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giovedì 23 novembre 2017

UNA SOCIETÀ ISTERICA TRA LUPANARE E VESPASIANO (di Emilio Biagini)

Due anni: 1957, 2016. Due versioni di una stessa opera: Testimone d’accusa di Agatha Christie, testimoniano una trasformazione epocale vertiginosa. La prima versione, in bianco e nero, interpretata da Marlene Dietrich, Tyrone Power e Charles Laughton, è luminosa e perfettamente chiara; la seconda, prodotta dalla mitica BBC, è, o dovrebbe essere a colori, se non vi dominassero le tenebre.



Tenebre che regnano in più di un senso, non solo perché lo schermo è buio e l’azione si svolge per lo più nella più impenetrabile oscurità, ma perché l’intera vicenda è immersa in una tenebra morale assolutamente satanica. Nel 1957 si contrapponevano il bene e il male, nel 2016 rimane solo il male, non vi è più un solo personaggio positivo; il male resta impunito e trionfa, e si permette pure di fare la morale, incolpando la “società”, mentre una innocente finisce sulla forca e l’avvocato che si è disperatamente battuto per l’accusato credendolo innocente, finisce suicida perché la moglie gli ha detto che non lo ama più.
La vittima del delitto, nel 1957 un’attempata vedova che ha la disgrazia di innamorarsi di un mascalzone, nel 2016 è diventata una ninfomane sempre a caccia di giovani uomini, la sua devota serva da simpatica vecchietta scozzese si è trasformata in una lesbica repressa, mentre abbondano scene di sesso che più esplicito non si potrebbe. Scomparso lo humour, che aveva una parte non piccola nel 1957, viene sostituito da uno horror assolutamente gratuito.
Per conseguire questo brillante risultato di vomitevole disordine morale, la trama del racconto è stata del tutto sovvertita. La sceneggiatura nel 1957 scorre in modo logico e coerente, quella del 2016 procede a singhiozzo, con ossessive ripetizioni della medesima scena e delle medesime battute. La recitazione del 1957 è misurata ed efficace, quella del 2016 è isterica e delirante; ogni dignità di comportamento è scomparsa, la maestà della legge è messa alla berlina, gli avvocati si agitano come istrioni da baraccone.
La recente produzione della BBC non è più Testimone d’accusa, non è neppure più un rifacimento moderno mal fatto, ma tutt’altra cosa, un prodotto di gran lunga più scadente, penoso, disgustoso: è rimasto il titolo per attirare gli estimatori dell’originale, e poco altro.
Mentre negli anni Cinquanta si avverte ancora la presenza di valori, nella versione odierna tutto è disintegrato: disintegrata la famiglia, devastata la stessa natura umana, perché l’uomo ha fatto un idolo di se stesso, non ha più nessun punto di riferimento, e gettando via la Fede ha perduto il suo centro, che è Dio, ed è solo, e gira a vuoto intorno a se stesso, distruggendo e distruggendosi.
Questo non stupisce affatto: cosa c’è in mezzo tra il 1957 e il 2016? Un anno diabolico: il mitico Sessantotto, quello della “liberazione” o meglio dello scatenamento degli istinti e dell’infamia, sulla scia di Cohn Bendit e di altri consimili pederasti confessi, con la tonaca pretesca (vedi don Milani) o senza tonaca. Si è così compiuta quella che Plinio Corrêa de Oliveira chiama la quarta rivoluzione (dopo quelle protestante, giacobina e comunista), la rivoluzione dove il disonore, da sempre compagno della rivoluzione, raggiunge il suo apice.
Nessuno può illudersi, naturalmente, che nel 1957 regnasse il bene e tutto fosse in ordine. Il marcio bolliva sotto la superficie, tre rivoluzioni avevano già compiuto le loro devastazioni; la cultura della morte, le trame gnostiche evoluzioniste, ambientaliste, abortiste, eutanasiche, mondialiste mandavano già i loro fetori, ma almeno regnava ancora una certa parvenza di ordine.
Nel rifacimento del 2016 ogni traccia di ordine è scomparsa, e questo caso non è che uno fra i tantissimi. Ogni volta che viene eseguita una riedizione (remake per gli anglofili) di un classico cinematografico, il crollo estetico, morale e di tenuta dei nervi salta immediatamente agli occhi. È lo specchio di una società isterica, sguazzante nel lupanare e nel vespasiano, che ha smarrito tutto quello che rende la vita degna di essere vissuta: fede, speranza, carità, onore, valori, civiltà, senso estetico, equilibrio, raziocinio, sanità mentale. Un mondo pienamente laicista, relativista, gnostico, putrefatto, in piena decomposizione, di cui i valenti anglosassoni, come sempre all’avanguardia nel “progresso”, ci indicano la strada, e mediante l’imposizione di storicismo e relativismo vorrebbero vietare qualsiasi giudizio morale.
Ma è col massimo disprezzo che vanno respinte le diffuse farneticazioni storicistiche e relativistiche, le quali tendono a minimizzare ogni condanna delle degenerazioni contemporanee additandola come effetto di incapacità dei “vecchi” di apprezzare le mirabilia del mitico “progresso”. No, la realtà è la realtà, i fatti sono fatti, la degenerazione e l’isterismo del mondo contemporaneo assatanato sono evidenti a chiunque abbia occhi e un po’ di ben dell’intelletto, compresi i giovani, almeno quelli non (ancora) instupiditi dalle deliranti “riforme” scolastiche, dai telefonini, dai vizi e dal frastuono mediatico mondialista.


Emilio Biagini

lunedì 10 aprile 2017

QUANTE PECORE FUORI, QUANTI LUPI DENTRO (di Emilio Biagini)

