Si
potrebbe credere che gli errori dell'Amoris
laetitia, come altri gravi (per esempio concernenti la stima dimostrata ai
luterani, o quelli che riguardano l'astensione dal giudizio sui pubblici
peccatori i cui atti gridano vendetta al cospetto di Dio), siano novità
introdotte dall'attuale insediato sulla cattedra di Piero. Non è così. Le
ultime infedeltà grosse e tremende sono figlie delle affermazioni eterodosse
inserite nel Deposito della Fede. Non essendosi posto mano al risanamento del
Deposito, chi lo detiene ha agio di trarne mostruosità.
Potrei rifarmi dall'ultimo Concilio
neomodernista. Invece considero un testo di certo meditato e recente, stabilito
dal Vaticano per l'insegnamento della dottrina a tutti i fedeli: il Compendio del Catechismo della Chiesa
Cattolica, pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana in luglio 2005.
Al n.
372, "Che cos'è la coscienza morale?" risponde: "La coscienza
morale, presente nell'intimo della persona, è un giudizio della ragione, che,
al momento opportuno, ingiunge all'uomo di compiere il bene e di evitare il
male. Grazie ad essa, la persona umana percepisce la qualità morale di un atto
da compiere o già compiuto, permettendole di assumerne la responsabilità.
Quando ascolta la coscienza morale, l'uomo prudente può sentire la voce di Dio
che gli parla".
Poiché
si tratta dell'uomo in generale, non indicato come cattolico osservante, né
altrimenti battezzato di fresco, risulterebbe che egli ha facoltà di servirsi
della propria coscienza per distinguere il bene dal male e comportarsi da
responsabile. Avremmo senza ombra di dubbio una proposizione eretica conforme al
pelagianesimo, che voleva l'essere umano, anche non battezzato, anche privo
della Grazia santificante, anche senza la Chiesa, in grado di concepire la
verità morale e di salvarsi. In altri termini, stando a questo punto del
Catechismo, tutti possederebbero una coscienza efficiente, né erronea, né
adulterata colpevolmente.
Era
troppo, e bisognava rimediare.
Per intanto, al n. 373, il catechismo prepara
l'intangibilità della coscienza con la domanda: "Che cosa implica la
dignità della persona nei confronti della coscienza morale?" Risposta:
"La dignità della persona umana [dovuta alla somiglianza col Creatore,
vien detto in precedenza, omettendo che la nostra dignità è rovinata dal
peccato originale o profanata da quello attuale, mentre quella di creatura
appartiene a Dio come la nostra vita, e possiamo onorarla o offenderla] implica
la rettitudine della coscienza morale (che cioè sia in accordo con ciò che è
giusto e buono secondo la ragione e la Legge divina). A motivo della stessa
dignità personale, l'uomo non deve essere costretto ad agire contro coscienza e
non si deve neppure impedirgli, entro i limiti del bene comune, di operare in
conformità ad essa, soprattutto in campo religioso".
Qui sorge una netta contraddizione, che
passerà come inesistente, presumendosi l'impossibilità d'una caduta in questo importante magistero. Ammettendo che
l'uomo, il quale si appella alla propria coscienza, possa violare il "bene
comune", la sua coscienza non è sempre valida, egli può compiere il male altresì
"in campo religioso" corrompendo il prossimo, quand'anche sia in
buona fede. E non si vede in che modo un atto eretico o di empietà possa essere
tollerabile e meno dannoso d'una lesione recata all'ordine civile. La vera
Chiesa infatti non tollerò mai il contagio dell'eresia, comunque prodotto, e condannò
la libertà religiosa.
Poi si riconosce meglio che c'è anche una
coscienza morale non retta e non veritiera. N. 374. "Come si forma la
coscienza morale perché sia retta e veritiera?" Risposta: "La
coscienza morale retta e veritiera si forma con l'educazione, con
l'assimilazione della Parola di Dio e dell'insegnamento della Chiesa. È sorretta
dai doni dello Spirito Santo e aiutata dai consigli di persone sagge. Inoltre
giovano molto alla formazione morale la preghiera e l'esame di coscienza".
Sembrerebbe che per avere una coscienza valevole
occorra essere diligenti membri della Chiesa. Però questa condizione, non
espressamente definita, può essere tralasciata considerando la dignità
personale originaria, supposta sempre efficiente (errore risibile, ma ribadito
in modo disastroso).
Al n.
375 si tratta delle norme che la coscienza "deve sempre seguire". Se
ne approfitta per annettervi la seguente eresia: "La carità passa sempre
attraverso il rispetto del prossimo e della sua coscienza, anche se questo non
significa accettare come un bene ciò che è oggettivamente un male".
In altri termini, si afferma che la coscienza
è buona, inviolabile, pur essendo erronea e producendo un male. Grazie a questa
presunta sacralità della coscienza (in virtù della sua connessione con la
dignità innata - sia onorata o infangata) si rispetta l'autore del male, che
non viene accettato.
