Si intenda detto per inciso che il primo sentimento che “Un treno nella
notte filosofante” suscita, quasi ad ogni passaggio verbale e concettuale, per
tutto il racconto ed a maggior ragione alla conclusione della lettura, è lo
stupore.
Perché Pier Angelo Vassallo, per noi tutti suoi amici famigliarmente
Piero, stupisce sempre, in ogni sua manifestazione: per la smisurata quantità e
qualità della sua cultura, per il rigore della sua dialettica, per lo stesso
quotidiano personale proporsi agli altri, immancabilmente stupisce, certo anche
al di là della propria intenzione, ed in barba ad un atteggiamento personale
pacato, sempre misurato, mai invadente né al di sopra delle righe, volentieri
sorretto da una ironia sottile.
Non ho letto tutta la letteratura prodotta da Piero, pertanto non so se
quest’ultima creazione rappresenti in qualche modo una summa delle precedenti, ma senza dubbio in essa appaiono un
pensiero ed una logica compiuti ed in qualche modo totalizzanti; un discorso
completo e complesso che, per ciò stesso, passa attraverso diverse fasi
chiaramente riconoscibili, pur connesse tra loro da un ben individuabile filo
logico che le unisce e ne giustifica le differenti modalità stilistiche ed
espressive.
La potenza del sacro accanto alla dissacrazione del manierismo
benpensante, la frequente citazione dotta insieme all’info rmazione
contemporanea, alla nota popolare ed anche popolana; un’aggettivazione
ricchissima e mai ripetitiva, l’ironia dell’iperbole e degli accostamenti
paradossali. Una descrizione accuratissima fino al raggiungimento del
particolare quasi inosservabile ed impensabile, continuamente cangiante, lascia
poco ed insieme moltissimo alla prosecuzione fantasiosa del lettore.
Da una seconda fase di ispirazione orwelliana dove la fattoria degli
animali trasmuta in una valle, nicchia geografica nella quale i Capi vengono
chiamati Enti per non urtare il politically-correct di facciata, si passa senza
soluzione di continuità alla rappresentazione di un mondo dove i malcapitati
viaggiatori conoscono la disperazione delle città bibliche maledette.
La situazione suscita in essi stati d’animo tanto strazianti quanto non
domi, a costo di subire le conseguenze della ribellione alla tremenda
ingiustizia.
Ma a questo punto, in un dantesco “la
morta poesì resurga” , l’autore innalza un lungo e mirabile inno a Dio, una
laude
all’Altissimo che non può non far tornare alla mente il coraggioso
slancio del sommo poeta nel rappresentare, nella terza cantica, qualcosa di
tanto ineffabile e irraggiungibile alla parola comune: da qui, per i
prigionieri, la faticosa fuga dall’odiata nicchia geografica verso la speranza,
non ancora chiara nei modi di proporsi e di realizzarsi ma certa del risultato,
anche terreno, nella fede.
Per Vassallo il mondo (e con esso l’uomo e tutte le cose) è insieme
essere e divenire, Dio invece è solamente essere perchè non conosce il passare
del tempo né i cambiamenti d’essenza; la sua impostazione si può considerare un
abbraccio incondizionato alla tradizione giudaico-cristiana, e alla ragione
tomistica; non accolto il metodo cartesiano né l’irrazionalità di Nietzsche,
criticati politicamente i francofortesi di Adorno e gli sviluppi marcusiani,
appare imprescindibile l’esigenza della guida, nel rifiuto tanto dell’illusione
liberista quanto dell’inganno giacobino.
Non le contraddizioni dell’illuminismo dilagante, figlio parricida del concetto
di sacro, ma il Vecchio ed il Nuovo Testamento, quali donatori di speranza
persino nelle contingenze dell’attuale buio e preoccupante momento storico:
ottimismo che discende in linea diretta dalla stessa promessa della salvezza.
Un’idea che si trova tradizionalmente in contrasto con l’opposta visione del
paganesimo politeista di stampo ellenistico secondo la quale l’uomo esaurisce
su questa terra la ragione di se stesso e, al di là, ogni speranza è bandita;
teorica anche questa, che oggi è significato e generazione di voci più che
autorevoli anche in campo nazionale e fra tutte notevolissima e grandemente
attuale è quella di Umberto Galimberti.
Ma Vassallo va apprezzato anche sotto diversi profili che pochi gli
conoscono: una cultura alternativa di carattere aziendale-commerciale da cui
gli deriva l’esattezza del linguaggio giuridico e la padronanza delle
problematiche inerenti ai bilanci societari ed all’amministrazione contabile.
Senza dimenticare la passione per il buon cinema, per la musica eterna e per
quella contemporanea, se spiritosa come sa essere la tarantella del genio
partenopeo Renato Carosone e l’attenzione alla tenera malinconia filmica della
minuscola interprete ed eroina Gelsomina.
Una personalità multiforme ed un’umanità completa, dunque, ma piana, coerente a se stessa, un uomo che
ha il grande merito di saper osservare la realtà e le cose da più punti di
vista e di crearsi convinzioni robuste omologate dalle diverse ottiche
frequentate, mai superficialmente, anzi attraverso le profondità del
cannocchiale del sommergibile.
E’ la sua risposta, convinta ed appassionata, al mistero dell’esistenza
che coincide con quello della speranza; pur nella sciatteria di molta parte del
mondo moderno, la salvezza passa attraverso la scelta esistenziale della
ragione che è ordine per tutte le cose.
Aldo Carpiteti
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