La Chiesa è la Sposa di Cristo, la Chiesa è santa, la Chiesa è infallibile perché ha ricevuto da Dio, e custodisce, il Depositum Fidei, che è superiore anche al Papa, il quale è infallibile solo quando pronuncia un dogma, perché in tal caso è lo Spirito Santo che parla per bocca sua, ma in ogni altro caso è fallibile come chiunque, e se afferma pubblicamente qualcosa che sia contrario al Depositum Fidei cade ipso facto in eresia. In effetti si conoscono alcuni casi in cui un papa ha pubblicamente enunciato eresie, tanto che il problema del papa eretico è stato oggetto di profonde riflessioni da parte di vari teologi, fra i quali San Roberto Bellarmino.
Bellissima e molto vicina alla perfezione era la Chiesa primitiva dei primi tre secoli, sebbene eresie e divisioni ribollissero già allora. Ma era tempo di persecuzioni e solo gente sincera e coraggiosa osava entrarvi. Tutti i papi di questi primi tre secoli, con una sola eccezione, morirono martiri, e tutti furono santi. I sacerdoti non portavano vesti particolari ma erano molto vicini ai fedeli. Oggi c’è la veste ma il loro cuore è lontano da Dio: lo disse il Divino Maestro alla grande veggente Maria Valtorta, come vedremo.
All’inizio del quarto secolo, con Costantino il Grande, venne la libertà di culto, interrotta solo dalla penosa parentesi di Giuliano l’Apostata, un individuo frenetico gonfiato dagli storiografi laicisti, e alla fine di quel medesimo secolo, con Teodosio il Grande, il Cattolicesimo divenne religione di Stato. Il paganesimo era ancora forte, ma nella Chiesa si erano aperte attraenti prospettive materiali: non si rischiava più di finire arsi vivi o gettati in pasto alle belve, ma si poteva fare carriera. Gli opportunisti, che prima sedevano al circo facendo il tifo per le belve, senza dubbio si precipitarono ad arraffare posti, sinecure e prebende. Così che, al principio del quinto secolo, Sant’Agostino, a proposito dell’ovile della Chiesa, poteva esclamare: “Quante pecore fuori, quanti lupi dentro!”
Da allora, pessimi servitori della Sposa di Cristo non sono mai mancati, e il diavolo ha potuto farne larga vendemmia. Scrittori e predicatori cattolici hanno avuto purtroppo ampio motivo di elevare lamenti su simili servitori. A metà del secolo undecimo San Pier Damiani pubblicò il Liber Gomorrhianus, nel quale flagellava l’orrenda piaga del vizio contro natura fra gli ecclesiastici. Nel 1216 San Francesco, alla Porziuncola, ricevette da Dio il comando di restaurare la Chiesa in rovina.
Al tempo di Marco Polo venne sprecata per vigliaccheria e accidia l’occasione provvidenziale di evangelizzare l’Asia. Il Gran Khan dei Tartari, Kubilai, aveva chiesto al papa, tramite Nicolò e Matteo Polo (rispettivamente padre e zio di Marco, autore de “Il Milione”), intorno al 1265, l’invio di cento missionari per istruire il suo popolo. Poiché l’impero mongolo di allora abbracciava gran parte del continente asiatico e l’individualismo in senso moderno non era ancora nato, convertire i capi significava di solito convertire tutto il popolo, per cui non è azzardato ritenere che, se la richiesta del Khan fosse stata esaudita, vi sarebbero state ottime probabilità di una generale affermazione del Cristianesimo, anche perché la diffusione dell’islamismo in Asia non era ancora avanzata quanto lo è oggi. Ma si trovarono solo due sacerdoti disposti ad offrirsi volontari per il viaggio, e anche costoro tornarono indietro ai primi pericoli. Così, mentre i mercanti affrontavano ogni rischio, allettati dal guadagno materiale, tra i sacerdoti cattolici non si trovava, all’epoca, chi avesse altrettanto zelo per il bene spirituale proprio ed altrui.
Intorno al 1300 il grande poeta fiammingo Jacob van Maerlant, nel poema (liberamente tradotto in prosa dall’autore) Van den lande van oversee, lamentava: “La cialtroneria ha grasse prebende, la santità è costretta a mendicare: ciò lo si vede tutti i giorni. O Chiesa, ti lamenti! Ne hai ben d’onde, ma non trovi in questa tua sciagura mai sostegno di amico o di parente. Tutti allargano la borsa a più non posso per intascare le tue prebende, ma sono vili quando si tratta di resistere alle prove. Se pure Gesù di nuovo versasse il rosso Suo sangue, come già prima lo versò, ovunque vi è un tale torpore, che a stento qualcuno sarebbe capace di farvi attenzione.” Poco dopo, ecco le sacrosante invettive del Padre Dante, troppo note perché occorra citarle.
Il domenicano Girolamo Savonarola, condannato a morte insieme a due compagni per aver detto la verità sulle condizioni della Chiesa, fu vittima di un falso editto di scomunica emanato dal Cardinale arcivescovo di Perugia Juan López a nome del papa, su istigazione di Cesare Borgia, figlio del papa. Alessandro protestò, minacciando Firenze di interdetto per farsi consegnare il Savonarola, salvarlo e farlo discolpare, ma non osò rivelare al mondo l'inganno perpetrato dal figlio, così che il martirio dell’eroico frate, ad opera del braccio secolare (quella Repubblica di Firenze che due secoli prima aveva condannato al rogo, in contumacia, il Divino Poeta Dante), divenne inevitabile.
Al Savonarola era stato offerto un cardinalato, purché cessasse le sue sacrosante denunce, ma egli rispose: “Non voglio cappelli, non voglio mitrie: un cappello rosso, ma di sangue, voglio.” E infatti, insieme ad altri due domenicani, accusati d’esser “scismatici e denigratori della Santa Sede”, il 23 maggio 1498 l’eroico domenicano venne impiccato e bruciato sul rogo, e le sue ceneri furono disperse nell'Arno.
Ma che aveva detto di tanto terribile? Il 17 febbraio 1496 così aveva iniziato la predicazione dei Quaresimali: “Fatti in qua, ribalda Chiesa, fatti in qua ed ascolta quello che il Signore ti dice: Io ti avevo dato le belle vestimenta, e tu ne hai fatto idolo. I vasi desti alla superbia; i sacramenti alla simonia; nella lussuria sei fatta meretrice sfacciata; tu sei peggio che bestia; tu sei un mostro abominevole. Una volta ti vergognavi dei tuoi peccati, ma ora non più.” Il 24 febbraio tuonò dal pulpito: “Noi non diciamo se non cose vere, ma sono li vostri peccati che profetano contra di voi [...] noi conduciamo li uomini alla simplicità e le donne ad onesto vivere, voi li conducete a lussuria e a pompa e a superbia, ché avete guasto il mondo e avete corrotto li uomini nella libidine, le donne alla disonestà, li fanciulli avete condotto alle soddomie e alle spurcizie e fattoli diventare come meretrici.” L’anno successivo predicò ancora contro Alessandro VI: “Il papa è ferro rotto e non si è tenuti ad obbedirgli, anatema a chi comanda contro la carità. [...] Ogni cosa fanno contro la carità, si elegga al più presto il suo Successore che la barca di Pietro non può attendere.”
Alla corrotta e paganeggiante Chiesa rinascimentale pose fine il Sacco di Roma del 1527, spianando la strada alla provvidenziale Controriforma, non prima però che i peccati degli uomini di Chiesa avessero condotto alla disastrosa “Riforma” protestante. E, dato che l’andazzo attuale tende a portare fuori strada i fedeli, facendo entrare sempre più lupi nell’ovile, ecco, a difesa contro le contaminazioni eretiche, la visione avuta nel 1883 dalla Beata Suor Maria Serafina Micheli (1849-1911), fondatrice dell’Istituto delle Suore degli Angeli. La Beata si trovava ad Eisleben, città natale di Lutero. In quel giorno si festeggiava il quarto centenario della nascita dell’arcieretico e c’era quindi grande animazione, ma l’unico desiderio di Suor Maria Serafina era di cercare una chiesa e pregare; ne trovò una, ma era chiusa. Allora si inginocchiò sui gradini d’accesso, senza accorgersi che era un tempio luterano. Mentre pregava le apparve l’angelo custode, che l’ammonì a non pregare in quel luogo e disse: “Voglio farti vedere il luogo dove Martin Lutero è condannato e la pena che subisce in castigo del suo orgoglio”. La Beata vide un’orrenda voragine di fuoco, in cui un incalcolabile numero di anime subiva atroci tormenti. In fondo c’era Martin Lutero, circondato da demoni che lo costringevano a stare in ginocchio e, muniti di martelli, si sforzavano, invano, di conficcargli in testa un grosso chiodo.
Ma il solito disprezzo dei potenti per le rivelazioni “private” fece sì che Luigi XIV, il “Re Sole”, rifiutasse di far consacrare la Francia al Sacro Cuore, come era stato chiesto da Cristo tramite la veggente Marguerite Marie Alacoque; troppi preti divennero mondani “abatini”, e sulla Chiesa si abbatté l’orrenda Rivoluzione francese. È l’epoca della Beata Anna Maria Taigi (1769-1837), che aveva il dono di discernere il destino delle anime: vedeva gente semplice che appena sapeva dire le preghiere salire immediatamente al Paradiso, mentre preti e prelati sprofondavano all’inferno. La Taigi profetò e descrisse con molti anni d’anticipo numerosi avvenimenti storici, come il disastro napoleonico in Russia e la morte di Buonaparte a Sant’Elena; una sua profezia descrive esattamente il Gay Pride: “(…) andranno per le vie della Eterna Città Santa bagnata dal Sangue dei Principi [gli Apostoli], portando la Lussuria in processione. Sacrilegi compiranno contro lo Spirito Santo e contro la Religione: gli uomini si vestiranno da donne e le donne si vestiranno da uomini, la Voce del Santo Vicario non sarà ascoltata e la Sua figura sarà fatta oggetto di scherno e di risa”.