N. 376. "La coscienza morale può
emettere giudizi erronei?" Domanda superflua, dopo le premesse. Risposta:
"La persona deve sempre obbedire al
giudizio certo della propria coscienza, ma può emettere anche giudizi erronei,
per cause non sempre esenti da colpevolezza personale. Non è però imputabile
alla persona il male compiuto per ignoranza involontaria, anche se esso resta
oggettivamente un male. È quindi necessario adoperarsi per correggere la
coscienza morale dai suoi errori".
Siamo giunti all'evenienza di una coscienza
affetta da "colpevolezza personale". Ma, essendo ciò possibile, è
impossibile che la coscienza sia per natura connessa alla divina dignità personale, che la renderebbe intangibile.
Che uno non sia in buona fede avendo una coscienza
erronea, da lui dichiarata veridica, è sovente impossibile stabilirlo. E allora,
non dovendosi condannarlo né riprenderlo
per il suo errore, si sostiene, a motivo della sua dignità (purché non abbia
turbato l'ordine pubblico), sarà ritenuto non colpevole fino a prova contraria;
potrà aver calpestato la Legge di Dio e essere ciononostante giustificato.
C'è la prescrizione di "adoprarsi per
correggere la coscienza morale dai suoi errori". Come farlo, se bisogna
avere "rispetto del prossimo e della sua coscienza"? Mettiamo che la
Chiesa (questa pseudo-chiesa) abbia la facoltà di istruire moralmente il
fedele, inducendolo a vedere la sua trasgressione. Questa non potrà essergli
imputata a colpa senza che se ne abbiano le prove. Nondimeno, avvenuta
l'istruzione o la correzione, rimane il principio della coscienza sovrana e
intangibile. L'autorità ecclesiastica e divina è decaduta ed è omessa nello
stesso Catechismo, secondo un concetto modernista. Serve a poco la
contraddizione per cui, al n. 185, la dottrina infallibile obbliga i fedeli.
Al n. 358 troviamo: "Qual è la radice
della dignità umana?" "La dignità della persona umana si radica nella
creazione ad immagine e somiglianza di Dio. Dotata di un'anima spirituale e
immortale, d'intelligenza e di libera volontà la persona umana è ordinata a Dio
e chiamata, con la sua anima e il suo corpo, alla beatitudine eterna".
Dio vuole che tutti si salvino, però non
battezzati, eretici e figli della Chiesa in peccato mortale non hanno, o hanno perduto,
l'adesione alla dignità originaria, sono indegni destinati all'inferno, sono in
potere di satana, sono mele marce possibilmente da risanare. Pertanto, venendo meno la sacra dignità (attitudine
al riscatto rovinata dal peccato, affidata alla personale responsabilità
variamente indegna e bisognosa di misericordia), viene meno la presunta base
della sacra coscienza: viceversa soggetta ad essere abusata dal suo possessore.
Ma questa teologia dogmatica è stravolta dai nuovi teologi, che si sono guardati
bene dal formulare una nuova dogmatica in materia.
Il medesimo Catechismo (n. 337 seg.)
ribadisce i precetti sul matrimonio, le colpe delle sue violazioni e come porvi
rimedio. Contrapponendo tali asserzioni alla Amoris laetitia, sorge infrangibile contro di essa l'accusa di
eresia. Non importa. Una volta fissato il principio dell'intangibilità della
coscienza, nessuna norma ha più valore oggettivo e inderogabile; purché non
turbi l'ordine della pseudo-chiesa.
Sento che Bergoglio ha già risposto ai suoi
accusatori che il documento oggetto di contestazione da lui approvato, è in
ordine con la dottrina tradizionale della Chiesa, con san Tommaso d'Aquino, e
bisogna saper leggere, leggere tutto per bene.
Può darsi che vi siano delle asserzioni giuste,
che contraddicono quelle errate. È il solito espediente degli eresiarchi: tengono
in serbo - pubblicate nella loro dottrina ma quasi nascoste - espressioni
corrette con cui tappare la bocca all'obiezione ortodossa; tuttavia non si
curano di emendare l'errore perpetrato, né badano alla contraddizione e all'ambiguità
che distruggono il vero, pronti a sfoderare un sofisma per smentire i rigorosi formalisti. E infine le
incongruenze, di non semplice connessione e comprensione, sono peggiori della
netta proposizione eretica (meglio confutabile): difendono l'eresia spacciata, anziché
indebolirla,essa farà maggior presa su molti grazie all'astuzia; diversamente:
sfiducia nella Sposa di Cristo inattendibile e perdita della fede.
Si pensi che dopo aver difeso a spada tratta
la libertà delle coscienze erranti (n. 364: "l'imputabilità e la
responsabilità di un'azione possono essere sminuite e talvolta annullate [...]
dalla violenza subita, dal timore..."; n. 365: "il diritto
all'esercizio della libertà è proprio di ogni uomo, in quanto è inseparabile
dalla sua dignità... pertanto tale diritto va sempre rispettato,
particolarmente in campo morale e religioso...") in Appendice, a pag. 178,
tra le Sette opere di misericordia
spirituale, ricompare "Ammonire i peccatori". Precetto negato a
iosa, con argomenti e nei fatti, in nome della libera coscienza, nondimeno da
Madre Teresa di Calcutta, proclamata santa.
