Prima del telegiornale regionale di Rai
3 va in onda una lezione di storia condotta dal celebre giornalista Paolo Meli,
che interloquisce con un cattedratico professore di storia, e fa intervenire,
dall'altro lato, tre studenti invariabilmente lodevoli riguardo al tema del
giorno.
Il conduttore si premura di chiarire, ripetutamente, che sulla storia di
qualsiasi periodo e paese non è mai stata detta l'ultima parola, né sarà mai
scritta in modo definitivo. Il che solletica l'interesse del pubblico, allettato
dalle novità e dalle scoperte. Io, diffidente in buona compagnia, sospetto che
questa apertura consenta di convalidare le interpretazioni conformiste, i tabù
inamovibili, e di aggiungervi libere e appetitose osservazioni, in linea con
gli amati pregiudizi, senza i quali ai docenti come a molti cittadini verrebbe
a mancare la terra sotto i piedi.
Vedete - e ben si dovrebbe sapere - la storia scritta ha un difettaccio
insanabile: quello dei giudizi di merito, degli aggettivi, che gabba i migliori
intenzionati a riportare scientificamente gli avvenimenti, le loro cause, i
loro effetti, i pesi e le misure. Per quanto si incaponiscano a voler essere obiettivi, per quanto passino le loro
coscienze sulla fiamma purificatrice come
fa la massaia quando brucia le ali spennate e il petto del pollo per mondarli
delle peluria, i poveri storici non riescono a mondarsi del tutto del loro io
non santo. Alcuni scrupolosi, rileggendo il sudato testo pronto per la stampa e
per la gloria, attanagliati dal rimorso, pencolano fra il rogo del caminetto in
cui gettare l'opera e il suicidio.
Però si tratta di casi estremi. I più non solo sono sicuri del fatto
loro, godono bensì delle scoperte dovute a lampi di genio, sono talmente
innamorati di essi che se ne fregano addirittura della stravaganza, della disinvoltura, del
tradimento. E non esiste forse il fedifrago che si bea del piacere clandestino?
Il fatto poi che la storia sia interpretabile e sempre da riscrivere rende
agevoli le gloriose scappatelle.
Con tutto questo, prima di trinciar giudizi ed essendo impenetrabile il
segreto della buona o della cattiva fede, bisogna ammettere il semplice errore,
la cantonata, che nondimeno è giusto denunciare.
Quindi torno da dove ho preso le mosse: la trasmissione di Rai 3 tenuta
da Paolo Mieli.
In uno di questi giorni, si trattava del fascismo e degli USA, delle
ragioni americane di avversare il regime del Duce negli anni Trenta. Al termine
della disquisizione il moderatore, dopo aver chiesto al super-professore di
segnalare i testi migliori da leggere sull'argomento, dopo aver elogiato gli
studenti per le loro doti di acume e di preparazione, come di prammatica,
rilascia le finali conclusioni.
Per la verità, il suo compendio è stato
parziale, e giustamente, perché aggiungere qualcosa alle accuse mosse al
fascismo avrebbe equivalso a stuccare. Dunque egli ha affermato che Mussolini,
prima della Trasvolata atlantica, comandata da Italo Balbo nel 1933-34 e
destante l'ammirazione degli americani, aveva simpatia per la Repubblica a
stelle e strisce, l'apprezzava. Ma, roso dalla gelosia per il successo e la
popolarità acquistata dal Balbo nella terra che fu dei pellirossa, da quel
momento prese in uggia il Grande Paese.
Ahimè! che brutti scherzi gioca la vanità dell'acume, pur esprimendosi sotto
forma di piana, quasi scontata e assodata trasmissione di notizia.
Nel volume XIV dell'Enciclopedia Treccani, redatto nel 1932, si trova a
pag. 847 che la "concezione fascista [...] è contro il liberalismo classico".
A pag. 849, in un'estensione della voce fascismo,
recante in calce la firma dallo stesso Mussolini, abbiamo: "Il fascismo
respinge nella democrazia l'assurda menzogna convenzionale dell'egualitarismo
politico e l'abito della irresponsabilità collettiva e il mito della felicità e
del progresso indefinito". Inoltre: "Di fronte alle dottrine
liberali, il fascismo è in atteggiamento di assoluta opposizione". Inutile
continuare. L'opposizione del fascio littorio alla Democrazia per eccellenza e
per tradizione, che si erigeva a maestra negli Stati Uniti, era irriducibile,
non ammetteva amichevole compromesso. Due idee, due regimi inconciliabili si
fronteggiarono. L'inimicizia esistette prima che insorgesse. Tanto più che la
disastrosa crisi economica mondiale del 1929 provenne da Wall Street, ebbe un
lungo strascico e non si poté ringraziarne Washington, né la Statua della
libertà.
Piero Nicola
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