Maria Katharina Emmerick, una monaca agostiniana tedesca vissuta tra il 1774 e il 1824, e beatificata nel 2004 da Giovanni Paolo II disse di vedere, nel futuro, una Chiesa con due papi, protestantizzata e infedele: “Vidi quanto sarebbero state nefaste le conseguenze di questa falsa chiesa. L’ho veduta aumentare di dimensioni: eretici di ogni tipo venivano nella città [di Roma]. Il clero locale diventava tiepido, e vidi una grande oscurità” (13 maggio 1820). “Vedo il Santo padre in grande angoscia. Egli vive in un palazzo diverso da quello di prima e vi ammette solo un numero limitato di amici a lui vicini. Vedo che una falsa chiesa delle tenebre sta facendo progressi, e vedo la tremenda influenza che essa ha sulla gente” (10 agosto 1820). “Poi vidi che tutto ciò che riguardava il protestantesimo stava prendendo gradualmente il sopravvento e la religione cattolica stava precipitando in una completa decadenza. La maggior parte dei sacerdoti era attratta dalle dottrine seducenti, ma false, di giovani insegnanti, e tutti loro contribuivano all’opera di distruzione. In quei giorni la fede cadrà molto in basso, e sarà preservata solo in alcuni posti, in poche case e in poche famiglie che Dio ha protetto dai disastri delle guerre” (1820). E ancora: “Vidi che molti pastori si erano fatti coinvolgere in idee che erano pericolose per la Chiesa. Stavano costruendo una chiesa grande, strana e stravagante. Tutti dovevano essere ammessi in essa per essere uniti e avere uguali diritti: evangelici, cattolici e sette di ogni denominazione. Così doveva essere la nuova chiesa. Ma Dio aveva altri progetti” (22 aprile 1823).
Alla fine dell’anno ecclesiastico 1823, prima dell’inizio dell’Avvento, la Emmerick ebbe per l’ultima volta una visione relativa alla resa dei conti di quell’anno. Vide, attraverso simboli diversi, le negligenze della Chiesa militante e dei suoi servi in quell’anno; vide quante grazie non erano state coltivate e non erano state raccolte, quante erano state dissipate o andate deplorevolmente perdute. Le venne dimostrato che il Redentore aveva deposto per ogni anno nel giardino della Chiesa, un tesoro completo dei suoi meriti; ve n’erano tanti da poter bastare a tutti i bisogni, a tutte le espiazioni: le grazie neglette, dissipate o perdute (e ce n’erano abbastanza per redimere anche l’uomo più degradato, per liberare anche l’anima purgante più dimenticata) dovevano essere restituite fino all’ultimo obolo, e la Chiesa militante era punita delle negligenze e delle infedeltà dei suoi servi mediante l’oppressione che le veniva dai suoi nemici e mediante le umiliazioni temporali.
E veniamo al ventesimo secolo. In Cielo sapevano già tutto, naturalmente, dello sciagurato secolo durante il quale l’assalto demoniaco si fece ancor più violento. Il 13 ottobre 1884, mentre celebrava la Messa, il Papa Leone XIII ebbe una visione che descrisse al suo confessore. Il demonio aveva chiesto un secolo per distruggere la Chiesa e maggior potere su quelli che si fossero posti al suo servizio. Nostro Signore acconsentì e Leone XIII rimase così scosso che scrisse una preghiera in onore di San Michele Arcangelo per la protezione della Chiesa, e ordinò che questa preghiera venisse pronunciata alla fine di ogni Messa. Ma con la riforma liturgica del Concilio Vaticano II questa salutare pratica abbandonata. Subito dopo scoppiò l’immondo Sessantotto, col suo “vietato vietare”, proprio come se fosse caduto un ostacolo all’opera demoniaca.
A Quito, nell’America spagnola, la monaca Mariana Francisca Torres y Berriochoa (1563-1635), una straordinaria veggente, ricevette dalla Santissima Vergine una tremenda rivelazione riguardante la nostra epoca: la diffusione di molte eresie, lo spegnersi della fede in tanti cuori a causa della quasi totale corruzione dei costumi, spaventose calamità pubbliche e private, la crudele e indescrivibile sofferenza delle poche anime rimaste fedeli, un clima avvelenato di impurità regnante che, come un mare lurido, avrebbe invaso il mondo, l’infiltrazione del male nelle case, spegnendo la luce dell’innocenza nel cuore dei bambini, che difficilmente riceveranno il sacramento del Battesimo e della Confermazione. Scarse le vocazioni sacerdotali e molte deboli per assenza di formazione. Ridicolizzato, oppresso e disprezzato il sacramento dell’Ordine: il demonio lavorerà con sottile astuzia per allontanare i religiosi dalla loro vocazione, corrompendone molti. Disprezzato il sacramento della Penitenza: essendo radicati nel peccato cercheranno di ignorarlo e per loro nulla sarà peccato; i laici non vi presteranno attenzione; fra i sacerdoti alcuni lo guarderanno con indifferenza, altri non lo amministreranno, o lo daranno con atteggiamento sprezzante allontanando le anime. Nella seconda metà del XX secolo si avrà come una svolta di questa crisi, riassumibile in: una massiccia apostasia nella Chiesa, la corruzione del clero e dei superiori, il propagarsi delle eresie, l’abbandono delle regole in conventi e monasteri. Di tale rovina avrà colpa l’autorità ecclesiastica.
Di fronte a tanto disastro, la Venerabile Mariana Francisca Torres y Berriochoa si offrì come anima vittima per attenuarne la gravità, accettando di soffrire spaventosamente per tutta la vita. Si confronti questa sublime carità di un’umile suora verso gente lontana nel tempo ben quattro secoli, con il cinico commento di Giovanni XXIII di fronte al terzo segreto di Fatima. Disobbedendo all’ordine espresso della Madonna di divulgare per intero il segreto al più tardi nel 1960, il “papa buono” disse: “Non riguarda gli anni del mio pontificato”, come se il pastore universale, responsabile del gregge in ogni luogo e tempo, dovesse preoccuparsi solo dei pochi anni del suo pontificato.
Nell’apparizione del 2 febbraio 1634, la Madonna aveva avvertito Madre Mariana che molti Superiori corrotti avrebbero voluto distruggere lo spirito della religione: “Tempi terribili verranno quando coloro che dovrebbero giustamente difendere i diritti della Chiesa saranno accecati. Senza paura o rispetto umano, si uniranno ai nemici della Chiesa per aiutarli a soddisfare le loro ambizioni. Guai all’errore dei sapienti, a chi governa la Chiesa, al Pastore del popolo che il Mio Santissimo Figlio ha affidato alla sua cura!“ Riferendosi al ruolo delle autorità religiose depravate aggiunse: “Ma nel momento in cui sembreranno trionfanti e l’autorità abuserà della sua potenza, commettendo ingiustizie e opprimendo i deboli, la caduta sarà vicino. Paralizzati cadranno a terra”. La vittoria finale toccherà quindi alla Santissima Vergine del Buon Successo: tale è infatti il titolo con il quale la Madonna è venerata a Quito.
Interrogato sul motivo per cui tale devozione e le profezie annesse per tre secoli sono state conosciute solo in ambito locale, Monsignor Luis E. Catena y Almeida, postulatore della causa di beatificazione della Venerabile Madre Mariana, rispose: “Forse i nemici della Chiesa sono stati consapevoli delle profezie di Nostra Signora del Buon Successo – voglio dire i modernisti e i progressisti che si sono infiltrati nella Chiesa – e avrebbero potuto facilmente oscurarle o modificarle, come è successo con il Terzo Segreto del messaggio di Fatima.
Apparsa il 12 aprile 1947 a Bruno Cornacchiola, la Santa Vergine avvertì del pericolo di “Falsi profeti, che cercano con tutti i mezzi di avvelenare le anime cambiando la dottrina di Gesù in dottrine sataniche; e toglieranno il Sacrificio della croce che si ripete sugli altari del mondo” […], e profetò: “"Molti dei miei figli Sacerdoti si spoglieranno nello spirito, internamente, e nel corpo, esternamente, cioè gettando i segni esterni sacerdotali. Le eresie aumenteranno. Gli errori entreranno nel cuore dei figli della Chiesa. Vi saranno confusioni spirituali, vi saranno confusioni dottrinali, vi saranno scandali, vi saranno lotte nella stessa Chiesa, interne ed esterne. Pregate e fate penitenza.
Gravi parole furono rivolte dal Divino Maestro anche a Maria Valtorta. Ecco solo un paio di esempi. Evangelizzando gli apostoli perché inizino il loro ministero, Gesù intima (L’Evangelo come mi è stato rivelato, Cap. 265.6): (…) non è lecito che per un sacerdote demonio si perdano le anime dei fedeli. Non sarà mai lecito, per nascondere le piaghe nel corpo apostolico, permettere la sopravvivenza in esso di corpi incancreniti che col loro aspetto ripugnante allontanano e col loro fetore demoniaco avvelenano.” E inoltre (ibid., Cap. 629.11, corsivo nel testo): “La veste è rimasta. Ma il sacerdote è morto. In troppi, nei secoli, accadrà questo fatto. Ombre inutili e scure, non saranno una leva che alza, una corda che tira, una fonte che disseta, un grano che sfama, un cuore che è guanciale, una luce nelle tenebre, una voce che ripete ciò che il Maestro gli dice. Ma saranno, per la povera umanità, un peso di scandalo, un peso di morte, un parassita, una putrefazione… Orrore! I Giuda più grandi del futuro Io li avrò ancora e sempre nei miei sacerdoti!”
Ma un cristiano formato non deve né abbattersi di fronte a simili realtà, non deve cessare di amare la Chiesa se i suoi ministri sbagliano e peccano. La Santa Madre Chiesa rimane nostra madre, e non si abbandona certo una madre che è stata ferita da figli malvagi. La ricetta salvifica è una sola, predicata dalla Santissima Vergine ad ogni Sua apparizione: “Pregare, pregare, pregare”.


