Certamente il mondo resterebbe, per usare un
eufemismo, meravigliato se i giornali, i telegiornali, i twitter annunciassero
che Papa Francesco ha dichiarato guerra.
Eppure, fin dalla sua elezione, nei suoi
discorsi, nelle sue omelie è ricorrente il tema della guerra, della guerra al
diavolo, con il quale, ancora recentemente, ha dichiarato, in modo perentorio,
che non ci può essere dialogo, e che, non senza ironia, ha definito un “cattivo
pagatore”.
Proprio su questi temi della predicazione di
Papa Francesco è uscito, sull’Osservatore Romano, un bell’articolo il 4 maggio
scorso di Inos Biffi, il quale ha messo in evidenza come il Nuovo Testamento,
non solo i Vangeli, ma le Lettere paoline, le Lettere di Giovanni,
l’Apocalisse, sia tutto caratterizzato proprio dalla rappresentazione di questa
grande battaglia, che è iniziata prima della storia e si prolungherà fino alla
fine dei tempi.
Ancora prima della sua elezione a Vescovo di
Roma, l’allora Cardinale Bergoglio, a proposito delle proposte di legge sul
matrimonio omosessuale, le attribuiva all’invidia del demonio, attraverso la
quale – così scriveva ai monasteri carmelitani di Buenos Aires – il peccato
entrò nel mondo: “un’invidia che cerca astutamente di distruggere l’immagine di
Dio, cioè l’uomo e la donna che ricevono il comando di crescere, moltiplicarsi
e dominare la terra”.
In altre parole non si trattava, per il
Cardinale Bergoglio, di una battaglia politica, ma del tentativo distruttivo
del disegno di Dio, tentativo voluto dal demonio per confondere e umiliare gli
uomini.
Un filosofo non cristiano, come professione di
fede, ma sensibile al rapporto tra teologia e storia, Massimo Cacciari ha
dedicato un testo, uscito recentemente, al katéchon, ossia a “Il potere che
frena”, secondo l’espressione che si legge nella seconda Lettera ai
Tessalonicesi. Il katéchon è qualcosa o qualcuno che trattiene e contiene,
arrestando o frenando l’assalto dell’Anticristo, ma che dovrà togliersi o
essere tolto di mezzo, affinché l’Anticristo si risvegli, prima del “giorno del
Signore”.
Non intendo soffermarmi sulle diverse
interpretazioni del katéchon e dell’Anticristo.
Mi piace però cogliere dal testo di Cacciari,
che riprende la letteratura cristiana antica sull’argomento, questa precisazione: “l’Ingannatore del mondo
si presenta come figlio di Dio. La sua energia si esprime nel se-durre dalla fede
nel Signore Gesù: la sua apostasia non è discessio o secessio genericamente da
Dio, non ha nulla a che vedere con qualsiasi forma di ‘ateismo’; essa ha un
solo bersaglio: sradicare la fede che Gesù sia il Cristo” (p. 49).
Presentando il libro di Piero Vassallo: “Un
treno nella notte filosofante”, vorrei subito qualificarlo come un romanzo, non
solo e non tanto filosofico, quanto piuttosto teologico e spirituale.
La notte in cui è ambientata la prima parte,
nella quale si descrivono le discussioni svolte durante un viaggio in treno tra
Simeone, il protagonista (nome assolutamente spirituale) e gli altri compagni
di viaggio, diventa nella seconda parte la notte della ragione, oltre che della
fede, non nel senso di San Giovanni della Croce di “notte oscura” come
esperienza mistica, ma nel senso di “tenebre” che si oppongono alla luce, che
avvolgono il pensiero e lo rendono impotente ad aprirsi alla realtà creata, a
confrontarsi con il reale, in un avvitamento in se stesso che è l’esito del
principio di immanenza moderno.
E’ la notte del nichilismo che si oppone
alla luce e alla vita, è la notte in cui si sviluppa il fomite dell’antivita.
Per capire la battaglia tra la luce e le
tenebre, tra la vita e l’antivita, occorre aver presente il prologo al Vangelo
di San Giovanni, quel prologo che, come un esorcismo, veniva recitato al
termine di ogni Messa nel rito antico, e ancora oggi viene recitato in questo
splendido rito antico.
La notte filosofante si oppone alla luce,
alla vita, è il tempo delle tenebre, il tempo dell’antivita.
La vera battaglia, il vero confronto non è
tra “destra” e “sinistra”, tra – per citare le antiche Potenze terrene - Francia
e Germania, tra Russia ed America, neppure tra Europa ed Islam: è tra la luce e
le tenebre, tra la vita e l‘antivita.
Il momento più alto di questa battaglia e
che ne svela il senso è dato dall’Incarnazione del Verbo di Dio: il Verbo si è
fatto carne, come dice San Giovanni, e ha posto la sua dimora tra noi, nella
storia umana.
