del Verbo da Lui predicato, alla mancanza
di fede degli Ebrei, egli disse che le città che rifiutavano gli Apostoli e
quelle che avevano rifiutato Lui personalmente, il giorno del Giudizio
sarebbero state trattate peggio di Sodoma e Gomorra, il che voleva dire: peggio
del peggio che si possa immaginare, in quanto a peccato di superbia e
ribellione contro Dio e i suoi Comandamenti : Mt 10,15; 11, 21-24; Lc 10, 12-15
luogo parallelo; Lc 17, 26-29: “…compravano e vendevano, piantavano e
costruivano, ma il giorno in cui Lot uscì da Sodoma, Dio fece piovere fuoco e
zolfo dal cielo e fece perire tutti”.
Nel portare la distruzione delle due disgraziate
città ad esempio di un peccato giustamente punito, Egli condannava del pari il
peccato per il quale furono punite, se la logica è logica. Presso gli antichi
Israeliti, Sodoma rappresentava il
tipo stesso della corruzione dei costumi
della quale era capace il mondo pagano e la sua improvvisa
distruzione un esempio classico di attuazione della divina giustizia, che punì
senza remissione la superbia di chi – un’intera società – si compiaceva di
“fare ciò ch’è abominevole di fronte a Me, e per questo Io li distrussi” (Ez
16, 48-50). I riferimenti di Nostro Signore a Sodoma sono perfettamente in
linea con questa tradizione.
Dall’insegnamento
del Vangelo qui riportato, questo si deduce con assoluta chiarezza: tutti
coloro che voteranno a favore del ddl Cirinnà, anche ritoccato, avranno votato
per la loro eterna dannazione.
Paolo Pasqualucci (5 febbraio 2016)
[1] Vedi l’ultimo saggio del celebre psicologo Gerard M.J. van den Aardweg, Science
says NO. The Gay
‘Marriage’ Deception,
Lumen Fidei Press, 2015, cap. 8: Not Homophobia but Homo-Aversion. Si tratta di reazioni normali nei confronti di
“atti umani sgradevoli. Essi vengono avvertiti a livello emotivo esattamente
come la percezione del sudiciume o della sporcizia e sono pertanto descritti
con le stesse parole. Si tratta di riflessi istintivi e appropriati, che hanno
la funzione di mettere in guardia contro quanto è impuro e che possono
proteggere la gente da comportamenti non igienici o da situazioni che
minacciano la loro salute fisica e morale” (op. cit., cap. cit.). A questo
proposito ricordo una celebre pagina di Proust, nella quale il protagonista
descrive con l’udito il concùbito del corrotto barone di Charlus e del sarto
Jupien nella stanza vicina: A la recherche du temps perdu, tome IV, Le
coté de Guermantes II – Sodome et Gomorrhe, I, Gallimard, Paris,
1921, p. 262.
[2] Vedi: Gerard M.J. van den Aardweg, op. cit., p. 9. L’Autore così continua: la
Presa di posizione ritiene che che l’omosessualità sia causata da “una
combinazione di fattori biologici (fisici) e ambientali. Tuttavia essa non
indica quali siano tali fattori fisici e ambientali, quindi la spiegazione
proposta rimane una vaga intuizione senza fondamento scientifico”. Pur
costretto a negare il carattere innato dell’omosessualità, il documento britannico
sembra ignorare, sottolinea l’Autore, l’ampia mole di studi che ha dimostrato
l’inesistenza di fattori biologici nell’omosessualità mentre abbondano
le prove riguardanti “i fattori ambientali” (op. cit., ivi). L’ottantenne dr.
van den Aardweg, sposato con sette figli, cattolico di tendenza
“conservatrice”, è psicologo di fama internazionale, specializzato nella cura
delle “persone omosessuali” con gli strumenti della psicologia, psichiatria,
psicoanalisi. Egli ritiene giustamente l’omosessualità soprattutto una
deviazione di origine nevrotica e quindi guaribile. In questo suo recente,
lucidissimo saggio, argomenta di nuovo e ampiamente la sua tesi con una vasta
documentazione. Una condanna recisa della pseudo-scienza che pretende di aver
scoperto il “cervello gay”, troviamo anche in tutt’altra personalità
scientifica, il celebre neuroscienziato inglese Steven Rose, ebreo ateo
dichiarato e militante, di tendenze liberal radicali. Vedi il suo noto
testo divulgativo: Lifeline. Life Beyond the Gene, 1997, ediz. inter. riveduta,
Vintage, London, 2005, pp. 210-211; pp. 288-290: le ricerche per trovare il
“cervello gay” sono solo “congetture”, persino imbarazzanti nella misura in cui
rivelano le tendenze morbose di chi le formula. Esse non hanno nulla a che
vedere con la scienza. Dagli interventi di questi Autori così diversi si
conclude che la verità è una sola: dal punto di vista biologico non v’è
differenza alcuna tra il cervello degli omosessuali e delle persone normali,
che sono più del 95% della popolazione. Tutti gli scienziati lo sanno bene.
[3] Paul McHugh, Brief Amicus of Dr. Paul McHugh in Support of Respondents,
Cockle Law Brief Printing Co., diffusa in rete a cura della American Bar
Association www.supremecourtpreview.org. pp. 29; pp. 2-3. Si tratta di una Lettera che, come opinione
indipendente di un amicus curiae o “amico del tribunale”, la prassi
costituzionale nordamericana permette di indirizzare ai giudici della Corte
Suprema degli Stati Uniti per illustrare questioni in discussione che appaiano
dubbiose. Tale lettera fu indirizzata dall’eminente psichiatra il 3 aprile 2015
per argomentare a difesa dei “respondents” ossia dei Governatori del Tennessee,
del Michigan, del Kentucky, convenuti in giudizio (respondents) dai gay
presso la Corte, per via del loro rifiuto a riconoscere il “matrimonio
omosessuale” nei loro Stati. Sulla base dei dati scientifici più sicuri e
consolidati, il prof. McHugh invitava la Corte a respingere l’istanza della
lobby omosessuale. Purtroppo, come è noto, il 26 giugno 2015 la Corte aprì le
porte alla barbarie, con 5 voti contro 4, rendendo obbligatorio il
riconoscimento del “matrimonio gay” in tutta l’Unione. L’apporto decisivo fu
delle tre donne della Corte, che votarono tutte pro-gay: due ebree notoriamente
liberal e omofile, e una cattolica progressista, di origine portoricana,
rappresentanti di quel sinistro “partito trasversale delle donne” all’opera in
tutte le istituzioni dell’Occidente, che ci sta imponendo a tappe forzate il
devastante programma femminista e omosessualista, grazie alla colpevole
tolleranza di cui gode. I quattro giudici che votarono contro erano tutti
cattolici, di taglio “conservatore”.
[6] Op. cit., p. 21. Le stime di questi complessi studi statistico-sociologici
provengono da un noto Istituto specializzato dell’Università della California
(UCLA) e sono frutto della media effettuata su cinque recenti studi sulla
popolazione nordamericana (op. cit., p. 26).
[7] Op. cit., p. 27. La “castità” va qui intesa nel senso puramente descrittivo
di “smettere di far sesso”, di qualunque tipo.
[8] P. McHugh, Transgenderism:
a pathogene meme. Gender dysphoria should be treated with psychotherapy, not
surgery, www.mercatornet.com/articles/view/transgenderism-a-pathogenic-meme,
18 giugno 2015, di tre pagine, citazioni a pp. 1-2.
[14] Citato da
G. van den Aardweg, op. cit., cap. 5: The Fairy Tale of the Stable, Loving
Gay ‘Marriage’.
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