EMILIO BIAGINI

domenica 22 gennaio 2017

A CHI GIOVA IL COMUNISMO? (di Emilio Biagini)

La rivista di propaganda alleata del tempo di guerra Il Mese (n. 21, settembre 1945, pp. 310-319) riportava, condensato da The Saturday Evening Post di Filadelfia, un importante articolo delleconomista americano P.F. Drucker, dal titolo Stipendi e paghe nellURSS, che contiene informazioni interessanti e attendibili, dato che lindirizzo della rivista era ovviamente quello di elevare peana ai paesi vincitori, oltre che di insultare quelli sconfitti e imbottirli di menzogne.
Nel paradiso dei lavoratori il divario di paghe e stipendi fra dirigenti e operai era molto più forte che negli USA, e addirittura ancora più forte di quanto non fosse nella Russia zarista. Negli anni antecedenti alla seconda guerra mondiale un operaio sovietico lavorante a catena [di montaggio, si spera] era pagato 125 rubli al mese (circa 50 dollari), ossia 1500 rubli allanno, ma i dirigenti sovietici dellazienda (direttore, ingegnere capo, amministratore generale, direttore di produzione) ricevevano fra i 24.000 e i 36.000 rubli annui se la produzione dellofficina era buona.
[Ossia se aveva raggiunto o superato le quote stabilite dal piano; se poi la merce prodotta serviva davvero, quella era unaltra questione. Una barzelletta corrente era che unazienda era stata premiata per aver superato di gran lunga le quote di produzione ma, andando a vedere cosa produceva, veniva fuori che fabbricava cartelli con la scritta Non funziona.]
Nello stesso periodo di tempo un operaio americano non qualificato riceveva in media 1200 dollari lanno e il suo direttore dofficina o ingegnere capo era pagato fra i 10.000 e i 15.000 dollari. Ciò significa che i tecnici dirigenti nelle industrie guadagnavano nellURSS da quindici a venti volte quanto era pagato a un lavoratore non qualificato e negli Stati Uniti da otto a dieci volte tanto. La differenza di salario tra un dirigente tecnico e un operaio era il doppio nellURSS rispetto agli USA. In tale paese le imposte sul reddito gravavano assai sul bilancio di un dirigente industriale: su un introito di 15.000 dollari limposta poteva essere del 30%.
NellURSS i dirigenti di officine o erano esenti da tasse o ne erano colpiti assai leggermente: laliquota più alta era del 10% e la maggior parte dei direttori e degli ingegneri industriali non la pagava; infatti era raro che un cittadino sovietico potesse occupare un incarico direttivo se non aveva meritato almeno una delle molte decorazioni e onorificenze esistenti, ognuna delle quali comportava esenzione parziale o totale dalle tasse.
Si aggiunga che, più ancora dello stipendio, contava il fatto che i proventi di un dirigente industriale sovietico consisteva in premi in denaro e ricompense in beni e servizi, spesso di tale valore che nessuna somma in denaro avrebbe potuto procurarli in un paese di così scarse disponibilità; poteva ad esempio ricevere una casa appositamente costruita, e i sui figli godevano di un monopolio pressoché totale dellaccesso allistruzione superiore.
Privilegi analoghi e talora ancora maggiori potevano toccare ai dirigenti statali, ai più eminenti professionisti e agli artisti. Già nel 1938 oltre metà degli studenti universitari era composta da figli di dirigenti industriali o statali e meno del 10% proveniva da aziende agricole, benché gli agricoltori costituissero ancora oltre il 50% della popolazione sovietica. Nel 1940 erano state introdotte tasse scolastiche per le università, allo scopo dichiarato di sbarrare la strada ai ceti operai perché i loro figli non accedano a professioni da colletti bianchi.
Dopo lattacco tedesco allURSS il divario si accrebbe ulteriormente: un dirigente industriale che nel 1938 guadagnava 1.500 rubli al mese, nel 1945 ne guadagnava 10.000 o più, e riceveva premi in denaro ancora più sostanziosi, i Premi Stalin di 50.000, 100.000, 150.000 rubli. Al contrario, i divari salariali negli USA si erano ridotti per i forti aumenti agli operai. Sebbene il denaro in URSS contasse poco, essendovi poco o nulla da comprare, questi confronti sono altamente significativi.
Essi infatti svelano la vera natura dellideologia comunista. Ecco perché la cosiddetta rivoluzione di ottobre non fu affatto un movimento operaio, ma un colpo di stato militare; ecco perché, durante la guerra civile, come testimonia anche Boris Pasternak ne Il dottor Zivago, gli operai parteggiarono per i bianchi o addirittura si arruolarono negli eserciti bianchi, mentre i proprietari di aziende sostennero i rossi: per loro si prospettava infatti la possibilità di scambiare il rischio imprenditoriale con la più tranquilla posizione di funzionari statali aventi lunica preoccupazione di consegnare le quantità di prodotto richieste dai piani.
I privilegi della Nomenklatura, così efficacemente descritti da M.S. Voslensky (1984, Nomenklatura: la classe dominante in Unione Sovietica, Milano, Longanesi, 2ª ed., trad. d. tedesco) nei paesi afflitti dal comunismo iniziano dunque fin dai primordi del dominio degli sciagurati rivoluzionari di professione. Questo dunque è sempre stato il comunismo: un comodo sistema di occupazione di posti privilegiati e di sfruttamento ai danni dei più deboli da parte di una scaltra e spietata banda di parassiti di regime.
A questo precisamente aspiravano anche i rivoluzionari nostrani, gli striscianti blateratori dei salotti buoni e delle televisioni okkupate e avvelenate, i kani da guardia delle kase editrici blindate, i mirakolati improvvisamente konvertiti dal fascismo al verbo komunista, i kapò della kontestazione sessantottarda, tutti quelli che hanno intossikato lItalia e continuano a intossikarla. È sempre la stessa identica storia, perché il diavolo è monotono.

EMILIO BIAGINI

giovedì 29 dicembre 2016

L’AMERICA E LO SPETTRO DEL FASCISMO di Percy Winner (a cura di Emilio Biagini)


Dopo i democratici bombardamenti a tappeto per ammorbidire i pupi, occorreva erudirli sul felice salvataggio dagli orrori della dittatura. Per questo venne fondato Il Mese, la rivista di propaganda per l’Italia “liberata”, che presentava articoli compendiati da varie fonti. Ad oltre settant’anni di distanza, avviati al disastro demografico dal malthusianesimo e dall’ambientalismo anglosassone, nonché sprofondati nel mondialismo usuraio di Soros-Sauron e soci annidati in WallStreet-Barad-dûr, siamo in grado di valutare quanta gratitudine dobbiamo ai nostri “liberatori”.





Questo articolo, diviso in quattro capitoletti, dal titolo Lo spettro del fascismo visto dall’America, venne pubblicato su Il Mese, n. 23, settembre 1945, pp. 582-588, ed era compendiato da Harper’s Magazine, New York.




L’autore, Percy Winner era stato per tre anni vice-direttore dell’Office of War Information statunitense per operazioni speciali di guerra, ergo, spione.
[Le osservazioni in corsivo e parentesi quadra servono da opportuno commento.]