Grande mistero, di fronte al quale il rito
antico esige che, ogni volta che si ricorda nella liturgia, tutti, sacerdoti e fedeli, si inginocchino,
adoranti.
Lo sfondo è dunque sempre questo: le tenebre
che avvolgono il mondo, gli uomini, il loro pensiero, ma che vengono squarciate
dalla luce del Logos che è vita, e che si fa carne, che entra glorioso nella
storia dell’umanità, definitivamente, e che a quanti credono in Lui ha dato il
potere di diventare figli di Dio.
Ed è questo che il grande Ingannatore,
l’invidioso, come dice Papa Bergoglio, non sopporta: la dignità dell’uomo elevato
per grazia ad essere partecipe della natura divina, ad essere figlio di Dio.
Non potendo colpire Dio, colpisce l’uomo, la
sua dignità, la sua apertura al trascendente, la sua vita di grazia e la sua
chiamata alla gloria.
Ritengo questa premessa necessaria per poter
parlare del romanzo di Vassallo, che altrimenti resterebbe, nel suo aspetto più
profondo, incomprensibile.
Il romanzo di Vassallo si può leggere a
diversi livelli: ad un livello autobiografico in cui egli fa riferimento,
soprattutto nella prima parte, a quella che potremmo definire la sua
“conversione” da giovanili idealità vagamente pagane al loro superamento e al
loro “inveramento” nel cristianesimo; ancora a livello autobiografico, ma anche
come spunto di riflessione per tutti, si coglie quello che potremmo definire lo
spirito cavalleresco, dell’autentica cavalleria cristiana, di Piero Vassallo,
che lo porta al servizio della verità fino al rifiuto di ogni successo mondano
che ben gli sarebbe stato accessibile.
L’altro livello è quello sul piano della
storia culturale, intendendo questo aggettivo non nel senso di accademico o di
riservato agli specialisti, ma come sinonimo di civiltà: da una parte la notte
con le sue tenebre ed i suoi spettri, dall’altra la vita, la luce che ci ha
portato il Verbo di Dio, il Logos incarnato, aprendo, allargando, come direbbe
Benedetto XVI, la nostra ragione alla trascendenza.
L’esito della notte filosofante per il treno
è di finire su un binario morto, inizio della tragica avventura dei protagonisti,
che vengono come scaraventati dalle eleganti carrozze di questo treno (ma
l’eleganza, la squisitezza, i modi affettati spesso sono il preludio
all’abbruttimento), nel progetto di un “mondo nuovo”, fondato sulla
“ultrarivoluzione”, come restaurazione della “cultura originale” e del
“pensiero armonioso” (cfr. p. 67), che non è solo una cultura precristiana, ma
pre – e antirazionale, avendo, a sua base, il rinnegamento, esplicito in
Marcuse, del principio di identità e di non contraddizione, qualificato – risum
teneatis amici – “fascista” (p. 75).
La lotta alla luce, alla vita è sempre anche
lotta alla ragione: non a caso la cultura omosessualista, abortista, eutanasica
è caratterizzata anche dal favore per l’uso delle droghe, in una visione sconvolta
e sconvolgente dell’uomo, che di umano non ha più nulla.
E’ di questi giorni l’uscita di un romanzo
di Dan Brown, Inferno, in cui il tema è il mito della sovrappopolazione,
per cui l’umanità sarebbe prossima ad essere annientata dalla crescita demografica:
il rimedio sarebbe quindi la sterilizzazione di massa, l’aborto, la
contraccezione, l’eutanasia.
Giustamente Massimo Introvigne ha definito
questo libro un manifesto anticattolico per la “cultura della morte”, cultura
della morte che, al di là di queste formulazioni così esplicite, serpeggia, uso
questo verbo non a caso, in ampi settori del mondo moderno e contemporaneo,
politicamente trasversali.
In quella che Vassallo definisce la “cultura
originale”, nel senso di anticristiana e antirazionale, si consuma la
dissociazione gnostica, propriamente marcionita, tra il Vecchio e il Nuovo
Testamento, che concretamente significa il rifiuto del Creatore e dell’ordine
creato, e quindi della legge naturale, dei suoi valori, della razionalità
stessa, come se si potesse essere più “buoni” di Dio.
Ci viene offerta da Vassallo una
importantissima chiave di lettura della cultura moderna e contemporanea, ma
anche una chiave di interpretazione politica che giunge fino alla attualità, e
che ci aiuta a capire come mai esponenti di destra facciano discorsi “di
sinistra” (ad es, apertura ai matrimoni omosessuali), o esponenti della
politica e della cultura di sinistra si affannino a “reggere la coda” ai grandi
banchieri e ai finanzieri senza scrupoli.
