martedì 3 ottobre 2017

La manfrina antifascista

Oggidì il fascismo (ammesso che l'onorevole Giorgia Meloni sia fascista o fascistottarda piuttosto che cripto o tarda finiana) non è un serio, incombente pericolo.
Qualificati politologi sostengono, concordemente, che non è necessario rammentare che al presente sono sconosciute e per la maggioranza degli italiani perfino incomprensibili le circostanze storiche, le idee e gli stati d'animo, che, nel primo dopoguerra, hanno suscitato e in qualche modo incoraggiato e giustificato la vincente azione del partito di Benito Mussolini.
A cauti passi – tuttavia – gli storici, che hanno considerato e meditato seriamente i fatti propriamente detti, avviano una puntuale revisione della storia del Novecento italiano, proponendo un abbassamento delle unidirezionali sentenze sulla guerra civile.
Il fascismo appartiene interamente al passato dunque l'antifascismo oggidì ha tanta attualità quanta ne potrebbe vantare l'azione di un partito ghibellino, governato (regnante in Vaticano un improbabile guelfo) dalla germanica cancelliera Angelica Merkel.
Robustissima e mutante (trans politica) la domina teutonica (ex comunista), che (pur avendone i requisiti fisici e mentali) non fa ridere l'ammansito e addomesticato popolo tedesco.
E' pertanto lecito sostenere che sarebbe utile considerare i cambiamenti avvenuti nella scena filosofica postmoderna, dunque preservare la politologia dalle ottenebranti e depistanti suggestioni dell'anacronismo, ossia dalla tentazione di usare, quali parametri dell'attualità spensante intorno alle salme delle ideologie, pensieri e fatti inattuali, in ultima analisi appartenenti a un passato, che è – per obbligante e categorica definizione - irrevocabile.
La ventennale storia del fascismo infine appartiene all'irripetibile passato e come tale andrebbe letta sine ira et studio. Di qui l'esigenza di uscire da una lettura polemica e irosa di fatti storici, che la scolastica, generata dal progressismo retroattivo, consegna e affida al partito dei passatisti militanti (a sinistra e al centro liberale).
La storia del ventennio fascista deve pertanto incominciare dall'espulsione della pretesa – strutturalmente irrazionale - di trascinare nel presente idee e fatti appratenti al passato. Si pensi alla polemica antifascista che, sotto l'impulso dell'irrealtà, ha proiettato nel passato – facendone quasi il temibile e agguerrito erede del duce di Predappio – una foglia al vento quale è stato il politicamente (auto)emarginato Gianfranco Fini.
Dopo le indispensabili messe a punto è forse possibile proporre una lettura storica e non più politica del ventennio di Mussolini, delle sue felici imprese, dei suoi gravi errori e della sua tragica fine.
Non si può negare seriamente che Mussolini riuscì nell'impresa di trasformare l'Italietta dei liberali in una nazione capace di condurre splendide imprese: la pacificazione nazionale, il concordato con la Chiesa cattolica (non è certo per un caso che la giovane classe dirigente democristiana – Moro e Fanfani, ad esempio - ebbe un passato in camicia nera), la gigantesca impresa della bonifica pontina, l'attivazione di un sistema sociale (che il regime degli antifascisti non ha osato debilitare, prima che su di esso precipitasse, dall'estero, la sciagura del neoliberalismo), il rinnovamento della scuola e la sua apertura alle c.d. classi subalterne, l'attivazione di una grandiosa campagna contro le malattie sociali, la civilizzazione della Libia (sulla cui memoria i libici – se potessero conoscere la storia – dovrebbero manifestare le ragioni del loro rimpianto), l'avveniristica progettazione e costruzione di autostrade, e infine la proiezione del mondo di una splendida immagine dell'Italia.
Errori capitali e imperdonabili furono la promulgazione delle leggi razziali, l'abolizione del sistema elettorale (da cui il fascismo avrebbe ottenuto strepitosi consensi) e l'alleanza con i parenti serpenti di Germania, una decisione contraria per diametrum, ai giudizi beffardi e devastanti, che Mussolini aveva espresso su Adolf Hitler, sul suo partito e sul suo popolo (lo ha rammentato, sviluppando un tema di Renzo De Felice, Fabio Andriola autore di un fondamentale saggio su Mussolini nemico di Hitler (Piemme, Milano 1997) puntualmente censurato dai severi vigilanti progressisti).
Mussolini era perfettamente consapevole dell'oscurità incombente sul partito nazionalsocialista, cui si avvicinò spinto dalla cieca avversione delle cancellerie di Francia e Germania e dalla impellente necessità di importare le materie prime indispensabili all'industria italiana.
Ad attenuazione del fatale, imperdonabile errore commesso da Mussolini alleato della Germania di Hitler, è doveroso rammentare l'ostilità delle democrazie massoniche e anti italiane, che nell'inseguimento corsaro dell'odio (antifascista e anti italiano) superarono (in larga misura) l'Unione Sovietica.
Al seguito dello storico (antifascista ma onesto e veridico) Renzo De Felice, è ora necessario uscire dalla sentenza settaria che, nel fascismo, contempla esclusivamente una malattia morale. Il futuro della storiografia proporrà il ristabilimento della verità che - nel concordato con la Santa Sede – manifesta la dura negazione fascista della mefitica cultura dei lumi e l'implacabile avversione alla sozza e criminosa cialtroneria degli iniziati ai misteri dei muratori. Negazioni che – in un futuro disintossicato dagli ambidestri pregiudizi settari – dovranno bilanciare gli errori del regime fascista ed essere iscritte nella colonna dei meriti di Benito Mussolini.

Piero Vassallo

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