I
La disfatta della Germania, col restituire la libertà [Scusi, non ho capito bene: cosa ha restituito?] all’Europa, ha reso urgenti i problemi finora posposti. Durante la guerra, gli Alleati avevano dovuto ricorrere a  parecchie semplificazioni per ridurre al minimo i conflitti di opinione e gli equivoci; perciò la guerra contro la Germania fu senz’altro identificata con la guerra al fascismo. Ma oggi si deve riconoscere che  la guerra contro il fascismo non è finita, e che il problema del fascismo non può ridursi a termini così semplici. [Brillante deduzione, Watson, ci voleva proprio il tuo cervello anglosassone per arrivarci.]
Il fascismo non è morto, non è nemmeno battuto. [Agitare spettri inesistenti è il classico strattagemma disonesto delle menti totalitarie.] Esso sparirà solo quando si saranno trovate delle alternative alle soluzioni mostruose, ma tangibili, che esso offriva per taluni problemi europei. [Significativa ammissione: non esistono soluzioni alternative, o almeno non esistevano al momento in cui costui scriveva. Ma allora perché combatterlo con tanto accanimento senza avere neppure una soluzione alternativa in mente? Il fatto è che la spinta alla guerra per gli americani veniva non da un’idea “alternativa”, ma dagli interessi inconfessabili della finanza usuraia e petroliera che sperava di ingrassarsi a dismisura.]
Il cumulo di teorie, di menzogne, di mezze verità che, in veste ora mitologica, ora mistica, ora superstiziosa, costituì la cosiddetta ideologia del fascismo nella sua varietà nazista [Non esisteva una varietà nazista del fascismo, il nazismo era qualcosa di assolutamente diverso e unico, perché sprofondato nell’esoterismo.], ha esercitato tale influenza in Europa, che ad essa non si sono potuti sottrarre nemmeno coloro che hanno messo a repentaglio la propria vita per distruggerla. Sia pure in forma caricaturale, l’ideologia nazista si avvaleva tanto della scienza più moderna quanto della religiosità più primitiva. La varietà nazista del fascismo [ossia il nazismo, che non era affatto fascismo] si potrebbe invero definire come una sintesi pseudo-religiosa di un nuovo stato moderno e di un vecchio tipo di organizzazione tribale basata su vincoli di sangue. Dietro a questa costruzione stava la pseudo-ispirazione di Hitler che lo Stato potesse essere insieme umano e divino – umanizzato in un organismo, divinizzato in una chiesa. I teorici assunsero le funzioni di profeti e di sacerdoti, gli scienziati presero il posto degli stregoni. L’individuo tedesco divenne un automa cellulare, su cui la grazia scendeva nell’atto di servire l’organismo dello stato-chiesa e di partecipare alla sua comunione. A lui toccava raccogliere l’eredità della terra da popoli inferiori destinati alla sottomissione o alla distruzione.
Solo ora cominciamo ad accorgerci delle differenza tra la Germania nazista e quella guglielmina; e non siamo ancora arrivati a vedere che le conseguenze della distruzione di un universalismo patologicamente religioso sono differenti dalle conseguenze della disfatta di un imperialismo politico. Il nuovo ordine nazista era una tarda caricatura dell’originale Sacro Romano Impero; il nuovo disordine, morale e materiale, non solo della Germania, ma dei territori già occupati dai tedeschi, richiama non tanto al 1918 quanto al 1648, la conclusione dell’ultima guerra di religione.
L’orgia d’irrazionalismo imposta con diabolica abilità tecnica sull’Europa dai nazisti non poteva non lasciare gravi postumi psicologici, tale fu l’attrazione esercitata da quei distorti valori morali e da quei deformi principi politici. La parte del fascismo che ancora richiede comprensione e repressione è quella che ha lasciato tracce nei pensieri e nei sentimenti di milioni di europei che furono fascisti o che semplicemente non furono anti-fascisti. [Mostruosa arroganza: qui siamo alla psicopolizia di 1984].
Il comprendere questo è particolarmente arduo per noi americani. Noi siamo lontani. La nostra esperienza storica è differente. Per esempio, noi vogliamo pace e libertà [sic!]: ma per l’Europa la potenza è pace; e la libertà è il residuo dei sacrifici necessari per la sicurezza. L’americano vuole prevenire la guerra [Ma davvero?!]; l’europeo vuole prevenire un’altra guerra, una determinata guerra tra la nazione a cui appartiene e un’altra determinata nazione. Noi usiamo le stesse parole per cose differenti. [Non si sa ridere o piangere di fronte a simili vaneggiamenti propagandistici: quando mai gli americani hanno voluto la pace? Magari il popolino l’avrà preferita, per non andare a rischiare il collo per il bene dei guerrafondai, ma i poteri forti hanno sempre spinto per la guerra, usando i più vari pretesti e le più varie provocazioni, fino a rendere inevitabile l’attacco a Pearl Harbor.]

