Figure della metamorfosi moderna
Dalla sinistra ideologica al delirio ambidestro
Nel
regno della moderna mitologia, ultimamente si vedono solo i moncherini dei
pensieri, che occupavano un inebriante e imperioso dizionario. Non segni di
concetti, ma suoni confusi, disarticolati, fluttuanti tra l’oscenità, l’amnesia
e l’incubo.
Il razionalismo illuminista fu. Scrive
l'impertinente Raffaele Perrotta: “Il
LogoCentrismo non sta più nella pelle, vuole capovolgere altezze e sottostrati
della dialettica in ad infinitum: non vuole sentir ragioni, è esso stesso la
Ragione del disporsi al Caso alto semantema” [1].
La pelle delle parole moderne, era
l'Enciclopedia di Jean Baptiste Le Rond d'Alambert. Che cosa ne è, dunque del
volume sommo, che conteneva le magiche parole del LogoCentrismo? E della superiorità del pensiero sull'essere? E
dell’imparruccato monsieur Jean-Baptiste Le Rond d’Alambert?
Braccate
da un terremotante delirio, le incipriate parole fuggono dai libri del
secolo luminoso. La scolastica degli apostati, ultimamente narra la
malinconia sui violini dell’assurdo.
Geniale
e beffardo esploratore della profondità vertiginosa in cui sono cadute le
parole della rivoluzione imparruccata, Raffaele Perrotta incalza: “E la
filosofia? Suo distinguersi in altezzosità. Filosofia su quel tratto che va da
filia a sofia: e ritornare di parole a parole, parole e corrusche
tempestosamente. ¡come è sfilacciato questo tuo volume senza una sosta perché
possa riassumersene la lettura!” [2].
Le parole del secolo decimottavo si
disperdono in disordine, come i soldati del maresciallo Pietro Badoglio. Tutti
a casa, in disordine.
Ma dove si trova la casa delle parole che
non hanno né capo né coda?
L’utopia incipriata e travestita da annuncio
messianico, dominava sopra un imponente arco babilonese, esteso dal salotto
iniziatico alla sacrestia eterodossa. Oggi è ridotta a vagabondare, inseguita
dal rantolo dei concetti in libera
uscita dalla storia.
Frantumato l’impero ideologico, dove, giusta
la magistrale definizione di Augustin Cochin, l’opinione sostituiva l’essere, adesso si ode soltanto la
risata sulla fioca filastrocca di Pablo Neruda
“Oh,
Unione Sovietica, se si potesse raccogliere tutto il sangue che hai dato, come
Madre, al mondo, avremmo un nuovo oceano per annegarvi chi ti ha offeso … Madre
degli uomini liberi”.
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Spogliate
della splendida corona, che le avvicinava al futuro immaginario, le ammalianti
parole dell'enciclopedia illuminata ora scendono nel sottosuolo, dove è al
lavoro l’alacre popolo dei confusionari.
Da
destra a sinistra a da sinistra a destra sono schierati intellettuali dediti al
nomadismo, signorine umbre emigranti da un'alcova all'altra, energumeni in
clargyman, fascistottardi in cerca di autore, pagliette sicule scaraventate
sugli schermi delle televisioni nazionali, cinematografari con patente pirandelliana, innovatori sotto
la livrea del teppismo, banchieri rampanti, costruttori di motori a scoppio
dell'erario, profeti del pensiero unico, romanzieri sgrammaticati, piovigginosi
mistici del nulla, pianisti gay ad altissima tariffa, filosofi a gettone,
massoni festanti, figuranti politologici in parrucca, agitatori di manette da
palcoscenico, comici lacrimosi, presentatrici cocainomani, sindacalisti con
l’ermellino, ballerine filosofanti, moralizzatori pederastici, calunniatori
effervescenti, Marozie ipercinetiche, giudici riscaldati dal tifo per il boia.
Sotto
i loro denti affilati le parole della lingua ideologica si sbriciolano e
diventano chiacchiericcio, gossip, flusso di parole in libertà, rumore. Dopo
Kant e Voltaire, Jovanotti, Serena Dandini ed Elisabetta Tulliani. E il curioso
Alessandro Campi, raccattapalle ai margini del campo filosofico sul mandato
del nichilismo mentale di Gianfranco Fini.
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Ultimamente, alcuni irriducibili
sostenevano che la filosofia di Marx, dopo tutto, era estranea alla prassi sovietica. Durante la celebrazione dell’ottantesimo
anniversario del partito comunista italiano, il rifondatore Fausto Bertinotti
tenne un discorso circolare a due piste, inteso, per un verso, a rivendicare
l’eredità della buona filosofia di Marx per quello opposto a rigettare Stalin e
la storia delle sue cattive opere.
Se non che i delitti di Lenin e di Stalin,
l’epurazione del 1918, la carestia del 1921 e lo sterminio dei kulaki del 1929,
furono commessi da interpreti legittimi, intesi ad attuare la nobile
utopia e non a deviare da essa.