In questa “cultura originale”, destra e sinistra solo apparentemente sono
poli opposti, ma in realtà si ritrovano in questa “armonia”, cementata dalla
stessa avversione per il cristianesimo, ma anche per i valori ad esso
propedeutici dell’ebraismo ortodosso (mosaico), del razionalismo greco e della
giustizia romana (p. 80), in breve per “l’impostazione occidentale”, che è poi
quella cattolica.
Al riguardo mi piace ricordare che il
celebre discorso di Bottai del 7 dicembre 1942 a Berlino di
esaltazione del diritto romano suscitò le reazioni furiose dei nazisti,
Goebbels, Rosenberg, che definirono il ministro italiano la longa manus
del Vaticano, reazioni non diverse nella sostanza rispetto all’odio per il
diritto romano manifestato negli scritti di Engels
Il fotomontaggio, che il protagonista vede in
uno degli alloggi di quel lager in cui si costruisce la nuova umanità, di Marx
che bacia Nietzsche (p. 85), è la più chiara espressione di questa devastante “armonia”,
del compimento dell’et - et.
Nazismo e comunismo, estrema destra ed
estrema sinistra, Hitler e Pol Pot, confluiscono nell’odio alla vita – e
innanzitutto alla sua trasmissione – alla storia, alla tradizione, alla
razionalità come elemento di somiglianza al divino, nella prospettiva di
“andare oltre l’uomo” (p. 110).
In questo percorso si colloca anche un
ecologismo esasperato, per cui l’uomo non sarebbe diverso da ogni altro animale
e si dovrebbe confondere con la natura, e il rifiuto della tecnica.
Come fare ad andare oltre l’uomo? Superando
ogni dualità: bene – male; uomo –donna; angeli buoni – angeli cattivi. Verrebbe
da dire ogni discriminazione, in un aberrante ermafroditismo culturale.
Qui davvero si scontrano due grandi
progetti: il progetto di Dio e il progetto dell’avversario, tanto feroce quanto
grottesco.
Culmine del progetto dell’avversario, ossia
della cultura di morte è, come viene descritto nel romanzo di Vassallo, il
sacrificio umano. Se qualcuno ritiene che nella nostra cultura non si pratichi
più il sacrificio umano, rifletta sui milioni di aborti, che non sono altro che
vittime innocenti soppresse, con il permesso della legge, dal più forte. Ed
oggi la strada è aperta all’infanticidio.
Per non parlare di tante altre situazioni
in cui la vita umana è disprezzata fino al cd. delitto gratuito, bene
raccontato nella sua lucida follia da Sartre nel racconto Erostrato.
Satana, scrive Vassallo, non si aggira in
divisa (p. 145), ossia i veri satanisti non sono ragazzotti marginali, che
ascoltano una certa musica o vestono di nero: i veri satanisti sono nei
salotti, sulle cattedre universitarie, nelle direzioni dei grandi giornali. E’
lì che si pianifica il “mondo nuovo” .
Come difendersi dall’incubo, come respingere
questo progetto di morte? Chi ci difenderà se anche, e soprattutto i potenti
stanno dall’altra parte?
I credenti sanno che il finale è già
scritto, che il principe di questo mondo sarà precipitato: questo però non ci
esime dal combattimento e soprattutto dal cercare le tracce di quella che sarà
la vittoria definitiva.
Piero Vassallo ci indica tre tracce: gli
umili, i sofferenti; le persone comuni; infine i Santi. Gli umili, i sofferenti
sono, per così dire, il parafulmine, sono coloro che espiano in vece nostra.
Il pensiero corre dalla figura di Matrjona di
Solzenicyn, che, disprezzata dagli uomini, come una “povera stupida” che
aiutava gli altri senza compenso, e in quest’opera trova la morte, era invece
proprio lei “quel Giusto senza il quale non esiste il villaggio, né la città,
né tutta la terra nostra”.
Le persone comuni, i Brambilla, come li
chiama Vassallo, sono poi quelle persone apparentemente modeste nella loro
regolarità di vita, nelle loro aspirazioni, nel loro stile, mai sopra le righe,
i “padri di famiglia”, che, di fronte alle difficoltà, sanno dimostrare un
cuore grande e un coraggio eroico.
Ed infine i Santi, in particolare i
contemplativi come Teresa d’Avila, Teresina di Lisieux, o i Martiri come Edith
Stein, come le Carmelitane di Compiègne che ci indicano dov’è il vero bene, al
di là di ogni progetto umano.
Insomma, alla soglia degli 80 anni, Piero
Vassallo ci vuol dire che la salvezza non viene dalla cultura, non viene
neppure dalla politica (ancorché questa possa offrire un qualche apporto strumentale
e secondario, come machinae transiturae per costruire la domum
mansuram, in senso agostiniano); viene dall’alto, dalla luce del Verbo
incarnato che illumina, come dice ancora il prologo dal Vangelo di San
Giovanni, ogni uomo che viene nel mondo e gli svela la pseudosapienza dell’Ingannatore.
Emilio
Artiglieri