II
Forse la via migliore per avvicinarsi alla comprensione della situazione attuale è analizzare il fascismo nei suoi componenti umani. I fascisti non erano tutti uguali [Magnifico questo colpo d’ala di alta politologia e psicologia!]; non pensavano, sentivano, agivano tutti allo stesso modo [Ma guarda un po’, non ci avrei mai pensato; bisogna essere superuomini anglosassoni per fare osservazioni così geniali.]. L’unità creata dal fascismo fu superficiale e non riuscì a cancellare le cricche, fazioni e differenze d’interessi a cui si impose.
Una sola cosa teneva insieme i fascisti: in un modo o nell’altro il fascismo risolveva o pareva risolvere o prometteva di risolvere i loro problemi personali alle spese di qualcun altro. A guardare in fondo, questo sistema portava inevitabilmente alla guerra: un numero sufficiente di vittime non poteva trovarsi se non fuori della sfera fascista di influenza, ossia mediante la guerra. [Questa analisi si applica piuttosto al sistematico uso della violenza delle cosiddette democrazie anglosassoni, che massacrarono l’Irlanda cattolica e le parimenti cattoliche Highlands scozzesi, che foraggiarono e sostennero il “risorgimento” italiano per distruggere la Chiesa, che sostennero Leone Trockij per abbattere il regime zarista, che appoggiarono il regime ateo repubblicano durante la guerra di Spagna, tanto per citare alcune delle brutali aggressioni da esse perpetrate contro l’ordinamento cristiano che i santoni anglosassoni della massoneria odiano di odio diabolico.]
Ma anche prima della guerra l’uso sistematico dell’assassinio individuale o collettivo come metodo chirurgico per risolvere i problemi umani costituiva già parte essenziale del fascismo. La definizione più semplice – non già la spiegazione – del fenomeno fascista è quella che lo fa consistere di un gruppo di persone spinte a tal punto di insopportabile incertezza e di ansietà disperata da provare l’equivalente emotivo della alternativa di fatto: uccidere o essere uccisi. [E il comunismo, così teneramente coccolato dai poteri forti dei superuomini anglosassoni, non aveva provocato proprio questa situazione, in cui si trattava di uccidere o essere uccisi? È il solito vile sistema propagandistico di accusare qualcuno per aver cercato di difendersi.]
I capi furono naturalmente coloro che spinsero in questa direzione, ma essi non avrebbero potuto riuscire nel loro proposito, se le circostanze di vita europea dell’ultimo venticinquennio non li avessero favoriti, se cioè una concezione di vita aberrante non si fosse diffusa come un contagio per un’Europa già malata politicamente, economicamente e socialmente. [Ma guarda un po’! E chi aveva provocato questa malattia, se non le furie isteriche della massoneria anglosassone (e francese) che impose alla Germania sconfitta condizioni di inumana durezza e volle disintegrare l’Impero asburgico, colpevole di essere cattolico e l’ultimo residuo del Sacro Romano Impero? Ma per chi ha vinto, ed ha la bomba atomica, non ci sono difficoltà a sorvolare sulle proprie gravissime responsabilità.]
Si dice di solito che il fascismo è stato lo strumento dei reazionari di destra, fossero essi industriali, banchieri o militaristi. Non c’è dubbio che la reazione costituì ed ancora costituisce uno dei tre elementi più importanti del fascismo. Per coloro che cercano vantaggi personali, ricchezze, prestigio e potere, e per coloro che, avendoli, li vogliono conservare, la soluzione offerta dal fascismo era perfetta: tangibile, pratica, realistica, la vera sapienza politica. Ma questi reazionari diventarono strumenti e servi del fascismo, piuttosto che il contrario. Essi, senz’accorgersene, dicono il vero quando per sfuggire alle tremende responsabilità della loro partecipazione al fascismo e alla guerra fascista, piagnucolano che non sono mai stati realmente fascisti. Di fatto essi furono peggio che fascisti: essi, al pari dei vari rinnegati alla Quisling, furono venduti al fascismo. [E che dire degli industriali, banchieri e militaristi USA che fremevano per l’entrata in guerra? Che dire del blocco economico imposto al Giappone, il quale aveva petrolio solo per sei mesi ed era disposto perfino ad uscire dal patto militare con la Germania purché venissero attenuate le sanzioni e al quale, ricevuto un rifiuto, non restava che attaccare Pearl Harbor nel disperato tentativo di mettere fuori causa i suoi strangolatori anglosassoni e avere accesso al petrolio indonesiano? E se gli “alleati” avessero perso, non avrebbero dovuto piagnucolare i finanzieri petrolieri e fabbricanti di armi, per sottrarsi alle tremende responsabilità di aver scatenato la guerra?]
I veri fascisti vanno divisi in due gruppi: i capi (fanatici, zelatori mistici dell’assassinio) ed i seguaci (le grandi masse). Mentre i reazionari non hanno interesse che per le soluzioni espresse in solida moneta corrente [Esattamente come i finanzieri petrolieri e fabbricanti di armi anglosassoni, intenti a contare i miliardi guadagnati, mentre questo spione sproloquiava.], le soluzioni preferite dai veri fascisti, capi e gregari, sono un misto di realtà e di fantasia psicopatologica. In termini psicologici, i capi cercavano e ottenevano sollievo attraverso un processo di sfogo.
Come ha notato un acuto critico francese della giovane generazione: “Nessun popolo si è mai dato in mano a un dittatore per il semplice piacere di essere oppresso. Un’analisi del complesso sadistico-masochista che si sviluppa nelle masse durante il periodo di avvento di una dittatura isolerebbe tra i suoi componenti un desiderio di emancipazione, un’accettazione della sottomissione condizionata dalla paura della libertà e della responsabilità, una certa volontà di potenza, una parte di egoismo e infine il sentimento di dedizione alla comunità.” [Come se le grandi masse delle cosiddette democrazie non avessero gli stessi problemi psicopatologici: chi controlla gli eletti dopo che si è dato loro il voto? Ed è proprio un complesso sadistico-masochista quello che sta dietro alle rivoluzioni che hanno creato le “democrazie” liberali, a cominciare dalla rivoluzione francese.]
La soluzione per il gregario era psicologica, ma naturalmente includeva vantaggi sociali ed economici. Anche il gregario era un profittatore ai danni di un terzo. Questo terzo era un capro espiatorio di qualche sorta, deliberatamente scelto tra coloro che erano troppo deboli per difendersi: ebrei, liberali, massoni, democratici, non fascisti, fascisti tiepidi. [Qui siamo veramente al delirio: poveri massoni deboli e indifesi!]
Le vittime diventavano ipso facto nemici potenziali: i delitti contro di loro si trasformavano in atti di “legittima” difesa. Era una soluzione mostruosa, ma per l’individuo fascista era una soluzione – una soluzione personale. Ossessionato da un senso di inferiorità e d’incertezza deliberatamente e incessantemente esagerato, il fascista accettava questa soluzione e se la giustificava. La guerra divenne per i capi fascisti la meta a cui tendere coscientemente, perché non ci poteva essere altra soluzione in grande stile se non quella a spese di altri popoli. [Pseudo analisi delirante che pretende di sapere cosa c’è nella testa degli altri, trascurando i concretissimi interessi delle lobbies guerrafondaie dei paesi “democratici” anglosassoni, e trascurando pure le spaventose ingiustizie dei trattati che posero fine alla prima guerra mondiale – ingiustizie imposte dalla massoneria anglosassone e francese, la povera, piccola massoneria, debole e perseguitata!]
Durante la generazione presente il fascismo non combatterà più guerre, ma gli uomini e le donne che continuano ad avere qualche fede nel metodo fascista – e sono molti – si ostineranno a non credere nella possibilità della pace interna e della pace internazionale. [E infatti l’intera storia da allora in poi è stata una storia di continue guerre, aggressioni e massacri perpetrati dai regimi “liberali” anglosassoni e dai loro amiconi comunisti.]
Deliberatamente o inconsciamente essi saboteranno ogni tentativo per raggiugere un compromesso nei conflitti internazionali o una soluzione nei problemi domestici. Il fascismo in sé non è più un pericolo, ma gli uomini e le donne che hanno nostalgia dei suoi metodi chirurgia primitiva sono nemici della pace e del progresso dell’Europa postbellica. [Questo delirio nasconde il fatto concreto della politica malthusiana originata negli USA che avrebbe condotto l’Europa, sotto l’egida americana, sull’orlo dell’estinzione. Loro, gli americani, no che non hanno nostalgia della chirurgia primitiva. Loro no che non scatenano guerre. Loro sì che possono permettersi, dall’alto scranno dei vincitori in possesso della bomba atomica, di trinciare giudizi. E pochissimo tempo dopo avrebbero dimostrato quanto simili sono loro stessi alla distorta immagine del “fascismo” che propagandano. La storia degli Stati Uniti non è forse una storia di continue guerre? Se il fascismo fosse davvero quello farneticato da questo spione, i più perfetti fascisti sarebbero proprio i suoi connazionali e lui stesso.]
I fanciulli e i giovanetti presentano un problema speciale di disintossicazione e rieducazione che dev’essere affrontato. Degli adulti ex-fascisti e collaboratori, taluni saranno eliminati dai procedimenti penali contro i responsabili della guerra e dell’epurazione [oppure dagli assassini comunisti del triangolo della morte che poterono operare sotto il benevolo sguardo di una “democrazia” castrata e dei suoi mentori anglosassoni]; gli altri o ritorneranno a quei gruppi e partiti a cui già aderivano prima di passare al fascismo, o si sceglieranno un partito che sembri affine a quelle specifiche funzioni e clientele con cui solevano essere associati sotto il fascismo. Ciascun individuo andrà dove penserà di avere qualche probabilità di risolvere i propri problemi personali; e conserverà o perderà la nostalgia del fascismo secondo che troverà o meno qualcosa di approssimativamente simile al fascismo. [Ma che ne sa lui? Sono solo parole idiote in libertà.]
Il timore della punizione [O spione, ma lo sai almeno cos’era la “volante rossa”?] farà passare l’ex-fascista per un certo periodo di emozioni esteriormente rassomiglianti a una conversione morale dall’errore e dal peccato, ma l’infezione non potrà essere realmente vinta se non eliminando effettivamente l’incertezza materiale e psicologica. Bisogna dare all’ex-fascista la prova che esiste una soluzione onesta, giusta, onorevole, degna almeno di essere tentata [Già: l’osceno mondialismo globalista usuraio, guerrafondaio e assassino che promana dalla mecca della “democrazia”.].
Non basta impedire negativamente la ripetizione della soluzione fascista [No, bisogna inventare una soluzione di gran lunga peggiore e presentarla come il toccasana “democratico”.].
La nostalgia per il fascismo che risulterà in non-cooperazione, malessere, sabotaggio è un moto irrazionale che la sconfitta non basta a sradicare. Solo la fiducia nella capacità della democrazia a risolvere i problemi emotivi può rimuovere le vestigia nella fede nel fascismo. [E infatti la “democrazia” strombettata dai corifei anglosassoni e foraggiata da Soros-Sauron si è davvero dimostrata degna di risolvere tutti i problemi, emotivi e non emotivi. Complimenti!]