Non è necessario mettere in dubbio la
sincerità degli stati d’animo che ha dettato le dichiarazioni d’intenti del
segretario rifondazionista, quando san Tommaso ha dimostrato che la phantastica illusio degli erranti,
l’ambizione di conseguire impossibile –
quale è, appunto, l’utopia comunista - discende
dalla sciocca superbia (oritur ex superbia vel cupiditate) [3].
D’altra parte non ha importanza sapere se
gli irriducibili sono in buona o in cattiva fede, quando è evidente che, posta
l’adesione alla filosofia materialista – e nessuno mette in dubbio
l’appartenenza di Marx alla scolastica materialista - è impossibile sfuggire a
un destino di violenza e di frode.
Anche se l’intenzione dei marxisti ultimi
fosse pacifica e non violenta il tentativo di separare l’utopia di Marx dagli
atti dei sanguinari Lenin e Stalin, sarebbe un vuoto e ridicolo esercizio da
palcoscenico. La storia della filosofia, quantunque soffocata dal bianchetto
dei progressisti, insegna che, dato il pregiudizio materialista, segue
necessariamente la scelta metodologica della frode e della violenza - la carota
della Nep e il bastone dello sterminio dei kulaki.
Non si dice cosa nuova rammentando che la
filosofia materialista ha origine da Democrito e dal suo scolaro, il sofista
Protagora, che le conferì quell’indirizzo soggettivistico e oppressivo, che ha
conservato attraversa tutti i mutamenti subiti nel corso della sua storia plurisecolare.
Virginia Guazzoni Foà, nella sua “Storia
del pensiero occidentale Dalle origini alla chiusura della scuola di Atene”,
edita in Milano da Marzorati, ha dimostrato con rigore filologico irrefragabile
che, secondo il sofista Protagora, “la materia è il fondamento e la ragione di
tutti i fenomeni in quanto può essere tutte le cose quali appaiono a noi”.
Dal suo canto, Michele Federico Sciacca
aveva stabilito l’ispirazione sofistica di quella negazione tracotante della
verità che ha dominato la scena del “moderno”.
L’opinione che nei fenomeni contempla la
sola apparizione della materia ed esclude la forma, implica, appunto, la
conclusione soggettivistica, che Platone ha confutato nel discorso intorno ai
sofisti: “Protagora disse che di tutte le
cose è misura l’uomo, di quelle che esistono che esistono e di quelle che non
esistono che non esistono. … E non viene egli in certo modo a dire questo, che
quale ciascuna cosa apparisce a me, tale codesta cosa è per me, quale apparisce
a te, tale è per te; e uomini siamo tu ed io?” (Teeteto, 152a).
Protagora, e dopo di lui ogni materialista
coerente, nega che la mente umana sia capace di astrarre gli universali dalle
cose e perciò di formulare giudizi oggettivamente validi.
Dopo Protagora e fino a Marx, intorno al pregiudizio
materialistico si costituisce un circolo vizioso, che attira la verità nel
gorgo delle opinioni deliranti.
Il vizio del pensiero moderno nasce dalla
convinzione secondo cui la sede della verità non è più l’oggetto ma il
soggetto.
In obbedienza a una logica paradossale,
l’emergenza “totalizzante” del materialismo fa sbiadire l’oggetto trasferendo
il colore nell’occhio del soggetto.
Lo scoloramento dell’oggetto, però,
destituisce il giudizio del soggetto, che tenta di colorarlo a suo modo. La
conseguenza è che ci sono tante tinte quanti sono i pittori impegnati a dipingere la realtà.
Risultato del materialismo è l’impero
sofistico ambidestro: se esistono tante verità quante sono le opinioni dei
soggetti, verità plausibile sarà soltanto quella del soggetto che riesce a far
valere (anche a costo d’ingannare o fare violenza) la sua opinione.
Il materialismo sofistico nega gli universali,
che sono il fondamento del dialogo e della ricerca e trasforma la filosofia in
un ring riservato agli urlatori, ai
cacciatori di potere e alle Marozie.
Il luogo della verità è occupato da
un’opinione labile, che s’impone solo mediante giri di parole, argomenti
acrobatici, lavaggi del cervello e all’occorrenza minacce, torture e
“concentrazioni rieducative”. In caso di refrattarietà estrema è infine
prevista l’eliminazione fisica. Si rammentano al proposito i casi dell'Iran,
della Cina, della Corea del Nord, della Birmania e del Sud-Sudan.
A questo punto è già chiaro il dato che è
puntualmente confermato dalla storia di tutti movimenti d’ispirazione
materialistica: le opinioni conformi al pregiudizio del materialismo sono
sempre associate all’uso della violenza e/o della frode elitaria. Le squallide biografie del comunismo e del nazismo lo
confermano puntualmente.
D’altra parte (e non è per un caso) il
materialista coerente Karl Marx intimava ai suoi lettori di non fare domande. E
non è per un caso che i suoi interpreti sovietici chiudevano i dissidenti nei
manicomi.
La negazione della verità oggettiva e la
consegna della verità all’opinione del più forte o del più abile nasce dal
convincimento che gli oggetti del conoscere siano costituiti soltanto dalla
materia.