Ora, la scocciata risposta di Francesco I
riposa sull'asserzione seguente: "Voglio ribadire con chiarezza che la
morale dell'Amoris laetitia è
tomista, quella del grande Tommaso. Potete parlarne con un grande teologo [...]
il cardinal Schömborn". Il quale, in proposito, dichiara essere "funzione
propria del magistero vivente, interpretare autenticamente la Parola di Dio,
scritta e trasmessa". Sicché, per esempio, "noi leggiamo [...] il
Vaticano I alla luce del Vaticano II".
D'altronde il Catechismo attuale dice, al n.
15, che: "tutto il Popolo di Dio, con il senso soprannaturale della fede,
sorretto dallo Spirito Santo e guidato dal Magistero della Chiesa, accoglie la
Rivelazione divina, sempre più la comprende e la applica alla vita".
Non dice che la maggiore comprensione debba
essere uno sviluppo semplice e rigoroso della prima sufficiente comprensione, restando
fermi i dogmi. I dogmi non vi sono mai neppure nominati. Dunque l'asserita
continuità dottrinale resta affidata alla spiegazione dell'ultimo magistero,
che in effetti interpreta il Deposito della Fede in modo eretico, violentando i
dogmi.
Così è questione finita. La confutazione della
Correctio filialis, che pone l'eresia
delle 7 proposizioni attribuite Bergoglio, è bell'e fatta:
1.
"Una persona giustificata non ha la forza con la grazia di Dio di
adempiere i comandamenti oggettivi della legge divina".
Come si fa a sapere se uno, quando
trasgredisce, ha la giustificazione e la grazia? Quelli che non le hanno a
causa di circostanze avverse ("violenza", "timore") dovrebbero
essere messi tra i reprobi?
2.
I divorziati risposati che vivono more
uxorio possono non essere in peccato mortale. - Perché no? Chi può entrare
nelle loro coscienze? Come escludere che esistano serie circostanze a
giustificarli?
3.
"Un cristiano può avere la piena conoscenza di una legge divina e
volontariamente può scegliere di violarla in materia grave, ma non essere in
stato di peccato mortale".
Inutile
insistere: si dà il caso che ciò avvenga, e se ne tiene conto. De resto, alla
gravità della "materia" si contrappone la gravità dei dolori e degli
incomodi. Il foro interiore di quel cristiano resta la misura, svelata o
incognita, della sua innocenza o colpevolezza. Sussistendo l'incertezza del
giudizio sulla gravità del peccato, occorre credergli, occorre assolverlo,
persino allorché per scrupolo egli si accusa.
4.
"Una persona, mentre obbedisce alla legge divina, può peccare contro Dio
in virtù di quella stessa obbedienza".
L'accusato dirà di non capire il fallo
attribuitogli, di non aver pronunciato tale arzigogolo. Egli non ha criticato
chi obbedisce alla legge divina, ha assolto chi sembra disobbedire e pare abbia
sufficienti attenuanti, che lo rendono degno della misericordia.
5.
"La coscienza può giudicare veramente e correttamente che talvolta gli
atti sessuali tra persone che hanno contratto matrimonio civile, quantunque uno
dei due o entrambi siano sacramentalmente sposati con un'altra persona, sono
moralmente buoni, richiesti o comandati da Dio".
La replica sarà che solo Dio è giudice delle
anime.
6.
"I principi morali e le verità morali contenute nella Divina Rivelazione e
nella legge naturale non includono proibizioni negative che vietano
assolutamente particolari generi di azioni che per il loro oggetto sono sempre
gravemente illecite".
Si farebbe più presto imputando all'Amoris laetitia d'avere, in buona sostanza,
affermato che la Legge divina ha un valore pedagogico non assoluto, non potendo
giudicare le coscienze, il ministro di Dio non potendone scrutare il santuario,
dovendo invece tener conto degli elementi di discolpa.
Ma questa eresia è già stata sostenuta, in
vario modo essenzialmente, dal magistero a partire da Giovanni XXIII e dal
Concilio sino al Catechismo oggi in vigore. E fa specie che i dotti difensori
dell'ortodossia, coraggiosi - benché filiali - accusatori di Bergoglio,
soltanto adesso e soltanto a lui contestino errori presenti e palesi da molto
tempo nell'ammaestramento e nel governo esercitati dagli occupanti le mura della
Chiesa.
Infine, come possono i circa 60 firmatari
della Correctio filialis addossare l'eresia a qualcuno, a Bergoglio, quando
essa è stata abolita da lunga pezza? Essa non figura più nel Catechismo e non
può essere contemplata né li né altrove dalla psuedo-chiesa, dal momento che
questa ha tolto agli eretici il loro nome e il loro essere, prestando alle loro
chiese un'idoneità dottrinale,
attribuendo loro l'assistenza dello Spirito Santo, considerandole vie di
salvezza grate al Signore. Perciò questo enorme tradimento di Cristo, dovrebbe
essere anzitutto denunciato.
Piero
Nicola
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