III
Sfortunatamente alla fine della guerra trova aggravati entrambi gli aspetti del problema fascista. Quello emotivo e quello materiale. I fascisti hanno fatto quanto era in loro potere per rendere le condizioni dell’Europa postbellica ancora più penose, turbate da incertezze materiali ed emotive di quel che fossero, almeno per i fascisti, le condizioni dell’Europa prebellica. [Ma guarda un po’, non è che i problemi emotivi e materiali consistano nella distruzione dei bombardamenti a tappeto e sulle violenze contro la popolazione civile delle regioni che i superuomini anglosassoni venivano a liberare, ad esempio nella stessa Normandia, no, sono gli sconfitti e schiacciati che, misteriosamente, pur sconfitti e schiacciati, continuano ad ammorbare l’Europa. Se non fosse tragica e macabra, questo insensato blaterare dello spione sarebbe sarebbe ridicolo e grottesco.]
Dal punto di vista materiale, stiamo infine iniziando un compito gigantesco di soccorso [sic!] e ricostruzione [Ricostruzione! Ad esempio ricattando il governo dell’Italia “liberata” perché ammettesse che nell’abbazia di Montecassino c’erano soldati tedeschi, altrimenti il governo dei “liberatori” non avrebbe finanziato la ricostruzione? Come tutti sanno, è finita che l’abbazia hanno dovuto ricostruirsela gli italiani, senza contributo da parte dei vandali assassini. Per fortuna la maggior parte dei tesori artistici di Montecassino erano stati messi in salvo per tempo dai tedeschi.]. Ma dal punto di vista psicologico abbiamo piuttosto fatto il gioco di coloro che ancora sognano e lavorano in vista di una rinascita del fascismo. [E come? Affermazioni vaghe in cui non si sa prevalga la falsità o la nebulosità. Certo le distruzioni indiscriminate dei “liberatori” non sono mai state tali da predisporre gli europei ad accogliere costoro con particolare simpatia.]
Rimane da vedere che costoro si decideranno un giorno a scambiare la loro nostalgia del fascismo per una fede nella democrazia. Per il momento noi non possiamo dedurre quello che sta nella mente e nei cuori degli europei altro che da ciò che essi fanno. [Ma guarda quant’è intelligente!]
In Italia e in Francia già possiamo scorgere entro quali partiti politici vecchi e nuovi gli ex-fascisti stiano nascondendosi. Noi vediamo che il fascismo si sta dissolvendo negli elementi che lo hanno composto e più o meno nelle proporzioni della precedente composizione: una frazione di mistici fanatici per cui il fascismo era religione; una minoranza di reazionari che servirono il fascismo con lo scopo di guadagnare o conservare ricchezza e potere; una grande maggioranza di gente minuta – agricoltori, funzionari, operai, commercianti, professionisti, piccoli borghesi – per cui il fascismo era garanzia, limitata ma solida, di ricchezza per sé ai danni altrui, ottenuta rinunciando alla propria libertà politica e responsabilità individuale. Tuttora spinti dai medesimi motivi, costoro si rifugiano nei partiti che sembrano offrire vantaggi analoghi. Con un passato di esperienze di tipo fascista essi portano nei partiti che vanno a ingrossare delle tendenze antidemocratiche innate o acquisite. [Delirante caccia alle streghe.]
Dove vanno a finire i fascisti? Un esiguo numero di fanatici va a finire in movimenti clandestini. Tanto in Europa quanto in America tali piccoli gruppi di disperati stanno formando delle organizzazioni a scopo di sabotaggio e vendetta (quali i tanto nominati “lupi mannari” e lo Schweigsieg). I reazionari già al servizio del fascismo ritornano donde vennero, ai partiti di estrema destra. Essi passarono al fascismo non per procurarsi una sicurezza vera o immaginaria che prima non avessero, ma per conservare e aumentare la sicurezza, il prestigio, il potere che già possedevano. Furono costoro che diedero per un certo tempo una falsa apparenza di rispettabilità al fascismo. Tanto profitto derivarono da quella che era una caricatura di ordine, autorità, disciplina e stabilità, che si persuasero di aver trovato non la caricatura ma la realtà di questi valori. Non sarebbe esatto né onesto asserire che in un paese come la Francia i partiti di destra stanno passando sotto il controllo diretto di ex-fascisti e collaborazionisti; ma non è inverosimile suggerire che l’afflusso dei reazionari ex-petainisti e fascisti può provocare tendenze anti-democratiche fra i partiti di estrema destra. Da sole esse conterebbero assai poco. [Mentre costui blaterava, gli assassini comunisti delle varie Volanti Rosse e bande di infoibatori facevano strage di innocenti che talvolta non avevano neppure mai aderito al fascismo.]
Il fascismo non può prosperare se non dove ai reazionari si congiungano i fanatici, e i fanatici – che sono poi psicopatici – trovino alla lor volta una massa da sfruttare psicologicamente. Ora è certo che in nessun paese d’Europa c’è una massa di manovra pronta per i partiti di destra. Essa non esiste nemmeno nelle sinistre democratiche e tanto meno al centro. Solo un numero trascurabile di fascisti è passato ai partiti del centro cattolico o ai partiti democratici del centro, della destra e della sinistra. Neppure i socialisti hanno ingrossato i loro ranghi con ex-fascisti. La massa di ex-fascisti che può combinarsi con i reazionari di destra è da cercarsi altrove. La grande maggioranza dei fascisti sta riemergendo tra i gregari delle organizzazioni comuniste. Questo fatto non sorprende: nelle elezioni tedesche che precedettero l’avvento di Hitler al potere, cinque milioni di voti andarono ai comunisti. Se si fossero tenute poco dopo altre elezioni moderatamente libere, questi voti sarebbero andati ai nazisti. Se oggi si potessero tenere delle elezioni in Germania, il numero dei tedeschi votanti per i comunisti sarebbe un multiplo di cinque milioni. In Italia una larga parte degli ex-fascisti voterebbe per i comunisti, e chi può dubitare che lo stesso non avverrebbe nell’Europa slava? Anche in Francia una parte considerevole del crescente numero di comunisti è costituita da persone che hanno collaborato col fascismo o l’hanno accettato. [Allo spione piace giocare con la sfera di cristallo.]
Queste nuove reclute del comunismo sono per la maggior parte persone che non ebbero posizioni di responsabilità nel fascismo. Nei movimenti comunisti esse si comporteranno come già nel fascismo, da gregari e non da capi. Essi non saranno né fanatici né propriamente militanti, ma accetteranno il comunismo perché è più facile accettare che dubitare, e ubbidiranno perché è più facile ubbidire che resistere. Per ogni uomo che si preoccupa soprattutto di essere libero, ce ne sono inevitabilmente cento per cui il pane è la maggior preoccupazione. E per uno cui importa soprattutto di sviluppare le propria personalità di individuo responsabile a se stesso, ci saranno centinaia cui una garanzia anche minima di sicurezza sociale è di maggiore importanza immediata. La grande massa dei vinti e dei delusi graviterà verso un credo politico che rassomigli a una religione secolare, e inviti a una comunione extra-nazionale e universale di sentimenti. Dopo essersi sentiti dire per tanti anni che la disfatta del comunismo avrebbe garantito il loro benessere personale, ora si rivolgono al comunismo trionfante come all’unica fonte di sicurezza che ancora rimanga. [Ragionamento campato in aria.]