La neo-sofistica è il motore della juke-box
confusionario che suggerisci la declinazione dell'et... et... sulla scena del
cabaret postmoderno.
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Il
pensiero moderno infine è esiliato nei margini umbratili, dove si nutrono i
sogni intorno a quella cervellotica e distruttiva economia del dono - il potlach
- che la mente alterata del surrealista Georges Bataille ha escogitato
ispirandosi ai costumi dei primitivi.
Il
fine perseguito da Bataille era lo scoppio d’una guerra forsennata contro la
scienza della produzione e contro la civiltà dell’Occidente cristiano. Una
guerra combattuta per deliziare i reduci dell’ideologia, in fuga dalla realtà
verso il vuoto mentale e il delirio nietzschiano.
L’utopia,
dopo Marx, si risolve in consumo
metafisico, in mortificazione dei beni materiali, attraverso le opposte e
convergenti vie tanatofile: l’ascesi dissolutoria (il cui archetipo è l’endura catara) e la dissolutezza
ascetica (il cui archetipo è la baldoria
marcionita e/o frankista).
Consumare, in questa allucinante prospettiva
mistica, significa de-creare. Il verbo
di Erostrato è usato da Andrea Emo e da Massimo Cacciari per definire l’atto
della dottrina nichilista formulata da Simone Weil.
La
finalità del “consumo” è disgregare l’essere, frantumare la sostanza delle cose
per sostituire la immaginaria tirannia del demiurgo con il
fittizio regno della libertà assoluta,
regno contemplato dalla dottrina degli gnostici, dei manichei, dei bogomili e
dei catari [4].
In
“Discesa all’Ade e resurrezione”, Elémire Zolla, il più rigoroso e qualificato
fra i seguaci del maestro sessantottino Jacob Taubes, ha sostenuto, con
argomenti inconfutabili, che l’ultimo orizzonte della rivoluzione è la
devastante teologia di Marcione.
“L’omosessuale Marcione” [5],
infatti concepì e fondò “una Chiesa
di celibi, che affamano il mondo privandolo del seme. La chiesa di Marcione
vuole distruggere il mondo. Il matrimonio come sacramento, ben tardo nella
Chiesa di Pietro, qui è impossibile. A Gesù non fu mai rivolta la richiesta più
naturale, così insistente nell’Antico Testamento: che la donna possa partorire.
Il Padre dell’Antico Testamento era giusto, non fu il padre di Gesù. Marcione
proclama che il Vangelo è imparagonabile, non se ne può dire e pensare nulla:
proviene dal Dio alieno” [6].
Il
progetto dell’a-teologo Zolla - primattore nella commedia dell'et... et... -
nasce dal disperato tentativo di istituire un rapporto tra la teologia di san
Paolo e l’insalata di parole rimescolata da Nietzsche (filosofo e maestro
avventizio della sinistra francofortese e adelphiana).
L’insegnamento
di Zolla è una pietra miliare nella storia dell’involuzione filosofica del
“moderno” e dell’eclissi
dell’intellettuale: segna il punto nel quale l’ideologia dei comunisti si è
umiliata a supporto dell’insorgenza oltreumana e nichilistica dei fascisti
deragliati e dei comunisti in marcia verso il Nulla lucente di cui si parla nel
salotto buono.
La
scena della sinistra chic al passo
della destra forsennata è conforme al pensiero della retroguardia tenebrosa,
che continua la guerra di Marx alla civiltà cristiana nascondendo il fallimento
della rivoluzione sotto i panni della solidarietà da palcoscenico e della
libertà da postribolo.
Panni
indossati dalla nuova pittoresca fauna progressista: moralisti d'assalto,
stilisti, spogliarelliste, calciatori, cocainomani d’alto lignaggio, cantanti,
affaristi, fotografi, scialacquatori, giornalisti d'assalto, pederasti
gongolanti, neodestri ammaestrati.
Nella
commedia degli inganni, l’insensata dissipazione dei beni concepita da Bataille
e messa a tema dal pensatore neognostico Zolla, inverte l’ordine naturale,
proponendo il primato temporale della distribuzione sulla produzione, cioè il
regresso al delirio politico.
Piero Vassallo
[1] Cfr.:
Raffaele Perrotta, “antro immane la
parola ricercata λοjanto”, Marco
editore, Lungo di Cosenza 2005, pag. 45
[2] Raffaele
Perrotta, op. cit., pag. pag. 59.
[3] Sum. theol., II-II, q, 11, a . 1.
[4] Come
si è già accennato, Eric Voegelin nel “Il mito del nuovo mondo”, Rusconi,
Milano, 1970, ha
dimostrato esaurientemente che l’ideologia comunista ha molti punti di contatto
con lo gnosticismo antico.
[5] Marcione
(Sinope circa 85 – Roma 165) è l’ispiratore di un vasto movimento di fanatici
neopagani intesi a respingere l’Antico Testamento e purificare il Nuovo
Testamento eliminando qualunque riferimento al Dio di Abramo, Isacco e
Giacobbe.
[6] Cfr.
“Discesa all’Ade e resurrezione”, Adelphi, Milano 2002, pag. 124.