IV
Perché essi si volgono verso il comunismo della Russia piuttosto che verso la democrazia dei paesi occidentali? Non perché fascismo e comunismo siano intercambiabili – il che non è – ma perché il comunismo è una fede bell’e pronta mentre la democrazia è una fede che ciascuno deve rifare in se stesso [La democrazia è una truffa, vista l’enormità dei brogli e delle manipolazioni dei poteri forti.]; perché la Russia è diventata non solo una potenza europea ma la potenza europea maggiore, e i fascisti sono usi al dominio; perché la paura della Russia si è trasformata in timoroso rispetto della Russia; perché i russi rimarranno mentre gli americani possono andarsene; perché la Russia, distrutta essa stessa dai fascisti, ha contribuito poco alla distruzione dell’Europa occidentale, mentre l’America, la più potente delle democrazie, e quella materialmente appena toccata dalla guerra, è stata l’agente diretto della maggior parte delle distruzioni nell’Europa occidentale [Gli europei, commossi, ringraziano.]; perché infine la terra della ricchezza e della sicurezza sembra ancor più spiritualmente che geograficamente lontana dall’Europa, la terra della gente povera e malsicura.
È chiaro che né la Russia né il comunismo si fascistizzeranno per l’influenza di ex-fascisti convertiti. Né è da attendersi che le preferenze anti-democratiche di questi comunisti ostacolino l’evoluzione graduale del comunismo verso una democrazia comunista [Sì, la democrazia del carro armato e della polizia segreta.], la quale, per quanto profondamente diversa dalla nostra democrazia, sarà anche più diversa dal fascismo. Un influsso di elementi ex-fascisti non è né un pericolo né un dilemma per il comunismo russo, ma può diventare un pericolo e un dilemma per i partiti comunisti dell’Europa occidentale. Negli scorsi cinque anni il comunismo si è sviluppato su un duplice piano: sul piani nazionale o verticale, e sul piano internazionale o orizzontale. Sul piano verticale-nazionale i comunisti di tutto il mondo cooperano per salvaguardare con ogni mezzo la sicurezza territoriale e gli interessi della terra promessa della loro fede, la Russia sovietica. Sul piano orizzontale-internazionale i comunisti di ogni parte lavorano al servizio del comunismo con il propagarne e difenderne gli articoli di fede.
Per combattere vittoriosamente su entrambi i fronti durante la guerra, i partiti comunisti di ciascuno Stato abbisognavano di una minoranza militante e di una massa di manovra. Gli ex-fascisti saranno benvenuti e utili nelle file comuniste, perché essi sono più docili e disciplinati, meno individualisti ed esigenti degli ex-socialisti. Nella struttura politica triangolare della maggioranza dei paesi europei, i comunisti tengono la bilancia fra la destra nazionalista e la sinistra socialista. Con la fine della guerra l’equilibrio interno del partito comunista occidentale si è modificato. Durante a guerra contro la Germania nazista, il fronte orizzontale e quello verticale si completarono a vicenda. Gli interessi del comunismo “nazionale” in una paese come la Francia, che aveva gli stessi nemici dei Sovieti, coincidevano con gli interessi del comunismo internazionale. Ma ora le relazioni tra il comunismo “nazionale” di tutti i paesi d’Europa, eccetto  la Russia, e il comunismo internazionale sono diventate uno dei grandi interrogativi della politica post-bellica. [Se n’è accorto perfino lui.]
La presenza nelle file comuniste di un considerevole numero di ex-fascisti può diventare un fattore di grande importanza nell’Europa occidentale. C’è da considerare l’ipotesi che, posto di fronte alla scelta tra nazionalismo ed internazionalismo, il comunismo francese si debba scindere in due, e che di conseguenza i comunisti francesi dell’ala nazionalista facciano un nuovo voltafaccia e vadano a raggiungere i nazionalisti reazionari – il che verrebbe a costituire la base politica classica per un nuovo movimento fascista [sic!]. Mancherebbe tuttavia ancora l’elemento essenziale per la vittoria di questo movimento, la massa sfruttabile psicologicamente, perché non c’è dubbio che l’altra sezione dei comunisti farebbe causa comune con i socialisti. Il risultato sarebbe non già un nuovo fascismo, ma la guerra civile.
Tale è la minaccia rappresentata oggi dalle sopravvivenze del fascismo nelle menti e nei cuori degli europei – guerra civile e, come probabile conseguenza, guerra internazionale. Il pericolo fascista non è stato ancora eliminato né dalle menti né dalle attività degli europei [sic!]. La fine della guerra che unì contro la Germania un gran numero di popoli ha segnato l’inizio di altri conflitti che possono separarli di nuovo. Noi negli Stati Uniti che ora guardiamo con speranza all’ideale delle Nazioni Unite [sic!], dobbiamo renderci conto che le nazioni dell’Europa non possono servire quell’ideale se non si sentono unite internamente e internazionalmente ed esse non possono sentirsi unite finché i loro cittadini non hanno raggiunto individualmente la sicurezza materiale e psicologica. [Ragionamento (se così si può chiamarlo) che traballa da tutte le parti: ingigantisce il fascismo sconfitto e non vuol vedere il mostro rosso assassino che per decenni minaccerà e distruggerà. Poi, dopo la caduta del comunismo, i parassiti di regime che vi si sono ingrassati passeranno ad agitarsi per altre cause, tutte deleterie: l’ambientalismo, il gender, i migranti, il piagnucolio terzomondista. Faranno leva sulle rendite di posizione accumulate in decenni di potere, di sottogoverno, di parassitismo, per presentarsi come paladini delle nuove cause. Ad aiutarli serviranno tutte le loro strutture rimaste intatte: le sezioni del partito ribattezzato con altri nomi, le amministrazioni pubbliche sotto il loro controllo, la magistratura da loro inquinata, le coop, le università e le scuole avvelenate. Così facendo, si troveranno ad essere perfettamente allineati con il più bieco capitalismo finanziario usuraio, alleati o piuttosto succubi di Soros-Sauron.]
EMILIO BIAGINI


venerdì 2 dicembre 2016

LA FEDE SCIENTISTA (di Emilio Biagini)

“Ma la scienza un giorno spiegherà...”, esclama il credente della curiosa “religione” che si chiama scientismo: la fede secondo la quale la scienza sarebbe l’unica fonte di conoscenza. Lo scientismo pretende di ridurre la complessità dell’esistente, dove inevitabilmente moltissime cose ci sfuggono, per ridurre tutto alla portata del nostro intelletto. Quando si assume il compito di amministrare la società con le scienze economiche, politiche e sociali, sfocia nella burocrazia, si assiste all’edificante spettacolo di giovani che studiano per “amministrare” le vite degli altri (ossia montare loro sulla testa), arzigogolare, negare finanziamenti ai piccoli imprenditori che ne hanno disperato bisogno per non fallire e concederli invece agli “amici degli amici”, paralizzare e ritardare ogni iniziativa, come è proprio della burocrazia.
Parallela allo scientismo è la svalutazione della metafisica. Quest’ultima, ricordiamo, è la teoria dell’ente in quanto ente, visto nei suoi caratteri universali, e conduce all’intuizione dell’assoluto, ossia a Dio. La metafisica è creazione dell’antico pensiero greco: in via puramente intellettuale, senza alcun aiuto dalla Rivelazione, i Greci si erano persuasi dell’esistenza di Dio, al punto che avevano elevato, sull’acropoli di Atene, il tempio “al Dio sconosciuto”, e san Paolo poté dire loro: “Il Dio che voi adorate senza conoscerLo, io ve Lo annuncio” (Atti degli Apostoli 17, 23). La metafisica era tenuta in alto onore anche dalle menti più elette del mondo romano, come Cicerone e Seneca.
Il grande filosofo Karl Popper, emigrato in Gran Bretagna, per sottrarsi alla dittatura nazista, e divenuto professore all’università di Oxford, era il maggior specialista di epistemologia (filosofia della scienza) vissuto nel Novecento. A lui dobbiamo la demolizione più efficace e incontrovertibile dello scientismo, la cui proposizione basilare stessa è miseramente contraddittoria: infatti non è possibile dimostrare scientificamente che la scienza sia l’unica fonte di conoscenza, per cui tale proposizione non è scientifica. Infatti, se la proposizione fosse vera, significherebbe che almeno una proposizione non scientifica è vera. Siamo dunque di fronte ad un’insanabile autocontraddizione, ad una difficoltà logica irrisolvibile, e che, in termine tecnico, si chiama aporìa.
Il Popper categorizza tale tipo di contradditorietà come un caso di “paradosso del cretese”, ben noto alla logica classica e di facile comprensione. Infatti se un cretese dice: “Tutti i cretesi mentono”, l’affermazione è comunque falsa, perché se per assurdo fosse vera, significherebbe proprio il contrario, ossia che non tutti i cretesi mentono, dato che almeno uno di loro ha detto la verità. I falsi dogmi scientisti, sono un gravissimo ostacolo alla scienza autentica. Infatti allo scientista non importa nulla della scienza, se non come arma contro la religione. Lo scientista è prima di tutto un settario guidato non dalla sete di verità ma dal proprio orgoglio e dalla voglia di non sottostare a una “fastidiosa” legge morale. La fonte prima dello scientismo e del suo fratellino, l’ateismo non è quasi mai nel cervello, ma sotto la cintura, molto più in basso nell’anatomia umana.


Recentemente si è affacciato alla ribalta un nuovo scientismo, che rivendica alla scienza un campo d’indagine illimitato. La scienza stessa si propone cioè come filosofia onnicomprensiva in progressiva espansione. Ciò presuppone quindi che non vi sia niente al di fuori della scienza stessa se non l’ignoto. Si tratta di una forma di scientismo più insidiosa di quella tradizionale, ma anche questa è contraddittoria: infatti l’affermazione “al di fuori della scienza non vi è che l’ignoto” non è scientificamente dimostrabile, e ricade quindi in un’aporìa di fondo simile a quella del vecchio scientismo. Né è chiaro cosa sarebbe l’“ignoto”: le teorie sbagliate sostenute per motivi politici, come il darwinismo e l’ambientalismo, ad esempio, fanno parte dell’“ignoto”?

Lo scientismo non è che fede cieca, scienza mascherata da religione, e quanto di più contrario alla vera scienza: quella che si accontenta di ricercare nel proprio ambito senza pretendere di sostituirsi alla metafisica e alla teologia. E qual è quest’ambito? È l’investigazione dei fatti, alla ricerca di spiegazioni, di generalizzazioni e di leggi, senza forzature, arrestandosi di fronte a quello che appare inspiegabilmente contrario alle leggi naturali, riconoscendo i propri limiti. Dentro questi limiti, la scienza è un’impresa magnifica, che fa onore all’intelletto umano. Fuori di questi limiti cade nel delirio e nella superstizione, in un pensiero sedicente “moderno” che ha radici arcaiche: trae origine dall’antichissima, sempre mutante dottrina della gnosi, che si infiltra ovunque, senza che, di solito, i suoi sostenitori abbiano la minima idea della palude pseudofilosofica nella quale si sono cacciati.

Emilio Biagini